Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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EH!La vita...(Novelle)

662358
Capuana, Luigi 3 occorrenze
  • 1913
  • Tipografia agraria
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Don Pietro non poteva sostenere quello sguardo con cui ella pareva chiedesse perdono di morire, di abbandonare padre e madre in tristissime circostanze. Per questo egli si fermava poco nella cameretta della malata; andava e veniva come una mosca senza capo; e se, involontariamente, gli attraversava il cervello l'idea che la figlia avrebbe potuto suggerirgli un bel terno, una quaderna, come compare Giammona sosteneva che i moribondi son capaci di fare; se, involontariamente, si sedeva su la seggiola a pi del lettino, e guardava Matilde con aria di attesa quasi supplicante, si riscoteva tutt'a un tratto, indignato contro di sé; e andava di là, nel suo studio, per rinfacciarsi: - L'hai uccisa tu! L'hai uccisa tu, scellerato! Ed ora pretenderesti anche... Scellerato! Fu verso l'alba del funestissimo giorno. Don Pietro che aveva mandata quella larva di sua moglie a riposarsi un pochino dopo mezza nottata di veglia, interrogata la figlia a bassa voce, con un tremore di tenerezza nell'accento, chino su lei, carezzandole lievemente i capelli: - Come ti senti? Come ti senti? - Bene, papa. Non ho bisogno... di nulla! Egli si era seduto dapprima al solito posto, poi aveva collocato la seggiola vicino al capezzale, e teneva la mano su quella fronte scottante, madida del sudore della febbre che consumava le ultime forze di tanto fiore di giovinezza. - Papà! - ella disse con un filo di voce. - I santi sacramenti, presto... E tu, non dubitare: verrò a darti in sogno.... quel che tu desideri. Sì, sì, papa! Egli la baciò tutta, su le coperte, dal capo ai piedi, delicatamente, come una santa reliquia, col cuore pieno d'immensa gratitudine per quella promessa che egli non avrebbe rivelato a nessuno fino a che non si fosse avverata. E quando la collocò con le sue mani nella cassa mortuaria, che don Vito aveva fatta fare a sue spese, foderata di raso bianco internamente e di velluto azzurro, fuori - povera creatura! Era leggera come una piuma! - e quando la casa parve vuota, schiacciata sotto il silenzio della desolazione, ed egli si trovò finalmente solo con la moglie vestita a lutto, dopo tre giorni di visitu, in cui erano accorsi amici, conoscenti per prender parte al loro dolore - entravano, senza dire una parola, rimanevano seduti, si rizzavano, muti, per far posto ai sopravvenienti - dopo tre giorni di doloroso stupore, durante i quali aveva tentato di consolarsi ripensando le parole della figlia: Verrò a darti in sogno, quel che tu desideri. Sì,sì, papà - la moglie e il fratello lo videro andare in cucina con una bracciata di libri e di scartafacci, accendere il fuoco e buttare sui carboni divampanti i fogli dei diversi libri dei Sogni, strappati, sparpagliati perché bruciassero meglio, i fogli del Ru- Ru-tilio e gli scartafacci del frate cappuccino che non erano stati buoni a fargli vincere neppure un terno! Don Vito, maravigliato e contento, vedendo salire per aria, portati via dall'impeto della fiamma i neri residui dei fogli che s'ingolfavano nel camino e sembravano tanti uccellacci di malaugurio messi in fuga, gli disse: - Hai fatto bene! Dovevi pensarci prima... Meglio tardi che mai! Don Pietro avrebbe voluto rispondergli: - Non ne ho più bisogno.... Verrà Matilde! - Ma si mordeva le labbra per non parlare. E attese. Un mese, tre mesi, un anno! Attanagliato dall'angosciosa agonia di quella speranza, di quella promessa che la morta si era dimenticata di mantenere - nonostante le preghiere, nonostante le messe fattele dir in suffragio! - egli declinava rapidamente, quantunque il fratello don Vito fosse venuto a coabitare da lui, col caritatevole pretesto di fargli l'amministratore del poco che gli era rimasto. Don Vito, qualche volta, si lasciava scappare un lieve ironico accenno al passato; e allora don Pietro scoteva amaramente il capo e rispondeva: - Se fosse venuta!... Ma non è venuta! - Chi? La quaderna? E un giorno, convinto che ormai fosse inutile tenere il segreto, al rimpianto del fratello che, alla risposta: - Se fosse venuta! - tornava a domandare: - Chi? La quaderna? - egli scoppiò in lacrime ed esclamò: - Perché lusingarmi? Perché promettere? Don Vito, nell'udire il racconto, pensava con spavento: - Mio fratello impazzisce!

