Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO

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Salgari, Emilio 3 occorrenze

Avendo inteso dal prigionieri caduti nelle loro mani come tutti i legni mercantili avessero ricevuto l'ordine dal viceré del Perú di non abbandonare i porti della costa, fino a tanto che una squadra non avesse purgato l'Oceano dai filibustieri, il cui disegno di portarsi nelle acque occidentali dell'America era ormai già trapelato, Davis guidò la sua flotta verso il settentrione, facendo di quando in quando delle prede. Fu uno sgomento generale fra tutti gli spagnuoli dell'America centrale, quando videro la flotta corsara apparire improvvisamente, in vista di Panama, ormai risorta piú fiorente dopo la distruzione compiuta da Morgan. La comparsa di quei terribili uomini aveva subito svegliata la memoria dei disastri in addietro sofferti da simili ladroni e Davis perciò non osò dare l'attacco alla città e andò a gettare le sue âncore all'isola di Taroga, dopo d'aver incrociato per ben quattro settimane dinanzi alla baia, in attesa che dei legni uscissero. Il viceré, chiesti aiuti al Perú ed al Messico, forma una squadra e la manda verso l'isola per sterminare quei pericolosi ladroni. Si componeva di sette navi da guerra, due delle quali contavano settanta cannoni ciascuna. Il mare era tempestoso e niuna proporzione vi era fra gli uni e gli altri. Per di piú i filibustieri non conoscevano i fondi e non avevano artiglierie sufficienti per far fronte a quelle degli spagnuoli che erano potentissime. Non potevano quindi questi ultimi non lusingarsi di ridurre al niente, in una sola giornata, quella temuta ciurmaglia. Già avevano circondata una delle due fregate e l'opprimevano con un fuoco terribile, quando gli altri legni corsari che si trovavano al largo e che avrebbero potuto facilmente evitare di venire alle prese, voltano le prore e corrono in aiuto della loro compagna. Il pericolo parve avesse dato ai filibustieri di Davis una forza piú che umana. Investono con impeto le fregate ed i galeoni spagnuoli e, quantunque per la troppa superiorità delle forze nemiche, non potessero in quel conflitto accanito e sanguinosissimo ottenere la vittoria, la disputarono cosí accanitamente che per il valore meritarono giustamente la palma. Quello che piú stupisce è che in tale combattimento non perdettero che una sola barcaccia di prigionieri spagnuoli. Quella barca era stata cosí crivellata dalle palle spagnuole che, trovandosi i filibustieri sul punto di annegarsi, l'avevano abbandonata coi prigionieri che conteneva. Questi ultimi, vedendosi cosí liberi, non avevano indugiato a prendere i remi per farsi raccogliere dai loro compatriotti. L'ammiraglio spagnuolo invece, avendola presa per un brulotto nemico, mosse ad incontrarla sul vascello e vi fece far fuoco sopra piú presto che poté, affondandola; e cosí fu, senza saperlo, lo sterminatore di quei disgraziati. Essendo, durante il combattimento, aumentata la furia del vento e delle onde, la flottiglia dei filibustieri fu in breve dispersa. Parecchi legni scomparvero dopo quella fatale giornata, né si ebbe di loro piú alcuna nuova. Gli altri, riunitisi finalmente, si rifugiarono all'isola di S. Giovanni, lontana solamente cinque leghe dal continente. Ma la discordia, dopo quel disastro, non tardò a nascere specialmente fra inglesi e francesi, essendo i primi protestanti ed i secondi cattolici. Sembrerà strano, eppure quei ladroni di mare ci tenevano alle loro religioni, singolarmente poi gl'inglesi in quei tempi del furore delle sette che tenevano il loro paese diviso. Essi mal soffrivano i loro camerati quando li vedevano salvare, nei saccheggi, i simboli della chiesa romana. Centotrenta francesi si stabiliscono sull'isola di S. Giovanni, ingrossati con altri duecento, che aveva condotto un capitano chiamato Grogner, il quale aveva pure girato il capo Horn; gl'inglesi invece riprendono la via dello stretto per far ritorno al golfo del Messico. Erano pochi eppure risoluti e quanto mai audaci. Dall'isola lanciano le loro navi in tutte le direzioni, prendendo quanti velieri incontrano, poi portano la guerra sull'istmo. Prendono d'assalto la piccola città di Leon e di Esparso e abbruciano Ralejo, spargendo ovunque un terrore immenso. Siccome ladroni di tale specie non se ne erano mai veduti in quei paraggi, gli abitanti fuggono dovunque spaventati, credendoli in buona fede demoni in carne umana. Invece di combatterli, li fanno maledire dai loro sacerdoti con esorcismi e contro di loro fanno alzare le cose piú sacre che abbia la religione, non diversamente che se avessero combattuto l'inferno. Gli spagnuoli, pressati da tanta rovina, cercano di temperare il flagello mandando a Grogner una lettera del