Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il cappello del prete

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De Marchi, Emilio 1 occorrenze

"U barone" seduto in mezzo e quasi dimenticato fra tanti giovani illustri, venuti da tutte le parti d'Italia a rappresentare il fasto della patria aristocrazia, ebbe un momento di raccoglimento e di riposo e poté abbandonarsi un minuto al suo pensiero. Sentiva di avere ormai esaurite tutte le sue forze attive e che troppo disuguale era la lotta tra un vivo e un morto. Il prete era piú forte di lui. Ammazzato, sepolto, schiacciato da una grossa pietra e da un mucchio di mattoni e di sabbia, "u prevete" aveva cacciato fuori prima il suo cappello. Inutilmente egli aveva tentato di affogare anche il cappello in fondo al mare; "u prevete" aveva la mano lunga. Per Dio! se non basta uccidere un uomo con due tremende mazzolate sulla nuca; se non basta tutto il mare Mediterraneo a coprire un segreto; se uccidere un uomo significa farlo vivere piú di prima; se nasconderlo in una cisterna vuol dire fare in modo che egli occupi di sé tutta una città, tutta la stampa, la magistratura, il telegrafo, le botteghe dei barbieri, i botteghini del lotto: se tutto ciò accade nel mondo, per Dio! è segno che la ragione non è ragione, il verosimile non è vero, ma tutto è vero, specialmente l'impossibile, anzi l'assurdo, il tutto è niente, e il niente è tutto... Una grande risata accolse queste conclusioni filosofiche del barone di Santafusca: cioè, parve a lui che gli amici ridessero della sua minchioneria. Egli cominciava a odiare quei fastidiosi eleganti: e aveva torto. L'Usilli raccontava degli aneddoti galanti con tanta felicità di spirito, che avrebbe fatto ridere le finestre. Irritato da questa grossa ilarità, Santa, con atto d'uomo offeso si alzò, uscí di sala e senza salutare nessuno abbandonò il circolo, scese a precipizio le scale e corse un tratto verso il palazzo di giustizia, colla intenzione di parlare al cavaliere Martellini, ch'egli conosceva benissimo, per essersi trovato piú volte con lui al club degli Scacchi, dove l'egregio magistrato faceva testo di lingua. Strada facendo, gli parve che i monelli vendessero piú giornali del solito. Molti cocchieri delle vetture pubbliche avevano in mano un foglio e leggevano a parer suo la storia del prete e del cacciatore. E mentre pensava anche lui a questo strano cacciatore, gli parve improvvisamente di ravvisarlo al di là d'una lucida vetrina di pasticciere. Si arrestò come se un abisso si fosse improvvisamente aperto innanzi ai suoi piedi; e stette un momento a guardare l'immagine sua con un occhio atterrito. Per quanto egli avesse mutato di panni, la faccia del famoso cacciatore doveva essere rimasta impressa nella mente di Giorgio della Falda e degli altri contadini, specialmente l'occhio lucente e vivo e la barba intera di un nero di carbone. Se ne ricordava fin il conte Stagni! Se il cavaliere Martellini lo avesse messo di fronte all'accusato, era impossibile che questi non avesse a riconoscerlo. Se anche il barone avesse mentito fino allo spergiuro, era già troppo, al punto in cui si era arrivati, non che il sospetto, il suscitare l'ombra di un mezzo sospetto. Come fare? Egli non poteva tór via l'occhio da quella figura di là oltre i vetri che si accompagnava con lui. Il caso o un segreto istinto lo condusse davanti alla bottega del Granella. L'occasione favorí anche questa volta i progetti del nobile sportman. Il figurino della modavenuto d'Inghilterra portava quest'anno come il non plus ultra dell'eleganza in materia di corse e di sport, una giubba rossa, stretta alla vita, stivali alla scudiera, calzoni chiari, e barba tagliata alla "derby", con due brevi basette o spazzolette sulle guancie, rasato e pulito il resto della faccia. Granella, che era sempre al corrente dell'ultima parola della scienza, non ebbe bisogno di consigli per rendere il barone di Santafusca il piú inglese dei napoletani. - Anche il principe d'Ottaiano ha sacrificato per le corse di domani la sua bella barba alla "palmerston". È in queste cose che si conosce il vero sportman. Chi non sa sacrificare qualche cosa all'eleganza e alla moda non sa sacrificare nulla alla bellezza e all'amore. Voilà, monsieur"... se il barone di Santafusca riporterà domani piú d'un trionfo, il merito sarà un poco del suo "herdresser". Il barone rise a sentir Granella parlare inglese. Contemplandosi nello