Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonarti

Numero di risultati: 4 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

L'angelo in famiglia

182184
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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No, no, non abbandonarti soverchiamente alla gioja, se vuoi stare sollevata anche nei giorni tristi, se vuoi tenere un po' d'equilibrio. Sta tanto bene l'uguaglianza di umore, di carattere, che per acquistarla o mantenerla non è soverchio, nè ti deve parer grave alcun sagrificio. Tante e tante sono le cose che vorrei dirti e che mi fanno ressa alla mente, che non so veramente per ora a quale appigliarmi. Temo tu mi sfugga, temo di pesarti troppo addosso, ed io vorrei che la parola mia ti suonasse cara come quella di tua madre, dolce come quella della più cara amica della tua infanzia. Ebbene, non voglio affollarti la testa con troppe considerazioni serie; mi basta per oggi ripeterti di stare in guardia con te stessa, cogli altri, con tutto e con tutti, se non vuoi essere presa incautamente a qualche laccio. Ogni giorno io tornerò probabilmente su questo soggetto, e tu mi ascolterai sempre, n'è vero? Oh! quanto desidero che tu sii felice! ma per essere felice bisogna essere buona, dolce, pia, caritatevole, tollerante, anzi più, indulgente; bisogna insomma che tu sii veramente virtuosa e santa. Io pregherò sempre con gran cuore il buon Dio di renderti tale, e forse in fondo in fondo ci ho anche un po' d'egoismo; mi lusingo che quando la mia parola ajutata, anzi inspirata da Dio stesso, avrà cooperato a renderti virtuosa, allora tu pure pregherai per me, affinchè io divenga un po' buona; e mi dimentichi una volta di me medesima, per non ricordarmi che degli altri.

Pagina 20

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

188752
Pitigrilli (Dino Segre) 1 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
  • paraletteratura-galateo
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Lascia alle signorinette analfabete che hanno abbandonato la scuola Berlitz dopo la prima lezione, le espressioni «one, two, three». 4°: La carta chiamala carta, e non «cartolina» o «Carolina», e non abbandonarti alle ilari forme di goffaggine dei giocatori di bassa lega nel quarto d'ora di fortuna. Contro la volgarità: 1°: Conserva la tua impassibilità quando perdi e non arrabbiarti contro chi vince. 2°: Quando sei in vincita, non avere un tono canzonatorio verso chi perde. 3°: Durante la serie sfavorevole, non sbattere rabbiosamente le carte. Le carte sono irresponsabili, e il più delle volte le ha pagate il padrone di casa. 4°: Alla resa dei conti non intascare trionfalmente il denaro vinto come se gli altri avessero cercato di derubarti e tu avessi sventato la congiura; se hai perso, non buttare al vincente il denaro come gli antichi principi buttavano la borsa di zecchini al sicario. 5°: In tutte le circostanze del gioco rimani imperturbabile, tanto se ti propongono di continuare, quanto se ti propongono di sospendere. Non agitarti per andartene quando sei in vincita, non mercanteggiare i minuti nella suprema speranza di rifarti. 6°: Non fare gesti cabalistici contro la iettatura. Non attribuire, con vaghe allusioni, la tua « guigne » all'influenza malefica di questo o di quel partner. 7°: Se un bluff ti è riuscito, non mostrare orgogliosamente le tue carte: questo atto significa: «vedete come sono furbo? Io non avevo niente e voi, pusillanimi, ci siete cascati». 8°: Se il bluff non ti è riuscito, non arrabbiarti con gli altri, perchè questo li farebbe ridere, né con te stesso, perchè ciò aumenta pericolosamente la tua esasperazione. 9°: Evita le frasi-termometro, denunciatrici della tua volgarità mentale. «Fortunato al gioco sfortunato in amore» è un proverbio stupido come la maggioranza dei proverbi che hanno avuto successo (infatti lo si trova in tutte le lingue del mondo). Non dilatarlo fino alle triviali illazioni: «Chissà come mi è fedele mia moglie» quando perdi, e «Chissà con chi mi tradisce» quando guadagni. Il gioco sia pacifico e taciturno. Le parole si riducano allo strettamente necessario. In quella tremenda e interminabile partita a poker che è la vita si debbono applicare le stesse norme che ho dettato ai giocatori. E soprattutto l'ultima, quella che riguarda l'impiego minimo di parole, la soppressione delle frasi superflue. Un importuno, dopo aver seccato Einstein per tutta una sera, pregò lo scienziato di tracciargli, in termini matematici, la formula della felicità. Einstein prese un lapis, scrisse: «a = x + y + z» e spiegò: - a è la felicità; x è il lavoro; y è la ricchezza. - E z? - domandò lo scocciatore. - E' il silenzio - rispose Einstein.

