Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Numero di risultati: 4 in 1 pagine

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D'Ambra, Lucio

220384
Il Re, le Torri, gli Alfieri 2 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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. — Ella può, marchese, abbandonare il suo posto. Sua Maestà il Re viene ad occuparlo. Il Re infatti entrava poco dopo, ristorato da alcune ore di sonno tranquillo, fresco, sorridente, allegro, indossando il più delizioso abito da mattina che mai sarto elegantissimo abbia cucito per un giovane re. Strinse la mano a don Pedro, sorrise e inchinò il capo a tutti gli altri, salutò me con un leggero cenno di mano e sedette su la poltrona Impero che io occupavo poco prima. Dalla comoda poltrona di marocchino rosso dove ero tranquillamente tornato, benevolo spettatore, dopo aver anch'io recitato la mia breve parte in commedia, vidi il mio regale amico trarre dalla tasca posteriore del suo pantalone il portasigarette dorato da cui prese una sottile sigaretta bionda che accese ad un fiammifero offertogli con sussiego dal presidente del Consiglio. Immediatamente, dopo aver scambiato poche parole indifferenti coi ministri su la bella giornata che si annunziava dal cielo limpidamente sereno, prese la penna e incominciò a firmare con la sua grossa scrittura diritta il pacco di decreti che don Pedro aveva rispettosamente posto d'innanzi a lui. Quando, dopo altri venti decreti, gli capitò davanti quello che riguardava don Alvaro e che il primo ministro aveva delicatamente insinuato tra gli altri, Sua Maestà lo scorse rapidamente e lo firmò sera muovere ciglio, con un'ombra appena di sorriso che poteva sfuggire agli altri ma che non sfuggiva a me. Il Re si levò sùbito dopo, mentre i ministri lo imitavano. M'ero levato anch'io e il caso m'aveva posto vicino al ministro della Guerra antimilitarista, che s'era avvicinato al presidente del Consiglio. — Io non mi sono opposto, — disse il ministro della Guerra — non mi sono opposto alla nomina di don Alvaro di Frondosa a Zarzuelopoli perchè conosco il vostro senno e sono sicuro che voi avrete già pensato a chiedere al Congresso i crediti per le nuove spese militari. Non si fa la guerra senza un esercito forte. Con mio rammarico perdetti la risposta del presidente del Consiglio poichè proprio in quel punto, mentre i ministri raccoglievano le loro carte e i loro cappelli a staio, Sua Maestà mi chiamava e mi manifestava con due parole succinte il suo compiacimento nel vedere che la difficile situazione era stata delicatamente spianata. — La soluzione, infatti, è un po' delicata, — risposi ricordando le parole del ministro degli Esteri. Sua Maestà, che è molto intelligente, capì tutto in un batter d'occhi. — Capisco. C'è il pericolo d'una nuova Iliade in pieno secolo ventesimo. Vuol dire che in tal caso lei ne detterà il poema. Il mio regale amico alludeva alle mie lontane velleità letterarie. — Non potrei tutt'al più che scrivere in prosa, Maestà, — risposi sorridendo con umiltà di prosatore. — Scusi, — rispose il re che è sempre pieno di spirito, — quel decreto è scritto in prosa ma, francamente, vale un poema.... Osservai in quel punto, volgendomi, che tutti i ministri s'erano radunati verso la finestra da dove potevano scorgere, esposti alla luce, la regale guancia e lo storico segno di cravache. Ma tutto era scoparso sotto un po' di cipria rosea, poichè, come c'insegna il Vangelo, torna alla cipria ciò che dalla cipria è venuto.

