Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonarlo

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Cosima

243878
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Non si poteva abbandonarlo cosí; anzi si pensò di far venire un dottore, e se il servo si aggravava di portarlo in paese. Queste premure parvero scuoterlo e ravvivarlo. Cosima gli offrí una tazza di caffé, gli aggiustò il giaciglio, rimise in ordine la stanzetta. E ogni tanto lo guardava con occhi pietosi, senza dimostrare ripugnanza per quel lungo corpo ricoperto di stracci maleodoranti come quello di un mendicante, coi grossi piedi scalzi terrosi e tutti tagliuzzati per cicatrici di sterpi e spine, che pareva avessero camminato attraverso interminabili lande per arrivare a quel piccolo rifugio ospitale. Egli stava ad occhi chiusi; ma d'improvviso li aprí, un po' febbrili e lucidi, e la guardò come un cane malato. Uno sguardo, solo, ma Cosima vide un misterioso balenio in fondo alle pupille che non erano quelle del duro e freddo Elia, ma di un uomo disperato, che aveva paura di morire solo, abbandonato, come un vecchio cane. Gli si avvicinò e disse: «Come vi sentite? Faremo venire il dottore, o vi porteremo a casa.» Egli accennò di no, di no: per quanto solo e malato, non voleva il dottore e non voleva muoversi dalla sua tana: ma l'occhio gli si era rischiarato, pieno di una dolcezza, quasi di un sorriso infantile. «Andate, andate pure» disse. «Vadano pure a casa, signorina, lei e la signora padrona: bisogna pigiare l'uva e metterla nel tino.» «Eh, non la pigiamo noi, coi nostri piedi» disse Cosima, tentando di scherzare. «C'è poi Andrea, che ci bada: non pensateci. E poi il tempo si cambia: minaccia di piovere. Non vogliamo lasciarti cosí, zio Elia.» Ella lo chiamava cosí, come si usava con tutti i vecchi servi; ma era la prima volta che egli si sentiva accomunato agli altri, come fosse nato nella stessa terra e tutto il suo passato sprofondasse quasi in una vita anteriore. Tuttavia non parlò, non dimostrò la sua gratitudine: anzi fece un po' indispettire la padroncina col rispondere sempre con un cenno negativo del capo a tutte le sue domande premurose. No, egli non voleva il dottore, non voleva muoversi, non voleva che nessuno si disturbasse per lui. Vecchio testardo. Pareva volesse morire solo, come solo era vissuto. Ma le padrone restarono, finché arrivò Andrea che portò del chinino: si discusse però se si doveva o no somministrarlo al malato: e del resto la discussione fu vana, perché egli dichiarò che non avrebbe preso nessuna medicina. Durante la notte si scatenò una forte bufera: la grandine mitragliava la piccola casa, e il pino urlava come un mostro. Dietro gli scurini mal connessi i vetri della finestra parvero spaccarsi e spargersi in frammenti d'oro e d'ametista, con un rombo spaventoso. Lampi e tuoni. Non c'è da nascondere che Cosima aveva paura e la madre tremava come una fronda sbattuta dal vento. Storie spaventose di banditi e malfattori, che in notti simili sbucano come demoni dalla tempesta e assalgono le dimore solitarie, tornavano in mente alle donne: e il fatto che il servo e Andrea erano rimasti sul posto, non le rassicurava. Il vento gridava e piangeva nella pianura come nel mare, e solo il pino pareva potesse combattere con l'uragano come un eroe inferocito contro un intero esercito. Nel suo giaciglio Elia, con la febbre alta, ricordava come il signor Antonio lo aveva accolto benevolmente quando lui si era presentato in cerca di lavoro, mentre nessun altro dei diffidenti proprietari del luogo aveva accettato la sua offerta; e il padrone gli aveva affidato la vigna nuova, l'orto, la terra intorno. Adesso il vecchio amava questa terra con una passione tenace; era diventata la sua nuova patria, la sua famiglia; e il solo pensiero che i padroni giovani avrebbero potuto mandarlo via, come una vecchia bestia che non può più lavorare, lo colmava di tristezza: non per la probabile ventura povertà, ma per l'amore alla terra che oramai faceva parte della sua carne e del suo sangue. Ed ecco, invece, la padrona e la signorina, e lo stesso Andrea, si mostravano benevoli, fino al punto di restare vicino a lui in quella notte tempestosa mentre avrebbero potuto già essere nella loro casa tranquilla. E non lo avrebbero cacciato, no: lo sentiva; lo aveva sentito nella voce di Cosima, e gli sembrava che questa voce fosse l'unica medicina che potesse guarirlo. E la certezza che un giorno forse avrebbe potuto dimostrarle la sua riconoscenza, già lo alleviava dal male. All'alba il tempo si calmò, d'un tratto, dopo un tuono formidabile che parve un ordine militare: la battaglia doveva cessare. Solo il pino continuò in un suo lieve brontolio, quasi pensieroso. Cosima lo sentiva nel sonno lieve del mattino: e le pareva che il pino mormorasse: "Perché tutto questo? Si combatte, si soffre, ci si tormenta per nulla: la forza del vento è vana; tutto è vano e vuoto; eppure bisogna combattere perché cosi vuole Dio". Poi tacque anche l'albero; ma quando Cosima aprí la finestruola vide uno spettacolo indimenticabile: centinaia di uccelli svolazzavano sui rami battuti dal sole, e parevano d'oro e d'argento: ogni loro battere d'ali faceva cadere goccie simili a scintille: e ad ogni ago delle foglie era infilata una perla dai colori dell'iride. Pareva un albero magico, fatto di uccelli, di rubini, smeraldi e diamanti.

Pagina 144

Cerca

Modifica ricerca

Categorie