Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonarmisi

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Racconti 1

662659
Capuana, Luigi 1 occorrenze
  • 1877
  • Salerno Editrice
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Ma se quella donna, vinta, mettiamo, dalla mia insistenza, sedotta dai bagliori di un amore che usciva dalle forme comuni, lusingata da speranze che le mie parole avevano imprudentemente fatto intravvedere, fosse finalmente venuta ad abbandonarmisi tra le braccia a lei tese con spensieratezza suprema? Se vi fosse venuta rompendo altri legami, abbandonando piú sicure speranze, sacrificando ad un'illusione il suo nome, la sua felicità presente, il suo avvenire, ogni cosa? Che avrei allora fatto? Quale responsabilità non mi sarei assunta? Ero forse sicuro di mantenere quel che le mie calde parole promettevano senza esplicitamente spiegarlo? Non mi accumulavo una larga messe di noie, di impacci, di dolori, di disinganni? Ma chiudevo gli occhi, mi stringevo alle spalle e lasciavo fare al cuore; ero troppo esaltato da dar retta alla ragione. E forse è bene che l'uomo sia cosí! Senza questa irragionevolezza di certi giorni, la vita correrebbe troppo uniforme, troppo noiosa; e molte cose grandi, e tutte le cose belle rimarrebbero spesso nell'oscurità del nulla, da cui soltanto la passione le fa sbalzare alla luce. Venne. La scorsi da lontano, in fondo al viale, e le mossi incontro quasi trepidando. Avevo le puerili esitazioni del primo amore. I polsi e le tempie mi martellavano con violenza. Era anch'ella un pochino turbata; la sua mano infatti tremava. Le diedi braccio e andammo un pezzetto silenziosi, guardandoci negli occhi, con quel sorriso che monta alle labbra quando ci troviamo impacciati e non sappiamo che dire, forse perché abbiamo troppe cose da dire. In tali casi è sempre la donna quella che mostra piú spirito. - Mi avvedo - ella disse - di aver avuto torto a dar retta alle sue insistenti sollecitazioni. Da lontano si è piú liberi e piú forti! - Grazie, signora! - feci io. - Non si penta di un'opera buona. - Ebbene - ella riprese - che vuole da me? - Poco, nulla! ... Se fosse possibile ... essere riamato! - Dica tutto! - ella esclamò sorridendo. - E quando l'avessi riamato? - L'amore è fine a se stesso. - Forse nei cieli; ma in terra ...! - Osservi - le dissi; - a trentadue anni mi vede impappinato come un meschino collegiale. Questo può darle la misura dell'affetto che provo per lei -. E dopo una breve pausa soggiunsi: - Sono libero, solo, non ho parenti e possiedo una discreta fortuna. Faccio una vita ritirata, un po' studiosa; ma piú volentieri ozieggio fantasticando, contento di osservare il mondo a traverso una nebbia la quale gli dà sovente l'aspetto di un'apparizione che si dissolve, e rassegnato a veder arrivare la volta che dovrò dissolvermi anch'io. Il suo incontro mi ha destato da un sonnambulismo che suol essere l'ordinaria condizione del mio spirito, e mi ha richiamato alla gioconda realtà della vita. Son liet o di sapere che c'è ancora al mondo qualcosa che può farmi amare e sperare ... Mi sono ingannato? Sotto a questo nostro incontro nascondesi forse una delle solite e terribili ironie del caso che uccidono gli animi fiacchi? Non lo capisco ancora e, quasi, non vorrei mai capirlo. - Ho marito! - ella rispose sospirando e chinando il capo addolorata. - Che importa? - feci io. - Il mondo è crudele! - ripigliò. - C'impone dei doveri che potrebbero dirsi una violazione della natura, e il pudore spesso ci fa vittima perfino nostro malgrado. Non mi pare di esser brutta; molti mi hanno ripetuto preciso il contrario. Prima e dopo della legale separazione da mio marito, che io dovetti domandare, sono stata spesso circondata da tentazioni superiori alle deboli forze di una donna; e benché in questo momento sia proprio sicura di non esser creduta, soggiungerò che son uscita tremendamente abbattuta e straziata sí da quelle lotte del cuore, ma vittoriosa; anche quando mi sarei facilmente rassegnata a rimaner vinta! ... Non glielo dico né per orgoglio, né per artifizio di donna. - Oh le credo! - risposi. - Sarò franca; è mio costume. E comincerò dal confessarle che non sono qui venuta per mera cortesia, o per cedere soltanto a un impulso di curiosità femminile. C'è un altro sentimento che io non so come chiamare, (è cosí incerto e confuso!) il quale ha lusingato il mio spirito e mi ha spinto a porgere facile orecchio al suo invito. Ho capito appena qui giunta, e gliel'ho detto subito, che ho fatto male a venire. - Invece ha fatto benissimo! - Le sue parole dell'altra volta, il persistere a ricordarsi di me dopo tanti giorni, le sue lettere che mi rivelano un animo gentile e troppo aperto a dei sentimenti che non sono piú di moda, hanno naturalmente fatto impressione nel mio cuore. Piú che ogni altra donna e per la condizione in cui mi trovo io sento un bisogno di continui conforti. Illusioni o realtà, non mi confondo a discerner bene quello che