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I PIRATI DELLA MALESIA

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Salgari, Emilio 2 occorrenze

Coloro che lavoravano alle zattere abbandonarono il lavoro; quelli inerpicati sugli alberi dopo un po' d'esitazione si lasciarono scivolare giù. La calma non tardò a regnare sul ponte del vascello naufragato. Del resto la burrasca, dopo d'aver raggiunta la massima intensità, cominciava a scemare. I nuvoloni, qua e là squarciati, lasciavano intravvedere di quando in quando il tremulo luccichìo degli astri. Il vento, dopo d'aver fischiato, urlato, ruggito, si calmava a poco a poco. Tuttavia il mare continuava a mantenersi assai agitato. Gigantesche ondate correvano in tutte le direzioni investendo con furia estrema le scogliere e sfasciandovisi sopra con spaventevole fracasso. Il vascello scosso, sbattuto a prua e a poppa, gemeva come un moribondo, lasciandosi portar via pezzi di murate e frammenti della chiglia infranta. Talvolta, anzi, oscillava da prua a poppa così fortemente, da temere che venisse strappato dal banco madreporico e travolto in mezzo ai marosi. Per fortuna stette saldo, ed i marinai, malgrado l'imminente pericolo e le ondate che si rovesciavano in coperta, poterono gustare anche qualche ora di sonno. Alle quattro del mattino, verso oriente, il cielo cominciò a schiarirsi. Il sole sorgeva con la rapidità che è propria delle regioni tropicali, annunciato da una tinta rossa magnifica. Il capitano, ritto sulla coffa dell'albero di maestra, con mastro Bill vicino, teneva gli occhi fissi al nord, dove sorgeva, a meno di due miglia, una massa oscura, che doveva essere una terra. - Ebbene, capitano - chiese il nostromo che masticava rabbiosamente un pezzo di tabacco, - la conoscete quella terra? - Credo di sì. Fa scuro ancora, ma le scogliere che la cingono da tutte le parti mi fanno sospettare che quell'isola sia Mompracem. - By God! - mormorò l'americano facendo una smorfia. - Ci siamo rotte le gambe in un brutto luogo. - Lo temo purtroppo, Bill. L'isola non gode buon nome. - Dite che è un nido di pirati. È tornata la Tigre della Malesia, capitano. - Che? - esclamò Mac Clintock, mentre si sentiva correre per le ossa un brivido. - La Tigre della Malesia tornata a Mompracem? - Sì. - È impossibile, Bill! Sono parecchi anni che quel terribile individuo è scomparso. - Ma vi dico che è tornato. Quattro mesi or sono egli assalì l'Arghilah di Calcutta, il quale non gli sfuggì che con gran fatica. Un marinaio che aveva conosciuto il sanguinario pirata mi narrò di averlo scorto a prua di un praho. - Allora siamo perduti. Non tarderà ad assalirci. - By God! - urlò il mastro, divenendo di colpo pallidissimo. - Che cos'hai? - Guardate capitano! Guardate laggiù! ... - Dei prahos, dei prahos! - gridò una voce dal ponte. Il capitano, non meno pallido del mastro, guardò verso l'isola e scorse quattro legni che doppiavano un capo, lontano appena tre miglia. Erano quattro grandi prahos malesi, bassi di scafo, leggerissimi, snelli, con vele di forme allungate sostenute da alberi triangolari. Questi legni, che filano con una sorprendente rapidità e che, grazie al bilanciere che hanno sottovento e al sostegno che portano sopravento, sfidano i più tremendi uragani, sono generalmente usati dai pirati malesi, i quali non temono di assalire con essi i più grossi vascelli che s'avventurano nei mari della Malesia. Il capitano non lo ignorava, sicché appena li ebbe scorti, s'affrettò a discendere sul ponte. In poche parole informò l'equipaggio del pericolo che li minacciava. Solo un'accanita resistenza poteva salvarli. L'armeria di bordo, per disgrazia, non era troppo ben fornita. I cannoni mancavano totalmente, i fucili erano appena sufficienti per armare l'equipaggio e in gran parte assai malandati. V'erano però delle sciabole d'arrembaggio, arrugginite sì, ma ancora in buono stato, qualche pistolone, qualche rivoltella e un buon numero di scuri. I marinai e i passeggeri, armatisi alla meglio, si precipitarono verso poppa, la quale trovandosi immersa, poteva offrire una buona scalata. La bandiera degli