Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222703
Misteri del chiostro napoletano 3 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Gli scrissi una lettera in cui a chiare note gli dissi come il ritenere più lungamente la sorella nel monastero equivaleva a volerla abbandonare a morte sicura. Venne egli subito in Napoli, e disse a Chiarina che si apparecchiasse a seguirlo. Essa mostrossi dolente di lasciarmivi, sebbene convinta d'altronde ch'io stessa non vi sarei rimasta più a lungo, perchè la mia domanda non poteva incontrare in Roma alcun ostacolo. Uscì adunque del chiostro, condotta dal fratello, e le giovani monache in segno di ringraziamento, accesero delle candele alla Vergine. Senonchè, il rio destino non avea cessato di perseguitare quella miserella. Era d'inverno. Il freddo degli Abruzzi, dove il fratello dovette ritornarsene, recò grave pregiudizio alla salute di Chiarina, e come d'altra parte il tempo fa dimenticare le passate sofferenze, credette questa di trovarsi più riparata nel chiostro, che non viaggiando col fratello. Di lì a qualche tempo facea ritorno in Napoli, e domandava di essere ripristinata nel suo pesto di educanda. Quale idea! Le feci osservare l'incauto proponimento, non degno della sua provata prudenza: le rammentai i passati patimenti, le diedi il consiglio di scegliersi piuttosto un ritiro, prendersi una cameriera: e viver tranquilla e indipendente. Mi rispose: "Voglio starmene, amica diletta, appresso di voi: non voglio rientrare che per voi sola." "Ma io sono in procinto di lasciare San Gregorio." "Son già passati dei mesi dacchè siete pronta a partire, ma chi sa se ve lo permetteranno?" Il giorno che per farla rientrare fu convocato il Capitolo, volli mettere in salvo la mia coscienza. Nell'atto di dare il mio voto, alzai la mano, e feci vedere a tutte quante che nell'urna bianca io gettava la pallina nera. L'ammissione riuscì coi soli voti delle monache vecchie: le giovani lo diedero contrario. Entrò adunque, ma poco dopo si pentì di non avere seguíto il mio consiglio. La sua tosse, esacerbata durante la notte, disturbava i sonni della conversa. Per evitar le rampogne e le imprecazioni che per tale motivo ne riscuoteva, la povera malata cacciava il capo sotto le coltri, e vi rimeneva immota e quasi sepolta. Una mattina la conversa andò a svegliarla: pareva immersa nel sonno. La chiamò a nome, la tornò a chiamare: non diè risposta. La scosse: non si muoveva Rimosse allora la coperta che le nascondeva il volto..... Era morta! Sedici volte sono ritornate da quel tempo le rondinelle, ma lo spirito angelico di Chiarina non farà più ritorno in questa valle di lagrime!

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Carlo Alberto, sconfitto presso Novara dall'Austriaco, era costretto ad abdicare ed abbandonare l'Italia. La corte pontificia, da tale disfatta incoraggita, invocava da Gaeta, per essere ristaurata in Roma, le armi degli Stati cattolici, e già si accingevano in suo soccorso l'Austria, la Spagna e la repubblica francese. In Toscana veniva ristabilito il dominio granducale per una sollevazione popolare in favor dell'antico regime, mentre Venezia, abbandonata a sè sola, e Roma strettamente assediata, lottavano: questa contro i Francesi, quella contro gli Austriaci, con sforzi eroici di prodezza. Benchè profondamente afflitta dalle infelici condizioni dell'Italia, non perdetti di vista la speranza di finirla coll'Ordine benedettino. Da me pregata, mia madre portossi a Gaeta all'incontro di Pio IX, con una supplica, nella quale io chiedeva al pontefice l'atto di secolarizzazione, coll'impegno di rimanere vincolata a' voti, non altrimenti che come semplice canonichessa. E perchè le monache di San Gregorio avevano mosso lite per indennizzazione a quel mio parente, che simulato aveva nel tempo della professione d'essermi debitore di ducati mille, io implorava