specchio, si rallegrò in cuor suo di essere ringiovanito tanto. Il cacciatore era morto nelle mani del primo "herdresser" della città. Giorgio della Falda non avrebbe piú riconosciuto nell'elegante sportman il nipote del curato di Santafusca. Ciò cominciò a tranquillare un poco il suo cuore, e volendo interrogare l'opinione pubblica, come l'altra volta, facendo cantare il Granella, domandò con fare di noncuranza, mentre si accomodava la cravatta innanzi allo specchio: - Ebbene, e questo prete? - Quale? - Quel dei terno, l'hanno trovato? - È una matassa imbrogliata e io credo che la signora giustizia questa volta batta una strada falsa. - Perché? - Perché mentre crede di aver nelle mani il colpevole, lascia al colpevole tutto il tempo di mettersi al sicuro. - Cioè... - Non per vantarmi, eccellenza, ma siccome ho l'onore di servire anche il cavaliere Martellini che ha in mano l'istruttoria, cosí posso sapere qualche cosa che i giornali non sono in grado di sapere. - Oh! oh! - esclamò "u barone" che ritto davanti allo specchio, disfaceva per la seconda volta il nodo della sua cravatta. - Ne discorriamo qualche volta insieme, io e il cavaliere, che è un uomo fino, alla mano... che sa il conto suo, non nego: ma alle volte vede di piú una formica in cima a un palo che non un elefante. - Ah! ah! ebbene? sentiamo... - Il prete, non quel morto, il vivo avrebbe deposto: primo, che egli non ha mandato mai nessun cacciatore alla Falda a riscattar cappelli; secondo, che non ha parenti, e tanto meno nipoti che facciano il cacciatore; terzo, che il cappello mandato da lui a Filippino era nuovo, mentre il suo era vecchio e usato, e che per conseguenza il povero diavolo arrestato sotto l'accusa di aver ammazzato "u prevete" non avrebbe nemmeno toccato il suo cappello. E intanto, un po' per le lungaggini, un po' per le ciarle dei giornalisti, il cacciatore piglia il largo, e addio suonatori. - Tu credi proprio che... il cacciatore sia il reo... - Non ho piú un dubbio, come non dubito che vostra eccellenza sarà dimani il piú elegante cavaliere di Napoli. Ci son troppi testimoni che l'hanno veduto. Anche un cantoniere della ferrovia asserisce che è passato il giorno tale, ora tale, che ha preso il treno di Napoli, che aveva un carniere al collo, e si sa d'altra parte che nel carniere c'era il cappello del prete... Dunque costui aveva tutto l'interesse a far scomparire il cappello del prete, che un caso, cioè la vincita del famoso terno, aveva reso a un tratto celebre in tutto il mondo. Il diavolo aiuta, sí, ma fino a un certo punto i suoi figliuoli... - Basta, staremo a vedere - disse "u barone" che cominciava a soffrire di quelle ciarle. Prevedo che sarò seccato anch'io per conto di Santafusca. Non vorrei che fossi chiamato dimani. - Non conosce per caso il cavaliere Martellini? - Molto bene. Ci troviamo qualche volta al club degli Scacchi. - Potrebbe scrivergli un biglietto. - Tu mi suggerisci una buona idea: sei degno di fare l'avvocato. - Sento che sarei riuscito. Vuol fuoco? Granella offrí un fiammifero e lo tenne alto finché il barone ebbe acceso il sigaro. Poi corse a ritirare la tenda, e facendo schioccare una salvietta come un frustino, esclamò nel suo inglese di Napoli: - "Got bai". - Una buona idea veramente! - tornò a dire tra sé il barone che ripassando davanti alle botteghe, si consolava di non rivedere più il cacciatore di prima. La speranza tornava a rinascere per la terza volta e le sensazioni paurose tornavano a cedere il posto alle riflessioni chiare e positive. Anche questa volta si era impaurito per un'ombra. Se il vero colpevole era il cacciatore, che cosa doveva temere ora il barone di Santafusca? L'opinione di Granella era l'opinione universale, e quella forse del signor giudice istruttore. I testimoni concordavano nell'aggravare la responsabilità di questo povero cacciatore, che oggi non aveva proprio nulla a che fare col piú elegante cavaliere di Napoli. Tratto dall'evidenza di queste ragioni, e in certi momenti credendo forse egli stesso al mitico cacciatore piú che non fosse necessario, entrò in un caffè, e sopra un suo biglietto di visita - con tanto di corona - scrisse al cavaliere Martellini queste righe: "Caro e amabile cavaliere, "Leggo ora che nel processo del cappello è implicata Santafusca. Il segretario comunale mi ha scritto che fu violata la santità del mio domicilio. Preparo forti proteste, ma perdonerò facilmente al cavaliere