Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il divenire della critica

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Dorfles, Gillo 3 occorrenze

Nato a Rosario (in Argentina) nel 1899 da famiglia italiana e stabilito sin dal 1905 a Milano (dove doveva trascorrere tutta la vita salvo per il periodo fascista in cui fece ritorno in Argentina), Fontana diede vita, già nel periodo tra le due guerre, ad una serie di opere, plastiche e pittoriche, dove appariva evidente la sua volontà di abbandonare gli schemi tradizionali allora imperanti per creare opere del tutto staccate dalla rappresentazione veristica della realtà. Tra le opere di questo primo periodo vanno ricordate - perché si riallacciano alla tendenza divenuta poi dominante nella sua attività più matura - alcune statue in gesso bianco e nero e dorato, e alcuni graffiti, già totalmente astratti, che si possono considerare assieme a quelle coeve di Melotti tra le prime sculture non-figurative apparse in Italia. È di questo primo periodo (che va grosso modo dal ’31 al ’35) la vasta produzione astratta - oggi in buona parte dispersa o distrutta - nella quale Fontana fu, tra i primi in Italia a tentare di svincolare la scultura da una figuralità naturalistica, forse influenzato in parte dalla lezione di Arp, di Archipenko, di Zadkine. Si trattava di sculture spesso monodimensionali, prevalentemente piane, sottolineate dall’aggiunta di segni graffiti, già presaghe di future opere che sarebbero state riprese e perfezionate con le «sculture da giardino» in lamiera metallica.

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E, ancora, prima di abbandonare il piccolo drappello degli artisti recentemente scomparsi, vorrei segnalare la presenza qui di due delle grandi e robuste composizioni metalliche di David Smith - questo vero padre della recente scultura metallico-industriale, risalenti alla sua stagione spoletina, e gli assemblages di metallo di Kemény, i quali, per contro, a solo due anni dalla sua scomparsa, sembrano già incredibilmente arretrati nel tempo: ancora immersi nella palude remota dell’informale.

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Dire che l’arte deve abbandonare il piano della connotazione e limitarsi al piano della denotazione (come avveniva e avviene per le operazioni matematiche e scientifiche), o, meglio, che occorre eliminare ogni «alone semantico» di cui era gonfia l’opera pittorica tradizionale, e dimostrarlo praticamente esibendo - a mo’ d’opere d’arte - delle pagine di testi scientifici, di chimica, di astrofisica, di logica, ecc. - significa voler trascurare l’ormai classica distinzione 1 carnappiana tra linguaggio comune, linguaggio estetico e linguaggio scientifico. E significa, soprattutto, non comprendere come è proprio nella «vaghezza» (vagueness, secondo Quine)2 dei significati, nella loro ambiguità e imprecisione semantica che è implicita il più delle volte la loro qualità estetica.

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