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Capisco: non può abbandonare la merceria... Che peccato! Ogni parola di lei Pietro La Rocca se la sentiva scendere in fondo all'anima, lieto, commosso anche dalle espressioni più insignificanti. E quando le due donne furono andate via, Pietro rimase mezzo intontito; se qualcuno degli avventori gli diceva: - Sor Pietro, dov'avete la testa? rispondeva sorridendo: - Su le spalle, caro amico. Ma non sapeva risolversi. - Che ne dici, mamma? - Sei tu che devi scegliere. Si decise tutt'a un tratto. - Anche perché si chiama Caterina, come te, mamma. Questo gli parve il maggior buon augurio. Due anni di felicità, di prosperità. La buona vecchietta avea potuto assistere a un'altra trasformazione della bottega e della casa, quasi la bella nuorina avesse rinnovato con la sua presenza ogni cosa, quasi gli oggetti toccati dalle sue bianche mani avessero acquistato doppio, triplo valore. Poi era venuta la consolazione di una bambina, a cui Pietro avrebbe voluto imporre il nome della madre. Ma sua moglie aveva esclamato: - Troppe Caterine in una casa! Ed era stata battezzata con quello di Rosaria, come la zia di lei. La mamma aveva detto scherzando: - Aspetto che arrivi il maschietto e poi me ne vado. Il maschietto tardò a venire, e lei se n'andò, portata via da una fiera polmonite in pochi giorni. Per Pietro fu un terribile colpo. La moglie vedendolo triste, inconsolabile, gli si rivolse in tono di rimprovero: - Sarebbe stato meglio se fossi morta io! - Tu non le volevi bene! - Non mi voleva bene neppur lei. - T'inganni. - Era gelosa di me. Pareva sorvegliasse ogni mio atto, diffidasse d'ogni mia parola, specie in questi ultimi mesi. Che si figurava? Non te n'ho parlato mai. Che si figurava? - T'inganni. Era vero; la morta non era arrivata a voler molto bene a quella nuora, vivace, ardita, la quale si compiaceva di fare a botte e risposte con certi avventori che venivano a comprare sigari o sigarette, e indugiavano nella scelta, evidentemente per intrattenersi con lei. Verissimo: la morta era diventata diffidente del figlio che sembrava incantato di qualunque cosa dicesse o facesse la moglie, e rideva di ogni risposta piccante di lei a qualche avventore, senza adombrarsi dell'insidia che le parole dell'avventore potessero nascondere. E poche settimane prima di morire aveva tentato di metterlo in guardia. - Se al suo paese usa di parlare così con gli uomini, tu dovresti avvertirla che qui non usa. - Parole, mamma! Parole di scherzo, mamma! - Dalle parole ai fatti ci suol correre poco. L'estrema bontà del suo cuore non gli permetteva di concepire il minimo cattivo sospetto contro la moglie; ma da quel giorno in poi ebbe qualcosa nell'animo - una lieve nebbia, un sordo ronzìo - non avrebbe saputo spiegarlo - che gli turbò a poco a poco la serenità dello spirito, specialmente, dopo la morte di sua madre. Caterina se ne accorse sùbito e non glielo nascose. Egli, dispiacentissimo, tentò di disingannarla, ma fece peggio quando le disse: - Questo, in ogni caso, vuoi dire che ti voglio estremamente bene. - Voglio essere rispettata anche! - Nessuno ti rispetta più di me. Pareva che il malinteso fosse stato dissipato, ed era come un fuoco che cova sotto la cenere; basta rimescolarla perché esso divampi. Pochi mesi dopo avvenne la malattia della bambina. Deperiva, consumata da una febbre che il medico non riusciva a vincere. Caterina faceva rare apparizioni nel negozio. Era venuta dal suo paese la zia, chiamata da Pietro per aiutarla nell'assistere la bambina. Il dottore faceva tre visite al giorno: iniezioni la mattina, iniezioni la sera... Niente! E quando Pietro vide uscire dal portoncino di casa la bella cassa rivestita di seta