vicario generale di Costarica, colla quale lo avvertivano essersi fatta la pace fra la Spagna e le potenze di Francia e d'Inghilterra e che il viceré di Panama metteva a loro disposizione parecchie navi per ricondurli in Europa. I filibustieri, che non erano cosí ingenui da accettare una simile proposta, che li avrebbe messi in balìa del nemico, per tutta risposta assaltano la città di Nicoya e la mettono a sacco e la bruciano, non salvando dalla distruzione che le chiese e tutti gli oggetti del culto cattolico. Le cose erano giunte a questo punto quando un mattino, mentre i filibustieri stavano allestendo alcune vecchie barcaccie per intraprendere qualche altra audace scorreria, videro approdare alla loro isola, che era diventata una piccola Tortue, sette scialuppe montate da un centinaio e mezzo d'uomini. Erano i corsari del conte di Ventimiglia e di Raveneau de Lussan. Quei valorosi, dopo aver conquistata e saccheggiata Pueblo-Viejo, avevano fatto una marcia rapidissima verso l'Oceano Pacifico, per portarsi a quell'isola dove erano sicurissimi di trovare dei soccorsi. Evitando con cura le città ed i villaggi, marciando sempre attraverso le boscaglie per non imbattersi nei corpi spagnuoli che il viceré di Panama, allarmato da quei continui attacchi, aveva lanciato in tutte le direzioni, risoluto a ricacciare in mare quei pericolosissimi nemici, erano giunti felicemente sulle sponde del grande Oceano, impadronendosi per sorpresa di un numero abbastanza rilevante d'imbarcazioni tolte ai pescatori della costa. Non giungevano però a San Giovanni di Pueblo in un momento felicissimo. Pochi giorni prima, una flotta composta di quindici legni spagnuoli aveva fatto la sua comparsa in quelle acque, costringendo Grogner ed i suoi uomini ad abbruciare piú che in fretta la loro fregata e gli schifi che possedevano, perché non cadessero nelle mani dei loro nemici. Fortunatamente gli spagnuoli si erano contentati di portar via le ferramenta del vascello e di distruggere quanto era rimasto di esso, senza osare di inoltrarsi nell'isola. La notizia dell'arrivo del figlio del Corsaro Rosso con Raveneau de Lussan, reduci dalla presa di Pueblo-Viejo, non aveva mancato di produrre una profonda emozione e anche di rialzare immensamente il morale dei filibustieri i quali, distrutta la loro flottiglia, non si trovavano piú in grado di riprendere le loro scorrerie verso il continente. Grogner, avvertito dell'approdo del nipote del famoso Corsaro Nero e cugino del non meno famoso Morgan, il conquistatore di Panama, si era affrettato a muovergli incontro. Già la notizia che un parente dei piú celebri filibustieri del Golfo del Messico veleggiava in quelle acque, era giunta fino all'isola. Grogner non era un gentiluomo come Raveneau de Lussan, tuttavia godeva fama di essere uno dei piú arditi corsari di quell'epoca. Aveva esordito, come quasi tutti i filibustieri, come mozzo; aveva combattuto in Francia, in Inghilterra ed in Olanda, poi era passato in America, desideroso di fare una rapida fortuna. Era giunto però troppo tardi, quando ormai le città del golfo del Messico erano state completamente rovinate dall'Olonese, da Montbars, dai tre corsari, da Grammont, da Wan Horn, da Morgan e da tanti altri non meno famosi. Aveva quindi seguito le tracce di Davis, girando il capo Horn ed era giunto ancora in tempo per fare dei bei colpi contro le cittaduzze dell'America centrale, aiutato da trecento disperati, che non avevano paura né degli archibugi, né delle artiglierie spagnuole e tanto meno delle loro squadre. Narrano le cronache di quel tempo che rassomigliava un po' a Morgan e che quantunque di statura mediocre possedeva una forza muscolare straordinaria ed un coraggio a tutta prova. Come abbiamo detto, udendo che il capo dei filibustieri sbarcato a San Giovanni di Pueblo era il figlio del Corsaro Rosso, si era affrettato a muovergli incontro, dicendogli: - Signor conte, vi si aspettava qui. Tutti i vecchi filibustieri hanno conosciuto e hanno combattuto sotto il comando dei tre corsari che hanno portato, sia pure per una loro vendetta privata, un terribile colpo alla potenza spagnuola del Golfo del Messico. Ecco la mia mano, ed ecco i miei uomini pronti a seguirvi dove voi vorrete. - Era appunto di voi che io avevo bisogno, - rispose il corsaro. lo sono venuto qui per proporvi una terribile impresa. - Voi sapete, signor conte, che nessuna impresa ha spaventato mai i Figli della Costa, come ci hanno chiamato noi per tanti lustri. Che cosa volete da noi? ... - La conquista di Nuova Granata, - rispose il signor di Ventimiglia. - Diamine, - disse Grogner. - È come domandare la testa del governatore di Panama o la presa di Messico o di Cuzco. Nuova Granata è una delle città piú fortificate del