Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonarla

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Giovanna la nonna del corsaro nero

204705
Metz, Vittorio 1 occorrenze
  • 1962
  • Rizzoli
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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"Forse è meglio abbandonarla" disse Nicolino. "Qui la faccenda comincia a puzzare di bruciato." Infatti, alcune palle incendiarie lanciate dal galeone spagnolo avevano appiccato il fuoco in più punti del vascello. Il Corsaro Nero che oltre ad avere l'occhio d'aquila, l'orecchio della volpe e l'agilità della tigre, aveva anche il naso di un bracco, annusò l'aria: "Purtroppo," disse"non sento nulla... Tutto è perduto, anche l'odore! Comunque, signor nostromo, avete ragione..." Gridò alla ciurma che si affrettò ad obbedire correndo verso il barcarizzo: "Calate le scialuppe di salvataggio! Prima le nonne e i bambini!" "Ma non ci sono bambini a bordo" obiettò il Pirata Col Coperchio. "Jolanda è sempre la mia bambina, per me" disse il Corsaro Nero con voce commossa."Su, montate sulla scialuppa anche voi" disse rivolto al nostromo Nicolino. "Come uomo di mare potrete aiutarli a raggiungere la costa..." Giovanna, Jolanda, il maggiordomo Battista e il nostromo Nicolino montarono sulla scialuppa di salvataggio. "Ma il comandante non deve andare a fondo con la sua nave?" tentò di obiettare Giovanna. "Mi sia consentito il dire" disse il maggiordomo Battista mentre i pirati facevano calare la scialuppa in mare "che se voi ve ne andate c'è speranza che la nave si salvi..." "E mio nipote?" domandò Giovanna. Il maggiordomo indicò il cassero della nave sulla quale si stagliava contro il cielo azzurro la cupa figura del Corsaro Nero. "Guardate lassù," disse "il Corsaro Nero piange."

Pagina 22

C'era una volta...

218629
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1910
  • R. Bemporad e figli
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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— Se una femmina quando avrà compiti i sette anni, dovrete condurla in cima a quella montagna e abbandonarla lassù: non ne saprete più nuova. — Consulterò la Regina. — Vuol dire che non ne farete nulla. - Stretto fra uscio e il muro, il Re accettò. Il forestiero cavò di tasca una boccettina, che gli spariva fra le dita e disse: Ecco il rimedio. Questa notte, appena la Regina sarà addormentata, Vostra Maestà glielo versi tutto intero in un orecchio. Basterà. — Infatti, dopo nove mesi, la regina partorì e fece una bella bambina. A questa notizia il Re diede in uno scoppio di pianto: — Povera figliolina, che mala sorte! Che mala sorte! - La Regina lo seppe: — Maestà, perchè avete pianto e: Povera figliolina, che mala sorte? — Non ne fate caso. — La Reginotta cresceva più bella del sole; il Re e la Regina n' erano matti. Quando entrò nei sette anni, il-povero padre non sapeva darsi pace, pensando che presto doveva condurla in cima a quella montagna, abbandonarla lassù e non averne più nuove! Ma il patto era questo: bisognava osservarlo. Il giorno che la Reginotta compì i sette anni, il Re disse alla Regina:

Pagina 78

Il ponte della felicità

219110
Neppi Fanello 1 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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Ella si proponeva di non abbandonarla mai, quella vecchia, fin che la poveretta non avesse chiuso i buoni occhi stanchi di lacrime per aprirli soavemente alla vita eterna. Delle tre donne che vivevano nella casetta di Zuambattista Benedetti, Lucrezia Sagredo era, nella sua infelicità, la più lieta, perchè la magica speranza la sosteneva ancora, avendo di comune accordo, nonna Bettina e Loredana, deciso di tacerle la loro sciagura e di lasciarle credere che Alvise sarebbe presto tornato in compagnia di Lorenzo Sagredo. La cieca soleva dire sovente: - Sebastiano Veniero ha liberato diecimila prigionieri delle galee turche; Alvise libererà il mio povero prigioniero dalla dorata dimora di Alì pascià. - E poi, quanti castelli in aria ella costruiva su quel sospirato ritorno che il suo cuore invocava di continuo! Il maestrale seguitava a soffiare impetuoso dal mare aperto, aggrovigliava i lucenti fili della pioggia, e all'imbocco delle calli investiva la giovinetta pensosa che se ne andava a capo chino, stretta nel suo logoro mantello. Ella pensava ora a messer Antonio, e il buio fondaco del vecchio le appariva in quegli istanti come l'antro dorato di un mago buono. Giunta finalmente nella nota viuzza, trovò la porta del fondaco spalancata. Ne varcò rapida la soglia, ma poi si fermò, stupita: il magazzino era vuoto, e le pareti umide mostravano tutte le loro screpolature. Loredana si guardò intorno, quasi a interrogare angosciosamente quel muto squallore. Finalmente si riscosse e uscì. Poco lungi vi era la bottega di un cordaio; vi si diresse. - Scusate, dove è andato messer Antonio? - chiese all'uomo intento al suo lavoro. L'artigiano levò lo sguardo dalla gomena che stava intrecciando e lo fissò per qualche attimo ....levò lo sguardo dalla gomena.... sulla fanciulla. Pareva che non avesse capito la domanda. Loredana la ripetè. Egli fece un gesto con la mano, che sembrava voler dire: «Eh, chi lo sa?», oppure: «Lontano, lontano assai». - E quando ritornerà? - chiese la fanciulla. - Cara la, mia giovane, da un certo luogo non si ritorna mai più. - Parve alla fanciulla che la voce di quell'uomo arrivasse a lei da lontano. Egli soggiunse: - È più di un mese che il povero messer Antonio ci ha lasciati. Morì all'improvviso. I suoi nipoti si precipitarono come le cavallette sul fondaco e lo vuotarono. - Tutto quello ch'egli sapeva lo aveva detto. Si rimise al lavoro. Tutto era silenzio. Non si udiva che il lievissimo fruscio della gomena che veniva intrecciata. Loredana osservò puerilmente che le mani dell'uomo erano scarne, dure, polverose come la canapa che egli stava lavorando; sembravano anche esse di fibra vegetale, risecchita e macerata. «Ora bisogna ch'io vada,» pensava frattanto; ma non riusciva a muoversi. L'uomo, sorpreso, la guardò di nuovo. Che cosa voleva ancora, quella giovane? Non le aveva forse già detto tutto? Credeva forse che egli potesse far ritornare messer Antonio dal misterioso e sconfinato mondo delle ombre? - Grazie e buona salute, - disse infine rapidamente Loredana e uscì. Il crepuscolo grigio e uggioso l'avvolse. Dietro l'esile figura non rimase che un impalpabile velo di nebbia. Sotto la pioggia che non cessava, la fanciulla riprese il cammino del ritorno. Il quadretto ch'ella aveva sotto il braccio le pareva diventato di piombo. Ricordava ora i giorni trascorsi con il babbo sui monti della val Pusteria, verde e assolata. Le cime nevose delle Alpi, i torrenti che percorrevano le strette valli, le strade di pietra spazzate dal vento, le case dei montanari, con le imposte di legno a riparo del lungo gelo invernale, il fumo che usciva a tarda sera dai comignoli, le voci ignote che parlavano un dialetto aspro; tutte queste immagini si succedevano nel suo ricordo e l'immaginazione le rendeva ancora più attraenti. Quei magici ricordi avevano intanto spazzato via tutto il grigiore che c'era nell'aria e alleggerito la tristezza che le pesava sul cuore. Camminava ora, sollevata e gioconda, e non le pareva di stringere sotto il mantello il suo inutile lavoro, bensì il braccio del babbo amatissimo, del babbo che pure non sarebbe ritornato mai più! Nella straducola che costeggiava a tergo il palazzo Pisani Moretta si ergeva una modesta casa con un portico basso e annerito dalle intemperie. Sulla soglia di pietra stava seduto il sonatore girovago detto Màuria, tenendo stretto a sè il suo cane ispido. Una combriccola di monellacci si divertiva a dileggiare il povero vecchio e a stuzzicare il cane, che ringhiava minaccioso. C'era sul viso del vagabondo un'espressione di sconfinata tristezza veramente commovente. Le sue giornate di pena, i malanni che lo affliggevano, la miseria ch'egli trascinava con sè per le strade fangose, per i cascinali, sotto la canicola o sotto il nevischio, si traducevano nelle sue rughe profonde e nel suo sguardo rassegnato. Ma chi può frenare i monelli quando vogliono divertirsi per eludere la noia delle giornate piovose? Il vagabondo rimaneva lì, muto, a guardarli. Non si sarebbe detto che sotto quei miseri panni palpitasse un fuoco interiore. Eppure quel poveretto, che aveva nella sua triste vita sperimentato la bontà e più ancora la cattiveria degli uomini, celava dentro di sè tanta ricchezza di luce, tanta profondità di cielo da far impallidire ogni esteriore miseria, ogni umana bruttura. Egli aveva fede in Dio, e tenendosi vicino a Colui che passò sulla terra soffrendo e beneficando, si era liberato dal desiderio delle cose umane, labili e caduche. Quando Loredana, camminando trasognata, arrivò presso la casetta dal portico, il chiasso vi regnava altissimo, giacchè i monelli gridavano tutti insieme a squarciagola. Improvvisamente il cane lupo, riuscito a liberarsi dalle tremule mani del vagabondo, si avventò feroce verso gl'inconsci carnefici. In quell'istante la confusione fu indescrivibile. Tutti fuggirono, spaventati. Un piccino, accecato dalla paura, sbagliò direzione e cadde nell'acqua del canale. .... precipitò anche lei nell'acqua. Al tonfo sordo Loredana alzò gli occhi proprio in tempo per vedere il corpicino che stava per sparire nell'acqua verdastra. Fu un attimo. Liberatasi dal mantello, si protese sulla riva per afferrare il ragazzo, ma perse l'equilibrio e precipitò anche lei nell'acqua. Un gelo terribile l'avvolse e le paralizzò i movimenti. Tuttavia non andò a fondo, ma riuscì a mantenersi a galla sull'acqua torbida. Il cane lupo, riconoscendo nella pericolante la sua piccola amica, le aveva afferrato con i forti denti un lembo della veste e lo teneva validamente. Intanto la gente era accorsa, e il bimbo e la fanciulla furono tratti in salvo. Da una finestra del suo palazzo, Teodora Pisani Moretta aveva assistito alla rapida e drammatica scena. Con quella pietà che sempre l'aveva distinta, si affrettò a scendere per portare soccorso ai disgraziati. Fu così che la porta dell'aristocratica casa si aprì all'infelice Loredana. Dietro di lei, portando il mantello e l'inutile quadretto, venivano il sonatore girovago e il suo ispido cane.

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