bianca col cadaverino della figlia, si sentì spezzare il cuore, quasi egli avesse visto andar via, per sempre, la felicità della sua casa! Caterina dalla tristezza delle giornate attorno al letto della malatina, dal sonno perduto, dal gran dolore per la morte della creatura che già formava il suo gran orgoglio, " era ridotta uno straccio ", come si espresse la zia. Per ciò Pietro acconsentì volentieri che la zia la conducesse con sé per farla svagare e ristorarla laggiù, nel paese nativo. - In quei tre mesi - c'era stato anche il pretesto della festa di San Cipriano - egli era andato parecchie volte a trovarla per alcune mezze giornate, lasciando affidato il negozio a due garzoni dovuti prendere per servir più lestamente gli avventori. Ma una mattina egli era su la soglia della bottega con le mani dietro la schiena assistendo a la la rissa di due cani che si assalivano a morsi, ringhiando, e pensava anche che tra due giorni sua moglie sarebbe tornata. Gli si avvicinò il farmacista di faccia: lo guardava con curiosità, quasi con stupore. - Bravo! - gli disse. - Così si fa! Siete davvero un uomo.- Perchè? Scusate. - È inutile fingere con me. L'ho saputo ieri sera da uno di quel paese. - Che avete saputo? - Quel che volete darmi a credere d'ignorare. Bravo! Siete davvero un'uomo! Era rimasto di sasso, per alcuni momenti, dopo di aver insistito per strappar di bocca al farmacista la notizia. Poi, incredulo, aveva risposto ironicamente - Tornerà dall'America domani l'altro! Non pianse, non si disperò: solamente si sentì come svaporare dal cuore ogni bontà, ogni dolcezza, ogni gentilezza; si sentì cambiare da così a così, quasi lo avessero scorticato e gli fosse venuta su una pelle nuova affatto diversa. Tanto diversa, che quando qualcuno lo chiamava per nome egli, su le prime dubitava che parlassero con lui, ma con qualche altro che si chiamava Pietro La Rocca, com'egli forse si era chiamato una volta. Era stato uno sconvolgimento terribile, durato parecchi mesi e ch'egli aveva voluto, per dignità, nascondere a tutti. Le persone che gli volevano bene non gli accennavano neppur dalla lontana alla sciagurata che era fuggita con l'amante nell'Argentina; e avevano la delicatezza di non mostrar nessuna intenzione di voler consolarlo. I maligni, gli impertinenti tacquero anche essi, poiché Pietro La Rocca faceva le viste di non capire le domande: - Avete avuto notizie? Non se ne parla più! Era proprio cambiato, da così a così. Chi non aveva provato in altri tempi il suo buon cuore? Non era mai accaduto che qualcuno si fosse rivolto alla sua carità e avesse dovuto andar via con le mani vuote. Anzi, egli soleva ringraziare chi gli dava l'occasione di fare un'opera buona. Perché Domineddio gli faceva prosperare il negozio se non per aiutare i disgraziati? Ed ora, invece, pareva che gli facessero un insulto ogni volta che lo invitavano a partecipare a un atto di carità. Poi, a poco a poco, si sparse la notizia che Pietro la Rocca, di notte tempo, quasi commettesse una cattiva azione, andava a picchiare all'uscio di questo o di quello e lasciava elemosine, soccorsi di ogni sorta, raccomandandosi: - E...... zitto! Altrimenti non riceverete più niente! Infatti egli faceva ogni sforzo per smentire quella voce, rispondeva sgarbatamente a chi si azzardava di chiedergli un piccolo favore, come se il torto della moglie gli fosse stato fatto con la complicità di tutti, e tutti ne fossero responsabili. - Ci son mai venuto da voialtri a importunarvi? O dunque? Lasciatemi in pace! Smaniava, sbuffava, quasi lo facessero soffrire. Ed alla volta che una vecchietta gli rispose: - Che siete diventato? L'omo selvaggio? - il motto fece fortuna e in breve tempo Pietro La Rocca non fu chiamato