Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonati

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Lo stralisco

208427
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Il giro si completava su una pista ben battuta che attraverso i pascoli piú ricchi della valle, dove brucavano quieti montoni abbandonati, riportava alle prime case del villaggio. Sakumat fece tre volte l'intero percorso, come se ad ogni ritorno dimenticasse di averlo compiuto, senza badare al passo sempre piú rotto del cavallo. Poi guidò la bestia alle stalle e rientrò nel palazzo, dove un alto silenzio regnava. Madurer era ancora addormentato. Ganuan sedeva a occhi chiusi presso il letto del bambino. Sakumat percorse le pareti dipinte, osservando le montagne e la pianura, la città assediata e il mare, il vascello pirata e il prato rigoglioso, in cui il segno sparso dello stralisco gli sembrò piú marcato ed evidente del solito. Per tre volte, lentamente, come aveva fatto attorno alla valle, percorse i paesaggi e notò cose che non sapeva, forme e gesti e colori che non ricordava di avere creato. Il burban, ai primi cenni di risveglio di Madurer, si allontanò come un'ombra. — Buongiorno, Sakumat, — disse il bambino. — Buongiorno anche a te, Madurer. — Ho fatto una gran dormita, vero? — Sí, un buon riposo. Ora stai bene? — Sì, bene. Un po' debole, come le altre volte. — Resterai a letto qualche giorno. Ti leggerò delle storie. — Benissimo! E poi continueremo a lavorare. Chiederò al burban mio padre di far terminare in fretta le nuove stanze. Non dovrebbe mancare molto. — Non molto. Ma abbiamo da lavorare ancora sulle nostre figure, Madurer. Ho delle idee, ma devo pensarci meglio. Come capitava a te prima di decidere il prato, ricordi? — Si. — Intanto, finché non ti alzerai, leggeremo delle fiabe, e guarderemo le figure dei libri. — E faremo qualche disegno sulla pergamena? — Se non ti stancherà troppo. Ti insegnerò a dipingere gli uccelli. Ma nei giorni seguenti le forze di Madurer non furono sufficienti a disegnare. Sakumat gli lesse molte storie, parlando con lui delle vicende e dei personaggi. Notava intanto come la forza stentasse, molto piú della volta precedente, a ritrovare le strade nell'organismo del piccolo. Ma il pensiero di Madurer, tra un riposo e l'altro, era rapido e desto. Soltanto, a tratti, lo prendeva una specie di distrazione, un momento di assenza, nel quale gli uscivano parole svagate, forse senza significato: come se il suo stesso pensiero, imprendibile, le facesse risuonare senza i legami del linguaggio. Anche i sonni diurni diventarono piú lunghi e insistenti. — Costruire nuove stanze è una buona idea, — disse Sakumat. — Ma io ne ho una migliore. — È quella a cui hai pensato in questi giorni? — Sí. E mentre ci pensavo diventava piú bella. — Allora dimmela, Sakumat. — Ecco: se noi continuiamo ad allargare le pareti, non potremo piú dominare il paesaggio. Voglio dire che diventerà troppo grande per giocarci davvero. Resterà per molto tempo uguale, e sarà meno vivo. Madurer taceva, attentissimo. — Insomma, credo che queste pareti ci. bastino, - disse Sakumat. — Ma sono complete! — osservò Madurer. — Il Tigrez è grande nel mare, e piú grande non potrebbe diventare. Il prato è completamente fiorito. C'è anche lo stralisco che brilla di notte. Che altro possiamo dipingere? Sakumat giocava parlando con le mani del bambino, come spesso faceva. — Ricordi come abbiamo dipinto le cose, Madurer? — disse, stringendogli un po' piú forte le dita, — come era piccola la nave, all'inizio? E com'era acerbo il prato? — Si, li abbiamo fatti poco a poco. Piano piano. — E ricordi una cosa ancora piú antica? Che il mondo non fa salti, e non si ferma? Madurer rimase in silenzio, soppesando fra le sue dita piccole quelle piú grandi del pittore. — Vuoi dire che i nostri paesaggi possono continuare? — disse. — Possono continuare, sí. E cambiare. Se noi vogliamo. — Cambiare come? Diventare più belli? — Sono già belli, Madurer. Ma possiamo andare avanti nella storia, aggiungere il resto della vita. Il bambino sembrò affaticato. Stava rientrando nel torpore. — Sí, facciamo cosí, — disse, — poi mi spiegherai, come... Anche per Sakumat era stata una conversazione faticosa. Ascoltò il respiro fragile del bambino assestarsi in cadenza piú regolare. Poi chiuse gli occhi. Come dalle ferite di un ramo, dalle palpebre chiuse uscivano lacrime chiare.

