Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonarono

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Angiola Maria

207055
Carcano, Giulio 1 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Si persuase non essere Arnoldo uno di quegli scioperati che viaggiano per paesi, di cui appena sanno il nome, non d'altro solleciti fuor degli agi e piaceri che abbandonarono in casa loro. Poco gli bastò per intendere come l' anima di lui fosse calda di nobili affetti e di volontà generosa, e lo spettacolo di tante cose nuove vedute e cercate gli avesse messo nel cuore, non logorato ancora da impetuose speranze nè da violente passioni, un' incerta tristezza di pensieri, un' involontaria e immatura dubbiezza di tutto. Era la timidità d' una mente degna di miglior sorte; era l' inerzia d'una vita giovine e negletta che ripiegasi, per dir così, sopra sè stessa, nell' indifferenza delle cose che la circondano; era l'abbandonarsi dell'uomo per non risorgere forse mai, se la sventura nol trascini alla disperazione, o l'ebbrezza di fortuna non l'acciechi col suo delirio. Arnoldo aveva cuore schietto e ardente. Non era creato per lasciarsi vincere dalle piccole passioni, che nella nostra società trovano sempre la loro nicchia: pure gli mancava quella costante energia del volere, che sola dà forza per trionfare delle grette apparenze di virtù che il mondo accarezza, e per non farsi reo di tante segrete transazioni, onde si pensa spesso di guadagnar la stima degli altri. Benchè nato in quella casta privilegiata che da sè stessa chiamasi il gran mondo, egli cercava un' aria men corrotta; ma volle, e credè poter vincere l' impeto de' suoi affetti, e la sua coscienza, e non seppe più vivere nè d' illusioni, nè di dolori. Anzi non potè gettarsi di dosso la noja che gli si fece compagna, quando vide andarne in fumo tutte le felicità, tutte le virtù da prima amate: quand' egli, che sì credeva così esperto della vita, conobbe essere il mondo ben diverso da' suoi sogni, si confessò tuttora novizio. Allora ritornò alla memoria de' primi anni; tornò fanciullo nel grembo di sua madre, alla meditazione di quell'ore felici, quando ignorava che cosa fossero gloria, felicità, amore; nè d'altro si nutriva che di liete speranze e d'avvenire, educato dalle sante parole dell' affetto materno e da' sempllici consigli della sapienza. Ma, ahimè! era stato l'ultimo incanto della giovinezza; senti di non poter più riposare nel passato, si trovò solo. Pure l' anima sua travagliava sempre un desiderio di vita e di riposo, perchè in essa il fuoco della virtù non era spento; e gli viveva tuttavia,benchè negletto, in un angolo del cuore, un barlume di fede. Le vicende de' rapidi e diversi viaggi, che spesso trascinano al cinismo, alla noja, conciliarono in vece l'anima d'Arnoldo all'amor della pace e della solitudine. Da quel tempo, una tinta di non so quale malinconia fu sparsa in tutti i suoi pensieri. Rifece allora gli studi della adolescenza, amò la semplice verità, e si persuase la miglior felicità che sia lecito sperar quaggiù, consistere in una vita libera e operosa, in una vita spesa a profitto altrui, nell'onestà di tranquilla fortuna, senz' aspettare di esser dagli uomini ricambiati del bene che facciamo, ma con l' intima fede che il bene per sè stesso produrrà lieti frutti quando che sia. Pure, per lungo tempo, abbandonato com'era, nulla meditò, nulla fece; e la coscienza della virtù non era altro ancora che un bel voto de' suoi pensieri. Alla sua vita mancava tuttavia l'alito primo, conforto dell'amore e dell'esempio che dà il coraggio dell' azione. E giunto a quell' ora in cui è forza lottare ira il disinganno e la speranza, l'anima sua o si giaceva prostrata nell' inazione, o gemeva della propria inutilità, come sotto il peso d'un vecchio rimorso. Lo sguardo cauto e sagace del vicecurato aveva indovinata la vita di questo giovine, che non era fatto per un destino infelice, e pur sembrava volerlo. Il loro colloquio gli spiegò subito tutto il profondo d' un cuore, che a caro prezzo comprava l'amara lezione dell' esistenza. Ma egli, a cui era toccato d'assaggiare innanzi tempo di ben più fieri dolori, egli che nella sua ora aveva, com' uom disperato, combattuto e vinto, sentì allora una segreta e dolce compassione di quell' abbandonata