Nicaragua, signor conte. - Avreste paura? La prenderemo io ed il signor di Lussan. - Diamine, non correte tanto, signor conte. Là vi sono dei tesori favolosi da raccogliere ... - Che io sono pronto a rinunciare a beneficio dei vostri uomini e di quelli del signor di Lussan. - Si sa che i tre famosi corsari erano ricchissimi, - rispose Grogner. Che cosa chiedete per vostra parte? - Un uomo. - Un prigioniero? - chiese con stupore il filibustiere. - Niente di piú. - Che diavolo! ... Un uomo prezioso senza dubbio. - Il marchese di Montelimar. - Il governatore di Pueblo-Viejo? - Precisamente. - Vi è scappato? Mi hanno detto che voi avete presa d'assalto quella città, signor conte. - Ma ho avuto il torto di giungere troppo tardi, signor Grogner. - Quanti uomini avete? - Centocinquanta, con quelli di Raveneau de Lussan. - Ed altrettanti ne ho io, - rispose Grogner. - Se Pietro l'Olonese con un terzo delle nostre forze ha espugnato Maracaibo e poi Gibraltar, io sarei ben sorpreso se non si potesse prendere d'assalto Nuova Granata, prendere il marchese, molte piastre e fare anche parecchi prigionieri, signor conte. Voi avete sette schifi, mi hanno detto. - Sí, signor Grogner. - Il marchese è in quella città? - Ne sono sicuro. - Via - disse il filibustiere, dopo qualche istante di silenzio. Andremo a vedere se i cannoni che difendono il forte di Nuova Granata saranno carichi con ferro o con acqua calda. Al figlio del Corsaro Rosso un filibustiere che si rispetta non può rifiutare nulla. Signor conte, vi offro ospitalità nella mia povera tenda e domani partiremo. - Ecco un uomo, - disse don Barrejo, il quale aveva assistito al colloquio, tenuto sulla spiaggia, rivolgendosi verso i due inseparabili amici: il fiammingo e Mendoza. - Un vero filibustiere, - rispose il basco. - Siete mai stato in quella città, signor Mendoza? - Siccome non ho mai avuto alcuna premura di prendere un passaporto per l'altro mondo, cosí mi sono sempre ben guardato di mettere i piedi nelle città difese da troppi cannoni. - Troveremo delle taverne, io spero! ... - Che i granatini bevano dell'acqua? - disse il fiammingo. Io non lo crederò mai. - E nemmeno io, don Barrejo, - aggiunse Mendoza. - Là troveremo forse delle botti migliori di quelle che abbiamo assaggiato a Pueblo-Viejo. Granata fornisce di vini Panama e, siccome a Panama si trovano un viceré e degli altissimi funzionari, sono piú che certo che troveremo delle cantine meravigliosamente fornite. Mi stupite però, signor guascone. - Perché? - chiese lo spadaccino. - Si direbbe che voi siete diventato un filibustiere piú pel desiderio di assaggiare i vini spagnuoli che per avidità di guadagno. Eppure i dobloni non vi spiacciono, mi pare. - Quelli verranno piú tardi, - rispose il guascone. - Cerchiamo un posto dove si possa mangiare e bere. Qualche doblone passeggia ancora per le mie tasche e se si può berlo e mangiarlo, niente di meglio. Diamine! ... Un guascone è sempre generoso. Non era difficile all'isola di S. Giovanni di Pueblo spendere dei denari, poiché i filibustieri che vi si erano rifugiati ne avevano fatto, come abbiamo detto, una piccola Tortue. Malgrado le continue minacce degli spagnuoli, quei formidabili scorridori del mare si divertivano allegramente, profondendo le ricchezze guadagnate nei saccheggi, con una prodigalità da nababbi. Dei meticci, giunti dal continente ben provvisti di viveri e soprattutto di vini e di liquori, avevano piantate le loro baracche, vendendo a prezzi esorbitanti i loro generi. I filibustieri, da veri ladroni, non badavano a pagare. Che cosa costava d'altronde a loro il denaro? E come ne erano sempre ben provvisti! ... I tre compagni si cacciarono quindi sotto una immensa tenda, dove molti uomini bevevano allegramente o giuocavano o danzavano con alcune prigioniere spagnuole al suono di alcune chitarre suonate da negri. - Questo è il paese della cuccagna, - disse don Barrejo, sedendosi all'estremità d'una lunghissima tavola. - Io scommetto che le donne spagnuole non si sono mai divertite tanto, come quando si sono trovate con questi briganti. - Adagio, signor guascone, - rispose il basco. - Talvolta questi divertimenti costano cari alle prigioniere ed ai prigionieri. - Perché? Non si rispettano quelle signore? - Anzi si rispettano moltissimo e guai al corsaro che osasse comportarsi da villano contro le prigioniere. Talvolta però giungono i giorni tristissimi ed i sorrisi di quelle disgraziate si tramutano in lagrime di sangue. - Che cosa volete dire? - Che quando i loro parenti ed i governatori non mandano i riscatti, i filibustieri non esitano a far estrarre ai prigionieri, siano uomini o donne, la sorte. - E cosí? - Quello o quella che ha avuto la sfortuna di levare una palla nera, si decapita e la testa si manda