Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

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Angiola Maria

207264
Carcano, Giulio 3 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Una casa di gretta apparenza, con le muraglie dipinte del color del tempo e scalcinate, con un ballatoio alla lunga a ciascuno de suoi due piani, e un' ampia gronda tarlata che si versa all' infuori, come la tesa d' un cappellaccio su la fronte d'un pitocco, guarda su d' una rimota piazzetta, in una parte lontana della città, presso a uno de' nostri abbandonati terraggi. Da un fianco, il murello d'un' ortaglia che fa gomito nell'attiguo chiassuolo, dall'altro una casípola lunga, bassa, bucata d'usci e finestre come un crivello, angusto ricovero di povera gente; e vicino, una vecchia siepe su d' un ciglione di terra, che risponde a una strada fangosa, bistorta, orlata d' un fossato. V' ha ancora pochi angoli della nostra bella e ringiovanita Milano, i quali presentano un aspetto così malandato e tristo, da parer veramente la casa delle streghe; e chi si volesse pigliar lo spasso di cercare quel gruppo d' abituri ch' io descrivo, non aspetti al domani; perchè forse, dov' è la casa del signor Cipriano, troverà un bel palazzetto dalla fronte allegra e linda, dalle verdi gelosie, e invece del rozzo casamento da vicini col marcio fossato al piede, si vedrà sorgere dirimpetto una fabbrica bianca, recente, di cinque piani, da far invidia a chiunque abbia due spanne di terra al sole. Il signor Cipriano era un antico fabbricatore di cioccolatte, il quale, avanzate di buone migliaia di scudi, e non volendo morir sul mestiero, chiusa bottega, si ritirò a godere negli ultimi anni il frutto de' suoi sudori in santa libertà. Egli aveva dunque comperato quella casa a mezzo prezzo; ma poich' era assai taccagno, e aveva spesa sempre la sua lira per venti soldi almeno, si ridusse a menar grama vita in quella topaia cadente, dove una volta aveva sognato di far il signorone. E parevagli di toccare il cielo col dito, allorchè, sdraiato su d'una panchetta accanto al fuoco, col fido suo fiaschetto di vin d' Ossona al fianco, ruminava, tra l'una e l' altra mezzina, il conto degl' interessi de' suoi capitali, all'uno o al due per cento il mese. Quand'egli attraversava la piazzetta, per entrar nella sua porta, andava tronfio, a lento passo, con le mani intrecciate sotto la schiena; e, levando il grosso ventre e il naso bernoccoluto, sbirciava su per le finestre e pe' terrazzini le più tonde e frescoccie comari del contorno: tutti lo conoscevano, e gli facevan di cappello, quasi al bassà del quartiere; perchè tutti supponevano che tenesse un bel morto in cantina. Dal primo all' ultimo de' sessant' anni, a cui toccava allora, egli era stato schivo sempre d'ogni molestia e d'ogni cura; e se non volle mai prender moglie, fu per non avere il pensiero de' figliuoli e l' impaccio della donna, ch' e' soleva chiamare la più spallata mercanzia del mondo. Ma, poco tempo prima, s'era fatta venire in casa la signora Barbara, sua sorella, vedova d'un fallito, e la Savina figlia di lei, le sole che di tutti i parenti gli fossero rimaste, e che s'accontentarono di governare la casa, e pagar la pigione; attaccate all' idea di fare un dì o l'altro una grossa eredità, àncora della loro speranza. In casa però, il signor Cipriano aveva sempre tenuta la mestola a suo modo; ben se lo sapeva quel zotico baccellone di Michele, l' unico famiglio, quando il padrone, dotato d' una memoria spilorcia da far fremere, gli faceva dar conto, ogni dì, della croce dell'ultimo quattrino. Nella casa di questo novello Arpagone, noi troviamo adesso la nostra fanciulla, in qualità di cameriera della signora Barbara; la quale, incapricciata che la sua Savina diventasse una damigella e facesse un bel partito co' fiocchi, non voleva più vederla attendere alle meschine cure della famiglia. Maria vi stava da un