giovinezza, e si compiacque nella fiducia di consolarla, di sostenerla. Così, dopo pochi amichevoli ragionamenti, l'uno e l'altro furon lieti di loro fortuita conoscenza, e s' erano raccontati a vicenda que' riposti segreti che apprezza e serba la sola amicizia. Intanto Arnoldo tenne gran ventura che il vicecurato, per alcune domestiche ragioni e per il ritardo messo dalla pretura di**** a regolar la tutela della giovine Maria, dovesse rimanere più a lungo che prima non pensasse. E, dal canto suo, don Carlo divideva di buon grado col giovine forestiero le ore di libertà. Essi furono veramente amici. In que' luoghi pieni di vita, nella tranquillità di quelle rive sempre liete e sempre nuove, i loro cuori sentivano più forte il bisogno di rallegrarsi nella concordia de' pensieri, nell' adorazione della bellezza, e, più di tutto, di gustare il sublime del desiderio e il dolce del compianto. - Allorchè il tumulto del mondo non disturba la maestà di natura; oh come il cuore si versa nel contraccambio delle più intime virtù consigliate dalla religiosa estasi della contemplaione! oh come è bello e grande il credere e lo sperare insieme! Un giorno abbandonati all'inquieto corso d' una barca leggiera , quand' era il lago conturbato del più rapido ondeggiamento, sotto lo spirare del tivàno dell'Alpi, essi confidavano i liberi pensieri, i voti misteriosi d' una più lieta aspettativa, al cielo schietto e azzurro; e nell'alterna vicenda del remigare, vedevano fuggirsi a fianco le rive, i palazzi, le ville; poi, quando il vento taceva e il lago tornava quieto miravano l'acqua disotto ripetere, come un' instabile interminata scena, il bel paese; e disopra le nubi abbracciarsi e ravvolgersi sorvolando i vertici della montagna - come se l'anima arcana della natura tutta si risentisse in un'armonica commozione di vita. Un altro giorno, invece, seguivano le viottole più erte e dirupate della costiera, e su su pel monte a lungo inerpicandosi salivano con gioia selvaggia di libertà; contenti di trovarsi soli e dimenticati su le più ardue vette, di guardare di là, per ogni parte, fin dove l' occhio poteva, l'ampio orizzonte delle pianure, de' laghi, delle Alpi e del cielo, come un immenso oceano di luce e di colori - E là, tra quelle cime, sedevano su la dispersa rovina d' un casolare sfasciato dalle acque montane, o sul tronco d' un vecchio albero sradicato dal fulmine, marcito dal tempo; e sopra i loro capi non vedevano sollevarsi che qualche rado cucuzzolo di monte, con la sua veste di neve agghiacciata, o qualche rozza croce di legno, piantata nel crepaccio d'un masso, forse da un povero pastore, chi sa da quant' anni. E, più d'una volta, cercavano nuovi sentieri su' fianchi dell' alpe, dove il terreno, scemo d' umori e di fecondità, cessa d'esser ricoperto d'erba e ombreggiato di piante, dove non altro s' incontra che qualche rara segreta sorgente col suo fresco zampillo d' un fil d'acqua, o un' ampia zolla rivestita di muscosa verzura, o d' un rosato tappeto di ciclamini. E là, per que' dossi, il giovine Arnoldo andava cercando con mano paziente l'erbe più rare, le pianticelle mi- rabili e sconosciute, che pare l'aria vi cresca con più facile germoglio, solo per la pastura d'un branco errante di capre. Giacchè egli aveva messo studio e amore a quella cara scienza dell'erbe e delle piante, che ama, intende la natura, e insegna con solitaria consolazione che in ogni angolo della terra v' è una virtù misteriosa, una bellezza. Una mattina, Arnoldo e don Carlo sedevano su d'uno degli alti terrazzi della malinconica e deserta Pliniana. Il cielo era cenericcio e nebbioso; i loro pensieri sentivano di quella solenne quiete della natura, che pare più muta e mesta, qnand'è una giornata av versa della più bella stagione. Arnoldo tenevasi spiegato sulle ginocchia il suo albo, disegnando lo schizzo della veduta che gli s' apriva dinanzi - quella fuga di monti dietro un monotono velo di nebbia; lo spumoso torrente che si rovesciava da un' erta cima a fianco del vetusto palazzo; quel cielo bigio, uniforme, che gli richiamava al pensiero il cielo della patria, una delle scene della sua mesta e cara contrada, quel sacro cantuccio di terra, in cui riposavano le ossa di sua madre. Don Carlo, poco lontano da lui, meditava scrivendo sopra un