Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

188818
Pitigrilli (Dino Segre) 3 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Il grammatico francese Beauzée, avendo notato che sua moglie manifestava delle debolezze per il suo segretario, ebbe uno scambio di parole con costui, il quale gli propose lealmente di abbandonare l'impiego. Poichè però le cose fino a quel momento si erano fermate agli aperitivi, il grammatico lo trattenne, invitandolo a un maggior rispetto per il pudore della casta sposa e per la santità del focolare. Ma la carne è fragile, e qualche tempo dopo Beauzée sorprese i due infedeli in un atteggiamento che non lasciava dubbi di interpretazione, e il giovanotto, ravviandosi i capelli, gli disse: - Vous voyez Bien qu'il fallait que je m'en aille. - Que je m'en aillasse - corresse il grammatico, ferito più per l'oltraggio al congiuntivo che per l'oltraggio al suo onore. Non so se fu un grande cornuto, ma aveva dello stile. Almeno in questa seconda parte cercate di imitarlo.

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Costoro hanno dimenticato che la parola è un mezzo, uno strumento, e che se eccezionalmente ci si può abbandonare all'inconcludente «bavardage», al mondano «marivaudage», e ammettiamolo pure, alla «stultiloquentia» deprecata dai classici romani, questa distensione igienica dello spirito va considerata come il fare «quattro passi» senza direzione e senza scopo, quando si vogliono sgranchire le gambe. Affinchè il parlare inconcludente non si trasformi in un abito mentale bisogna non contrarre l'abitudine di parlare da sé. E' un avvertimento che riservo in modo particolare alle donne. Da giovinette cominciano col canterellare, automatismo che accompagna i loro gesti: infilarsi le calze, pettinarsi, contemplare le stelle. Questa distensione a fondo musicale si trasforma presto in parole, in frasi, in ragionamento. La signora che dispone in un cassetto i suoi fazzoletti, dirà a se stessa: - Uno... due... e quello dall'orlo celeste, dove sarà andato? Ah, è qui. E tre. Mi manca quello con le iniziali. Dev'essere, dev'essere, dev'essere... Beh, salterà fuori. Il marito, dall'altra stanza, domanderà: - Che cos'hai detto? - Ah, niente! Oppure la signora sta cucendo: - Queste forbici non tagliano più. Bisognerà portarle all'arrotino. Per ora le metto qui, per non dimenticarmene. Il marito, sollevando gli occhi dal giornale: - Hai detto a me? - No no, caro. Oppure fa un'addizione, a mezza voce; - Cinque e sei undici, e due tredici, e quattro diciassette, e tre venti, zero e ne riporto due. - Hai parlato? - No, non ho nemmeno aperto bocca - risponderà la signora, in perfetta buona fede. E il marito si abituerà a questo ronzìo di parole non dirette a lui, di frasi inutili, di divagazioni accompagnate da un bisbìglio che diventerà un bisbiglìo, e che finirà per non udire più, come non si sente più, dopo qualche notte, il treno che fischia sotto le nostre finestre, il chioccolìo della fontana vicina, le ore battute dall'orologio. Per quanto sonoro sia il campanello della pendola ed energico il suo martello, quando vogliamo sapere che ora è dobbiamo andare a vedere il quadrante. Verrà il giorno in cui la moglie dice: - Io esco. Sul fornello c'è il lesso. Fra mezz'ora, spegni. - Sì, cara, ci penso io - risponderà il marito leggendo, o facendosi la barba, o pensando ai casi suoi. E quando la signora rientra, il lesso è trasformato in un pezzo di carbon fossile e le patate di contorno in altrettante meteoriti. Nel primo stadio dell'avventura matrimoniale tutto si concluderà con una risata, e si rimedierà con due ova o con la risorsa del restaurant. Ma negli stadi successivi la moglie dirà: - Quando parlo io, è come se miagolasse il gatto. Rispondo io per il marito: nossignora, quando il gatto miagola, qualche cosa ha da dire: vuole da mangiare, o chiede che gli si apra la porta per andare in giardino, o per altri scopi onesti o disonesti. Il cane, il gatto, il canarino non fanno mai sentire la loro voce senza una ragione, e il marito si infilerà la giacca per condurre nella strada il cane, o andrà in cucina a cercare una foglia di lattuga, o domanderà al gatto che cosa desidera. Il soliloquio della moglie lascia solchi monotoni nella coscienza del marito, e le parole importanti, quando arriveranno, continueranno a dare il medesimo suono, senza imprimere tracce. - Quando parlo io, e come se parlassi al deserto. E' raccomandabile abituarsi a pensare in silenzio. La fuga di un pensiero può essere fatale come una fuga di gas. I giudici di un «bailliage» francese nel 1768 condannarono al supplizio della ruota - essere rotto vivo a colpi di sbarra di ferro - un vecchio padre di famiglia di nome Martin, per una sua frase infelice, sfuggitagli dalle labbra. Su una strada di grande comunicazione era stato commesso un delitto: furto e assassinio per rapina: a pochi passi dalla casa dell'accusato si trovarono sulla sabbia impronte di scarpe che la polizia scientifica d'allora attribuì a lui. Un testimone al fatto dichiarò categoricamente «non è lui l'assassino». Ce n'era abbastanza per farlo assolvere per insufficienza di prove. Ma il vecchio innocente, per un'involontaria reazione, disse fra sé e sé: «Dio sia lodato! Ecco uno che non mi ha riconosciuto!» Voleva dire: «Ecco finalmente un galantuomo che ha la lealtà di mettersi contro i testimoni di accusa, e con una probità che contrasta con la faciloneria e l'incoscienza dei soliti testimoni, ha l'onestà di non riconoscermi!». La frase fu raccolta da uno dei tre giudici, che la interpretò in altro senso, come se avesse voluto dire: « io sono colpevole e non mi ha riconosciuto!» Quelle parole significavano il contrario. Il tribunale (che il Cielo ci liberi dagli psicologi togati e dagli psicologi in uniforme!) aderì alla sua tesi, e pronunciò la condanna a morte, che fu confermata dalla Corte d'Appello de la Tournelle. Due giorni dopo che l'innocente fu giustiziato, un criminale condannato alla stessa pena per un altro delitto dichiarò sullo stesso patibolo che il colpevole era stato lui. Piccolo contrattempo che, come al solito, non compromise la carriera dei tre signori del Tribunale e delle cinque Eccellenze della Corte, né tolse loro l'appetito, ma intanto un innocente per mancanza di self-control aveva lasciato sulla ruota le ossa e la vita.