altrimenti. Sì: omo selvaggio! Per parecchi mesi se ne stette confinato nel retrobottega, fumando, sorvegliando i due garzoni, brontolando contro la loro lentezza o la loro poca destrezza nel servire gli avventori, rispondendo appena ai saluti di questi. Sul tardi, quando la Piazza della Fontana era deserta, egli usciva fuori a far lunghe sgambate davanti a la bottega per muoversi, per prendere aria, col pensiero lontano lontano, a quell'America dove la ingrata, la scellerata era andata a rifugiarsi con l'amante. - Peggio per lei! Peggio per lei! Qualche ritardatario, i carabinieri di ronda non gli si avvicinavano, non lo salutavano neppure fingendo di non riconoscerlo perché sapevano ormai di fargli piacere. Poi egli rientrava, sbarrava la porta e saliva su, strapazzando la vecchia contadina che aveva preso in casa e che si ostinava ad attenderlo in piedi per assistere alla cena di lui, caso mai avesse bisogno di qualcosa. - Non voglio essere atteso! Non ho bisogno di niente! Così passarono i mesi, passarono parecchi anni. Il bel giovane di una volta era diventato irriconoscibile, con quella folta barba che cominciava a brizzolarsi, con quella arruffata capellatura che provava soltanto due volte all'anno il benefico lavoro della forbice del barbiere; trasandato nei vestiti, meno che nella biancheria. Pareva finalmente che l'"omo selvaggio" cominciasse a mansuefarsi, perché non stava più rintanato nel retrobottega, ma prendeva l'abitudine di sedersi, in certe ore della giornata, davanti a la bottega, con le gambe larghe, con la pipa continuamente in bocca, sempre accigliato, muto, con aria scontenta e scontrosa, quasi che il tradimento della moglie fosse avvenuto giorni addietro e lui non potesse nascondere la gran pena che ne provava. Pareva impossibile! Avrebbe dovuto anzi ringraziare Iddio che quella donna se ne fosse andata lontana. Poteva far peggio: tradirlo proprio sotto i suoi occhi, cimentarlo, fargli perdere la ragione, quantunque, se l'avesse ammazzata, non l'avrebbe pagata neppure due soldi. Parlavano così perché nessuno sapeva che cosa bollisse e ribollisse da cinque anni in quella povera testa, in quel povero cuore. Lo seppe soltanto il parroco la sera che lo vide arrivare nella canonica con l'aspetto irritato di chi avrebbe voluto essere lasciato in pace. - Mi ha mandato a chiamare.... In che posso servirla? Era stato ad ascoltarlo con le mani giunte, le braccia tese tra i ginocchi, a testa bassa, socchiudendo di tratto in tratto le palpebre, poi era scattato: - E che pretende lei ora da me, con la misericordia di Dio? Io non sono Dio, ma un misero verme della terra, signor parroco. - Siete un buon cristiano. Riflettete. Dio l'ha tremendamente gastigata, in quel che formava la sua vanità e che l'ha spinta a perdersi: la bellezza. - Avrebbe fatto meglio a impedirle di perdersi! - Non dite stoltezze. Noi non possiamo intendere le vie del Signore. - Parlo da ignorante; mi scusi. - Dopo cinque anni e nello stato in cui si trova, dovreste almeno perdonarle. - Che se ne farà del mio perdono? - Dicono che è ridotta in uno stato orrendo. Il cancro, il terribile cancro, le ha mangiato quasi intera la faccia. Abbandonata dal seduttore è vissuta un anno facendo i più umili uffici. Poi è stata accolta in un ospedale. Ha pregato di essere rimpatriata: le è stato accordato a stento. È arrivata, da tre giorni, al suo paese.... Le avete voluto bene.... allora. - Ah, signor parroco! Ah, signor parroco! Di me nessuno ha avuto pietà.... Mi hanno creduto un vigliacco egoista, perché non son corso dietro a quei due, imbarcandomi immediatamente - mi mancavano forse i mezzi? - per andare ad ammazzarli come due cani. Chiedevo di essere voluto bene, come mi aveva giurato