al governatore per costringerlo a pagare. - Ciò è brutto. - Che cosa volete? È la guerra. Gli spagnuoli d'oltremare non sono piú generosi e quando riescono a prendere qualcuno di noi l'appiccano senza misericordia. - Guardiamo dunque di non farci prendere, - disse il fiammingo. Si fecero portare delle bottiglie e del prosciutto salato e si misero a bere ed a mangiare. Avevano però appena vuotata qualche tazza, quando un rimbombo assordante li fece balzare in piedi. - Il cannone! - aveva gridato don Barrejo. Tutti i filibustieri che si trovavano sotto la tenda si erano precipitati fuori, prendendo i loro archibugi, mentre le donne strillavano ed i chitarristi scappavano, gettando via gli istrumenti. - Che cosa succede dunque? - chiese il guascone, snudando la sua draghinassa. - Queste sono cannonate spagnuole, - rispose Mendoza. A loro volta erano corsi fuori, slanciandosi verso la piccola baja dove trovavasi ancorata la flottiglia dei filibustieri, la quale si componeva d'un vascello e d'una mezza dozzina di barcaccie. Una grande confusione regnava sulle sponde del porticino, dove si erano radunati tutti i filibustieri dell'isola. Vi erano anche il conte di Ventimiglia, Grogner e di Lussan. In lontananza il cannone continuava ancora a tuonare. Quindici vascelli muovevano lentamente verso l'isola, disposti su due colonne. Era la flotta spagnuola del Pacifico, incaricata di impedire il passo ai corsari che provenivano dal Capo Horn o dallo stretto di Magellano, flotta imponente che avrebbe potuto purgare per sempre quei mari da quegli audaci ladroni, se l'avessero voluto. - Signor conte, - disse Grogner al figlio del Corsaro Rosso, con voce un po' alterata. - Siete giunto in un cattivo momento. - Non mi pare, - rispose il signor di Ventimiglia, - poiché vi ho condotto dei rinforzi. - Non potremo resistere ad una squadra cosi potente. Non ho che un vascello e delle barcaccie. - Fate tirare a terra le barcaccie e gli schifi e nascondeteli sotto le foreste. - Ed il vascello? - Incendiatelo perché non venga preso dagli spagnuoli. Spicciatevi, signor Grogner e poi ritiriamoci nell'interno dell'isola. Se vorranno assalirci, sapremo difenderci. Gli ordini furono subito dati. Mentre una partita di corsari saliva a bordo della nave, radunando quanto catrame si trovava nella stiva e lo incendiava, gli altri s'affannavano a mettere in salvo le migliori barcaccie e le scialuppe, per non rimanere sprovvisti completamente di mezzi di trasporto, capaci più tardi di far loro raggiungere il continente. La squadra spagnuola, sicura del fatto suo, aveva intanto incominciato a sparare tremende bordate, specialmente contro il vascello il quale già era stato sgombrato rapidamente. - Perdinci! - esclamò il guascone. - Questa volta gli spagnuoli fanno sul serio. Signor basco, giacché i nostri compagni scappano, lavoriamo di gambe anche noi. I colpi di spada li ricevo volentieri, ma non ho provato mai alcuna affezione per le grosse palle che tagliano in due senza nemmeno dirvi: guarda che ti ammazzo, imbecille! I filibustieri infatti, messe in salvo le imbarcazioni, scappavano da tutte le partì, mentre i proprietarii delle baracche, aiutati dai loro negri, cercavano di portare via il meglio che possedevano, per non lasciarlo cadere nelle mani degli spagnuoli. Le cannonate intanto non cessavano. Le palle cadevano come una fitta gragnuola sulla spiaggia e sul vascello, il quale già avvampava rapidamente, eruttando dai boccaporti spalancati immense nuvole di fumo. Era una squadra veramente imponente, composta di galeoni, di fregate e di grosse caravelle e montata da duemila marinai. I filibustieri, guidati dal signor di Ventimiglia, da Grogner e da Raveneau de Lussan, si erano intanto affrettati a mettersi in salvo su una collina situata quasi nel mezzo dell'isola e perciò fuor di portata dalle artiglierie della flotta; artiglierie, che come abbiamo detto, in quei tempi avevano una portata molto limitata. Erano tuttavia assai inquieti, temendo un poderoso assalto da parte degli equipaggi. Fortunatamente nulla di grave accadde. La squadra, dopo aver cannoneggiate le baracche, sbarcò alcune centinaia d'uomini per raccogliere le ferramenta del vascello corsaro distrutto dall'incendio, e qualche ora dopo riprendeva la sua rotta veleggiando verso Panama. - Corpo di un bue! - esclamò il guascone, il quale osservava tutte quelle navi maestose, dall'alto della collina. - Avrebbero potuto distruggerci e hanno preferito invece andarsene. Buon viaggio, signori e che Dio vi guardi dalle tempeste. Si levò il feltro e salutò la squadra, facendo nel medesimo tempo un inchino cosí profondo da far scoppiare dalle risa non solamente il basco, bensí anche il conte di Ventimiglia e Grogner che gli stavano presso.