inoltre dal pontefice d'esser dichiarata immune da tale ingiusta esigenza. Pio IX parve commosso alle istanze di mia madre, alle preci delle mie sorelline. Si volse attorno per vedere se nella stanza vi fosse l'occorrente da scrivere, e non avendovelo trovato, disse alla mia famiglia di ritornare dopo due giorni. Intanto il mio acerrimo persecutore, l'arcivescovo e cardinale, informatosi di queste pratiche, partiva premurosamente da Napoli alla volta di Gaeta, e vi giungeva l'indomani dell'arrivo di mia madre, latore di quella lettera famosa, da me indirizzata al papa sotto la salvaguardia della confessione, e da lui intercettata e aperta. Mia madre tornando dal pontefice lo trovò cambiato. "Signora," le disse con gravità, "fate che vostra figlia si contenti di quello che ha ottenuto finora; chi troppo vuole, niente ha. Ella vorrebbe mutar abito e condizione: non possiamo consentirvi. Che direbbero, che farebbero le altre monache, vincolate nella medesima sua condizione? Avevamo dimenticato il suo nome l'altr'ieri: ce l'ha rammentato il cardinale Riario, ed oggi stesso abbiamo letta una carta, ch'essa cindirizzava due anni fa." Era evidente, che, come quelle della povera Italia, le mie sorti andavano in rovina. Un mese dopo mi veniva dal Riario partecipato un Breve pontificio, per cui Pio IX mi concedeva la grazia di starmene stabilmente in conservatorio, sotto condizione di clausura: potendo però uscirne l'estate per i bagni di mare, purchè i medici li avessero ordinati, e di più che fosse piaciuto all'arcivescovo di permetterli. Quanto poi alla lite mossa dalle monache, ordinava ch'io dovessi versare alla cassa di San Gregorio ducati mille, e che da quel monastero percepissi, vita durante, un assegnamento mensile, proporzionato alla somma da me versata. Insino allora aveva ricevuto pel mio mantenimento ducati 14 e mezzo; da quel momento non mi vidi più consegnare che una polizzetta mensile di ducati sei, a titolo d'alimento mio, e della conversa. - Carità e munificenza fratesca! Alla necessità non resistono neanche gli Dei. Giuocoforza mi fu ristringere il vitto ad una sola pietanza, ed assuefare il palato al pane nero. Ciò dovei fare, mentre, di porpora decorato, l'autore della mia indigenza dava pranzi sontuosi a' parassiti papassi, suoi colleghi, che, da Roma trafugati, rifluivano presso i Borboni, affine di seco loro consultarsi intorno a' mezzi di ribadire più sicuramente i ferri al popolo d'Italia. Venne Pio IX in Napoli, tramutato di luogo, come di colore e di sentimenti. Sebbene uscissi spesso, reputai superfluo, anzi pericoloso, il disegno di ricorrere nuovamente alla sua misericordia. Egli, che chiudeva l'orecchio a' gemiti della sua patria, per quale supremo privilegio l'avrebbe aperto alle lamentazioni d'una povera monaca? E fiancheggiato qual era da un Ferdinando II, da un Riario, come poteva, poniamo pure che avesse voluto, dar ascolto ai miei lamenti? Il solo fanatismo della infima plebe napoletana sorreggeva ancora nel vacillante seggio que' due volgari nemici di ogni bene. E il re di Roma, debole di cuore, più debole di mente, assetato di popolarità, incapace di acquistarla durevolmente, metteva la barca sdrucita della povera Chiesa a rimorchio della loro galera. Una sera, mentre sull'imbrunire io mi ritirava, la Polizia vietò alla carrozza ov'io era di traversare la piazza delle Pigne. Ritrovandosi il Santo Padre nel Museo delle antichità pagane, Ove il principe reale gli faceva da cicerone, non sarebbesi potuto aprire un varco nella folla, senza far calpestare dai cavalli la gente. Mi convenne, voltando strada, fare un lunghissimo giro, scendere per la Vicaria e risalire per San Pietro a Majella. Quest'involontario ritardo eccitò la rabbia dell'idrofoba portinaia del conservatorio, la quale con quegli occhi biechi e sanguigni, che mi facevano rizzare i capelli in capo dalla paura, mi disse: "Se un