mi si presenta a consolarmi. L'unica realtà che io cerchi è la mia consolazione, la soddisfazione di un bisogno ineffabile che mi agita e mi fa soffrire; e spesso non è davvero l'illusione quella che sappia meno soddisfarlo. - Come son lieto - le dissi - di sentirla parlare a questo modo! - Non si imagini nulla che possa secondare qualche suo desiderio; si troverebbe ingannato. - Le giuro - risposi (e in quel momento ero sincero) - che i miei desideri, le mie speranze non vanno piú in là di quello che ora mi si concede. - Oh! Si dice sempre cosí! - Avrà la conferma del fatto. - Non è un uomo lei? - Ma un po' diverso dagli altri. - Ecco, dunque: ho assecondato il suo desiderio, son venuta, le ho detto forse piú di quello che non avrei dovuto dirle; non rimane che separarci da buoni amici e ... dimenticarci. - Perché dimenticarci? - Perché sarebbe meglio. Non le pare? - Ma se fra noi due non può, come lei dice, esservi luogo per l'amore, potrebbesi invece trovar un posto all'amicizia. - L'amicizia tra un uomo ed una donna si riduce ad un amore che ha vergogna di mostrarsi a viso aperto, ed io ho in uggia gli equivoci. - Cediamo dunque al destino! - dissi fermandomi. E presi tra le mie le sue mani e la guardai fisso nelle pupille, con le labbra atteggiate a un sorriso di speranza ed esprimendo cogli occhi un'intensa preghiera. - Ed è cosí ch'ella è diverso dagli altri! - esclamò tentennando amaramente la testa e alzando gli sguardi al cielo. - Interpreta male le mie intenzioni! - Interpreto giusto! - E riprese il mio braccio. - Non ci vedremo piú - mi disse dopo con accento commosso. - Ella tornerà alle tranquille occupazioni della sua vita; io ... alle noie ed alle lotte della mia. Ciò che mi fa rifuggire da un legame, creda, è un puro calcolo. Se io ora cedessi alle sue premure, se credessi alle sue proteste, non farei che prepararmi un disinganno crudele. Un mese, due mesi, sei mesi, un anno! E poi tutto sarebbe finito, e l'apparizione celeste diventerebbe un fantasma intollerabile. Non vi è peggiore umiliazione pel nostro amor proprio: è una ferita che non sana. Ho ragionato sempre cosí quando il cuore ha tentato di trascinarmi dietro le seducenti appariscenze di una felicità che mi si faceva brillare vagamente sotto gli occhi; e il ragionamento mi ha salvato. Parlo schietta: non mi faccio piú virtuosa di quel che sono. Forse non ho ancora avuto occasione di provare una di quelle passioni che non dan campo a ragionare, e quando verrà, gliel'assicuro, non me ne lagnerò; ma intanto la sfuggo. Bisogna mi colga all'improvviso, alla sprovveduta! - Ma se tutte le donne la pensassero come lei - interruppi scherzando - che sarebbe del mondo? - Ciò che salva il mondo - rispose - è che si predica bene e si razzola male. Io stessa, forse, non isfoggio in questo momento tante belle teoriche che per giustificarmi dell'inconseguenza di esser qui venuta. - Senta - dissi; - lei ragiona troppo! Ami invece! - E strinsi il suo braccio col mio. Restò a capo chino, come assorta improvvisamente in una riflessione penosa. - Ami! - le ripetei all'orecchio. - No! - disse, sciogliendosi dal mio braccio e passandosi le mani sulla fronte. Si era fatto tardi senza che ne fossimo accorti. Il viale era deserto; i lampioni brillavano qua e là fra i tronchi e i rami degli alberi come pupille investigatrici di ciò che può avvenire nelle ombre notturne; e il rumore delle acque del canale daccanto faceva meglio avvertire la solitudine e il silenzio onde eravamo circondati. Di tanto in tanto il sordo strepito delle carrozze e degli omnibus, che si accresceva o si affievoliva secondo l'avvicinarsi o lo scostarsi accelerato, rammentava che a cento pass i di distanza le vie della città formicolavano ancora di gente. - Abbia l'amabilità di accompagnarmi un pochino - ella mi disse avviandosi verso il Naviglio. - Come passano presto le ore! - Mi promette che ci rivedremo? - feci prendendole una mano. - Non insista - rispose. - Rimanga colle impressioni che ha ricevuto finora. Forse, conoscendomi meglio, mi troverebbe molto diversa da quel che si è imaginato: e lo stesso probabilmente sarebbe per me. Ci scapiteremo tutti e due. - Rivediamoci! - ripetei. - Sento che l'amo di piú dopo di averla conosciuta da vicino: l'istinto del cuore non mi ha ingannato. - Abbiamo scherzato col fuoco - ella disse ridendo: - non ripetiamo lo scherzo -. Per un buon tratto rifacemmo la stessa via del giorno in cui le andai dietro la prima volta. L'incertezza ov'ella mi teneva era quasi piú dolce del sí che avrei voluto strapparle. - Addio, signore - disse fermandosi: - mi lasci ora andar sola. - Ubbidisco - risposi, - ma però non mi tolga affatto la speranza. - Addio! - replicò sorridendo. E fino alla sera dopo io non vissi che di quel sorriso. Era davvero divisa dal marito, e non per sua colpa? Era davvero rimasta sempre vittoriosa di tutte le seduzioni che dovevano, cosí bella e sola, circondarla da ogni parte? Era stata proprio sincera parlando a quel