Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonata

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Il romanzo della bambola

222118
Contessa Lara 2 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • paraletteratura - romanzi
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Un giorno la governante, avvezza com'era alle stravaganze della Marietta, perch'ella l'aveva veduta nascere, s'accostò alla pupattola abbandonata, se la prese in braccio e la ripose in un armadio, dicendo a voce alta, con un sorriso malinconico: - Tanto, prima che ti ricerchino ci sarà un pezzo! Se un lungo spillo avesse trapassato il petto della Giulia, le avrebbe fatto meno male di quelle parole. Dunque, ella non era più un oggetto di desiderio! Era inutile, finita. La Marietta, fanatica del Moro, non pensava che alle sue passeggiate a cavallo. Già era stata tre volte fino a Bellavista, una tenuta de' Rivani, fuori di porta San Sebastiano; e raccontava, rossa dal piacere, come l'ammirassero quando passava sul suo puledro cosi piccolo, con dietro il servitore montato sur un cavallo grande. Gli occhi della gente erano tutti per lei. Le faceva fare una cosi bella figura, il Moro! La povera Giulia ripensava tutto ciò nel buio dell'armadio, più nero d'una prigione, e ripensava anche ai giorni di malattia della Marietta, quando ella le avea tenuto una compagnia buona e fedele distraendola e divertendola. Più dell'esser lasciata lì sola, senza che la bimba richiedesse di lei; più ancora dell'averle tolto la luce e l'aria, l'addolorava l'ingratitudine della sua piccola amica. Questo strazio poteva perdonarglielo, ma dimenticarlo giammai! Un dopo pranzo, intese aprire l'armadio in fretta. Erano le donne, venute a prendervi della tela per fasciare una gamba alla Marietta, che il cavallino aveva buttata a terra. Se la bambola fosse stata d' animo cattivo avrebbe detto: - Ben le sta, perchè ha lasciata me per il Moro! - invece ella sofferse del brutto accidente, sperando, in cuor suo, che mentre la bambina stava in letto, avrebbe richiamata lei vicino a sè, lei che non le aveva mai fatto il più piccolo male dacchè s'erano conosciute. Ma i giorni passarono; passarono forse dei mesi, che nella vita di una bambola rappresentano tanti anni de' nostri; e nessuno venne a tirarla fuori, a consolare la sua profonda afflizione. L'oscurità, la solitudine; la solitudine, l'oscurità, non altro, in quell'armadio, dov'ella era in mezzo ai vecchi vestitini della Marietta: certi spogli destinati a darsi per elemosina. E si era addormentata d'un sonno grave, senza sogni, un sonno da cosa, non da essere che sente e pensa e gode e soffre. Così avrebbe voluto, magari, finir la sua piccola vita, cominciata troppo bene per poter andar avanti sempre allo stesso modo: perchè a questo mondo non durano di continuo nè il bene nè il male, e bisogna contentarsi, pigliando con coraggio quello che Dio ci manda. Se ne stava, dunque, immobile e triste, le braccia aperte, il corpicino coperto di polvere, quando, una notte, le parve udire un rumor leggiero, insistente, eguale, come quello d'una piccola sega che lavori. Stette in ascolto un pezzo. Non era la chiave che girava nella serratura; la chiave non fa quel rumore. O allora, che cosa poteva essere? I ladri? Ma i ladri, se per disgrazia càpitano in casa, scassinano i mobili, presto e senza dare l'allarme. I topi, dunque? I topi, Dio mio! Uno spavento terribile la invase. Aveva inteso, una volta, la signora de' Rivani dire che i topi le avevano rovinato una dozzina di lenzuoli in tela di Fiandra, de' merletti antichi di grande valore e anche altra roba. Sicchè i topi erano terribili se, affamati come sogliono essere, arrivano a buttarsi su qualcosa. Il rumore della piccola sega durò tutta la notte: tacque il giorno, perchè qualcuno, entrando in guardaroba per cavarne una cosa o un'altra, impauriva il topo, che ricominciava però subito il suo lavoro monotono, non appena il silenzio tornava a regnare in casa. Ah, se la Giulia avesse potuto chiamare, avvertire che c'era il nemico lì accosto, lì dentro; chiedere aiuto, misericordia, pregando che la si levasse da quel luogo dove aveva paura come una povera bimba in pericolo!... Ma no, no, sempre no! Non poteva da sè sola metter