foglietto, che appoggiato a un volume della Bibbia teneva fra mano. Quando Arnoldo ebbe finito il suo disegno, a' avvicinò all' amico, e gli sì mise accanto, in atto d' aspettare: ma quegli non si riscosse, e continuava a scrivere. « Che scrivete, don Carlo? » domandò Arnoldo. « Amico mio, sono pensieri che vo gettando su questa carta, tali quali m'ardono in cuore, schietti, nudi; è un ritorno innocente alla giovinezza gia passata per me, la quale non m' è più che una memoria. Che volete? Noi Italiani, noi figli di questo cielo e di questa terra, oh no! non possiamo distaccarlo dal nostro cuore l' amor della poesia, che succhiamo forse col latte delle nostre madri, che beviamo coll'aria del nostro paese.... L'armonia del cauto è la più pura voce dell' anima!... E io, vedete, qui in quest' ora di solitudine, in questo luogo sublime, sento che mi si risvegliano nel pensiero i sogni d una volta, palmi ancora d'esser giovine, italiano, poeta!... » « Oh il vostro sentire è nobile e bello! Ditemi, ve ne prego, leggetemi il vostro canto; chè anche il cuore di chi nacque di là dell' Alpi sente e batte più forte, se la parola della bellezza lo scuote. » « Deh! che volete mai ch' io pensi e scriva? Non è, ve l' ho detto, che la tarda rimembranza d' un tempo che non torna più. Ora, la mia sorte è certa e tranquilla, il mio cuore contento. Fare a' miei fratelli quel poco di bene che per me si possa, nella condizione in che mi pose la Provvidenza, questo fu il primo mio voto, e sarà l'ultimo. » « Ma come potete voi, col cuor sì caldo, con la mente fatta pura dal fuoco dell' ingegno?... » lo interruppe Arnoldo. « Dimenticate l'uomo, e non guardate in me che il po- vero prete. Io sono un nulla agli occhi del mondo, ma c'è delle anime che non mi disprezzano. Sono que' pochi miei fratelli che vedono in me il loro unico protettore; per essi, io sono il mediatore tra i travagli di questa terra e la consolazione del Signore. Io parlo loro di semplici e sublimi verità, ed essi m'ascoltano; io raccolgo la confessione della loro debolezza, e li conforto al meglio; me li veggo inginocchiati ai piedi, e fo sopra di loro il segno della croce, il segno del perdono; io battezzo i loro bambini, e seggo accanto del loro letto di morte, e le anime n' accompagno al Creatore, benedicendole.... Che altra umana felicità poss' io invidiare?... Oh! chi intende la grandezza di codesta divina missione e la compie , con quella forza che sola la fede può dare, non ha altro affetto quaggiù, non ha altro voto, se non che sia fatta la volontà del Signore sulla terra come nel cielo! » « Queste son cose sublimi; e il vostro proposito è grande, come la virtù ch' è necessaria per adempirlo. Ma io credo, amico, che il dir addio alla gloria della scienza, alla dolcezza della vita, all'onore della patria stessa, vi deva esser costato un gran sacrifizio! e forse.... » - Ma chi mi assicurava che sarei venuto in fama, che avrei trovato nella gloria il compenso della vita spesa per la sapienza? e ciò foss' anche, è poi vero che sia questa una felicità, o almeno un riposo de' nostri desiderii?... Ah! credetelo a me! io, dimenticato nella mia oscurità, vivo più contento di voi.... E la sola cosa che adesso sparga di mestizia i miei giorni è il pensiero di mia madre e di mia sorella. Povere e buone creature esse non avranno l'appoggio che di me aspettavano.... » « Ma che potreste far di più per esse? Nel tempo che siete qui, non avete già preparata loro una condizione onesta e sicura?... » « Sì; ma dovrò abbandonarle. Pochi giorni ancora, e tornerò dove mi chiama, il mio debito sacro; che già per troppo tempo ho dimenticato. Oh! Dio mi conceda ch' io possa una volta vederle tutte e due vicine a me, sotto il mio tetto, eh' io viva con loro, sì.... perchè le amo, vedete! sono i soli legami che mi uniscono alla terra; mia madre, la donna amorevole e pietosa! mia sorella, angelo di modestia e di pazienza!... » « Non v'affliggete per loro; la virtù che si nasconde è sempre felice. Su via, aprite l'animo a più lieti pensieri; e, se non esigo troppo, leggetemi quello che avete scritto stamane, ve ne prego! » Il vicecurato stette alquanto a guardar taciturno il suo giovine amico; e poi levatosi lesse: LA VOCE DELLA FEDE.

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