davanti a Dio! Che avrei ottenuto ammazzandola?... E non ho il minimo rimorso, signor parroco! La sua volontà era la mia. Non s'è mai dato il caso che io le abbia detto: Questo no! Ed è stato forse il mio torto! - Non vi pentite di essere stato buono! - Cinque anni! Notte e giorno! Come se fosse rimasta sempre quella davanti a me, bella sorridente, allegra, con la parola pronta, vivace.... E dovevo cacciarla via dicendole la parola più brutale.... per poter chiudere gli occhi al sonno, stanca, sfinito, quasi avessi fatto un opprimente lavoro col pensare a lei tutta la giornata e parte della nottata! Nè il sonno era riposo, ma sogno agitato. Notte per notte la povera mamma: - Te lo dicevo? Te lo dicevo? - Perché non mi lascia in pace neppure mia madre?... Ed ora lei viene a raccontarmi.... Io non so più perché campo: odio me, odio gli altri!... Il cancro se la rode viva viva? Felice lei! Ne avrà per poco. - Deve morire disperata? Almeno isolarla in una casetta, darle una di quelle infermiere che sono sostenute nel loro ufficio dall'alto sentimento religioso nella cura delle malattie più repugnanti; rendere meno penosi questi ultimi mesi di vita, perché mi è stato scritto che il male è rapidamente inesorabile. Pure bisogna fare quel che si può.... Ma, prima di tutto, perdonare. - Mi chiamano:l'" omo selvaggio". Non voglio smentirli! Pietro La Rocca si era lasciato ricadere di peso su la seggiola da cui si era rizzato cominciando a sfogarsi: Ah, signor parroco! Era pallido come un morto, curvo e si torceva le mani mentre cominciavano a sgorgargli dagli occhi due rivoletti di lacrime che s'infiltravano tra i peli dell'ispida barba, senza ch'egli facesse niente per arrestarle o un gesto per asciugarle. - Siate forte!... Lasciatevi vincere dal vostro gran buon cuore. Voi soffrite pel divieto che v'imponete di non fare il bene.... Volete che vi aiuti?... Volete? - No! E mentre egli, scattato in piedi, tentava di ricomporsi, di far sparire dal viso le traccie delle lacrime, il parroco gli diceva: - Ricorrerò alla carità dei benefattori che non si rifiutano di aiutare il prossimo, qualunque esso sia. Dirò: per la moglie di Pietro La Rocca! - La moglie di Pietro La Rocca - egli rispose, parlando come un trasognato - non ha bisogno della carità di nessuno!... Ha la sua casa... ha una stanza, un letto dove potrà morire in pace.... - E il vostro perdono, sopratutto. - Di notte. Non deve vederla nessuno. La riceverà lei. Venga accompagnata dalla suora infermiera: c'è una cameretta anche per essa.... La malata aveva pregato insistentemente ch'egli non cercasse di vederla. - Vi farebbe molto male - gli aveva detto la suora. - Farebbe male pure alla disgraziata. Sembra che il cancro abbia furore di divorarsela presto. Pietro La Rocca non dovette fare molti sforzi per non cedere alla triste curiosità di vedere come la sua Caterina era ridotta. Voleva conservarsi intatta nella memoria la bella, fresca figura di lei, quale gli era rimasta cinque anni in fondo al cuore, incessantemente adorata e maledetta, più adorata che maledetta, e senza che qualcuno lo avesse mai sospettato. La pianse morta, la fece seppellire come se non fosse stata moglie infedele. Per alcuni mesi mandò fiori a quella tomba su la lapide della quale aveva fatto incidere soltanto il nome di lei da ragazza, e poi.... Egli credette che fosse stato un miracolo operato dalla sua mamma. La sognò per l'ultima volta, quasi fosse venuta a dirgli addio!... E poi, lentamente, una gran pace discendeva a invaderlo: il passato sembrava allontanarsi, allontanarsi, dileguare nell'ombra; ed egli si lasciava vivere alla giornata; in apparenza, ancora "omo selvaggio", domandandosi ad intervalli: - Perché campo? Perché campo?