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Dai primi è facile difendersi perchè si autodenunciano alla prima idea che manifestano; e poichè nella loro intelligenza insufficiente o male orientata c'è fatalmente una percentuale di malvagità, ci sentiamo autorizzati ad abbandonare la tattica di difesa passiva, per passare noi all'attacco e fargli capire che lui e noi parliamo due differenti linguaggi. Ma lo spiritoso si considera investito di una missione benefica. Offre «bons mots», distribuisce «calembours» come un fumatore bene educato porge il suo pacco di sigarette. E' un uomo che ha rinunciato al sacrosanto diritto di ragionare e di formarsi delle opinioni, perchè la sua costante preoccupazione è scoprire coincidenze di vocabolario, similitudini tra incidenti che non hanno relazione fra di loro, accogliere la frase del suo interlocutore come un pretesto per costruirci sopra un gioco di parole. Nulla di più innocente, in apparenza. Ma fastidioso. Questo soggetto patologico può divenire un pericolo: chiamato come arbitro in una questione, torcerà il collo alla logica e alla verità per il gusto di far uscire dal suo cappello di prestidigitatore il coniglio, e, testimone a una discussione in cui è in gioco un punto di vista, rovescierà colui che ha ragione, col far ridere l'uditorio per mezzo della più consumata (e perciò più apprezzata, dagli ignoranti e dai superficiali) fra le facezie del suo repertorio. Se l'uomo ostinatamente spiritoso è un nostro amico, non possiamo far assegnamento sulla sua amicizia, non possiamo sperare che ci risparmi, perchè passerebbe sul nostro cadavere, oltraggerebbe la nostra reputazione, ci causerebbe un danno patrimoniale per il piacere di continuare a essere colui che ormai è qualificato dall'opinione pubblica un signore che «non prende nulla sul serio». Un giorno però giunge anche per lui il giusto castigo. Si racconta di un tale che disse allo zio: - Come stai, zio? Lo zio, sapendo di aver a che fare con un nipote spiritosissimo, esitò un momento a rispondere e poi gli disse: Vuoi ripetere, per favore? Il nipote ripetè : - Come stai, zio? Lo zio si strinse nelle spalle, dandosi per vinto, e confessò: - Abbi pazienza, ma questa non l'ho capita. Un duello recente fra due giornalisti parigini cominciò con un «calembour» che l'altro non capì, o comprese a modo suo. Replicò con un altro «calembour» che, per un perverso gioco di coincidenze, non piacque al primo. Si spiegarono sul terreno. Duello alla pistola. Come tutti i duelli alla pistola doveva finire zero a zero, o al massimo, con la morte di un passero che curiosava da un albero o con un proiettile nel cappello a cilindro di uno dei testimoni. Questa volta il destino volle fare dello spirito anche lui, e tutti e due gli avversari risultarono feriti. Ma il peggior castigo dello spiritosissimo a ogni costo, gli tocca quando va all'estero. Al di là della frontiera lo spiritosissimo non fa ridere. Sulla sua valigia di fuochi d'artificio c'è un divieto di importazione. Gli attori che mettono in scena commedie straniere sono costretti a dare grandi sciabolate di lapis rosso, perchè «qui questa battuta non sarebbe capita».

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