. - Non fate un passo innanzi, voi - gridò Buttafuoco, vedendo che l'imprudente marinaio stava per abbandonare la costa della savana. - Gettatemi la corda e strappatemi da questa terribile trappola. Il conte, che era dinanzi al guascone e al basco, gliela lanciò destramente, trattenendo l'altro capo. Il bucaniere, che affondava lentamente ma continuamente nel fondo traditore, se la legò sotto le ascelle, dicendo: - Levatemi da questa tomba e badate di non cadere. Vi è la morte sotto ed intorno a voi. I tre uomini unirono i loro sforzi, badando bene a non perdere l'equilibrio. A piccoli tratti ben misurati strapparono il brav'uomo dalle sabbie che già si aprivano per inghiottirlo. - Non mi aspettavo di trovarle qui - disse Buttafuoco. - Che la costa sia proprio finita? Sarebbe la nostra rovina. - Che pieghi invece? - Me ne accerterò all'istante, signor conte. Aveva subito ripreso il suo sangue freddo. Riafferrò la canna che si era piantata profondamente nella fanghiglia e avanzò prima a destra poi a sinistra, con estrema precauzione. Un grido di trionfo avvertí il conte che la buona via era stata ritrovata. - Siamo salvi! - aveva esclamato Buttafuoco. La costa in quel punto descriveva una curva pur continuando ad avvicinarsi alla riva. Il bucaniere, dopo essersi ben assicurato della sua direzione, si spinse risolutamente innanzi e raggiunse felicemente la terraferma, subito seguito dai compagni. - Siamo al sicuro, qui? - chiese Mendoza. - Per un po' di tempo, non avremo nulla da temere, - rispose il bucaniere. - Solamente i cani potrebbero darci qualche fastidio; non essendo però noi indiani, non sono troppo temibili. - Ve ne abbiamo dato un esempio, - disse il guascone. Moltissimi conigli, dal pelame rossiccio chiaro e la coda lunga, che stanno fra i nostri conigli e le lepri, scappavano dinanzi a loro, mentre fra i rami svolazzavano dei grossi curlam, bellissimi trampolieri della famiglia dei francolini, colle piume brune-porpora sul dorso, con una striscia bianca ai lati della testa, il becco aguzzo e duro come una lama di acciaio, che adoperano per difendersi non solamente contro i cani, ma anche contro i cacciatori. Buttafuoco descrisse nel bosco un grand'arco di due tre chilometri, poi, persuaso che i nemici non erano ancora giunti fin là, si decise a sparare alcuni colpi d'archibugio, gettando a terra due coppie di galli del collare, un paio di sgarze, graziosi aironi grossi poco piú d'un tordo, col ciuffo e le piume verdi, mentre il corsaro, che aveva caricato il suo fucile pure a migliarola, mitragliava alcune pernici americane, un po' meno grosse di quelle europee e d'una fecondità prodigiosa, perché depongono perfino quaranta uova. Carichi di tutti quei volatili, fecero ritorno all'accampamento improvvisato da Mendoza e dal terribile guascone. - Gli spagnuoli? - disse subito Buttafuoco. - Io credo che stiano cenando pacificamente, - rispose don Barrejo, il quale aveva subito adocchiati i bellissimi pennuti. - Sicché voi volete dire che noi possiamo imitarli, - disse il bucaniere, sorridendo. - Quando uno dorme o mangia, io ho sempre avuto l'abitudine di imitarlo, - rispose il guascone. - I guasconi sono sempre furbi, - disse Mendoza. - E come se ne vantano! - disse don Barrejo. - Degnatevi almeno di preparare la cena. - Ci penso io, signor bucaniere. - Ed io vi aiuto, - aggiunse il marinaio. Mentre i due compari, i quali pareva che andassero pienamente d'accordo quantunque non si risparmiassero vicendevolmente le stoccate, a colpi di lingua però, si occupavano alacremente della cena, il conte e Buttafuoco si erano spinti verso la riva della savana, temendo sempre una sorpresa. Tanto all'uno che all'altro pareva impossibile che gli spagnuoli si fossero immobilizzati sulla penisoletta, senza tentare la traversata della palude. Forse aspettavano la notte per spingersi innanzi e sorprenderli. Il bucaniere però non era uomo da cadere cosí grossolanamente in un agguato. Abituato alle sorprese ed alla vita dei boschi, conosceva troppo bene i suoi eterni nemici, coi quali già troppe volte aveva avuto da fare. - Avremo il tempo di cenare e anche di riposarci qualche ora, aveva detto al signor di Ventimiglia. - Sarà l'ultima volta che noi passeremo fra queste lagune e coi nemici alle spalle. La marchesa s'incaricherà poi di farci raggiungere il capo Tiburon. Rimasero in osservazione sulle rive della savana per qualche tempo, poi si ripiegarono lentamente verso l'accampamento, attratti anche dal profumo squisitissimo che giungeva fino a loro. Mendoza ed il guascone avevano fatto dei veri miracoli: galli dal collare, sgarze e pernici erano stati superbamente arrosolati e non chiedevano altro che dei buoni colpi di dente. - Signor conte, - disse Buttafuoco, - voi avete due cuochi insuperabili. Il mio arruolato, malgrado tutta la sua buona volontà, non vale tanto. - Se mi sarà possibile ve ne cederò uno, - rispose il signor di Ventimiglia. Un uh! ... feroce fu la risposta dei due compari: i quali ormai sentivano di non poter vivere lontani l'uno dall'altro nemmeno un mezzo minuto. - Questi uomini non saranno mai dei buoni arruolati pei