altr'anno avremo la disgrazia di tenervi con noi, affè di Dio che non metterete più il piede fuori di questa porta!" E così dicendo, alzava minaccioso l'indice in aria, a guisa di maestro di cappella. Prima di partir da Napoli, volle il papa visitare uno ad uno tutti i monasteri di clausura. Quando toccò al monastero di San Giovanni, le suore di Costantinopoli manifestarono a quelle religiose il desiderio di vedere la persona del pontefice in un luogo, che, per la vicinanza dei due monasteri, a ciò si prestava. Salito adunque il papa sopra una certa terrazza, benedisse complessivamente tutto il gregge a lui dintorno. Non so chi m'accennasse all'attenzione sua. Fissò egli lo sguardo sopra di me, e disse: "Una benedizione particolare alla monaca claustrale!" Ed alzata la destra, mise la parola in effetto. Quell'atto non mi recò alcun conforto. Io m'augurava salute, tranquillità, ed emancipazione dall'ignobile servaggio. - Ora, quali di questi beni mi recava quella benedizione? Da lì a pochi giorni Pio IX ritornava in Roma, lieto quanto quel suo predecessore, che alla caduta di Rienzo ritornava vescovo e signore nell'Eterna Città. Il cardinale colse il momento per infierire contro di me. Mi giunse all'orecchio allora che tutti i rigori della clausura stavano per essermi scaricati addosso; per lo che mi veniva proposto di restituirmi presto al primiero carcere, di rinunziare una volta per sempre a qualsiasi speranza d'affrancamento, di rassegnarmi alla sorte delle altre monache, senza più ruminare ulteriori tentativi: e in compenso di tale atto d'abdicazione, mi si lasciava travedere l'onore d'un badessato, che per un Breve di speciale condonamento, nonostante l'età giovanile, avrei ottenuto. Quanto più attraente di tale prospetto era il pan nero che divideva colla mia buona e fidata Maria Giuseppa! Feci rispondere al porporato, ch'io preferiva soggiornare libera in una capanna, anzichè badessa in un carcere. Come rispose Sua Eminenza? - Mi tolse anche quel magrissimo assegnamento mensile di sei ducati! Me ne rimasi dunque, come i Toscani dicono, nelle secche di Barbería. Di lavori donneschi io ne sapeva un po', e l'Onnipotente, che tempera i venti per l'agnello tosato, non m'aveva privata d'operosità e d'industria. Per non viver d'accatto nel conservatorio, per non essere a carico altrui, avrei dunque preferito di guadagnarmi la vita colle proprie mani. - Ma come si fa ad industriarsi dimorando in casa di nemici, e brancolando nel buio che cuopre l'avvenire? Ad un mio parente che rinfacciava al cardinale quell'accanimento codardo contro una donna, duro come un macigno, costui rispondeva: "La madre è ricca: ci penserà lei." Distesa in quel letto di Procuste; stretta, per meglio dire, fra l'uscio e il muro; destituita al fine dei mezzi di sussistenza, feci ricorso all'energia dell'animo per cercare scampo in una disperata uscita. A mali estremi, rimedi estremi. Una sera, invece di ritirarmi secondo il solito al conservatorio, avvertii per lettera la badessa di voler chiudere la porteria tra vespro e nona, perchè, non volendo mangiare il pane altrui, sarei rimasta in casa mia.

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Ora, a prevenire che là suddetta religiosa trabocchi in guai peggiori, cioè in uno stato di demenza continua, opiniamo di consenso cogli altri nostri colleghi, qui riuniti in consiglio, che debba essa abbandonare il regime claustrale, regime che essenzialmente influisce ad alimentare la narrata morbosità. Questa nostra dichiarazione, giurata in coscienza, e risultante dall'osservazione di circa venti mesi, non peccherebbe che di soverchia concisione, non portando descritte minutamente tutte quante le sofferenze dell'inferma. Napoli, 23 gennaio 1853. Il medico consultante del luogo Dott. PIETRO SABINI. Il medico del luogo Dott. ALESSANDRO PARISI.

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