modo? Queste interrogazioni mi si affacciavano ripetutamente allo spirito, ma non volevo fermarmici su per trovar loro una risposta. Ho sempre amato un che d'indefinito, di digradato, di incerto nei sentimenti e nelle cose, e son riuscito per questo poco adatto agli affari. Possiamo noi forse, colle nostre indagini, toccare proprio il fondo della realtà? Non avviene, nel passaggio dai sensi allo spirito, un alterarsi, un modificarsi, un trasformarsi dell'impressione del di fuori per cui spesso vediamo non già quello che è, ma quello che ci pare, il contrario? Dall'altra parte in ciò che io provavo riguardo a lei non c'era evidentemente nulla di preciso e di determinato. Se ella non avesse avuto il marito? Se fosse stata una donna che non trovavasi piú alla sua prima relazione? Se, illuso da una vernice di gentilezza, di cultura e di eleganza io non avessi capito quello che altri avrebbe compreso di primo acchito, cioè ch'ella era una delle solite pericolose femmes de proie, come le dicono i francesi, nelle quali un'arte sopraffina simula le piú squisite, le piú pudiche ritrosie della virtú per irretire gli allocchi? Che cosa sarebbe avvenuto allora del mio povero cuore, delle fervide espansioni di un amore che viveva di rugiada, tra cielo e terra, quantunque avesse i suoi quarti d'ora nei quali sarebbe rimasto molto volentieri sulla terra? Ma io mi seccavo di tante supposizioni, di tante indagini, e lasciavo correre. Amavo! Mi bastava. Amavo infatti da amatore, da dilettante. Succedeva da qualche giorno dentro di me uno strano e delizioso sdoppiamento dello spirito; metà di esso subiva gli incanti della passione, metà stava ad osservare, e spesso chi godeva di piú era la metà che faceva da spettatrice tranquilla. Ciò intanto non impediva la spontaneità degli slanci e delle esaltazioni dell'altra. Forse vi era un che di artificiale in tutto cotesto rimescolarsi di sentimenti. Un lavorio della imaginazione, combinando alla sua guisa e sviluppando sensazioni, impressioni, sentimenti vecchi e dimenticati, ricostruiva di bel nuovo il mondo fresco e sorridente della giovinezza e mi dava un'illusione simile a quella del miraggio del deserto, che si sposta a seconda del punto di vista del viaggiatore. Ora io vedevo innanzi a me quel che già mi sembrava fosse rimasto alle mie spalle. E poi, che giovava preoccuparsi di quanto poteva avvenire? Tanto, non era in mia mano l'impedire che avvenisse. Volevo quindi andar spensieratamente incontro all'ignoto; era un viaggio divertentissimo benché pieno di pericoli. Maritata o no, donna di mondo o femme de proie, vi era infine in lei una cosa innegabile e indiscutibile: la bellezza. Quando la natura si perde tutt'intiera nella creazione di un corpo perfetto (e il suo era tale) non ha mica tempo di confondersi molto col resto. Una linea di quel corpo equivale benissimo al cuore; un'armonia di quelle forme equivale senz'altro allo spirito; una bella e forte sensazione non la cede in nulla al piú bello e piú generoso dei sentimenti. Pensavo tutte queste cose alla rinfusa e non mi fermavo a lungo e in particolare su nessuna. Avevo ancora nell'orecchio l'armonia della sua voce, provavo ancora il blando tepore della sua mano e del suo braccio; e a traverso i globi azzurri del fumo della mia sigaretta di lathachié scorgevo intanto qualcosa di luminoso, di sorridente, che poteva anche esser l'effetto del tabacco orientale voluttuosamente aspirato, e non era per questo meno amore e meno ideale di qualsivogliano amori e ideali di piú alta pro venienza. Per due sere di seguito non venne; le scrissi e non rispose. La terza sera, quando già cominciavo a disperare di rivederla, me la sentii alle spalle, col suo passo lesto e cadenzato. Piovigginava. Le gocce dell'acquerugiola facevano un rumore gradevole tra le foglie degli ippocastani. Il sole, prossimo a tramontare, dorava di un colore rosso ranciato le frondi degli alberi che, trasparenti, lucidissime, stillanti, parevano proprio di smeraldo. Per l'aria rinfrescata errava diffuso l'odor speciale che si lev a in primavera, dal terreno inzuppato dalla pioggia. - Mi aspettava? - ella disse, mostrandosi sorpresa di trovarmi. - Sicuramente - risposi stringendole forte la mano. - Come è buono! - La pioggia aumenta - soggiunsi offrendole il braccio; - verrà giú un rovescione. Andiamo a ripararci nel Caffè dei Giardini; saremo soli, solissimi; potremo ragionare a bell'agio. - Abbiamo ben poco da dirci! - ella fece, chiudendo il suo ombrello per prendere il mio braccio e reggere con l'altra mano il lungo strascico della veste. Nel Caffè dei Giardini c'era soltanto un vecchietto. Avrei voluto, entrandovi insieme a lei, far rivolgere almeno un centinaio di occhi su noi; avrei voluto sentire quel mormorio di ammirazione e vedere quei sorrisi di piacere che l'aspetto di una bellissima donna suol sempre produrre al suo primo apparire in un salone. Oramai quella donna in qualche modo mi apparteneva, e credevo di avere un po' il diritto