bucanieri, - disse Buttafuoco, scuotendo la testa. - Peccato! La cena fu fatta in fretta, avendo udito in lontananza dei latrati i quali potevano annunciare la vicinanza di quegli accaniti nemici. - Bah! - disse Buttafuoco. - Ci riposeremo nella villa della marchesa. Questo non è terreno propizio per chiudere gli occhi. Signori, uno sforzo ancora che spero sarà l'ultimo. - Questa è una vitaccia da cani, - disse Mendoza. - È vero, don Barrejo? - Da presidiarios, compare, - rispose il guascone. - Allora rimanete qui, - rispose il bucaniere, - e finite la vostra digestione con un chilogramma o due di piombo spagnuolo. - Oh no, signore, disse Mendoza. - Io non lascerò mai il mio signore. - E nemmeno io, aggiunse il guascone. - La mia draghinassa è troppo necessaria in questo momento, al signor conte. - E allora movetevi, - disse il bucaniere. - Pensate che non vi lascerò dormire finché non giungeremo nella fattoria, e, se il vostro padrone non si lamenta, non ne avete il diritto nemmeno voi. - Io sono pronto a percorrere anche mille miglia d'un fiato e senza mandare un sospiro, - disse don Barrejo. - Non sono già un guascone di carta pesta, io! Il bucaniere rimase alcuni istanti in ascolto, scotendo la testa piú volte, poi, volgendosi verso il conte, disse: - Se non sono gli spagnuoli, sono i cani che giungono. Marciamo, signori, e senza chiacchierare. Per la seconda volta la notte era calata e, quantunque da quarant'otto ore non facessero altro che fuggire, si erano rimessi in cammino attraverso l'oscura foresta, rasentando di quando in quando degli ampi stagni sotto le cui acque fangose udivano nitrire o vagire i caimani. In lontananza, verso la savana, i cani continuavano a latrare e a guaire. Guidavano le cinquantine sulle coste, oppure avevano cominciata la caccia per loro conto? Era piú probabile questo, non potendosi ammettere che gli spagnuoli osassero avanzarsi fra le sabbie mobili, specialmente di notte. Buttafuoco di quando in quando si fermava per ascoltare, poi si rimetteva in cammino con maggior lena. Pareva che non fosse punto tranquillo. - Che cosa temete dunque? - chiese ad un tratto il conte, che gli camminava da vicino. - Non so, - rispose evasivamente il bucaniere. - Vi dico solo di fare uno sforzo supremo per guadagnare terreno. - Siamo ancora molto lontani? - Non credo. Queste foreste non le conosco, tuttavia sono quasi certo di essere sulla buona via. È la nostra ridiscesa verso ponente che non mi rassicura molto. Se sapessi dove si trovano le cinquantine, non m'inquieterei troppo. Bah! Vedremo e sapremo difenderci. Si erano impegnati nuovamente fra pessimi terreni paludosi, ingombri di ninfee rosse, di nelumbi gialli, di pontideire turchine e di canne, le quali formavano dei grossi mazzi piumati, perciò la marcia non poteva riuscire molto rapida, malgrado la buona volontà dei fuggiaschi. Buttafuoco continuava a dare segni d'inquietudine ed il conte lo udiva di quando in quando brontolare. Eppure, quantunque i cani continuassero ad abbaiare in lontananza, nessun pericolo pareva che li minacciasse. Marciavano già da qualche ora sempre in mezzo alle canne, quando il bucaniere si fermò di colpo, dicendo rapidamente: - Abbassatevi! Il conte il basco ed il guascone si erano affrettati ad obbedire. - Che cosa c'è dunque? chiese il conte, dopo qualche istante di attesa. - Rimanete qui, signore, rispose Buttafuoco. - Siamo piú vicini di quello che crediamo alla villa della marchesa; non so però se potremo facilmente raggiungerla. Io mi domando se per caso gli spagnuoli hanno indovinato le nostre intenzioni. - Perché dite questo, Buttafuoco? - Mi spiegherò quando sarò tornato. - Vi allontanate? - È necessario, signor conte: ma la mia assenza non sarà lunga. Voglio essere certo che non cadiate in qualche imboscata. Quello che vi raccomando è di non muovervi, qualunque cosa dovesse accadere, e se vi attaccano, di resistere fino al mio ritorno, altrimenti non saprei piú ritrovarvi fra tutte queste canne e queste erbe palustri. E poi potreste cadere nella savana tremante che deve trovarsi sulla vostra destra, e non uscireste mai piú da queste sabbie. - Dunque siamo seriamente minacciati? - disse il signor di Ventimiglia un po' preoccupato della brutta piega che prendevano le cose. - Non so nulla per ora. Addio, signor conte, e se non mi spaccano il cranio con una palla, mi rivedrete presto. Ciò detto il bucaniere si mise a scivolare fra le canne, senza produrre il piú leggero rumore, allontanandosi velocemente. - Che questa caccia non finisca piú? - disse il guascone. - Signor conte, avete fatto male a lasciare San Domingo. Se foste ritornato nella mia soffitta, nessuno sarebbe venuto a cercarvi di certo. - Ma se volevate accopparci! - disse Mendoza. - Perché vi avevo creduto due ladri - rispose don Barrejo. - Se avessi saputo con quali persone avevo da fare, non avrei sfoderato la mia draghinassa. Speriamo che tutto finisca bene. Non è la pelle che mi dispiacerebbe perdere, bensí i miei dobloni. - Ci tenete tanto? - Un guascone non è mai stato un signore - rispose l'avventuriero con gravità. - Il signor conte può affermarlo. - Io