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- Se io dovessi tradire mio marito, la prima cosa che farei sarebbe di abbandonare la sua casa. - Ah! Che grande felicità! - Non si lusinghi! Questo non avverrà mai. Io mi sento mortificatissima della sua insistenza. Come devo farglielo intendere? Dovrei strapparmi il cuore per dimenticarla!... Si sentì il rumore dei passi di Rosselli e del marito che venivano anch'essi nella terrazza. - Ve lo immaginate - disse la signora Tonghi, ridendo - un Collini... poeta? Pare che sia un po' turco; gli piace più la mezza luna che non la luna piena. - L'ho sempre detto che Collini è imbecille! esclamò il signor Tonghi. - Non te l'avere a male, caro mio! - Hai ragione - rispose Collini, aggrottando le sopracciglia. E buttò via la sigaretta che gli si era spenta tra le dita. Due volte al mese, Tonghi invitava a desinare i due amici Collini e Rosselli che, per l'identica ragione, si mostravano condiscendenti alle stranezze di lui; con la sola differenza che Collini era l'inmamorato respinto della signora Tonghi, mentre Rosselli godeva tutte le grazie di essa, senza che nessuno mai avesse avuto il minimo sospetto della loro intimissima relazione. Avevano adottato un modus vivendi da ingannare chiunque. La signora Gina non pronunciava il nome di Rosselli senza aggiungervi: Quell'antipatico di!... o pure: Quell'opprimente di!... E Rosselli, parlando di lei con Collini e con altri amici, diceva spesso: Quella leziosa, o quella pretenzionosa della Tonghi! E non aggiungeva mai: signora, quasi fosse di troppo. Così era accaduto che Collini aveva spesso creduto suo dovere di prendere la difesa di lei. - Leziosa? Ma se è di una semplicità straordinaria! - Voluta, ricercata; per questo mi dà ai nervi. E poi, quell'aria di rassegnata, di vittima!... Oh! certamente Tonghi con le sue manìe, con le sue meticolosità di ordine e di pulizia, non è tale da render felice una donna; ma, d'altra parte, vedersi davanti, da mattina a sera, quel viso da funerale deve essere così nell'intimità; - noi vediamo la rappresentazione, la parata - è cosa da far perdere la pazienza anche a un santo. - Viso da funerale? Io non ho visto un viso più sorridente, più lieto! - Sorridente con quella specie di ghigno che le contrae le labbra? - Vuoi dire che i nostri occhi vedono diversamente. Sei invidiabile. Per me, invece... E Collini, una sera, uscendo di casa Tonghi dopo il solito desinare, credendo di confidarsi con uno che non avrebbe mai potuto essere un rivale, gli aveva rivelato le sue pene di cuore. - Povero Collini! Ti compiango. Quella donna è un pezzo di ghiaccio. - Spero di scioglierlo, un giorno o l'altro.... - Amor che a nullo amato amar perdona! Cose che si dicono in versi, perché in prosa, con rispetto di Dante, farebbero ridere i polli. Lascia andare. Mancano belle e compiacenti donne in questo mondo? E poi, te lo avverto, Tonghi non è un marito comodo. - Mi ammazzerebbe? - Ammazzerebbe pure lei anche pel solo sospetto. - Lei, no! Lei, no! Si vedeva che Collini era innamorato davvero, se protestava a quel modo, quasi ci fosse proprio pericolo che il geloso marito arrivasse a quell'estremo. Se avesse saputo come ridevano di lui quelli amanti, nella cameretta fuori mano, dove si rifugiavano due volte la settimana! Ridevano, ma spesso non erano tranquilli, specialmente lei. Aveva tristi presentimenti, senza saper spiegarsene la ragione. - Ho dovuto fingere un forte malessere, consultare il nostro dottore... Sembra ripreso da un impeto di brutale passione... Cosa insolita. Ho dovuto quasi lottare per resistergli... Oh, tu non puoi immaginare come mi ripugni di essere sua! Egli diventava pallido, si stirava le mani, minacciante. - Sua, mai più! Mai più! La serrava fortemente tra le braccia, la copriva di baci, quasi per difenderla. Lei gli si abbandonava sul petto, singhiozzante: - Ha parlato anche di un viaggio in Svizzera! - Ah, se tu volessi! - Uno scandalo, no! Per mia madre. Ne morrebbe! - E forse il nostro amore perderebbe la sua più grande attrattiva, uscendo dal mistero che ora lo circonda! - Non dire così. Anche al cospetto del cielo e della terra.... Soltanto per mia madre! - Perché vuole condurti via? È impossibile che io viva, anche per qualche mese, lontano da te. - Resisterò... Mi ammalerò... più gravemente. E così dicendo sorrideva. Allora, a poco a poco, il cielo delle loro anime si