di insuperbirmi della sua bellezza come di qualcosa di mio. La conversazione fu piú sentimentale, piú vaporosa dell'altra volta. Ella era contenta di vedermi già savio. Finché duravo cosí, quelle scappatelle da giovani innamorati potevano continuare. Come non appagarsi di una felicità modesta, soave, che trovava nella sua stessa natura una guarentigia di durata? Io sorridevo, dicevo di sí; ma gli leggevo nell'intonazione della voce e negli occhi qualcosa di simile a quello che sentivo accadere nel mio interno, e raffrenavo la gioia. Non avrei saputo dire perché, ma mi sembrava che le parole della nostra conversazione esprimessero quel giorno preciso l'opposto di quello che valevano nel loro ordinario significato. Piú intendevamo dirizzare le ali per l'alto, e piú mi pareva si radesse terra terra. Parlando di unione di cuori, mi sembrava che di accordo volessimo sottintendere; corpi; parlando di sentimenti ineffabili, eterni, mi sembrava evidentemente parlare di sensazioni ineffabili sí, ma fugaci, alle quali ci pareva mill'anni non pot erci inaspettatamente abbandonare, senza dirci una parola, come trascinati nostro malgrado. Che pause eloquentissime! Che sorrisi accompagnati da tentennamenti espressivi del capo, quasi per dire: guarda un po' come si va di carriera! E intanto ella parlava di mille piccole cose, del tempo, della pioggia la quale non voleva piú smettere, della sorella con cui viveva e dei suoi vasi di fiori; ed io progettavo una passeggiata alla Certosa di Garignano e a un mio villino in quei pressi; ed ella rispondeva di no, specie pel villino di cui, diceva, era molto giusto diffidare. Voleva che il nostro piccolo sogno di amore non si allontanasse mai e poi mai dal ristretto orizzonte dei viali dei Boschetti e dei Giardini Pubblici. Fiore delicatino, sarebbe subito appassito a trapiantarlo in terreno e sotto clima diversi. E poi, m'imaginavo forse che quel sogno dovesse durare molto a lungo? Oibò! Mi sarei presto annoiato, stancato; già ella mi secondava unicamente per provarmi che aveva ragione a diffidare di piú larghe profferte e di dichiarazioni piú solenni. - Che brutta cosa è la vita! - conchiudeva sospirando. Ma un sorriso gli lampeggiava a un tratto sulle labbra e negli occhi, e pareva dicesse all'opposto: - Com'è bella cosí la vita! Ed io internamente esclamavo di conserva: - Divina! Divina!- Da quel giorno in poi ci rivedemmo regolarmente con un'assiduità che non diminuiva affatto il piacere di ogni nuova passeggiata. Parlavamo meno che mai di qualunque progetto sul nostro avvenire. Ma annoiarci? Stancarci? Non se ne scorgeva l'ombra di un indizio. E cosí la Cecilia diventava di grado in grado meno diffidente, piú espansiva, e le nostre passeggiate si prolungavano sui bastioni di Porta Nuova fino a Porta Garibaldi. Una volta rientrammo tardi per la via Principe Umberto e per la via Manzoni. La serata era stata dolce; un magnifico lume di luna faceva impallidire le fiammelle del gas; la gente andava attorno allegra, chiassosa, contenta di godersi, dopo molti giorni di pioggia, una vera serata primaverile. Avevamo tanto ciarlato e tanto riso anche noi come due veri ragazzi! Ed ora camminavamo muti, raccolti, governati intimamente da una tristezza soave e tenevamo, quasi senza avvedercene, la mano dell'una stretta in quella dell'altro con pressione tenera e casta, da nuovi sposini. Passando parecchie volte per la via Manzoni, innanzi alla casa ove abitavo, io le avevo sempre indicato con piacere i terrazzini delle mie stanze. - Son belle? - mi aveva chiesto una volta. - Perché non viene a vederle? - le avevo subito risposto. Ma ella aveva affrettato il passo, dicendo di no. Quella sera, come al solito, ci fermammo innanzi al portone e con un semplice accenno degli occhi le chiesi, per grazia, di salir su. Esitò sospettosa e la rassicurai collo sguardo. Forse, se avessi pronunciato una parola, ella non si sarebbe indotta a salire; ma quel linguaggio intimo, intenso, che pareva non potesse celare una menzogna perché veniva diritto dal cuore senza l'intermediario della voce, corrispondeva tanto bene in quel punto allo stato dell'animo nostro, ch'ella sorrise languidamente quasi le fosse impossibile opporre della resistenza e fece il primo passo per entrare. Montammo le scale lenti, a capo chino. Dal suo respiro indovinavo che il cuore doveva batterle con l'uguale violenza del mio. Come siamo sciocchi e ridicoli in certi momenti della vita! Entrò guardando attorno, quasi spaurita di aver osato venir su. Nel salotto non volle sedersi, e rimase in piedi accanto al tavolo di mezzo, con una mano appoggiata sur un album e tenendo l'altra sospesa come preparata a respingere un assalto. Io accendevo tutti i lumi e volevo perfino accendere la lumiera; il salotto doveva risplendere a festa pel gran ricevimento della serata. Poi me le appressai, battendo le mani dalla gioia, e le chiesi che gliene sembrava. - Bello! - esclamò un po' distratta. - Visiti ora le altre stanze - le dissi