Pagina 49

Il libro della terza classe elementare

210151
Deledda, Grazia 1 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Per questo, la vita dei piccoli malati non è triste, ma per Michele era triste il pensare alla sua mamma che soffriva per lui, alla scuola, ai compagni abbandonati. Una mattina, mentre egli pensava appunto alla sua mamma e ne sperava la visita, vide le suore muoversi con insolita fretta nelle sale, nei corridoi, nelle corsie, bisbigliando tra loro; poi, accompagnata dai dottori, entrò una signora alta, vestita di grigio, che si fermò dapprima accanto ai lettini dei malati più gravi, piegandosi ad accarezzarli e chieder loro come stavano. Il suo viso bruno, i grandi occhi neri e il sorriso melanconico della sua bella bocca esprimevano una tenerezza ed una pietà materne. Poi visitò la sala di refezione, dove stavano Michele ed i suoi compagni, ed a tutti rivolse domande e parole dolci. Sulla testa di Michele posò lievemente la mano e chiese se egli andava a scuola. - Sì, - egli rispose commosso. E quando ella soggiunse: «Allora guarirai i presto» egli sentì che l'augurio si sarebbe avverato. Poichè ella era la Regina d'Italia, e alle Regine buone come lei Dio concede ogni grazia.

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Tutti per una

215001
Lavatelli, Anna 1 occorrenze
  • 1997
  • Piemme Junior
  • Casale Monferrato (AL)
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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. - Allora gli orfani, i bambini abbandonati... quelli non li tenete? - incalzò preoccupata Amanda, senza lasciarsi distrarre dal faccino buffo di Gabriele che s'era messo a far le smorfie. - Ma perché ti preoccupi tanto? - la Clotilde d'improvviso si fece seria seria. - Non è che per caso tu... - Clotilde! - cercò di frenarla l'Enrichetta. Ma l'altra proseguì, caparbiamente: - ...non è che per caso aspetti un bambino? - Io, no! - la ragazza era diventata livida, ma cercava di trattenersi. - Cosa dice? Come si permette? - Lei non voleva offenderti, Amanda s'interpose l'Enrichetta, facendo di nascosto gli occhiacci alla Clotilde. Voleva solo capire se hai bisogno di qualcosa, offrirti il suo aiuto. Credimi, non l'ha detto con cattive intenzioni. Solo che... ecco lei... parla così, senza peli sulla lingua. Io glielo ripeto sempre che... certe volte... insomma, che bisognerebbe... Mah! Che ci vuoi fare. È il suo carattere. La ragazza fece un gesto di fastidio, ma rimase ferma ad ascoltare le affannose giustificazioni dell'Enrichetta. Non c'era più dispetto nei suoi occhi, adesso, ma solo una sorta di smarrimento angoscioso, come nello sguardo dei cani abbandonati per strada. - Ma sì, ma sì... Scusami! - tagliò corto la Clotilde. - E poi, se anche fosse? Le donne fanno figli, è risaputo. Non c'è mica da vergognarsene... Roba da matti! - e, considerato chiuso l'episodio, ritornò sbuffando alle sue occupazioni. - Cosa ti avevo detto? - rise I'Enrichetta. - È fatta così, prendere o lasciare. Piuttosto, vieni a vedere una cosa. - Fece segno ad Amanda di avvicinarsi ad una culla. Dentro c'era una bambina, rosea, paffuta, con una gran testa di riccioli neri e due occhi sgranati grossi così, che sgambettava come un ranocchio preso tra due dita. - Questa è Dorotea. È stato Argo a trovarla, vicino al muro di cinta della villa. Avrai sentito parlare di tutta la faccenda, no? Ne hanno scritto anche i giornali. O non sei di queste parti, tu? - Si, di un paese qui vicino - mormorò Amanda, e la voce le tremò un poco. - Oh, non voglio mica sapere! Dicevo così, tanto per dire... Ma chi conosce la storia di Dorotea, di solito si fida di noi. Per tutta risposta, la ragazza stese le braccia, esitante. - Posso? - Ma certo. Anzi, preparala tu per il bagnetto. - Posso? - Non sai dire altro, adesso? - rise l'Enrichetta. - Dai, muoviti... In quel momento si aprì la porta e spuntò la testa dell'Ernesto. Aveva sul viso un'espressione alterata, come se qualche grossa preoccupazione lo stesse tormentando. - Clotilde, Enrichetta! - chiamò. - Venite giù un momento. - Perché? - Non so. Però il professore ha detto che è urgente. - Veniamo, veniamo... Quanta fretta! protestò la Clotilde. - Sarà questione di poco, Amanda. - L'Enrichetta sorrise lievemente, deponendo Gabriele nella culla. - Ce la fai, qui da sola? - Me la caverò - promise Amanda tranquilla, e intanto guardava Dorotea. Le due donne ciabattarono verso l'uscita ma, prima che richiudessero la porta, qualcosa di peloso vi schizzò dentro a tradimento. - Ecco, di nuovo quel benedetto cane! Non è possibile, dico io! S'infila sempre dappertutto. Ma se l'acchiappo... La voce della Clotilde rimbombava minacciosa, sinistramente amplificata dalla tromba delle scale. - Lascialo perdere, dài. Che fastidio ti dà? - rimbeccò l'Ernesto col suo vocione. - Piuttosto, vuoi una mano per scendere? La risposta si perse in un sordo brontolio. Poi ci fu solo un rumore di passi che si allontanavano giù per le scale.

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