fuori la voce, non poteva alzar le mani e bussare, bussar disperatamente come avrebbe voluto, co' piccoli pugni stretti... Bisognava aspettare, come un pezzo di stoffa qualunque, l'ora de' patimenti più atroci, forse chi sa? l'ora della morte, s'egli era destinato ch'ella dovesse morire così, senza più rivedere il sole. Il topo si avanzò nell'ombra, sicuro di non essere disturbato da alcuno nella sua opera di distruzione; corse qua e là per l'armadio, fiutò, tornando indietro, andando avanti... Se le bambole potessero sudar freddo, la povera Giulia avrebbe avuto i bei capelli biondi tutti intrisi alle tempie, tanto era il suo terrore. Si raccomandò al cielo; ma in cielo ci sono i santi che, a volte, proteggono le bestie, perchè le amarono in vita, come sant'Antonio, san Francesco, san Benedetto, san Rocco; nessuno protegge i giocattoli, abbandonati da tutti quando li abbandonano i bambini. Nelle sue corse rapide, il sorcio le si accostò parecchie volte; poi, da bravo, forse perchè glie n'era piaciuto l'odore, si mise a rosicchiarle una scarpina, una delle sue belle scarpine di cuoio bronzato. Dati i primi morsi, staccò un pezzetto della suola sottile di pelle di guanto; e per un poco, finchè non ebbe terminato il boccone, la Giulia non sentì più scosse. Ah, fosse finito lì il suo spavento! Ma che! L'animale, fatto un foro nella scarpa, attaccò la calza di seta, che i suoi denti lunghi e puntuti ragnarono tutta. Allora principiò per l'infelice pupattola il martirio di sentirsi divorar lentamente il povero piccolo piede, senza poterlo ritirare, anzi, dovendolo abbandonare inerte, come cosa morta. Le sembrava che, insieme al piede, la bestia le dilaniasse il cuore, la testa, ogni nervo del corpicino. Perchè, perchè non veniva ora la sua Marietta a strapparla di lì, a salvarla? Nessuno! Nessuno si ricordava piú di lei, rifiutata, buttata via senza pietà, come un impiccio, come un limone spremuto. Dal buco fatto nella pelle fina del roseo pieduccio, una ferita orrenda, la segatura scorreva, e ne' sussulti impressi dal topo nel roderla, si vuotava parte della gambina; che rimase poi lì con la sua pelle floscia, cadente, quando l'animale si fu ben impinzato e volle mutar cibo. Fuori, l'inverno era finito, e la primavera, con le sue magnifiche giornate, già tiepide e odorose di fiori, invitava a lasciar la città per i semplici divertimenti all'aria aperta della bella campagna. Anche per i signori de' Rivani era prossima la partenza; e già si facevano in casa tutti i preparativi. Il Moro era stato il primo a esser nominato dalla Marietta tra le cose da portare con sé. Con lui ella avrebbe fatto chi sa quante galoppate allegre per il bosco, sotto gli alberi, dove anche a mezzogiorno c'è ombra. Si trattava di condurlo perfino ai bagni di Viareggio; per le gite lungo la spiaggia e le colazioni nella pineta, dove tutte le sue amiche e più ancòra le bambine conosciute colà l'avrebbero invidiata. Innanzi di lasciare Roma per tutti i mesi della villeggiatura, la signora de' Rivani soleva fare una distribuzione degli oggetti usati di vestiario alle sue persone di servizio e a' suoi poveri; ma prima che agli altri alla famiglia della propria sorella, signora Amalia Cerchi, mamma di Camilla: una signora che, come abbiamo detto, s'era maritata male ed era poco felice. Alla signora Amalia e a Camilla, dunque, venivano, quasi di diritto, gli oggetti migliori fra quelli scartati; e si dava loro anche roba addirittura nuova perchè non si mortificassero. Quell'anno, poi, c'era un monte di vestiti, di sottane, di mantelletti, una sfilata di cappelli, e scatole di guanti, e cassette di scarpe; più regali del solito, perchè anche il signor Giovanni aveva inzeppato il guardaroba al suo ritorno da Milano. Nella stanza degli armadi, davanti agli sportelli spalancati, stavano la signora de' Rivani con la signora Amalia e le due cuginette: la Marietta e Camilla. Nessuna persona di servizio assisteva a quella scelta, per non offendere la miseria della signora Cerchi. - Questo non lo prendo, sai - diceva la signora Amalia alla sorella, tenendo in mano un abitino di velluto - perchè per Camilla è troppo bello. - No, anzi, prendilo; l'ho messo da parte proprio per lei - insisteva la madre della Marietta.