porgendole il braccio. - No - rispose - mi basta: andiamo via. - Cosí presto? - È già tardi. - Si segga qui un momentino - feci, tentando di prenderla per la mano onde attirarla presso una poltrona. - No! no! - esclamò con voce soffocata, incrociando le dita e mettendo tra lei e me il tavolo sovraccarico di gingilli chinesi. Quest'atto di paura mi fece capire che significasse lo stordimento e l'affluire del sangue al capo che provavo in quell'istante. Dovevano certamente lampeggiarmi negli occhi le mille cupidigie che l'influenza del ristretto ambiente del salotto mi aveva all'improvviso destate. Ebbi vergogna ch'ella sospettasse potessi io usarle violenza in casa mia; e benché mi passasse un istante per la mente l'idea che quella paura poteva anch'essere uno dei tanti gestri del pudor femminile i quali vogliono ordinariamente esser intesi all'incontrario, pure preferii di parer un po' semplice, e con un accento da cui traspariva l'emozione: - Cecilia! - dissi - non dimentichi di trovarsi in casa d'un gentiluomo! - Grazie - rispose stendendomi la mano e stringendo con riconoscenza la mia. - Ma ... - soggiunse - la prego, andiamo fuori! La precessi col lume. Ella non parve pienamente rassicurata che quando fu sul pianerottolo. Lí riprese il suo sorriso, la sua vivacità e scese le scale lesta come un augellino che saltelli fra i rami. Non aveva mentito. Scopersi per caso che un mio amico conosceva il marito, lei, la sua famiglia e lo interrogai destramente. Era di buona nascita e aveva ricevuto un'educazione raffinata. Indotti da improvvisi rovesci di fortuna, i parenti la sposarono a un ricco piú vecchio di lei, un uomo brutale e vizioso con cui poté stare insieme appena sei mesi. Morti i genitori, conviveva al presente con la sorella, vedova di un impiegato governativo. Il marito, intrigato in brutti affari di speculazioni equivoche, e ra fuggito in America; ma libera e senza lo spauracchio di una vendetta minacciatale spesso da quell'uomo brutale, ella non aveva mai dato nulla a ridire sulla sua condotta. - Però - conchiuse l'amico - non sarei niente sorpreso di sentire un giorno o l'altro che sia anch'essa caduta: ha troppo cuore quella donna ed ha troppo sofferto; e la fortezza del carattere non sempre riesce a scacciar via le tentazioni di fuori e quelle di dentro, che son le piú pericolose perché ne diffidiamo assai meno -. Di primo lancio, apprendendo che non aveva mentito, provai una grande allegrezza; indi a poco a poco cominciai a riflettere sulla serietà di quel che stavo per fare. Ma quando la rividi e mi parve che lo splendore della sua bellezza fosse quasi offuscato da un raggiare mite e soave proveniente dalla bontà affettuosa e rassegnata scoperta nel suo carattere, sentii divamparmi piú forte nel petto il fuoco dell'amore destatovi da lei. Fui piú dimesso, piú gentile, piú premuroso; la trattavo, senza volerlo, come una di quelle convalescenti che hanno bisogno di cure minute e continue, da prevenirne i desideri, da indovinarne i capricci; e rimanevo ammaliato anch'io dall'incanto che scaturiva da questa nuova fase della nostra relazione. Ella n'era commossa e nello stesso tempo atterrita. Ne capiva meglio di me le conseguenze e avrebbe voluto evitarle; ma si sentiva oramai raggirata da un vortice che la trascinava rapidamente via e che l'avr ebbe inghiottita. Avevamo fatto dei giardini pubblici il nostro nido: non ci passava per mente di allontanarci di lí. Vi eran dei viali che ci sembravano esclusivamente nostri, quasi parte di noi stessi: delle piante, delle aiuole, dei punti di veduta che, ammirati le cento volte, entravano come elementi necessari nella vita spirituale dei nostri cuori, e piú non sapevamo come poterne far di meno. Una sera che provammo ad andar diritto, fuori Porta Venezia, lungo il viale di Monza, non riuscivamo a raccapezzarci; provavamo q ualcosa che c'impacciava; non ci sentivamo piú intimi come nei giardini; e quando ci persuademmo di tornare indietro e trovammo chiusi i cancelli, girammo silenziosi attorno ad essi fermandoci ad osservare dietro le sbarre di ferro. Le ombre della notte erano dense; gli alberi stormivano leggermente; i zampilli tacevano; di tratto in tratto mostravasi tra le cime degli alberi qualche strappo di oscurità e un po' di cielo stellato faceva risaltare sur un fondo scuro e diafano i neri frastagli delle frondi. Avevamo il cuore oppresso; ci agitava un vago rimorso; da quel silenzio, da quell'ombre partivasi un misterioso pispiglio di rimproveri: chi sa se domani vi avremmo trovato nuovamente le nostre sensazioni di tutti i giorni! E ci fermavamo e ci stringevamo l'una al braccio dell'altro, quasi per rimpiangere con quella stretta una felicità perduta; ed io ricercavo la sua mano ed ella me l'abbandonava come suol farsi nei momenti di grave dolore. - Eccoci scacciati dal nostro piccolo paradiso terrestre! - disse la Cecilia con voce che tremava delle strane emozioni di quel momento. - Oh mia Eva! - risposi, pronunciando