mese. Abbandonata ch' ebbe la bottega della crestaia, si gettò nelle braccia dell'unica co- noscente che le restasse, la signora Giuditta; e pianse, raccontando il pericolo che correva, e la scongiurò di allogarla altrove, in qualche casa onesta, dove potesse vivere più sicura, e nascosta a tutti. Appunto alcuni giorni prima, la signora Barbara s' era raccomandata alla Giuditta (da un pezzo si conoscevano) ché facesse di trovarle una brava e savia giovine, la quale, contenta di poco, s' acconciasse presso di lei. Dunque, la cosa fu presto combinata i e Maria, altro non sospirando che un' esistenza casalinga, solitaria, ringraziò il cielo che le avesse conceduto quel ricovero. Ell' era così docile e buona, che la signora Barbara prese a volerle bene: il suo costume, le sue parole, avevano un incanto cosi gentile e dolce, che anche la giovinetta Savina le pose molto amore, e volle subito che tra loro si dessero del tu. Maria le apparecchiava ogni mattina il più fresco e mondo vestito, che pareva sempre del dì delle feste, un candido grembiale coli' orlo a traforo, un bel collare a pieghette, e la cuffietta la più leggiadra, ch'era una grazia a vederla. E la madre si ringalluzziva tutta, non capiva in sè dalla gioja, trovando così bellina e compita d' ogni cosa la figliuola, che tutt' altra sembrava quella di prima. Tutta la casa poi, in quel breve tempo, risentiva già della presenza d'una sollecita regolatrice, a cui il buon ordine e la mondezza sono necessità e abitudine; i vecchi mobili polverosi, muffati, del signor Cipriano, le tende delle finestre e le cortine de' letti luride e cadenti, avevan ripigliata un'aria di giovinezza e di pretensione. Fino quel semplice di Michele, il famiglio, voleva farsi in quattro per ripulire e rassettar le camere, il salotto e la cucina; e lavorava a tutta schiena a rigovernar le pentole, le casseruole, le stoviglie, obbediente come un cagnolino a tutto quel che Maria gli dicesse; perchè glielo diceva con un far così benevolo, ch' egli, usato a ricevere buone lavate di capo dal padrone per cose da nulla, sarebbe per essa ito nel fuoco. L'avaro era il solo che più di frequente brontolasse di coteste novità; nè ci voleva meno di tutto l' accorgimento e di tutta la pazienza della sorella, a persuaderlo che un uomo della sua qualità, con ventimila lire e più di rendita, doveva tenersi in credito, e avere una casa da cristiano; ma la ragione che lo faceva star più cheto, era che non gli toccasse di far vedere la luce a un soldo di più. Dopo che venne in quella casa, Maria non usciva mai, fuorchè là domenica di buon' ora, per andare alla messa nella chiesa più vicina. L' inverno si rabbruscava sempre più; il cielo era quasi sempre rannuvolato, piovoso, e le prime nevi avevano già messo nell' aria quella muta malinconia, che par s'acconci tanto bene a una vita rassegnata e oscura. Sbrigate le faccende di casa, tutta la gioia di Maria era di potersi ritirare nel silenzio della sua camera. E allora, rialzata una cortina del balcone che metteva su la ringhiera sedeva assidua al lavoro, colà presso, sotto la poca luce; e le pianticene d'un vaso di garofani, che teneva su d'un vicino armadietto, lasciavano talvolta caderle in grembo alcune secche fogliette. Quel piccolo vaso, senza un fiore, quell'arida pianticella, quegli steli d'un pallido verde, ricadenti su l' orlo del vaso, bastavano a risvegliarle il dolore del tempo passato, il mesto desiderio d'un avvenire più felice. Si ricordava che nella casa di suo padre, sovra la soglia della sua finestra verso il lago, ella soleva una volta educare una famigliuola de' suoi fiori più amati; e via via, di pensiero in pensiero, il cuore la rapiva.... Essa non era più là, era con sua madre e con la vecchia Marta, era con suo fratello.... e con un altro. E dimenticava tutto, per ricordarsi solamente d' una appassionata canzoncina, che un giorno era tanto piaciuta all'amico suo: ROSA.