Stati Uniti salì maestosamente sul picco della randa e mastro Bill la inchiodò. Era tempo. I quattro prahos malesi che filavano come uccelli non erano più che a sette od ottocento passi e si preparavano ad assalire vigorosamente il povero tre-alberi. Il sole si alzava allora sull'orizzonte e permetteva di vedere chiaramente coloro che li montavano. Erano ottanta o novanta uomini, semi-nudi, armati di stupende carabine incrostate di madreperla e di laminette d'argento, di grandi parangs di acciaio finissimo, di scimitarre, di kriss serpeggianti con la punta senza dubbio avvelenata nel succo d'upas, e di clave smisurate, dette kampilang, che essi maneggiavano come fossero semplici bastoncini. Alcuni erano malesi dalla tinta olivastra, membruti e di lineamenti feroci; altri erano bellissimi dayaki di alta statura, con le gambe e le braccia coperte di anelli di rame. C'erano pure alcuni cinesi, riconoscibili per i loro crani pelati e lucenti come avorio, alcuni bughisi, macassaresi e giavanesi. Tutti quegli uomini tenevano gli occhi fissi sul vascello e agitavano furiosamente le armi, emettendo urla feroci che facevano fremere. Pareva che volessero spaventare i naufraghi prima di venire alle mani. A quattrocento passi di distanza un colpo di cannone rimbombò sul primo praho. La palla, di calibro considerevole, andò a fracassare l'albero di bompresso, il quale si piegò, tuffando la punta in mare. - Animo, ragazzi! - urlò il capitano Mac Clintock. - Se il cannone parla, è segno che la danza è cominciata. Fuoco di bordata! Alcuni colpi di fucile seguirono il comando. Urla atroci scoppiarono a bordo dei prahos, segno che non tutto il piombo era andato perduto. - Così va bene, ragazzi! - urlò mastro Bill. - Quei brutti musi là non avranno tanto coraggio da spingersi fino a noi. Ohé! Fuoco! La sua voce fu coperta da una serie di formidabili detonazioni che venivano dal largo. Erano i pirati che cominciavano l'attacco. I quattro prahos parevano crateri infiammati, eruttavano tremende grandinate di ferro. Tiravano i cannoni, tiravano le spingarde, tiravano le carabine, schiantando, atterrando, distruggendo tutto con una precisione matematica. In men che non si dica quattro naufraghi giacevano sulla tolda senza vita. L'albero di trinchetto, schiantato sotto la coffa, precipitò sul ponte ingombrando di pennoni, di vele, di cavi. Alle urla di trionfo erano succedute urla di spavento e di dolore, gemiti e rantoli d'agonia. Era impossibile resistere a quell'uragano di ferro che arrivava con rapidità spaventosa facendo saltare alberi, murate, madieri. I naufraghi, vistisi perduti, dopo aver scaricato sette od otto volte i loro moschettoni, malgrado i sagrati del capitano e di mastro Bill, abbandonarono il posto fuggendo a tribordo, riparandosi dietro i rottami dell'attrezzatura e delle imbarcazioni. Alcuni di loro perdevano sangue e gettavano grida strazianti. I pirati, protetti dai loro cannoni, in capo a un quarto d'ora giunsero sotto la poppa del vascello tentando di issarsi a bordo. Il capitano Mac Clintock si gettò da quella parte per ribattere l'abbordaggio, ma una scarica di mitraglia lo freddò assieme con tre uomini. Un urlo terribile echeggiò per l'aria: - Viva la Tigre della Malesia! I pirati gettano le carabine, impugnano le scimitarre, le scuri, le mazze, i kriss e danno intrepidamente l'abbordaggio aggrappandosi alle murate, ai paterazzi e alle griselle. Alcuni si slanciano sulla cima degli alberi dei prahos, corrono come scimmie lungo i pennoni e piombano sull'attrezzatura del tre-alberi lasciandosi scivolare in coperta. In un attimo i pochi difensori, sopraffatti dal numero, cadono a prua, a poppa, sul cassero e sul castello. Presso l'albero di maestra un solo uomo, armato di una pesante e larga sciabola d'abbordaggio, rimaneva ancora ... Quest'uomo, l'ultimo della Young-India, era l'indiano Kammamuri, il quale si difende come un leone, smussando le armi del nemico incalzante e percuotendo a destra e a sinistra. - Aiuto! aiuto! ... - urlò il poveretto con voce strozzata. - Ferma! - tuonò d'improvviso una voce. - Quell'indiano è un prode! ...