quest'esclamazione con una serietà e con uno slancio che in altra occasione mi sarebbero parsi ridicoli. E le girai un braccio attorno il busto, e stringendomela al cuore le impressi ripetutamente i primi baci sulla fronte. Ella taceva come venuta meno, agitata per tutto il corpo da un ineffabile fremito. Gustavamo una quasi fisica voluttà nell'indugiarci con arte inconscia un momento che tutti e due eravamo certi dovesse finalmente arrivare. La Cecilia diventava sempre piú triste: mi guardava con quella occhiate lunghe e piene di tenerezza cosí speciali alla donna, ove si leggeva: - Tu mi farai del male, ma per questo non posso né voglio amarti di meno! - Io evitavo ogni parola, ogni frase che potesse sembrare un accenno a quel che stava per accadere, e lasciavo che il caso, una piccola circostanza imprevista assumesse l'ufficio della gocciolina che fa traboccare la tazza già ricolma fino agli orli. Ma, come al solito, la donna fu piú schietta e nello stesso tempo piú coraggiosa. Un giorno che io parlavo dell'eternità del nostro amore: - T'inganni - mi disse; - esso non fu mai cosí prossimo a finire come in questi momenti che tu ti compiaci di crederlo eterno! - Perché mai? - chiesi stupito di sentirla parlare a quel modo. - Perché la prova - rispose mestamente - sarà infallibile e breve ... Ma è meglio non pensarci! - No, non può essere! - dissi. - Credi dunque che io mentisca? - È il cuore - replicò - è la natura che verrà meno! Siamo entrambi in buona fede. - Vedrai! - Oh! Vedrai! - Quel giorno i giardini erano tuttavia illuminati dal bel sole dei primi del giugno. Brillava, cantava attorno una gran festa di luce, di colori, di sussurri che faceva bollire il sangue ed eccitava le menti. In che maniera ci trovammo, da lí a poco, a salire le scale di casa mia? Non lo saprei dire davvero. Appena passato l'uscio, la strinsi tra le braccia e la baciai sulla bocca, esclamando: - È l'investitura del tuo regno! - Sorrise triste, incerta, ma non rispose nulla. Entrò in salotto con un incredibile abbattimento sul viso: le pupille nuotavano nelle lagrime che non si decidevano a venir giú. Io ero piú commosso di lei, ma in un'altra guisa. Le stavo attorno pregandola cogli sguardi di non mostrarsi cosí, e intanto l'aiutavo a cavarsi i guanti e il cappello. - Che sbaglio stiamo per fare - esclamò. E nello stesso punto abbandonossi singhiozzando tra le mie braccia e mi coperse di baci Il giorno appresso le mie stanze mi parvero un giardino improvvisamente fiorito sotto la bacchetta di una fata. Ella andava, veniva, sorrideva, mi interrogava, mi faceva delle proposte per disporre meglio certi mobili, mi parlava di tanti piccoli nulla che pel suo genio di donna avevano una grande importanza; ed io non sapevo persuadermi fosse quello il primo giorno ch'ella stesse con me ed abitasse la mia casa. C'era dappertutto un nuovo colorito vivace, chiassoso che mi abbagliava: c'era un profumo soavis simo che deliziava le narici e penetrava fino all'anima; c'era una musica paradisiaca, come di un'orchestra invisibile, destata dal voluttuoso fruscio della sua veste di seta: mi pareva strano, quasi impossibile che tutte queste cose non ci fossero mai state fino allora! Presi per mano, andavamo in salotto senza sapere perché; tornavamo addietro girando per le altre stanze, fermandoci innanzi un quadro, una stampa, un gingillo di porcellana, cosí spensierati, cosí contenti, cosí felici da non metter fuori nemmeno un'esclamazione per dircelo a vicenda con un semplice monosillabo. Parlavano piú efficacemente, piú profondamente gli sguardi; e quando essi non bastavano aiutavano i baci. Che baci, Signore Iddio! Che baci! La sua stanza da letto fu adornata come un piccolo santuario dell'amore: tutta cortine candidissime, tutta ombre e frescura, pareva, entrando, prendervi un bagno vivificante di giovinezza e di felicità. Come ero superbo di quel santuario cosí elegante e civettuolo, intorno al quale avevo speso tante cure meticolose quasi si fosse trattato di un'opera d'arte! E come ero beato di vederla il mattino uscire di lí avvolta nel suo bianco abbigliamento da toeletta, con la cuffiettina da notte che ratteneva a stent o i capelli disciolti, coi nastri di essa che le svolazzavano per le spalle e sul petto, e coi piedi entro le microscopiche pantofoline rosse che affasciavano di quando in quando la punta sotto gli orli della veste come due linguette di serpenti! Pensavo alle belle apparizioni delle dee antiche sognate dai greci e sentivo diffondersi per l'aria attorno un odore soavissimo come di cosa sovrumana. Per piú settimane i limiti del nostro quartierino segnarono per noi gli estremi confini del creato! Vi era intanto un che di austero in quel sogno di amore! Cecilia, benché si sforzasse di non mostrarmelo, provava in tanta felicità una tristezza che giornalmente diventava piú intima e piú profonda. I suoi occhi avevano spesso degli sguardi di un abbandono inesprimibile; sulle labbra le appariva frequente un sorriso