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Io mi proposi d'adoperare il tempo che mi avanza, dopo compiuti gli obblighi sacri del ministero, nell' andar cercando di sito in sito, fin dove mi sia concesso inoltrare colle quotidiane e solitarie mie peregrinazioni, le reliquie de' secoli passati, le tradizioni antichissime vive tuttora nelle povere capanne del mandriano e del carbonajo, sugli altipiani e ne' diroccati casolari de' paeselli; nell' andar racco- gliendo le semplici cantilene delle fanciulle montanine, le pie leggende delle vecchie filatrici; nel visitare gli avanzi rovinosi e pittoreschi di qualche feudale castello di cui più nessuno sappia il nome; gli abbandonati cimiteri e le lapide votive, ma più di tutto nello studiar quelle antiche patriarcali costumanze, che sono come simbolo di giustizia nelle famiglie, religione vera del passato. Dacchè incominciai, senz'alcuna pretensione di sapienza antiquaria, queste utili e studiose ricerche, la mia vita ben più occupata e operosa che prima non fosse, assorta nel meditare e nello scrivere, invogliata dalle prime scoperte a novelli e più forti studi, si ricompone in una temperanza equanime di volontà e di sentimento, che parmi la miglior medicina delle avverse cose. Son quasi corsi due secoli dalle terribili guerre, che, per furore di politica ricoperta del manto della religione, disertarono queste contrade, e la memoria della rivolta qui sopravvive ancora; qui suona ancora sul labbro de' fieri Valtellini la bestemmia antica contro il luterano; qui l'odio rugginoso verso le tre Leghe Grigie, alimentate dalla contesa proprietà del territorio, non è spento del tutto: mentre nessuno più si ricorda della tirannide spagnuola, che, sotto colore di protezione, soffiava alimento a' dissidii, e col pretesto della fede calpestata e della santa causa della religione, rinfocava le moltitudini alla riscossa. E guai, allorchè un popolo si solleva in nome della fede de' padri suoi!... 15 di novembre. In questa solitudine, altro non desidero che la fedele compagnia d'un amico, il quale riceva nel suo cuore la pienezza del mio, meco divida il segreto del dolore e della speranza, e mi riconforti e sostenga ov' io ricada, come pur troppo avviene qualche volta, negli antichi terrori, in quelle fatali malinconie che m' avvelenarono l' anima non ancora del tutto guarita. Ohimè! basta un giorno di dubbio e di fiacchezza, un'ora sola d' interiore viltà per ripiombarmi in

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Un giorno abbandonati all'inquieto corso d' una barca leggiera , quand' era il lago conturbato del più rapido ondeggiamento, sotto lo spirare del tivàno dell'Alpi, essi confidavano i liberi pensieri, i voti misteriosi d' una più lieta aspettativa, al cielo schietto e azzurro; e nell'alterna vicenda del remigare, vedevano fuggirsi a fianco le rive, i palazzi, le ville; poi, quando il vento taceva e il lago tornava quieto miravano l'acqua disotto ripetere, come un' instabile interminata scena, il bel paese; e disopra le nubi abbracciarsi e ravvolgersi sorvolando i vertici della montagna - come se l'anima arcana della natura tutta si risentisse in un'armonica commozione di vita. Un altro giorno, invece, seguivano le viottole più erte e dirupate della costiera, e su su pel monte a lungo inerpicandosi salivano con gioia selvaggia di libertà; contenti di trovarsi soli e dimenticati su le più ardue vette, di guardare di là, per ogni parte, fin dove l' occhio poteva, l'ampio orizzonte delle pianure, de' laghi, delle Alpi e del cielo, come un immenso oceano di luce e di colori - E là, tra quelle cime, sedevano su la dispersa rovina d' un casolare sfasciato dalle acque montane, o sul tronco d' un vecchio albero sradicato dal fulmine, marcito dal tempo; e sopra i loro capi non vedevano sollevarsi che qualche rado cucuzzolo di monte, con la sua veste di neve agghiacciata, o qualche rozza croce di legno, piantata nel crepaccio d'un masso, forse da un povero pastore, chi sa da quant' anni. E, più d'una volta, cercavano nuovi sentieri su' fianchi dell' alpe, dove il terreno, scemo d' umori e di fecondità, cessa d'esser ricoperto d'erba e ombreggiato di piante, dove non altro s' incontra che qualche rara segreta sorgente col suo fresco zampillo d' un fil d'acqua, o un' ampia zolla rivestita di muscosa verzura, o d' un rosato tappeto di ciclamini. E là, per que' dossi, il giovine Arnoldo andava cercando con mano paziente l'erbe più rare, le pianticelle mi- rabili e sconosciute, che pare l'aria vi cresca con più facile germoglio, solo per la pastura d'un branco errante di capre. Giacchè egli aveva messo studio e amore a quella cara scienza dell'erbe e delle piante, che ama, intende la natura, e insegna con solitaria consolazione che in ogni angolo della terra v' è una virtù misteriosa, una bellezza. Una mattina, Arnoldo e don Carlo sedevano su d'uno degli alti terrazzi della malinconica e deserta Pliniana. Il cielo era cenericcio