schiariva, assumeva una limpidezza raggiante di sole; e tutti e due dimenticavano il mondo, come se quella camera, quell'appartamentino (a cui si accedeva da due vie e sembrava fatto a posta per eludere i sospetti della gente) rimanesse così lontano lontano da dar l'illusione che essi fossero i soli esseri viventi in un'isola, in un continente, in un pianeta sperduto nello spazio. E quando la piccola soneria dell'orologio, mezzo soffocata da un panno per attutirne lo squillo, li destava dal dolcissimo sogno, ella spesso ripeteva: - Sì, sì, basta! Si può morire di felicità! - Sarebbe il più bel morire! - rispondeva Rosselli. - Vivere dobbiamo. Per morire c'è sempre tempo! E lei gli faceva un inchino: - Addio... antipatico! Addio... opprimente! - Addio.... leziosa! Addio.... pretenzionosa! Si staccavano a stento. Era stato un colpo improvviso, e le loro due giovinezze si eran esaltate sempre più in quel mistero che le circondava. Ella gli aveva detto parecchie volte: - Non ho rimorsi. L'ho sposato per amore, ed egli ha fatto di tutto per stancarmi, per allontanarmi da sé. Non credo ci sia mai stato al mondo, o che ci sia, un tiranno peggiore di lui; tiranno delle piccole cose, dalle inutili manìe, dalle continue, irritanti esigenze che ti tolgono il respiro. Sin dalle prime settimane. Non posso ricordare senza fremere il nostro viaggio di nozze: venti giorni!.... un'eternità! Continuamente: - Ma Gina! Ma Gina! - quasi lo spostare un oggetto, il trascurare di riporne uno dove, secondo lui, era indispensabile riporlo... Da principio ridevo, rimettevo l'oggetto al suo posto, eseguivo allegramente la manovra da lui voluta.... Ma che? Dovevo ridurmi un meccanismo pronto ai suoi stupidi voleri? Mi sentii chiudere il cuore. Una irritazione sorda; poi odio a dirittura! Andavo a piangere in casa di mia madre. La cara e buona mamma non sapeva dirmi altro: - Fa la volontà di Dio! - Era Dio forse lui? Dio sei stato tu, tu la luce, l'amore, la vita! Ah, se non fosse per la mamma.... Non ho rimorsi. Sono orgogliosa di quel che faccio. Se occorresse, glielo griderei in viso! Lui tentava di rabbonirla, d'impedirle di commettere un'imprudenza, nei giorni in cui ella arrivava nel loro rifugio più irritata del solito. Ormai aveva voluto staccarsi completamente dal marito; non sapeva più vincere la ripugnanza ch'egli le ispirava. E in questo Rosselli era d'accordo con lei: tremava al solo pensiero di saperla alla mercé della violenza di colui che l'aveva in potestà sua, protetto dalle leggi umana e divina. La vera legge umana era il loro amore; la vera legge divina il loro amore, sempre, il loro amore! Non era anche troppo sacrificio il mentire davanti a lui, davanti alla società? Non era un miracolo di amore il non essersi mai traditi un solo istante? Per un nonnulla, al suo solito, Tonghi aveva fatto una gran scenata con la moglie. Essa, già pronta per andar fuori, non aveva risposto una sola parola, terminando di aggiustarsi la veletta davanti allo specchio, quasi suo marito non parlasse con lei. Egli aveva interpretato quel silenzio a modo suo, come un'acquiescenza alla sua sfuriata, abituato a credere di aver sempre ragione. Si era accorto da un pezzo, che qualcosa era venuto meno tra loro, ma pensava che, pur troppo, doveva esser così nel matrimonio. Non gli passava pel capo che fosse colpa del suo strambo carattere se quel qualcosa era avvenuto. Sofisticava intorno a tutto, riteneva che, per esempio, il lasciare un volume su una seggiola invece che sul tavolino dov'egli l'aveva posato, o nello scaffale dov'era stato collocato, fosse una storditezza imperdonabile da scompigliare tutto l'ordine della casa; non sapeva persuadersi che con l'interminabile trovar da ridire su ogni piccola cosa, con l'esagerazione degli sfoghi, che diventavano spesso escandescenze, egli era l'artefice della sua e dell'altrui infelicità; no, non gli passava pel capo. Fortunatamente il suo orgoglio non gli permetteva di dubitare che sua moglie potesse tentar di cercare altrove quelle dolcezze, quella tranquillità che ormai non trovava più in famiglia. - Va a dir male di me da sua madre! Il suo più nero sospetto era questo. Perciò accolse con un scettico sorriso la rivelazione di Collini che quella mattina, a bruciapelo, venne a dirgli: - Tua moglie ha un amante! Collini si era lasciato cascare su una seggiola, quasi lo sforzo per quest'accusa avesse