che toccava il cuore come un rimpianto. Non era, lo capivo, a una felicità sparita che rivolgevasi quell'indefinito sospiro dell'anima; ma ad una felicità che le pareva fuggisse via di mano in mano che ella si accorgeva diventasse piú intensa. E ques to metteva nella nostra vita un'intonazione elevata, austera che me la rendeva piú cara. La mia stanza da studio fu adornata per suo consiglio di vasi di fiori. Rimpetto al tavolo dove leggevo o scrivevo, ella situò il suo tavolino di lacca intarsiato in madreperla, col cestino del lavoro e qualche libro; e sedeva lí sur una poltroncina bassa, covandomi coi suoi sguardi e coi suoi sorrisi pieni di un sentimento di premura quasi materna, di qualcosa insomma che trascendeva qualunque straordinaria espressione di amore. Spesso mi levavo dal tavolo, andavo a sedermele accosto per terra e, la testa sui suoi ginocchi, le domandavo con un gesto delle labbra la mia elemosina di baci. Altra volta era lei che mi s'avvicinava in punta di piedi per dirmi dolcemente all'orecchio - Maurizio, ti affatichi troppo! E mi distraeva dallo studio coll'accarezzarmi e col baciarmi. Ingrati come tutti gli amanti, non ritornammo piú ai giardini pubblici, non ne parlammo nemmeno una volta. Ella si chiuse in casa pari a quelle femmine di uccelli, che nel tempo della cova non abbandonano mai un solo momento il lor nido e vi son nutrite dal maschio che va in busca di preda. Non voleva piú veder nessuno, nemmeno la sorella; tutto il suo mondo era circoscritto in quelle nostre stanze; che le importava del resto? Mi pregava intanto di non sacrificarmi per lei. Amici, conoscenze, relazioni sociali, tutto dovevo coltivare come prima, senza mutare un'abitudine, senza venir meno a un dovere, senza mancare a una convenienza! ... Per carità, non la facessi accorta che mi fosse già diventata un impaccio! ... Pur troppo questo momento sarebbe arrivato! Che arrivasse almeno il piú tardi possibile! Tanta insistenza a dubitare dell'avvenire m'irritava un pochino e mi costringeva mio malgrado a riflettere. Ero forse mutato? No. Provavo dei sintomi di stanchezza e non mi accorgevo di mostrarli? Neppure per ombra. La Cecilia, conosciuta intimamente, superava perfino l'ideale che me n'ero formato al solo vederla. Ma quel suo lamento rassegnato mi feriva. In confuso capivo forse anch'io che qualcosa di ciò che ella prevedeva dovesse finalmente avvenire; ma m'illudevo volentieri e m'ostinavo a credere che invece non sarebbe punto avvenuto. - Perché sempre cosí triste? - le dissi un giorno. - Mi fai soffrire! - Io triste? - rispose sorridendo, ma in maniera che il sorriso ne smentiva le parole. - Non son mai stata tanto felice! - Temi sempre che il nostro amore ... - Chi ama teme! - m'interruppe. - Però tu mi hai giurato che il giorno in cui ti accorgeresti di non piú amarmi, saresti tanto generoso e leale da dirmelo subito. - E lo torno a giurare. - Del resto poi non aspetterò che tu me lo dica; lo saprò anche prima che tu stesso abbia coscienza del mutamento avvenuto. Con una donna che ama davvero è cosa inutile il mentire -. E sorrideva. Intanto le tremava la voce e aveva gli occhi imbambolati. Divenne, e mi pareva impossibile, piú tenera, piú espansiva. Sentivo nei suoi baci come un furore di affetto. Dalle sue carezze traspariva una smania, un tormento di volerne esaurire tutt'intera la dolcezza e uno scontento di non riuscire. Spesso mi chiamava a nome due, tre volte di seguito, unicamente pel piacere di pronunciare: "Maurizio! Maurizio!" - Matta! - le dicevo abbracciandola, e battendole sulla guancia colla punta delle dita, quasi per castigarla come una bimba cattiva. Insomma sembrava avesse fretta di godersi una felicità che vedeva dileguarsi a poco a poco. Io intanto vivevo tranquillo. Non scorgevo nei miei sentimenti e nei miei modi nessun mutamento. Naturalmente mi trovavo assai piú calmo; lo stato di esaltazione febbrile non poteva durare in perpetuo; ma quel godimento sereno, sempre uguale che vi era succeduto, mi sembrava piú dolce, piú intimo e per conseguenza piú duraturo. Le smanie della Cecilia, le sue tenerezze eccessive m'inquietavano stranamente, come un cattivo presagio. La rimproveravo con un accento che sembrava preghiera; e in seguito mi stizz ivo di non averla rimproverata con bastante energia; quella fiacchezza di rimproveri mi sembrava un delitto dalla mia parte. - Tu hai pianto! - le dissi un giorno, sorprendendola cogli occhi rossi e asciugati malamente in fretta nel sentirmi rientrare in casa. - No - rispose; - ho dormicchiato sulla poltrona; ho un po' di emicrania -. Mi appagai di quella risposta; ma rimasi inquieto fino a sera. Perché m'ero appagato? Non ero forse sicuro che la Cecilia aveva voluto nascondermi la verità? Sí, ella aveva pianto! E non mi era passato pel capo di dirle una parolina sola di conforto. Ingrato! Ma non trovavo il verso di riparare al mal fatto. Era un po' dimagrita da qualche tempo in qua, e un po' pallidina. Mi persuasi dopo alcuni