I pirati abbandonarono precipitosamente le feritoie e si arrampicarono come gatti sul recinto. Tremal-Naik, Sambigliong, Tanauduriam e Aïer-Duk li dirigevano, incoraggiandoli con la voce e con l'esempio. Ben presto la moschetteria ricominciò con furia incredibile. Sotto ogni albero della costa balenava un lampo, seguito da una detonazione. Centinaia e centinaia di palle s'incrociavano nell'aria con fischi lamentevoli. Di quando in quando, fra il crescente frastuono, si udivano la voce tonante della Tigre della Malesia, le imprecazioni dei tigrotti, i comandi degli ufficiali del rajah e le urla selvagge degli indiani e dei dayachi. Talvolta però non erano esclamazioni di trionfo o di entusiasmo: erano grida strazianti, gemiti di feriti e di moribondi. D'improvviso, verso il mare, si udì una fortissima detonazione che coprì lo scrosciare della moschetteria. Era la possente voce del cannone. - Ah! - esclamò Sandokan. - La flotta del rajah! Guardò verso l'Oceano. Una grande ombra entrava nella baia accostandosi all'isola; due fanali, verde l'uno, rosso l'altro, brillavano ai suoi fianchi. - Ehi! Sandokan! ... - gridò una voce. - Corpo di una spingarda! - Coraggio, Yanez! - rispose Sandokan. - Per Giove! Abbiamo una nave alle spalle. - Se occorre l'abborderemo e ... Non finì. Una fiammata era balenata a prua della nave che entrava nella vasta baia e una palla aveva abbattuto un pezzo di recinto. - Il Realista! - esclamò Sandokan. Infatti quella nave che accorreva in aiuto degli assalitori era lo schooner del rajah Brooke, lo stesso che alla foce del Sarawak aveva attaccato e mandato a picco l'Helgoland. - Maledetto - ruggì Sandokan, guardandolo con due occhi che mandavano fiamme. - Ah! Perché non ho un praho anch'io? Ti farei vedere come sanno battersi all'arma bianca i tigrotti di Mompracem! ... Un nuovo colpo di cannone rimbombò sul ponte del legno nemico e una nuova palla venne ad aprire un nuovo foro. La Tigre della Malesia mandò un urlo di dolore e di rabbia. - Tutto è finito! - esclamò. Si precipitò giù dal tetto della capanna, seguito da tutti i suoi compagni, mentre un nembo di mitraglia spazzava la sommità del forte, salì sulla barricata che chiudeva l'entrata del fortino gridando: - Fuoco, tigrotti di Mompracem, fuoco! Mostriamo al rajah come sanno battersi i pirati della Malesia! ... La battaglia prendeva allora proporzioni spaventevoli. Le truppe del rajah, che fino allora si erano tenute nascoste sotto i boschi, si erano spinte verso la spiaggia e di là facevano un fuoco infernale; la flottiglia, tenutasi sempre ad una rispettabile distanza, vedendosi appoggiata dai cannoni del legno, aveva ora fatto una mossa innanzi, risoluta, a quanto pareva, ad approdare all'isola. La posizione dei pirati divenne ben presto disperata. Combattevano con rabbia estrema, ora tirando sulla nave, ora tirando sulla flottiglia, ora sparando sulle truppe ammassate sulla spiaggia della baia, entusiasmati dalla voce della Tigre della Malesia; ma erano troppo pochi per tener testa a tanti nemici! Le palle cadevano fitte, entrando per le feritoie e le fessure della cinta, e facevano cadere a due, a tre alla volta i pirati che sparavano dall'alto della palizzata. E spesso non erano semplici palle, ma granate che i cannoni del Realista vomitavano e che, scoppiando con terribile violenza, aprivano brecce enormi, per le quali il nemico, una volta sbarcato, poteva penetrare nel fortino. Alle tre del mattino un nuovo soccorso giungeva agli assalitori. Era uno svelto yacht armato di un solo ma grosso cannone, il quale aprì subito il fuoco contro le ormai cadenti palizzate del forte. - È