esaurito le sue forze. - Che interesse hai tu di farmi tale rivelazione?... - disse Tonghi. E soggiunse sùbito: - Di calunniare mia moglie? - Sono un miserabile! - esclamò Collini. - Che interesse? La ho amata inutilmente un anno, più. Credevo che mi resistesse per dignità di donna onesta. Ma ora che ho scoperto.... Nè io, nè lui!... - Se tu mentisci!... E Tonghi gli si slanciò addosso, mettendogli le mani alla gola. - Nè io, nè lui! - replicò Collini. - So che commetto un'infamia..... - Chi, lui ? - Rosselli! È stato un caso... Potrai sorprenderli quando vorrai. - Se tu mentisci!... Va' via! Sei un gran vigliacco; mi fai schifo. Non comparirmi più dinanzi. E non ti sfugga con altri una sola sillaba di quel che sei venuto a dirmi. Al mio onore penserò io, provvederò io. Va' via! Collini, atterrito, si era mosso per uscire; ma Egidio Tonghi lo fermò per un braccio. - Prima, dimmi tutto! Gli era parso che un profondo abisso gli si fosse spalancato davanti e ch'egli stesse per precipitarvi. Che fare? Sorprenderli? Ucciderli?... Andar in carcere per loro? Si aggirava in casa come una belva nella sua gabbia di ferro, pensando che in quel momento essi erano là, nel loro nido, felici, senza sospetto!... Si fermò tutt'a un tratto davanti a una stampa che rappresentava il Santuario dell'Immacolata in cima alla rupe di Raceno. Un'idea diabolica gli balenò nel cervello, e rimase assorto, quasi vedesse già compiuto quello che fantasticava da un'ora. Per questo potè dominarsi vedendo rientrare con qualche ritardo sua moglie. - La mamma sta poco bene - ella disse, per scusarsi. - Niente di grave, spero. - Oh! Niente di grave. Il vecchio frate, custode del Santuario, li aveva ammoniti: - Non s'inoltrino troppo avanti da quella parte. L'altezza dà la vertigine. - Non siamo bambini - aveva risposto Egidio Tonghi. Pochi scalini e poi una piccola spianata semicircolare, senza nessun riparo, aperta sul gran vuoto della ristretta vallata dove la roccia scendeva a picco. - Avremmo dovuto far colazione qui - disse la signora Gina - invece che nel refettorio dell'eremo. S'inoltrava cautamente, dopo aver preso il braccio di Rosselli. - Sarà buono a trattenermi se mi prenderà la vertigine? - Le verrò dietro, in ogni caso. - Oh! Così cavalleresco! Era felice di poter passare una giornata intera assieme con lui, sotto gli occhi del marito. Tonghi, risalito gli scalini, aveva tirato fuori della tasca la rivoltella, e con gli occhi quasi fuori dell'orbita, iniettati di sangue, con voce roca, imperiosa, gridò alla moglie e all'amico: - Buttatevi giù! Vi ho condotti qui a posta.... Buttatevi, o vi ammazzo! I due amanti improvvisamente impalliditi, capirono che non si trattava di uno scherzo di cattivo genere, di una minaccia da burla, e si voltarono stringendosi l'uno all'altro. - Buttatevi!.... O vi ammazzo!... Il turpe inganno è finito! - Inganno? - Zitta! - Inganno? - riprese la signora Gina non dando retta a Rosselli che le stringeva forte il braccio. - Ma è stato unicamente.... - Zitta! Zitta! - ....per mia madre.... Si, ci butteremo giù, felici di morire insieme, al tuo cospetto, in un abbraccio e in un bacio supremo!... - Sputandoti in viso il nostro odio, il nostro disprezzo! - soggiunse Rosselli. Non c'era via di scampo; si sentivano presi; qualunque loro movimento in quel ristrettissimo spazio voleva dire la morte. E colui, brandendo l'arma, minacciava, ripetendo: - Buttatevi! Buttatevi! Senonchè la sua voce più non era imperiosa, sicura. Di fronte a quel deciso contegno, davanti a quell'altera proclamazione del loro amore e alla gioia di morire insieme si sentiva sfuggire la piena soddisfazione della vendetta: e quando li vide avvinghiarsi in un abbraccio e incollare in un violento bacio le loro labbra, chiudendo gli occhi, indietreggiando, indietreggiando lentamente, quasi per assaporare in quel modo la dolcezza della morte imminente, Egidio Tonghi buttò via la rivoltella e, senza sapere quel che facesse, emise un rauco grido: - No! No! Fermatevi! Troppo tardi! Il vecchio frate, vistolo ricomparire solo, domandò: - E gli altri due? - Sono scesi giù; risaliranno dall'altra parte. Li attendo qui. E si sedè sul banco di pietra davanti a la chiesetta, borbottando: - Han fatto il salto.... Io non volevo.... Risaliranno dall'altra parte... Li attendo qui! Egidio Tonghi era impazzito.

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