e nebbioso; i loro pensieri sentivano di quella solenne quiete della natura, che pare più muta e mesta, qnand'è una giornata av versa della più bella stagione. Arnoldo tenevasi spiegato sulle ginocchia il suo albo, disegnando lo schizzo della veduta che gli s' apriva dinanzi - quella fuga di monti dietro un monotono velo di nebbia; lo spumoso torrente che si rovesciava da un' erta cima a fianco del vetusto palazzo; quel cielo bigio, uniforme, che gli richiamava al pensiero il cielo della patria, una delle scene della sua mesta e cara contrada, quel sacro cantuccio di terra, in cui riposavano le ossa di sua madre. Don Carlo, poco lontano da lui, meditava scrivendo sopra un foglietto, che appoggiato a un volume della Bibbia teneva fra mano. Quando Arnoldo ebbe finito il suo disegno, a' avvicinò all' amico, e gli sì mise accanto, in atto d' aspettare: ma quegli non si riscosse, e continuava a scrivere. « Che scrivete, don Carlo? » domandò Arnoldo. « Amico mio, sono pensieri che vo gettando su questa carta, tali quali m'ardono in cuore, schietti, nudi; è un ritorno innocente alla giovinezza gia passata per me, la quale non m' è più che una memoria. Che volete? Noi Italiani, noi figli di questo cielo e di questa terra, oh no! non possiamo distaccarlo dal nostro cuore l' amor della poesia, che succhiamo forse col latte delle nostre madri, che beviamo coll'aria del nostro paese.... L'armonia del cauto è la più pura voce dell' anima!... E io, vedete, qui in quest' ora di solitudine, in questo luogo sublime, sento che mi si risvegliano nel pensiero i sogni d una volta, palmi ancora d'esser giovine, italiano, poeta!... » « Oh il vostro sentire è nobile e bello! Ditemi, ve ne prego, leggetemi il vostro canto; chè anche il cuore di chi nacque di là dell' Alpi sente e batte più forte, se la parola della bellezza lo scuote. » « Deh! che volete mai ch' io pensi e scriva? Non è, ve l' ho detto, che la tarda rimembranza d' un tempo che non torna più. Ora, la mia sorte è certa e tranquilla, il mio cuore contento. Fare a' miei fratelli quel poco di bene che per me si possa, nella condizione in che mi pose la Provvidenza, questo fu il primo mio voto, e sarà l'ultimo. » « Ma come potete voi, col cuor sì caldo, con la mente fatta pura dal fuoco dell' ingegno?... » lo interruppe Arnoldo. « Dimenticate l'uomo, e non guardate in me che il po- vero prete. Io sono un nulla agli occhi del mondo, ma c'è delle anime che non mi disprezzano. Sono que' pochi miei fratelli che vedono in me il loro unico protettore; per essi, io sono il mediatore tra i travagli di questa terra e la consolazione del Signore. Io parlo loro di semplici e sublimi verità, ed essi m'ascoltano; io raccolgo la confessione della loro debolezza, e li conforto al meglio; me li veggo inginocchiati ai piedi, e fo sopra di loro il segno della croce, il segno del perdono; io battezzo i loro bambini, e seggo accanto del loro letto di morte, e le anime n' accompagno al Creatore, benedicendole.... Che altra umana felicità poss' io invidiare?... Oh! chi intende la grandezza di codesta divina missione e la compie , con quella forza che sola la fede può dare, non ha altro affetto quaggiù, non ha altro voto, se non che sia fatta la volontà del Signore sulla terra come nel cielo! » « Queste son cose sublimi; e il vostro proposito è grande, come la virtù ch' è necessaria per adempirlo. Ma io credo, amico, che il dir addio alla gloria della scienza, alla dolcezza della vita, all'onore della patria stessa, vi deva esser costato un gran sacrifizio! e forse.... » - Ma chi mi assicurava che sarei venuto in fama, che avrei trovato nella gloria il compenso della vita spesa per la sapienza? e ciò foss' anche, è poi vero che sia questa una felicità, o almeno un riposo de' nostri desiderii?... Ah! credetelo a me! io, dimenticato nella mia oscurità, vivo più contento di voi.... E la sola cosa che adesso sparga di mestizia i miei giorni è il pensiero di mia madre e di mia sorella. Povere e buone creature esse non avranno l'appoggio che di me aspettavano.... » « Ma che potreste far di più per esse? Nel tempo che siete qui, non avete già preparata loro una condizione onesta e sicura?... » « Sì; ma dovrò abbandonarle. Pochi giorni ancora, e tornerò dove mi chiama, il mio debito sacro; che già per troppo tempo ho dimenticato. Oh! Dio mi conceda ch' io possa una volta vederle tutte e due vicine a me, sotto il mio tetto, eh' io viva con loro, sì.... perchè le amo, vedete! sono i soli legami che mi uniscono alla terra; mia madre, la donna amorevole e pietosa! mia sorella, angelo di modestia e di pazienza!... » « Non v'affliggete per loro; la virtù che si nasconde è sempre felice. Su via, aprite l'animo a più lieti pensieri; e, se non esigo troppo, leggetemi quello che avete scritto stamane, ve ne prego! » Il vicecurato stette alquanto a guardar taciturno il suo giovine amico; e poi levatosi lesse: LA VOCE DELLA FEDE.

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