finita! - disse Sandokan dall'alto della barricata, mentre con le dita arse, la faccia stravolta, tirava contro la flottiglia che continuava ad avanzare. - Fra dieci minuti bisognerà arrendersi. Alle quattro del mattino, nel fortino non rimanevano che sette persone: Sandokan, Yanez, Tremal-Naik, Ada, Sambigliong, Kammamuri e Tanauduriam. Avevano lasciato la cinta che non offriva più riparo alcuno e si erano ritirati nella gran capanna, una parte della quale era stata già distrutta dalle cannonate del Realista e dello yacht. - Sandokan - disse Yanez ad un certo momento, - non possiamo più resistere. - Finché abbiamo polvere e palle non dobbiamo arrenderci - rispose la Tigre della Malesia, guardando la flottiglia nemica che, respinta sei volte di seguito, tornava alla carica per sbarcare i suoi uomini. - Noi siamo soli, Sandokan. Abbiamo con noi una donna, la vergine della pagoda. - Possiamo ancora vincere, Yanez. Lasciamo che i nemici sbarchino e gettiamoci a corpo perduto contro di loro. - E se una palla cogliesse la Vergine? Guarda, Sandokan, guarda! ... Una granata lanciata dal Realista era in quel momento scoppiata, sfondando un lungo tratto della parete. Alcuni frammenti di ferro entrarono nel camerone, fischiando sopra il gruppo dei pirati. - Ammazzano la mia fidanzata! ... - esclamò Tremal-Naik che si era prontamente gettato dinanzi alla vergine della pagoda. - Bisogna arrendersi o prepararsi a morire - disse Kammamuri. - Arrendiamoci, Sandokan - gridò Yanez. - Si tratta di salvare la cugina di Marianna Guillonk. Sandokan non rispose. Dinanzi ad una delle finestre col fucile fra le mani, gli occhi fiammeggianti, le labbra semiaperte, i lineamenti alterati da una rabbia violenta, guardava il nemico che si avvicinava rapidamente all'isola. - Arrendiamoci, Sandokan - ripeté Yanez. La Tigre della Malesia rispose con un rauco sospiro. Una seconda granata entrò da un foro e cadde contro la parete opposta dove scoppiò, scagliando all'intorno schegge infuocate. - Sandokan! ... - gridò per la terza volta Yanez. - Fratello - mormorò la Tigre. - Bisogna arrendersi. - Arrendersi! ... - gridò Sandokan con un accento che più nulla aveva di umano. - La Tigre della Malesia arrendersi a James Brooke! ... Perché non ho un cannone da opporre a quelli del rajah? Perché non ho qui i tigrotti lasciati nella mia Mompracem? ... Arrendermi! ... Arrendersi la Tigre della Malesia! ... - Hai una donna da salvare, Sandokan! ... - Lo so ... - E questa donna è la cugina di tua moglie. - È vero! è vero! - Arrendiamoci, Sandokan. Una terza granata scoppiò nella stanza mentre due palle di grosso calibro, colpendo la sommità della capanna, facevano rovinare buona parte del tetto. La Tigre della Malesia si volse e guardò i suoi compagni. Avevano tutti le armi in pugno ed erano pronti a continuare la lotta; in mezzo ad essi la vergine della pagoda. Sembrava tranquilla, ma nei suoi occhi si leggeva la più viva ansietà. - Non vi è più speranza alcuna - mormorò con voce cupa il pirata. - Fra dieci minuti nessuno di questi prodi rimarrà in piedi. Bisogna arrendersi. - Si prese il capo fra le mani e parve volesse schiacciarsi la fronte. - Sandokan! - disse Yanez. Un urrah fragoroso coperse la sua voce. I soldati del rajah avevano attraversato il braccio di mare e si dirigevano verso il forte. Sandokan si scosse. Impugnò la sua terribile scimitarra e fece l'atto di slanciarsi fuori della capanna per contrastare il passo ai vincitori, ma si trattenne. - L'ultima ora è suonata per le tigri di Mompracem! - esclamò con dolore. - Sambigliong, issa la bandiera bianca. Tremal-Naik con un gesto arrestò il