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Chi sa dove era andata a finire la roba della povera Giulia, mentre la Marietta la lasciava cosi abbandonata rovinarsi in fondo a un armadio! - Non importa, non t'incomodare, zia - disse Camilla con gentilezza - io so un po' cucire, e nell'ore che non sono a scuola le farò io un vestitino con qualcosa di mio che non porto più. La Marietta, che rientrava allora in guardaroba, a corsa, dopo aver inutilmente cercato il famoso baulino, osservò che doveva esservi una bella differenza tra gli abiti che la sua pupattola aveva prima e quelli che avrebbe avuti ora: osservazione che sua madre troncò con un: - Taci! - ben meritato. Era vero; la Giulia era entrata in quella casa circondata da un lusso straordinario per una bambola; e ne usciva povera, con soltanto l'abito, ormai sgualcito, che teneva in dosso. Ma c'era entrata accolta dal capriccio, e ne usciva accompagnata dall'amore; e per un essere che ha sentimento, il cambio non era poi cattivo. Il cuore tiene luogo di molta ricchezza; Camilla non avea che il suo povero cuore di bimba diseredata da offrirle; ma la Giulia aveva sofferto abbastanza, trascinata da un mobile all'altro, rinchiusa dentro l'armadio come uno straccio in disuso, perchè non le importasse più nulla, nè di balli, nè di cene, nè di gite in carrozza, nè di case signorili. Capiva che il carattere di quella bambina era serio, che il suo cuore era buono, costante; e un benessere nuovo, un sentimento di sicurezza de' più dolci la riempivano di gioia, di serenità. Povera e felice! non si curava di tutto quanto lasciava dietro a sè di frivolo. Avrebbe fatto vita nuova... pelle nuova - almeno nel piedino straziato. Sicchè disse addio, malinconica ma senza rimpianti, alla elegante casa de' Rivani, dove aveva conosciuto la vita di chi si diverte, non quella di chi è amato davvero. La Marietta la vide andarsene senza farle una carezza, senza darle un addio, senza nè anche prenderla in braccio un'ultima volta: ormai, agli occhi suoi, la Giulia era un balocco guasto e null'altro. Nel cortile, dappiede alle scale, il Moro insellato per la passeggiata a Villa Borghese, aspettava, tenuto per la cavezza, la padroncina, sbuffando e raspando, co' segni della più viva impazienza. Girò la testa quando la signora Amalia e Camilla scesero le scale. La bambola avrebbe voluto stringersi ancòra più alla sua nuova amica; fissò gli occhi sul cavallo capriccioso come la Marietta... e se le lacrime del cuore potessero filtrare attraverso il vetro, due lacrime, forse, avrebbero rigato quel visetto di porcellana rosea, nell'ultimo distacco dalla prima persona amata.

