Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonassi

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Senso

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Boito, Camillo 1 occorrenze

Alla fine, non mi potendo trattenere, dissi con accento rotto e strozzato, tanto per dire qualcosa di diverso da ciò che mi stava fisso nel cervello: - Senti, Matilde, se io morissi o se ti abbandonassi, e se tuo marito fosse morto, torneresti a maritarti? Non rispose. Irritato da quel silenzio, insistetti: - Ti prego, dimmelo. Matilde sospirò e tacque ancora; ma io, ch'ero entrato in quella nuova ostinazione, ripetei: - Dimmelo, te ne prego. Ella rispose un po' infastidita: - No, no, non tornerei a maritarmi. - Avresti torto. Già se io ti abbandonassi, quali obblighi serberesti verso di me? E se morissi, perché dovresti sacrificarti nell'inutile culto d'una memoria? Aggiungi i casi della vita: restare senz'aiuto con i figliuoli; le difficoltà dell'educarli, del dirigerli; le strettezze economiche. E perché non potresti, fra cinque, fra dieci anni, sbolliti i fumi della fantasia, incontrarti con un uomo attempato, onesto, ricco, che ti amasse e al quale tu volessi bene? - Sarà sempre impossibile. - Perché? - ribattevo con tenacità acre e noiosa. - Non foss'altro perché non potrei rimaritarmi senza svelare al secondo marito di avere tradito il primo. - Certe cose, si dicono? Mi fissò negli occhi con uno sguardo, che mi fece arrossire; ma io continuavo a tasteggiare, a stuzzicare. - C'è dei galantuomini ai quali il passato non preme. La sincerità può accordarsi con l'utile. Nuovo silenzio lungo, durante il quale si sentivano gracidare in coro le ranocchie dei fossati. Ripigliai: - È singolare! Può darsi dunque, presto o tardi, che ti accada di innamorarti d'un altro. Io avevo l'illusione che la tua vita fosse indissolubilmente legata alla mia. Aspettai in vano una risposta, che avevo onta di sollecitare, tanto le mie proprie parole mi sembravano sciocche e vili. La bile mi suggerì: - Strano! Unisci la passione dell'oggi, profonda, infrenabile, per quanto affermi ... - E il fatto lo mostra, mi pare. - ... la unisci con una certa cautela pratica per l'avvenire. - Non ho detto di volermi rimaritare. Già mio marito vive, e tu mi ami, e io t'amo tanto, e te lo provo. Non ci affatichiamo a tormentarci senza un perché. Si avventò per darmi un bacio. La respinsi. - Senti, giurami che non ti rimariteresti in nessun caso, mai. - Giuro per il passato, quando so di giurare il vero, ma per l'avvenire, benché certa, non posso. - Bella certezza! Conosco dei giuocatori di lotto che sono sicuri di non vincere; ma la polizza non la buttano via. Tu non vuoi lacerare la polizza del futuro. Del resto, adesso a giurare sarebbe tardi. Sono cose d'impeto, d'istinto: il male sta nel doverci pensare. - Abbi pazienza, caro. Quando vuoi ch'io giuri sulla tua vita io non posso mai farlo senza riandare in me stessa tutte le azioni, tutti i pensieri, tutti i sentimenti, che si riferiscono al giuramento. Un giuramento solenne e tremendo non isvanisce: dura per sempre. Mi accosto ad esso come ad un altare, con la coscienza sicura, ma con la mente turbata. Voglio che, insieme con il cuore, risponda il giudizio. Mi credi? Ti contenti della mia promessa? - Credo che ora il solo pensare ad un nuovo legame debba sembrarti cosa abbominevole; ma poi, quando la nostra relazione dovesse, nell'un modo o nell'altro, finire, quando tu fossi libera ... - Mai, mai, non potrei amarti come ti amo se questo affetto non dovesse riempirmi l'anima sino all'ultimo istante della vita. - Oggi ti ripugna il pensiero, lo vedo: ma non credi il fatto assolutamente impossibile. - Sì, lo credo impossibile. - E se lo credi impossibile, perché non giuri? M'ero allontanato un poco da Matilde; mi asciugavo con la mano il sudore dalla fronte; avevo sulle labbra un'amarezza che voleva schizzar fuori. Matilde mi si avvinghiò stretta stretta, gridando: - Sì giuro, giuro sulla mia vita. - Sulla mia, giuralo. - Sì. - Dillo. - Sì, sulla tua vita lo giuro. Il mio spirito, confuso, pentito, vergognoso, tornò in meno di un quarto d'ora beato d'una beatitudine tutta fuoco e tutta fiamme. Matilde si sentiva stanca. Tornando all'albergo s'appoggiò forte al mio braccio. La camera grande, bassa, fredda, era quasi vuota. Il letto alto, con una coperta rossa scarlatta, il cassettone ornato di due mazzi di fiori artificiali sotto le polverose campane di vetro, qualche seggiola impagliata, una tavola su cui stava confusamente la nostra roba: ecco tutto. Guardai se gli scuretti delle finestre erano chiusi, ed origliai agli usci laterali per sentire se le camere vicine fossero abitate. Tutto taceva. L'orologio del corridoio aveva suonato da un po' di tempo le dodici quando s'udì un gran fracasso: qualcuno entrava nella camera a destra, e dalle fessure della porta si vide una striscia di luce. Due stivaloni furono gettati sul pavimento, un corpo si buttò sul letto, e, dopo qualche minuto, principiò un russare profondo, continuo. La mattina seguente io provavo un certo inesplicabile stringimento al cuore. Nel cielo d'un bell'azzurro dolce veleggiavano poche nuvolette dorate; ma la luce del giorno mi sembrò melanconica. Doveva esserci nel mio sorriso qualche cosa di strano, perché Matilde, pallida, mi chiese due volte: - Che cos'hai? Ti senti poco bene? Le pigliavo la mano bisbigliando: - Non ho nulla. Ti amo tanto! Quando la vidi entrare in vagone e, con i begli occhi pieni di lagrime sempre fissi su di me, allontanarsi nel lungo treno e sparire, mi sentii come alleggerito di un peso. Avevo l'animo vuoto, ma il respiro più libero.

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