pirata che stava legando uno straccio bianco sulla canna di un fucile, e si avvicinò a Sandokan tenendo per mano la sua fidanzata. - Signore - gli disse, - se vi arrendete, io, Kammamuri e la mia fidanzata saremo salvi, ma voi, che siete pirati e perciò odiati a morte dal rajah, verrete senza dubbio tutti impiccati. Voi ci avete salvati: noi mettiamo nelle vostre mani la vita di noi tutti. Se avete ancora la speranza di vincere, comandate l'assalto e noi ci slanceremo contro il nemico al grido di: Viva la Tigre della Malesia! Viva Mompracem! - Grazie, miei nobili amici - disse Sandokan con voce commossa, stringendo vigorosamente le mani della giovinetta e dell'indiano. - Ormai il nemico ha approdato e noi non siamo che sette. Arrendiamoci. - Ma voi? - chiese Ada. - James Brooke non mi appiccherà, signora - rispose il pirata. - La bandiera bianca, Sambigliong - disse Yanez. Il pirata s'arrampicò sul tetto della capanna e agitò lo straccio bianco. Subito s'udì uno squillo di tromba echeggiare sul ponte del Realista, seguito da strepitosi urrah. Sandokan con la scimitarra in pugno uscì dalla capanna, attraversò il piazzale del forte ingombro di rottami e di cadaveri, di armi e di palle di cannone, e si fermò presso la barricata sfondata. Duecento soldati del rajah erano sbarcati e stavano allineati sulla spiaggia con le armi in mano, pronti a slanciarsi all'assalto. Una scialuppa montata dal rajah Brooke, da lord Guillonk e da dodici marinai si era staccata dal fianco del Realista e si avvicinava rapidamente all'isola. - Lui è mio zio - mormorò Sandokan con voce triste. Incrociò le braccia sul petto, dopo aver ringuainata la scimitarra, e aspettò tranquillamente i suoi due più acerrimi nemici. L'imbarcazione, vigorosamente spinta innanzi, in pochi minuti approdò presso il fortino: James Brooke e lord Guillonk sbarcarono, e, seguiti a breve distanza da un forte drappello di soldati, s'avvicinarono a Sandokan. - Chiedete una tregua o vi arrendete? - chiese il rajah salutando con la sciabola. - Mi arrendo, signore - disse il pirata restituendo il saluto. I vostri cannoni ed i vostri uomini hanno domato le tigri di Mompracem. - Lo sapevo che avrei finito col vincere la indomabile Tigre della Malesia - disse. - Signore, io vi arresto. Sandokan, che fino allora non si era mosso, nell'udire quelle parole rialzò fieramente la testa, gettando sul rajah uno sguardo che lo fece fremere. - Rajah Brooke - disse con voce sibilante. - Ho dietro di me cinque tigri di Mompracem, cinque sole, ma capaci di sostenere ancora una lotta contro tutti i vostri soldati. Ho dietro di me cinque uomini capaci di scagliarsi ad un mio cenno contro di voi e di stendervi a terra senza vita. Mi arresterete quando a quegli uomini avrò dato l'ordine di deporre le armi. - Non vi arrendete? - Mi arrendo, ma ad un patto. - Signore, vi faccio notare che le mie truppe son già sbarcate; che voi siete in sei e noi duecentocinquanta; vi faccio notare che basta un mio cenno per farvi fucilare. Mi sembra strano che la Tigre della Malesia vinta voglia dettare ancora delle condizioni. - La Tigre della Malesia non è ancora vinta, rajah Brooke disse Sandokan con fierezza. - Ho ancora la mia scimitarra e il mio kriss. - Devo comandare l'assalto? - Quando vi avrò detto ciò che io chiedo. - Parlate. - Rajah Brooke, io, il capitano Yanez de Gomera e i dayachi Tanauduriam a Sambigliong, tutti appartenenti alla banda di Mompracem, ci arrendiamo alle seguenti condizioni: "Che ci si giudichi alla Corte Suprema di Calcutta e che si accordi ampia libertà di andarsene dove meglio crederanno a Tremal-Naik, al suo servo Kammamuri