Martellini, se non mi citerà tra i testimoni il giorno delle corse. Se poi mi risparmia del tutto l'incomodo, piglierò volentieri il treno di Parigi. Però sempre pronto all'obbedienza - come don Abbondio". Il cavaliere Martellini, che conosceva ciò che si chiama il vivere del mondo e che nelle buone grazie dei signori nuotava come una tinca in un'acqua chiara, si affrettò a rispondere come segue: "Eccellenza, "Se fu violato il santo, faremo sacrificii di propiziazione. In quanto al sentir V. S. S.Illustrissima, spero che non sarà necessario, perché il processo manca di fondamento e si finirà con un non farsi luogo. Ad ogni modo, ho troppo desiderio di assistere anch'io alle corse per fare a me stesso il tiro di seder pro tribunali e di citar lei, mentre Andreina batterà di due teste quel povero Lazio. Ogni buon napoletano deve credere oggi in Andreina... - For ever!" . - Bene, bene! - disse il barone, che non si curò nemmeno di leggere i giornali della sera. Infine si meravigliò egli stesso di sentirsi cosí sicuro e sollevato. Un gran peso cadeva dalla sua coscienza sulla coscienza di un altro lui, uscito da lui, ombra pietosa che s'intrometteva tra la vittima e il suo assassino. In questo buon cacciatore bisognava credere quasi per riconoscenza. E a volte ci credeva proprio sinceramente, come se la sua personalità si sdoppiasse, come il fanciulletto crede all'esistenza reale dell'ombra che giuoca con lui. Era tratto a parlarne volentieri, nella speranza che, parlandone, fosse un mezzo di dare all'ombra una maggiore e reale consistenza. Cosí credeva di aiutare l'opinione pubblica ad allontanarsi dal vero e a concentrare sopra un essere impalpabile tutta la responsabilità della nefanda azione. Questa fu la sua grande preoccupazione per tutto il giorno che precedette le corse. Dovunque si trovasse, o al club o al caffè, o sul "turf", dovunque insomma si poteva tirare il discorso sul processo del giorno, egli esponeva le sue idee con un calore e una chiarezza singolare, con una insistenza quasi noiosa, finché l'Usilli gli disse una volta: - O senti, mi hai quasi rotta la testa con questo cappello! Essendo associato con Usilli, di Spiano e molti altri cavalieri una partita comune, in cui molte scommesse erano in giuoco, dovette correre tutta la sera e tutta la mattina, ora a cavallo, ora in carrozza, ora dal sarto che non aveva ancora pronta la giubba rossa, ora alla cavallerizza, ora presso alcune signore della aristocrazia, per gli opportuni accordi. In tutto questo lieto affaccendamento egli ritrovava l'animo, il brio, la grazia, l'eleganza dei suoi trent'anni. Il cavaliere Martellini non avrebbe mai immaginato il bene che aveva fatto a un'anima dei purgatorio. Fin la principessa di Palàndes, che non lo vedeva da un pezzo, trovò Santafusca ringiovanito di dieci anni. Era ancora una bellissima donna questa famosa principessa, in cui si fondevano due vecchie schiatte italo- spagnuole. Rimasta vedova ancor giovane, non andava ancora oltre i trent'anni, e la sua bellezza rifioriva di tutto il pieno sviluppo della seconda età, che nelle vaghe donne è di solito una edizione riveduta, aumentata e migliorata. La principessa si lasciava far la corte volentieri (non aveva altro da fare) e con lei trionfava facilmente l'impresa dell'" audaces fortuna juvat ". Il barone - l'abbiam visto - non mancava d'iniziativa, e seppe tanto bene presentarsi e ne disse in pochi minuti di cosí curiose, che la principessa lo volle per suo cavaliere. - Verrò a prendervi colla carrozza, principessa. - E perché non a cavallo? - Se vi piace, andiamo pure a cavallo, facendo suonare gli speroni. - Voi sarete il mio cavalier terribile. - Perché terribile, principessa? - Cosí, perché avete una faccia da brigante che mi piace. Poi la principessa, ridendo, con tutta la sua bella voce, soggiunse: - È vero che un vostro antenato morí appiccato? - Brigante sí, principessa, appiccato no. I Santafusca non si lasciano appiccare. A dimani. - Venite presto. Il barone partí quasi innamorato della bella vedova, e questo pensiero nuovo e ridente s'intrecciò come un filo d'oro alla trama lacera ed oscura della sua povera vita. Il giorno dopo, sul mezzodí, nel suo magnifico costume di panno rosso, con una lunga penna di gallo silvestre in un berretto di velluto, "u barone", a fianco della bellissima amazzone, usciva a cavallo verso il campo delle corse.

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