Pagina 115

La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

192718
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 1 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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Abbi per prima e fermissima regola di non mai eccedere in essi, e di non mai abbandonarti ai brutali godimenti del mangiare e del bere; giacchè a ben altre cose siam nati e a ben altro Dio, che il ventre non è, dobbiamo servire. L'intemperanza snerva il corpo, distrugge la sanità, ottunde l'ingegno, abbatte l'animo, corrompe i costumi. Le temperanti ragazze non sono ghiottone, e si contentano di cibi semplici; imperciocchè quanto più un cibo è composto ed artefatto, altrettanto più indigesto diventa; non s'impinzano di cibi, ma quando sono satolle non si sforzano più a mangiare, ancorchè si trattasse di cibi molto appetitosi. Voi potete mangiare fintantoché siete sazie, cioè finchè avete appetito: mangiate solamente adagio, ma non tanto da recar nausea a chi vi vede; il cibo acquista il primo grado di digestione in bocca, purchè lo mastichiate bene e sia abbondantemente inzuppato di saliva; se l'appetito vi manca non mangiate nè bevete, imperciochè il vostro corpo allora non ne ha bisogno; non è ciò che mangiate che vi dà la vita, ma ciò che digerite. Talora avete un appettito morboso che potete distinguere facilmente dalla difficoltà che troverete a digerire; in questo caso dovete essere moderatissime e consultare il medico. Procurate di serbare un certo ordine nei vari pasti che fate nella giornata, e di noi mangiare tutti i momenti come fanno i polli, razzolando ogni ora, perciocchè questo vi gioverà molto per conservarvi in salute. Non mangiate subito dopo che avete sofferto un dispiacere, o l'animo vostro è agitato per qualche altra causa, ne dopo un esercizio corporale un po' violento, ma aspettate prima che ritorni la calma. Dopo il pasto astenetevi per un po' di tempo da ogni esercizio intellettuale o corporale troppo attivo: dopo il pranzo o la cena è buon costume lo stare in piedi o passeggiare lentamente e lietamente conversando: del resto il miglior moto é quello che si fa prima di pranzo e tre ore dopo. Chi non mastica bene il cibo difficilmente digerisce; le lente digestioni non solamente sconcertano lo stomaco, ma producono ancora certe esalazioni che imbiancano la lingua ed infettano i denti di certa materia detta tartaro o gromma, il quale li investe e nuoce allo smalto di essi; esso si forma pure nelle lunghe diete e quando per alcuna causa non si mastica che da un lato. Ma il tartaro non è la sola causa del guasto dei denti, sonovi altre ancora, come il rompere noccioli e simili, lo stuzzicarli con spilli acuti di ferro è peggio di ottone, si che talora le gengive sanguinano; e così gli acidi, come l'agro del limone, l'agresto, le frutta immature, tutto ciò insomma che vi allega i denti. Essi ne tolgono il liscio, ne lasciano aspra la superficie e la corrodono. Aggiungete ancora il masticare spesso confetti, e specialmente quelli che sono mescolati con materia tenace, e lo zucchero a lapilli, l'abuso dei liquori fermentati e dei cibi troppo salati, il bere freddo o ghiacciato, che mozza i denti dopo aver mangiato vivande calde; l'andare al freddo e prender aria fredda quando la testa cola di sudore. Per conservare adunque i denti bisogna che vi guardiate dalle dette cause, che togliate assiduamente col dentelliere i residui degli alimenti rimasti frammezzo di essi, perché non si putrefacciano; che ve li laviate sovente adoperando anche la setolina che conoscete, particolarmente al mattino e dopo il mangiare, non con quei certi specifici da cerretani, che sono o inutili o nocivi, ma con acqua pura; potete anche stropicciarveli colla polvere di carbone, purché essa sia finissima sì, che non possa rigarli. Se con tutte queste precauzioni v'avviene che si formino tuttavia concrezioni, bisognerà che ricorriate a quei dell'arte, perché esse non sieno causa di certo gemitio che li distacca dalle gengive e che gli scalza cagionando fetore di fiato ed altri malanni. Lo stomaco, perché adempia perfettamente al suo ufficio, non bisogna dargli di più di quello che, giusta le leggi di natura può contenere; sforzandolo smoderatamente s'indebolisce, non può consumare a dovere il di più che ricevette, quindo ne nascono crudezze e cattivi umori elle vie degl'intestini, per cui bisogna prendere purgativi, i quali indeboliscono di loro natura. Il ghiottone dopo il pasto sente un peso nello stomaco, una voglia vomitare, di sbadigliare, di dormire, e la testa grave ed ottusa : che tristo stato è questo! Oh, le mie ragazze, siate adunque temperanti, perchè non lo abbiate a provare.