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Il romanzo della bambola

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Contessa Lara 2 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • Verismo
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Un giorno la governante, avvezza com'era alle stravaganze della Marietta, perch'ella l'aveva veduta nascere, s'accostò alla pupattola abbandonata, se la prese in braccio e la ripose in un armadio, dicendo a voce alta, con un sorriso malinconico: - Tanto, prima che ti ricerchino ci sarà un pezzo! Se un lungo spillo avesse trapassato il petto della Giulia, le avrebbe fatto meno male di quelle parole. Dunque, ella non era più un oggetto di desiderio! Era inutile, finita. La Marietta, fanatica del Moro, non pensava che alle sue passeggiate a cavallo. Già era stata tre volte fino a Bellavista, una tenuta de' Rivani, fuori di porta San Sebastiano; e raccontava, rossa dal piacere, come l'ammirassero quando passava sul suo puledro cosi piccolo, con dietro il servitore montato sur un cavallo grande. Gli occhi della gente erano tutti per lei. Le faceva fare una cosi bella figura, il Moro! La povera Giulia ripensava tutto ciò nel buio dell'armadio, più nero d'una prigione, e ripensava anche ai giorni di malattia della Marietta, quando ella le avea tenuto una compagnia buona e fedele distraendola e divertendola. Più dell'esser lasciata lì sola, senza che la bimba richiedesse di lei; più ancora dell'averle tolto la luce e l'aria, l'addolorava l'ingratitudine della sua piccola amica. Questo strazio poteva perdonarglielo, ma dimenticarlo giammai! Un dopo pranzo, intese aprire l'armadio in fretta. Erano le donne, venute a prendervi della tela per fasciare una gamba alla Marietta, che il cavallino aveva buttata a terra. Se la bambola fosse stata d' animo cattivo avrebbe detto: - Ben le sta, perchè ha lasciata me per il Moro! - invece ella sofferse del brutto accidente, sperando, in cuor suo, che mentre la bambina stava in letto, avrebbe richiamata lei vicino a sè, lei che non le aveva mai fatto il più piccolo male dacchè s'erano conosciute. Ma i giorni passarono; passarono forse dei mesi, che nella vita di una bambola rappresentano tanti anni de' nostri; e nessuno venne a tirarla fuori, a consolare la sua profonda afflizione. L'oscurità, la solitudine; la solitudine, l'oscurità, non altro, in quell'armadio, dov'ella era in mezzo ai vecchi vestitini della Marietta: certi spogli destinati a darsi per elemosina. E si era addormentata d'un sonno grave, senza sogni, un sonno da cosa, non da essere che sente e pensa e gode e soffre. Così avrebbe voluto, magari, finir la sua piccola vita, cominciata troppo bene per poter andar avanti sempre allo stesso modo: perchè a questo mondo non durano di continuo nè il bene nè il male, e bisogna contentarsi, pigliando con coraggio quello che Dio ci manda. Se ne stava, dunque, immobile e triste, le braccia aperte, il corpicino coperto di polvere, quando, una notte, le parve udire un rumor leggiero, insistente, eguale, come quello d'una piccola sega che lavori. Stette in ascolto un pezzo. Non era la chiave che girava nella serratura; la chiave non fa quel rumore. O allora, che cosa poteva essere? I ladri? Ma i ladri, se per disgrazia càpitano in casa, scassinano i mobili, presto e senza dare l'allarme. I topi, dunque? I topi, Dio mio! Uno spavento terribile la invase. Aveva inteso, una volta, la signora de' Rivani dire che i topi le avevano rovinato una dozzina di lenzuoli in tela di Fiandra, de' merletti antichi di grande valore e anche altra roba. Sicchè i topi erano terribili se, affamati come sogliono essere, arrivano a buttarsi su qualcosa. Il rumore della piccola sega durò tutta la notte: tacque il giorno, perchè qualcuno, entrando in guardaroba per cavarne una cosa o un'altra, impauriva il topo, che ricominciava però subito il suo lavoro monotono, non appena il silenzio tornava a regnare in casa. Ah, se la Giulia avesse potuto chiamare, avvertire che c'era il nemico lì accosto, lì dentro; chiedere aiuto, misericordia, pregando che la si levasse da quel luogo dove aveva paura come una povera bimba in pericolo!... Ma no, no, sempre no! Non poteva da sè sola metter fuori la