e a miss Ada Corishant! ... " - Ada Corishant! Ada Corishant! - esclamò lord Guillonk, slanciandosi verso Sandokan. - Sì, Ada Corishant - rispose Sandokan. - È impossibile che sia qui! - E perché, milord? - Perché ella fu rapita dai thugs indiani e non se ne udì più parlare. - Eppure è in questo forte, milord. - Lord James - disse il rajah. - Avete conosciuto miss Ada Corishant? - Sì, Altezza - rispose il vecchio lord. - La conobbi pochi mesi prima che fosse rapita dai settari di Kalì. - Vedendola, la riconoscereste? - Sì, e sono certo che anch'ella mi riconoscerebbe, quantunque siano trascorsi da quell'epoca funesta ben cinque anni. - Ebbene, signori, seguitemi - disse Sandokan. Fece loro varcare la palizzata e li condusse nella gran capanna, in mezzo alla quale stavano, riuniti attorno alla vergine della pagoda, coi fucili in mano e il kriss fra le labbra, Yanez, Tremal-Naik, Kammamuri, Tanauduriam e Sambigliong. Sandokan prese Ada per mano e, presentandola al lord, gli disse: - La riconoscete? Due grida gli risposero: - Ada! - Lord James! Poi il vecchio e la giovanetta si abbracciarono con effusione, baciandosi. Entrambi si erano riconosciuti. - Signore - disse il rajah volgendosi verso Sandokan, - come mai miss Ada Corishant si trova nelle vostre mani? - Ve lo dirà ella stessa - rispose Sandokan. - Sì, sì, voglio saperlo! - esclamò lord James che continuava ad abbracciare e baciare la giovanetta, piangendo di gioia. - Voglio sapere tutto. - Narrategli tutto, dunque, miss Ada - disse Sandokan. La giovanetta non se lo fece ripetere e narrò brevemente al lord e al rajah la sua storia, che i lettori già conoscono. - Lord James - diss'ella, quando ebbe finito - la mia salvezza la devo a Tremal- Naik e a Kammamuri; la mia felicità alla Tigre della Malesia. Abbracciate questi uomini, milord. Lord James si avvicinò a Sandokan che, con le braccia incrociate sul petto e il volto lievemente alterato, guardava i suoi compagni. - Sandokan - disse il vecchio con voce commossa. - Mi avete rapito mia nipote, ma mi ridonate un'altra donna che io amavo quanto l'altra. Vi perdono; abbracciatemi, nipote, abbracciatemi! ... La Tigre della Malesia si precipitò nelle braccia del vecchio e quegli accaniti nemici, dopo tanti anni, si baciarono in viso. Quando si separarono, grosse lacrime cadevano dagli occhi del vecchio lord. - È vero che tua moglie è morta? - chiese egli con voce rotta. A quella domanda la faccia della Tigre della Malesia si alterò spaventevolmente. Chiuse gli occhi, se li coprì con le dita contratte e mandò un rauco gemito. - Sì, è morta - disse la Tigre con un gemito straziante. - Povera Marianna! Povera nipote! - Tacete, tacete - mormorò Sandokan. Un singhiozzo soffocò la sua voce. La Tigre della Malesia piangeva! Yanez si avvicinò all'amico e, mettendogli una mano sulla spalla: - Coraggio, fratellino mio - gli disse. - Dinanzi allo sterminatore dei pirati, la Tigre della Malesia non deve mostrarsi debole. - Sandokan si terse quasi con rabbia le lacrime e rialzò il capo con fiero gesto. - Rajah Brooke, sono a vostra disposizione. Io e i miei compagni ci arrendiamo. - Quali sono questi vostri compagni? - chiese il rajah con la fronte abbuiata. - Yanez, Tanauduriam e Sambigliong. - E Tremal-Naik? - Come! ... Voi osereste ... - Io non oso nulla - disse James Brooke. - Obbedisco e niente più. - Che cosa volete dire? - Che Tremal-Naik rimarrà prigioniero al pari di voi. - Altezza! ... - esclamò lord Guillonk. - Altezza! ... - Mi rincresce per voi, milord, ma non sta a me accordare la libertà a Tremal- Naik. Io l'ho avuto in consegna e devo restituirlo alle autorità