tengo piú alla mia carcassa, quantunque nemmeno i baschi siano mai stati castellani, don Barrejo. - Zitti! - disse il signor di Ventimiglia. - Non è il momento di discutere con la lingua, bensí con l'archibugio. Aveva aperto con precauzione il gruppo di canne che serviva loro di nascondiglio e osservava attentamente dinanzi a sé. - Vengono? - chiese Mendoza. - Non vedo nessuno; eppure se fossi a bordo della mia fregata, mi troverei meglio che qui, anche se ci fossero due galeoni dietro poppa. Un leggiero fruscio si fece udire in quel momento, poi, dopo qualche istante, comparve Buttafuoco. - Partiamo subito, signore! - disse - o non giungeremo mai piú alla fattoria della marchesa. Stiamo per essere circondati. - Ancora? - chiese il conte. - Sono già giunti? Eppure odo sempre i cani latrare verso la savana! - Io non so quante cinquantine si siano messe in campagna per catturarci. A quanto pare gli spagnuoli ci tengono a prendervi. Dopo tutto, non hanno torto: i tre corsari hanno lasciato troppi ricordi nel golfo del Messico! In marcia, signori! Ogni minuto perduto è un grave pericolo di piú per noi. - Riusciremo a passare inosservati? - Sí, lungo la savana tremante - rispose Buttafuoco. Ripartirono velocemente, tenendosi nascosti dietro alle canne, guidati dal bucaniere. Di quando in quando Buttafuoco si gettava a terra e accostava un orecchio al suolo, ascoltando attentamente, poi si rialzava e ripartiva con maggiore velocità. Dopo cinque o seicento metri, i quattro fuggiaschi si trovarono sulla riva di un'altra savana. - Questo è il momento terribile! - disse Buttafuoco. - Le cinquantine sono sulla nostra sinistra. Vi concedo cinque minuti di riposo poiché avrete da mettere, molto probabilmente, le vostre gambe ad una dura prova. - Finiremo col diventare cani levrieri - disse Mendoza, scuotendo il capo. - Questo è un allenamento in piena regola. Il bucaniere lasciò trascorrere i cinque minuti, poi si alzò dicendo: - Tenete pronti gli archibugi! Vengono! ... - Ah! ... poveri i miei dobloni! - mormorò il guascone. Buttafuoco si era slanciato a corsa disperata. Pareva che un improvviso terrore avesse colto quell'uomo che pure sembrava avesse un cuore di bonzo. Ad un tratto si udirono alcuni colpi di archibugio, accompagnati da altissime grida e da latrati furiosi. Le cinquantine si erano accorte del passaggio dei fuggiaschi ed avevano aperto il fuoco. - Fulmini! Piove piombo! - esclamò il guascone, il quale apriva piú che poteva le sue lunghe e magrissime gambe. Alcuni uomini, preceduti da parecchi cani, si erano slanciati fuori dai gruppi di canne, urlando a piena gola: - Ferma! ... Ferma! ... - Sparate prima sui cani! - gridò Buttafuoco. - È necessario! Si era fermato contro il tronco d'una palma e aveva imbracciato l'archibugio. Sette bestiacce giungevano l'una dietro l'altra, con le gole spalancate, urlando come lupi famelici. Buttafuoco sparò il primo colpo, abbattendo il capo-fila che era il piú grosso e che probabilmente doveva essere anche il piú feroce e pericoloso. Il conte ed i suoi compagni a loro volta fecero fuoco, gettandone giú altri, poi snudarono le spade, tenendosi in parte riparati dietro al tronco della palma. Non erano indiani da scappare dinanzi a quei feroci mastini che incutevano agli ingenui figli dell'America centrale, non abituati a vedersi assaliti da bestie cosí grosse, tanta paura Un luccicare d'acciaio, sette od otto colpi, menati con forza terribile, e le bestie rimasero a terra, sbudellate o decapitate. Gli spagnuoli, che avevano contato sull'assalto di quei mastini, vedendoli stramazzare l'uno dietro l'altro, ricominciarono a sparare, ma essendo costretti a far fuoco correndo, le loro palle non colpivano mai il segno, anche a causa dei canneti, dietro ai quali si riparavano i fuggiaschi. Buttafuoco ed i suoi compagni avevano subito ripresa la corsa, non avendo alcun desiderio d'impegnare una battaglia che non offriva nessuna possibilità di riuscire a loro favorevole, dato il numero degli assalitori. Sbarazzatisi dei cani, i soli che avrebbero potuto raggiungerli e dare loro molto da fare, si erano raccomandati alle proprie gambe, poiché ormai la loro salvezza non consisteva che nella robustezza e resistenza dei garretti. Buttafuoco, abituato alle fughe precipitose, correva con uno slancio invidiabile. Quel diavolo d'uomo, quantunque non piú giovane, filava come un vero daino inseguito da una muta furibonda. Chi si trovava male era sempre Mendoza, il quale non finiva mai di borbottare, assicurando di essere ormai finito, dopo tante scappate. Il guascone invece allargava sempre piú le sue gambe smisurate e pareva che se ne ridesse di quella corsa indiavolata. Buttafuoco pure, di quando in quando, faceva qualche breve sosta per sparare qualche archibugiata, ma piú per concedere ai suoi compagni un mezzo minuto di riposo che colla speranza di abbattere qualche nemico. Quella corsa furiosa durava da circa mezz'ora e gli spagnuoli erano rimasti tanto indietro da non scorgerli piú, quando Buttafuoco andò a urtare contro una palizzata. - Siamo salvi! - gridò. - Ecco la fattoria della marchesa di Montelimar!