voce, non poteva alzar le mani e bussare, bussar disperatamente come avrebbe voluto, co' piccoli pugni stretti... Bisognava aspettare, come un pezzo di stoffa qualunque, l'ora de' patimenti più atroci, forse chi sa? l'ora della morte, s'egli era destinato ch'ella dovesse morire così, senza più rivedere il sole. Il topo si avanzò nell'ombra, sicuro di non essere disturbato da alcuno nella sua opera di distruzione; corse qua e là per l'armadio, fiutò, tornando indietro, andando avanti... Se le bambole potessero sudar freddo, la povera Giulia avrebbe avuto i bei capelli biondi tutti intrisi alle tempie, tanto era il suo terrore. Si raccomandò al cielo; ma in cielo ci sono i santi che, a volte, proteggono le bestie, perchè le amarono in vita, come sant'Antonio, san Francesco, san Benedetto, san Rocco; nessuno protegge i giocattoli, abbandonati da tutti quando li abbandonano i bambini. Nelle sue corse rapide, il sorcio le si accostò parecchie volte; poi, da bravo, forse perchè glie n'era piaciuto l'odore, si mise a rosicchiarle una scarpina, una delle sue belle scarpine di cuoio bronzato. Dati i primi morsi, staccò un pezzetto della suola sottile di pelle di guanto; e per un poco, finchè non ebbe terminato il boccone, la Giulia non sentì più scosse. Ah, fosse finito lì il suo spavento! Ma che! L'animale, fatto un foro nella scarpa, attaccò la calza di seta, che i suoi denti lunghi e puntuti ragnarono tutta. Allora principiò per l'infelice pupattola il martirio di sentirsi divorar lentamente il povero piccolo piede, senza poterlo ritirare, anzi, dovendolo abbandonare inerte, come cosa morta. Le sembrava che, insieme al piede, la bestia le dilaniasse il cuore, la testa, ogni nervo del corpicino. Perchè, perchè non veniva ora la sua Marietta a strapparla di lì, a salvarla? Nessuno! Nessuno si ricordava piú di lei, rifiutata, buttata via senza pietà, come un impiccio, come un limone spremuto. Dal buco fatto nella pelle fina del roseo pieduccio, una ferita orrenda, la segatura scorreva, e ne' sussulti impressi dal topo nel roderla, si vuotava parte della gambina; che rimase poi lì con la sua pelle floscia, cadente, quando l'animale si fu ben impinzato e volle mutar cibo. Fuori, l'inverno era finito, e la primavera, con le sue magnifiche giornate, già tiepide e odorose di fiori, invitava a lasciar la città per i semplici divertimenti all'aria aperta della bella campagna. Anche per i signori de' Rivani era prossima la partenza; e già si facevano in casa tutti i preparativi. Il Moro era stato il primo a esser nominato dalla Marietta tra le cose da portare con sé. Con lui ella avrebbe fatto chi sa quante galoppate allegre per il bosco, sotto gli alberi, dove anche a mezzogiorno c'è ombra. Si trattava di condurlo perfino ai bagni di Viareggio; per le gite lungo la spiaggia e le colazioni nella pineta, dove tutte le sue amiche e più ancòra le bambine conosciute colà l'avrebbero invidiata. Innanzi di lasciare Roma per tutti i mesi della villeggiatura, la signora de' Rivani soleva fare una distribuzione degli oggetti usati di vestiario alle sue persone di servizio e a' suoi poveri; ma prima che agli altri alla famiglia della propria sorella, signora Amalia Cerchi, mamma di Camilla: una signora che, come abbiamo detto, s'era maritata male ed era poco felice. Alla signora Amalia e a Camilla, dunque, venivano, quasi di diritto, gli oggetti migliori fra quelli scartati; e si dava loro anche roba addirittura nuova perchè non si mortificassero. Quell'anno, poi, c'era un monte di vestiti, di sottane, di mantelletti, una sfilata di cappelli, e scatole di guanti, e cassette di scarpe; più regali del solito, perchè anche il signor Giovanni aveva inzeppato il guardaroba al suo ritorno da Milano. Nella stanza degli armadi, davanti agli sportelli spalancati, stavano la signora de' Rivani con la signora Amalia e le due cuginette: la Marietta e Camilla. Nessuna persona di servizio assisteva a quella scelta, per non offendere la miseria della signora Cerchi. - Questo non lo prendo, sai - diceva la signora Amalia alla sorella, tenendo in mano un abitino di velluto - perchè per Camilla è troppo bello. - No, anzi, prendilo; l'ho messo da parte proprio per lei - insisteva la madre della Marietta.

