Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Fisiologia del piacere

170755
Mantegazza, Paolo 2 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
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Vi sono momenti per gli uomini di ferrea volontà nei quali essi si sentono sovrani dispotici di se stessi e, quasi serrassero in pugno il cuore e il cervello, godono di un vero spasimo, pensando che con uno stringere o un allentare di palme possono soffocare il cuore o lasciarlo palpitare gonfio di vita, possono far tacere il pensiero o abbandonarlo alla più spontanea e tumultuosa attività. Difficilissimo però è il non abusare della volontà, quando essa ci è concessa dalla natura robusta e prepotente. Si può cominciare con la più innocente ostinazione, o coi giuochi più comuni del volere, e si può finire colla tirannia più feroce esercitata sopra sè o sopra gli altri. In questi casi si diventa adoratori maniaci della propria forza, e, dimenticando che essa non è che uno strumento accordatoci per pervenire al bello, al buono e al vero, si rende la volontà scopo a se stessa. Si immaginano gli sforzi più straordinari, si tentano le prove più ardite di ginnastica morale, e si arriva a comandare a se stessi l'amore o l'odio, il riposo o il lavoro, la virtù o il vizio. Questi atleti della volontà, quando dànno una direzione unica alla forza che si sviluppa in essi, possono arrivare ad una straordinaria altezza, sia nel vizio come nella virtù. Il governo della loro mente si riduce a un principio che domina sovrano e che comanda a tutte le facoltà soggette per mezzo della volontà. Tutti i sentimenti, dai più generosi ai più vili, tutti i poteri intellettuali non possono agire per propria ispirazione. Una delle forme morbose più frequenti della volontà è l'ostinazione. In questa malattia l'uomo esercita un grande sforzo di volontà per un'azione che non lo merita, e continua a volere anche quando la ragione o il dovere dovrebbero persuaderlo a mutar d'avviso. Nei piaceri ch'egli prova entra quasi sempre l'esercizio di una lotta, o una sodisfazione colpevole dell'amor proprio. In ogni caso l'ostinazione è sempre un aborto o una forma mostruosa di una potenza nobile e generosa, e va quasi sempre unita, all'ignoranza o alla vanità. In alcune forme di capricci, che riescono tanto cari ai fanciulli e alle donne, entra sempre, come elemento principale un abuso della volontà, e la fisonomia di queste gioie, a differenza delle altre che spettano alla stessa famiglia, presenta un carattere meschino nel quale entrano sempre un dispetto e un piacere. I piaceri fisiologici della volontà sono meglio gustati dall'uomo, giovane o adulto. Credo che nei paesi del nord questa facoltà abbia una tempera più robusta. La massima differenza però è segnata dall'organismo individuale. Alcuni non hanno mai provato una sola gioia pura del volere, mentre altri coltivano questi piaceri con una sollecitudine speciale, e se ne regalano ogni giorno una certa dose. Si può esser grandi anche senza aver mai provato la ferrea gioia del volere; ma non si può possedere questa forza, a un dato grado di potenza, senz'avere una certa superiorità nel bene o nel male.

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L'egoista è così avaro della vita, che arresta improvvisamente le oscillazioni del sentimento, che vibra in simpatico accordo con la gioia, e preferisce di storpiare il piacere, di renderlo rachitico e deforme, piuttosto che di abbandonarlo ad una generosa espansione. I sentimenti patologici hanno quasi tutti un'espressione falsa e morbosa, come è facile prevedere. Il piacere prodotto da un sentimento colpevole è un vero male morale, per cui ridesta a vita gli affetti patologici. Una gioia pura invita alla propria festa i sentimenti nobili e generosi, i quali vi partecipano colle loro diverse armonie, formando in questo modo un delizioso concerto. Il piacere colpevole, invece, sembra chiamare alla sua orgia gli ospiti più ripugnanti, i quali sorridono al loro anfitrione col ghigno dell'ebbrezza più invereconda e tempestosa. Così l'uomo che prova la triste compiacenza di aver calunniato un suo rivale, ride di un riso che fa paura, e chiamando a raccolta la mente ed il cuore, medita nuove colpe che gli concedano nuove gioie. In questo modo si possono avere feste patologiche nelle quali l'uomo, che si rallegra di un delitto, cerca chi beva con lui alla coppa infame che lo inebbria. Altra volta la gioia è pura nella sua origine, e non è colpevole che nella sua espressione. Il contrasto che ne risulta è veramente ributtante. Una festa popolare che termina colla caccia del toro, o col crudele combattimento dei galli è veramente morbosa, quantunque vi siano ancora in Europa nazioni che se ne rallegrino. Fortunatamente queste malattie morali, passando attraverso le generazioni, hanno perduto della loro virulenza e pestifera natura. Anche l'ubbriachezza può essere un'espressione morbosa del piacere.

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