inglesi, le quali non mancheranno di reclamarlo. - Ma voi avete udito tutta la storia di questo mio nuovo nipote. - È vero, ma non posso trasgredire gli ordini ricevuti dalle autorità Anglo- Indiane. A giorni un vascello di deportati toccherà Sarawak ed io dovrò consegnarlo a quel comandante. - Signore! ... - esclamò Tremal-Naik con voce rotta - voi non permetterete che mi separino dalla mia Ada e che mi conducano a Norfolk. - Rajah Brooke - disse Sandokan, - voi commettete una infamia. - No, obbedisco - rispose il rajah. - Lord Guillonk potrà recarsi a Calcutta, spiegare le arti codarde dei thugs e fargli ottenere la grazia ed io prometto, da parte mia, di appoggiarlo. Ada, che fino allora era rimasta muta, oppressa da un'angoscia mortale, si fece innanzi: - Rajah - diss'ella con voce commovente, volete dunque che ritorni pazza? ... - Riavrete presto il fidanzato, miss. Le autorità Anglo-Indiane rivedranno il processo e non indugeranno a rimettere in libertà Tremal-Naik. - Allora lasciate che m'imbarchi con lui. - Voi! ... Eh via! ... Scherzate, miss? ... - Voglio seguirlo. - Su di un vascello di forzati! ... In una simile bolgia infernale! ... - Vi dico che voglio seguirlo - ripeté ella con esaltazione. James Brooke la guardò con una certa sorpresa. Pareva che fosse impressionato della suprema energia di quella giovanetta. - Rispondetemi - disse Ada, vedendo che rimaneva muto. - È impossibile, miss - disse poi. - Il comandante della nave non vi accetterebbe. Sarà meglio per voi che seguiate vostro zio in India per ottenere la grazia del vostro fidanzato. La vostra testimonianza basterà per fargli rendere la libertà. - È vero, Ada - disse lord Guillonk. - Seguendo Tremal-Naik io rimarrei solo e mi mancherebbe il testimonio principale per salvare il tuo fidanzato. - Ma volete che l'abbandoni ancora! ... - esclamò ella scoppiando in singhiozzi. - Ada! ... - disse Tremal-Naik. - Altezza - disse Sandokan avanzandosi verso il rajah. - Mi accorderete cinque minuti di libertà! - Che cosa volete fare? - chiese James Brooke. - Voglio persuadere miss Ada a seguire lord James. - Fate pure. - Ma la vostra presenza non è necessaria: voglio parlare libero, senza che altri odano. Uscì dalla semi-diroccata capanna e condusse i suoi amici nella cinta del forte. - Vi accordo ciò che chiedete. Vi acerto però, che se sperate di fuggire v'ingannate, perchè la baia è tutta circondata. - Lo so. Seguitemi, amici. - - Ascoltatemi, amici - diss'egli. - Io possiedo ancora tali mezzi da far impallidire il rajah se potesse conoscerli. Miss Ada, lord James ... - Non lord James, chiamatemi zio, Sandokan - osservò l'inglese.- Siete pur voi mio nipote. - È vero, zio mio - disse la Tigre con voce commossa. - Miss Ada, non insistete oltre e rinunciate all'idea di seguire il vostro fidanzato all'isola di Norfolk. Cerchiamo invece di ottenere dal rajah che trattenga in Sarawak Tremal-Naik fino a che le autorità di Calcutta avranno riveduto il processo e deciso della sua sorte. - Ma sarà una lunga separazione - disse Ada. - No, miss, sarà breve, ve l'assicuro. Cerco di ottenere ciò dal rajah per guadagnare tempo. - Cosa volete dire? - chiesero Tremal-Naik e lord Guillonk. Un sorriso sfiorò le labbra di Sandokan. - Ah! - diss'egli. - Credete che io ignori la sorte che mi attenderebbe anche a Calcutta? ... Gli inglesi mi odiano ed ho fatto loro una guerra troppo aspra e feroce per sperare che mi lascino la vita. Voglio ancora essere libero, scorrere il mare e rivedere la mia selvaggia Mompracem. - Ma che cosa vuoi fare? Su chi speri? - chiese lord Guillonk. - Sul nipote di Muda-Hassin. - Del sultano