giorni che doveva dormir poco. Una notte fui di un tratto svegliato da un fruscio di veste nella mia stanza. Apersi gli occhi con un senso d'indefinito terrore, e vidi la Cecilia accoccolata sul tappeto accanto al mio letto, coi capelli sciolti sulle spalle, colle mani aggrappate attorno un ginocchio, gli occhi spalancati, immobili sopra di me, le guance irrigate da lagrime che scorrevano silenziose. - Dio mio! Cecilia, che fai? - le dissi. E tentavo rimoverla da quella posizione attirandola per un braccio verso di me onde spingerla a levarsi. - Lasciami star qui! - rispose, - lasciami star qui, te ne prego! - Ma ti ammalerai! Sei fredda! Cecilia! - Lasciami stare! - Non rispondeva altro, né si asciugava le lagrime e continuava a guardarmi fisso. Mi posi a sedere sul letto accostandomi alla sponda, in modo di prendere la sua testa fra le mie mani, e cominciai a baciarla sui capelli, mormorando affettuosamente: - Cecilia mia! Levati su, per carità! Levati su! Parla che è stato?- Si alzò lentamente, come un'apparizione, ricacciò dietro le orecchie i capelli e mi tese le mani sorridendo sconsolata. I capelli nerissimi sciolti pel collo, l'accappatoio bianco, il pallore del viso, alla luce del lumino da notte che ardeva sul comodino entro un vaso di alabastro, davano a quella figura di donna un fascino sacro ... In quel momento ero superstizioso e credevo a qualcosa di un altro mondo. - Parla, che è stato? - tornai a balbettare. - Tutto è finito! - rispose con un filo di voce che parve quello di una moribonda. Poi, dopo una breve pausa, diessi a divorarmi dai baci per parecchi minuti di seguito in modo da togliermi il respiro e fuggí via. Rimasi fino al mattino cogli occhi fissati all'uscio da cui l'avevo vista sparire come un fantasma, incerto se avessi assistito ad una realtà o sognato a occhi aperti. Nella giornata non osai interrogarla sull'accaduto della notte. Ero sbalordito: credevo di aver ricevuto un gran colpo sulla testa e non mi stupivo di non riuscire a riordinar bene le idee. La vidi affaccendata a far dei preparativi che mi sorprendevano: ma non trovavo modo di aprir bocca per domandargliene ragione. Mi pareva che facesse un'operazione convenuta di accordo fra noi. Per un viaggio? Per una villeggiatura? Non lo rammentavo preciso; però quei preparativi erano tristi, mi stringevano il cuore, mi riempivano gli occhi di lagrime. Finalmente il mio spirito acquistò ad un tratto una sorprendente lucidità. Tutto era finito! Come? Cosí lentamente, cosí segretamente che non me n'ero accorto io medesimo; ma pur troppo tutto era finito! La Cecilia aveva detto una cosa che la mia mente non avrebbe saputo esprimere per cento ragioni, e sopratutto perché si rifiutava a credere quello che imaginava non avrebbe dovuto accadere. La Cecilia era calma. Ripiegava i suoi vestiti di mano in mano che li toglieva dall'armadio e li situava nelle casse. Ogni abito era per me un ricordo di un giorno di beatitudine, di un'ora felice, e a vederlo riporre, mi pareva assistere alla tumulazione di una particella del mio povero cuore ... Soffrivo un dolore compresso, un acuto limío, ma non avevo il coraggio di accostarmi a lei per dirle: - Rimani! Ricominciamo daccapo! - Non volevo mentire; non avrei neanche saputo. Sentivo tutta ora la stanchezza di una situazione irregolare, nella quale ci eravamo imbarcati io colla spensieratezza di un uomo appassionato, ella colla rassegnazione del sagrificio di una donna che ama! Pensavo con tristezza: - Perché non può durare? Perché non deve durare? - E la riflessione rispondeva tranquillamente: - È la legge! - Tornai dopo alcuni giorni ai giardini pubblici per rintracciarvi un passato che piú non trovavo dentro di me. Era la stessa stagione del nostro primo incontro, la primavera. Gli alberi ricchi di fronde; le aiuole verdi di erbe e qua e là fiorite; il sole, prossimo al tramonto, scherzava coi raggi fra le foglie agitate dai venticelli della sera. Ahimè! Quei viali, quelle frondi, quelle aiuole non mi dicevano piú nessuna delle mille celesti cose rivelatemi una volta. I zampilli mormoravano stupidamente monotoni; le acque dei laghetti e dei canali torbide, verdastre, riflettevano il cielo e gli oggetti in un tono di colorito che faceva schifo. Le rane, nascoste tra le foglie delle ninfee, gracidavano una musica degna del posto, che ora mi sembrava pretenzionoso e volgare. Gironzolai qua e là, facendo ogni sforzo per evocare una sensazione, un sentimento; ma invano. Il viale dei Boschetti mi parve tristo, lungo, basso da mozzare il fiato; dal canale accanto esalava un cattivo odore di borraccina che non avevo mai avvertito. E andando via rimuginavo: - Ma è dunque vero che questo mondo di fuori sia una mera creazione del nostro spirito, uno scherzo, un'illusione? Povera Cecilia! Tu non avresti mai creduto che perfino il mio rimpianto di amore sarebbe un giorno sfumato perdendosi fra le nebbie di un problema di metafisica!

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