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Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245492
Grazia Deledda 2 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
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L'uomo intanto si era seduto dall'altro lato della tavola, senza abbandonare la sua roncola. Allora io trassi il taccuino e ne strappai alcuni foglietti blanchi. Sul primo scrissi: "Sono venuto a chiedervi la mano di Fiora. Voglio coltivare il mio terreno, e fabbricarci una casa,,. Spinsi il foglietto attraverso la tavola: l'uomo lesse; parve rassicurarsi; sollevò il viso e mi guardò. Ah, adesso, sì, i suoi occhi rassomigliavano a quelli del ritratto. Egli si rideva di me. Ma io tornai ad alzarmi, come sull'altura del mio terreno, e il mio aspetto e i miei occhi avevano certo qualche cosa di minaccioso perchè l'uomo ripiegò tosto il capo e rilesse il foglietto. Io feci il giro della tavola, mi misi accanto a lui, dominandolo con la mia persona; gli posi il lapis davanti. Egli ne bagnò la punta con la saliva, scrisse: "Fiora è fidanzata: lei sola deve scegliere il suo stato,,. Io mi chinai e scrissi: "Voglio sapere subito dov'è,,. E con mia gioia e sorpresa l'uomo mi diede l'indirizzo di lei. Potevo dunque cercarla, scriverle, dirle tutta la mia pena e le mie speranze, farmi intendere da lei. Fu tanto il mio sollievo, che non mi impressionò il vedere d'un tratto alcune figure d'uomini aggrapparsi alla finestra alla quale si era affacciata la vecchia. C'era anche il ragazzo col cane: e tutti mi guardavano attraverso le sbarre dell'inferriata come una bestia rara e pericolosa in gabbia. Lo stesso cane aveva una diversa disposizione verso di me: abbaiava, e il ragazzo doveva tenerlo fermo per impedirgli di entrare nella casa. Io non avevo più paura di nulla, di nessuno: mi sentivo la forza di lottare anche coi cani arrabbiati. Misi il foglietto con l'indirizzo nel portafoglio e anche questa volta lasciai intravedere il denaro che avevo là dentro. Vidi il ragazzetto che si volgeva agli uomini come per dire: "vedete che non sono stato bugiardo,,, e subito mi pentii del mio atto. I mietitori erano tutti dei poveri diavoli, tristi, bruciati dal sole e dalla fatica: mi pareva di averli insultati col far loro vedere il mio denaro e la mia speranza. Se ci fosse stata un'osteria lì accanto, li avrei invitati a bere: non potevo domandare del vino a quell'uomo che non cessava di tenermi d'occhio, con la sua roncola in mano: però mi venne una delle solite idee: salutai, e nell'andarmene feci segno al ragazzetto che mi venisse incontro nella strada. Ci arrivò lui prima di me. E io gli diedi una moneta, accennandogli di comprare del vino e distribuirlo a mio nome ai mietitori. Avevo fatto qualche centinaio di passi quando due di essi mi raggiunsero e mi si misero uno per fianco cercando subito di farmi intendere qualche cosa: mi proponevano, a quanto ho potuto capire, di farli lavorare nel mio terreno. Erano tutti e due scalzi, coi piedi enormi di vagabondi, coi capelli rossicci e il petto nudo che pareva scorticato. Al tramonto le loro ombre si allungavano come due pali davanti a me ai fianchi della mia ombra tozza; e le loro falci scintillavano. Mi destarono dapprima un senso di diffidenza: mi sembrava, guardando le nostre tre ombre sul bianco della strada, di essere Cristo fra i due ladroni. Ma gli occhi dei due uomini erano buoni, dolci, e mi rassicuravano. Si arrivò al paese che era già sera. Il mio treno partiva alle dieci e io mi fermai per mangiare qualche cosa in una piccola trattoria popolare vicina alla stazione, ove di solito cenavano i ferrovieri, gli operai, i carrettieri e i facchini. Anche i miei due compagni entrarono poco dopo di me e presero posto a una tavola accanto alla mia. Ma ordinarono solo del vino. Avevano con loro del pane e pomidoro; ed uno di essi mi accennò scherzosamente se volevo partecipare al loro pasto. II locale costruito in legno, cucina e sala da mangiare assieme, era rischiarato da lumi ad acetilene che spandevano un odore soffocante e una luce cruda velata dal fumo dei fornelli. Uomini in camiciotto azzurro, soldati e ferrovieri entravano ed uscivano. Non si vedeva una donna, tranne quelle che stavano nella cucina. Io ordinai uova e frutta e del vino bianco che subito mi diede una leggera ubriachezza. Alcuni soldati vennero a sedersi alla mia tavola; erano giovani allegri e si urtavano ridendo e, offrendosi il vino con tale insistenza che se lo versavano addosso. Mi venivano in mente i miei compagni d'Istituto, i giuochi e gli spintoni con loro. Una grave tenerezza mi vinceva: quel movimento, quelle luci attorno, mi davano un piacevole capogiro; pensavo di prendere il treno, ma di non fermarmi presso la zia: potevo proseguire in cerca di Fiora: consultai l'orario: quando sollevai gli occhi non vidi più i due mietitori. Il locale era pieno di gente; il padrone con tre bottiglie e tre piatti per mano non faceva a tempo a servire tutti. Suonai più volte perchè mi portasse il conto: egli sembrava più sordo di me. Stanco di aspettare, mi alzo e vado in fondo, verso la cucina: urto contro qualcuno; finalmente riesco a farmi capire: ma quando cerco i denari per pagare mi accorgo che non ho più il portafoglio.

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Infatti la porticina del corridoio era aperta, con un barlume di luce in fondo: io picchiai, senza abbandonare il mantello dell'uomo, che sembrava un po' impaurito ma non cercava di allontanarsi; e subito riapparve iI vecchio: ci venne incontro, disse qualche cosa. Qualche cosa che doveva essere molto rassicurante perchè il nano non esitò ad aprire il suo mantello e a dare al vecchio un involto bianco.... Mi ritrovai solo nella strada, appoggiato al muro della casa del mio creditore. Mi pare che piangessi. Non so, ero tutto agitato; mi pareva di dovermi spaccare e cadere a pezzi per terra.

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