Pagina 314

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193818
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
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A tavola la signora Bianca aveva avvezzata la figliuola a non dimenticare nessuna di quelle avvertenze, le quali, benchè ciascuna per sè sia cosa leggiera, tuttavia distinguono chi è ben costumato da chi non l'è; e le principali sono: Non andarti a sedar a tavola prima degli altri; e lì non abbandonarti sulla mensa col muso nel piatto, coi gomiti allungati sul desco sì da far star a disagio i vicini; nè appoggiarti tutta sulla spalliera della sedia, e su quella dondolarti. Non dimandar d'esser servita prima, ma attendi il tuo torno, e allora fa con discrezione, senza rivolgere colla forchetta tutti i pezzi per sceglierne il migliore, cagionando ritardi agli altri; e quando il cortese vicino si offre di servirti, ringraziandolo, raccomandati per una porzione non grossa. Non fare grandi bocconi, enfiando sconciamente le guancie, e contorcendo sgraziatamente la bocca; non andar a precipizio, nè troppo a rilento. Non usar mai le mani quando poi giovarti del coltello e della forchetta. Non inzavardar la tovaglia col lasciarvi cader su vino o salse; nè gittar sotto la tavola ossa o cibo che non ti piaccia; ma lascialo nel tuo piatto. Non forbirti le dita, nè le labbra colla tovaglia; ma sì colla tua tovagliuola. Non far la schifiltosa, spiluzzicando in tutto, e una cosa non piace, e l'altra neppure; non stare a fiutar le vivande; ne mostrarti grande divoratrice. Non usa il tuo cucchiaio o forchetta per prender le vivande dal piatto comune: nè ciò, che già fu nel tuo piatto, presentalo altrui, nè rimettilo nel piatto di mezzo. Non far rumore colla bocca masticando: nè fa sgrigiolare le posate tra loro o contro il piatto: Non metti le dita nel naso o nella bocca, non pulirti i denti colla tovagliuola. Bevi poco, e piuttosto annacquato; una ragazza beona si spoglia di tutto quel poetico che sempre la deve circondare. Non bevi da ingorda, se non vuoi che ti assalgano quegli attacchi di tosse, che rendono così brutta la figura; appena bevuto forbisciti tosto colla tovagliuola; perchè non rimangano a orlare le tue labbra basette rossigne, negate alla donna dalla natura. Se altri t' offre di far a mezzo o del frutto o del confetto, o che so io, e tu non rifiutarlo; ma bada di non esser tu la prima a dimandarlo, specie a un uomo; chè indica troppa famigliarità, che non debbe permettersi a fanciulla costumata. Non parlare a bocca piena, non alzar troppo la voce, nè sfilinguellare sempre tu. Con questo però non voglio intendere, che tu debba tranguggiar il cibo senza mai aprir bocca a guisa di certosina; ma rispondi con compiacenza a chi ti volge il discorso. Marina era un diletto vederla a tavola, composta e disinvolta, discreta in tutto, nè muta, nè ciarlona; e siccome era di molto istruita, nel parlar con lei il discorso si sollevava; oh non era rischio che cadesse nel triviale! E quando invitata, andava a pranzo fuori! Già è inutile il dirlo, v'andava sempre con la madre, e quindi si regolava sul portamento di lei; quale vedeva fare alla madre ed essa faceva. Allorchè si veniva ad avvertire in sala, che s'era dato in tavola, essa si alzava dalla seggiola; ma non mai prima delle altre; se qualcuno de' commensali cortese le veniva ad offrire il braccio; essa lieta e senza pretensione lo prendeva, ringraziando; ma se si era all'amichevole, balzava su allegra e s'avviava cogli altri; arrivata alla tavola, ringraziava il suo cavaliere, e si metteva al posto assegnatole. Levata la mensa, al braccio, che le offeriva il suo vicino, rientrava nella sala, dove s'andava a riunire alla madre.

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