Pagina 35

Chi sa dove era andata a finire la roba della povera Giulia, mentre la Marietta la lasciava cosi abbandonata rovinarsi in fondo a un armadio! - Non importa, non t'incomodare, zia - disse Camilla con gentilezza - io so un po' cucire, e nell'ore che non sono a scuola le farò io un vestitino con qualcosa di mio che non porto più. La Marietta, che rientrava allora in guardaroba, a corsa, dopo aver inutilmente cercato il famoso baulino, osservò che doveva esservi una bella differenza tra gli abiti che la sua pupattola aveva prima e quelli che avrebbe avuti ora: osservazione che sua madre troncò con un: - Taci! - ben meritato. Era vero; la Giulia era entrata in quella casa circondata da un lusso straordinario per una bambola; e ne usciva povera, con soltanto l'abito, ormai sgualcito, che teneva in dosso. Ma c'era entrata accolta dal capriccio, e ne usciva accompagnata dall'amore; e per un essere che ha sentimento, il cambio non era poi cattivo. Il cuore tiene luogo di molta ricchezza; Camilla non avea che il suo povero cuore di bimba diseredata da offrirle; ma la Giulia aveva sofferto abbastanza, trascinata da un mobile all'altro, rinchiusa dentro l'armadio come uno straccio in disuso, perchè non le importasse più nulla, nè di balli, nè di cene, nè di gite in carrozza, nè di case signorili. Capiva che il carattere di quella bambina era serio, che il suo cuore era buono, costante; e un benessere nuovo, un sentimento di sicurezza de' più dolci la riempivano di gioia, di serenità. Povera e felice! non si curava di tutto quanto lasciava dietro a sè di frivolo. Avrebbe fatto vita nuova... pelle nuova - almeno nel piedino straziato. Sicchè disse addio, malinconica ma senza rimpianti, alla elegante casa de' Rivani, dove aveva conosciuto la vita di chi si diverte, non quella di chi è amato davvero. La Marietta la vide andarsene senza farle una carezza, senza darle un addio, senza nè anche prenderla in braccio un'ultima volta: ormai, agli occhi suoi, la Giulia era un balocco guasto e null'altro. Nel cortile, dappiede alle scale, il Moro insellato per la passeggiata a Villa Borghese, aspettava, tenuto per la cavezza, la padroncina, sbuffando e raspando, co' segni della più viva impazienza. Girò la testa quando la signora Amalia e Camilla scesero le scale. La bambola avrebbe voluto stringersi ancòra più alla sua nuova amica; fissò gli occhi sul cavallo capriccioso come la Marietta... e se le lacrime del cuore potessero filtrare attraverso il vetro, due lacrime, forse, avrebbero rigato quel visetto di porcellana rosea, nell'ultimo distacco dalla prima persona amata.

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