spodestato da Brooke? - chiese lord James. - Sì, zio. Io so che sta congiurando per riacquistare il trono e che mina, lentamente ma incessantemente, la potenza di Brooke. - Che cosa possiamo fare? - chiese Ada. - A voi devo la mia salvezza e dovrò la libertà di Tremal-Naik. - Andare a trovare quell'uomo e dire a lui che le tigri di Mompracem sono pronte ad aiutarlo. I miei pirati sbarcheranno qui, si porranno alla testa degli insorti e verranno ad assalire prima di tutto la nostra prigione. - Ma io sono inglese, nipote - disse il lord. - E nulla esigo da voi, zio mio. Voi non potete cospirare contro un compatriota. - Ma chi agirà? - Miss Ada e Kammamuri. - Oh, sì, signore - disse la giovanetta. - Parlate. Che cosa devo fare? Sandokan si slacciò la casacca e trasse dalla fascia che teneva sopra la camicia di seta una borsa rigonfia. - Vi recherete dal nipote di Muda-Hassin e gli direte che Sandokan, la Tigre della Malesia, gli regala questi diamanti, che valgono due milioni, per affrettare la rivolta. - E io che cosa devo fare? - chiese Kammamuri. Sandokan si levò un anello, d'una forma speciale, adorno d'un grosso smeraldo e glielo porse dicendogli: - Tu andrai a Mompracem e farai vedere ai miei pirati questo anello, dirai loro che io sono prigioniero e che si imbarchino per aiutare l'insurrezione del nipote di Muda-Hassin. Ritorniamo: il rajah è sospettoso. Rientrarono nella capanna diroccata dove Brooke li aspettava, circondato dai suoi ufficiali che erano già sbarcati. - Ebbene? - chiese brevemente. - Ada rinuncia all'idea di seguire il fidanzato, a condizione che voi, Altezza, tratteniate prigioniero in Sarawak Tremal-Naik fino a che la Corte di Calcutta avrà riveduto il processo disse il lord. - Sia - disse Brooke dopo alcuni istanti di riflessione. Allora Sandokan si avanzò e, gettando a terra la scimitarra e il kriss, disse: - Sono vostro prigioniero. Yanez, Tanauduriam e Sambigliong gettarono pure le loro armi. Lord James, con gli occhi umidi, si gettò fra il rajah e Sandokan. - Altezza - disse, - che cosa farete di mio nipote? - Gli accordo ciò che mi ha chiesto. - Cioè? - Lo manderò in India. La Corte Suprema di Calcutta s'incaricherà di giudicarlo. - E quando partirà? - Fra quaranta giorni, col postale proveniente da Labuan. - Altezza ... è mio nipote, ed io ho cooperato alla sua cattura. - Lo so milord. - Ha salvato Ada Corishant, Altezza. - Lo so, ma nulla può fare colui che si chiama lo sterminatore dei pirati. - E se mio nipote vi promettesse di lasciare per sempre questi mari? ... E se mio nipote vi giurasse di non rivedere più Mompracem? - Fermatevi, zio - disse Sandokan. - Né io né i miei compagni abbiamo paura della giustizia umana. Quando l'ultima ora sarà suonata, le tigri di Mompracem sapranno morire da forti. - S'avvicinò al vecchio lord che piangeva in silenzio e lo abbracciò, mentre Tremal-Naik abbracciava Ada. - Addio, signora - disse poi, stringendo la mano alla giovanetta che singhiozzava. - Sperate! ... Si volse verso il rajah che lo attendeva presso la porta e, alzando fieramente il capo, gli disse: - Sono ai vostri ordini, Altezza. I quattro pirati e Tremal-Naik uscirono dal fortino e presero posto nelle imbarcazioni. Quando queste presero il largo dirigendosi verso il Realista, volsero gli sguardi verso l'isolotto. Sulla porta del recinto stava il lord con Ada a destra e Kammamuri a sinistra. Tutti e tre piangevano. - Povero zio, povera miss - esclamò Sandokan, sospirando. - Fatalità! ... Fatalità! ... Ma la separazione sarà breve, e tu, James Brooke, perderai il trono! ...

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