Il bucaniere ed il conte si erano coricati sotto una passiflora, sorvegliando attentamente le mosse degli spagnuoli, mosse assolutamente inoffensive, poiché non avevano osato abbandonare la penisoletta che s'avanzava nella savana. Sorvegliavano anche le acque, soprattutto quelle ingombre di erbe, per paura che qualche caimano tentasse di giungere di soppiatto fino all'isolotto per fare qualche buon colpo. Quelle brutte bestiacce non dovevano mancare in quella palude, però non si mostrarono. Probabilmente non si erano ancora accorte della presenza di quel gruppo d'uomini. Quando le tenebre cominciarono ad alzarsi, il bucaniere ed il conte, dopo essersi assicurati che gli spagnuoli erano sempre fermi sulla penisoletta, fecero una rapida escursione attraverso all'isolotto, onde cercare un passaggio che permettesse loro di sfuggire alla sorveglianza dei loro avversarii. Quel pezzo di terra era ingombro di ponted eire, bellissimi cespi di foglie d'un verde lucente e di fiori azzurri e di aristolochie dalle foglie ovali, i fiori lividi in forma di sifoni, col tronco grosso come una botte e radici gigantesche le quali s'alzavano fuori dalla terra come serpenti smisurati. Non mancavano però le piante d'alto fusto. Qua e là s'ergevano, a gruppi, delle quercie, delle magnolie acuminate cariche di certe frutta somiglianti ai cetriuoli, d'un bel rosso lucente, e che si adoperano con successo per guarire le febbri intermittenti, e anche dei noci neri, di dimensioni gigantesche e molto frondosi. Numerosi volatili fuggivano dinanzi al corsaro ed al bucaniere. Erano corvi di mare, piú grossi dei galli, ferocissimi perché osano assalire perfino le persone ferite impotenti a difendersi; fenicotteri, tantali verdi, ibis bianche e botauri, bellissimi volatili alti quasi due piedi, colle penne brune rigate, il ventre grigiastro, il becco acutissimo e gli occhi gialli e molto delicati. - Occupiamoci prima del passaggio, - disse il bucaniere al conte, il quale si preparava a sparare qualche colpo onde procurarsi una buona colazione. - Avremo tempo per massacrare questi volatili, i quali non mi sembrano molto spaventati per la nostra presenza. - Sperate di trovarlo? - Eh! ... Le savane di quest'ísola sono molto difficili ad attraversarsi in causa delle sabbie mobili che costituiscono il fondo. Ma io non dispero di trovare qualche costa che ci permetterà di farla agli spagnuoli. Voi siete sicuro che la vostra nave vi aspetta sempre al capo Tiburon? - Non scioglierà le vele senza mio ordine, - rispose il conte. - Allora possiamo andare alla fattoria della marchesa. Senza il suo appoggio sarà un po' difficile che voi possiate lasciare San Domingo. A quest'ora tutte le cinquantine saranno in movimento per catturarvi. I tre famosi corsari non sono stati dimenticati e gli spagnuoli devono essere molto spaventati nell'apprendere che ve n'era un quarto che batte ancora le acque del gran golfo e che non si sa che cosa voglia fare. - Forse è questo che farà venir loro la febbre, - disse il conte. - Che cosa io sia venuto a fare qui tutti lo ignorano. Certamente io non ho varcato l'Atlantico per continuare le gesta di mio padre e dei miei zii. Il bucaniere si era voltato vivamente, guardando fisso il figlio del Corsaro Rosso. - Delle vendette? - chiese. - Quelle verranno piú tardi, - rispose il signor di Ventimiglia, con voce grave. - Ho prima altro da fare. Si era fermato, guardando a sua volta fisso fisso il bucaniere. - Siete stato nel Darien, voi? - gli disse ad un tratto. - Sí; con Wan Horn, - rispose Buttafuoco. - Conoscete dunque quel paese? - Abbastanza bene: si trattava allora di attraversarlo con l'aiuto di un grande cacico, nemico terribile degli spagnuoli, per andare ad assalire Granata. - Come si chiamava quel grande cacico? - Hara. - Aveva delle figlie, non è vero? - Sí, signor conte. - Date spose a dei famosi filibustieri? - Questo lo ignoro - rispose Buttafuoco. - È lui. - Chi? Il conte, invece di rispondere, si mise a guardare la savana che si estendeva dinanzi a lui a perdita d'occhio, interrotta qua e là da isolotti e da altifondi coperti da una vegetazione superba. - Saremo costretti ad attraversarla? - chiese dopo un lungo silenzio. - Sí, signor conte - rispose Buttafuoco. - Non possiamo tornare indietro: perderemmo la vita, poiché sono certo che gli spagnuoli hanno mandato dei corrieri per aver degli aiuti e le cinquantine che giungeranno non saranno solamente armate di alabarde. - Quando partiremo? - Questa sera stessa, perché i nostri nemici non s'accorgano della direzione che prenderemo. - È lontana la fattoria della marchesa? - È piú vicina di quello che supponete - rispose Buttafuoco. Con una rapida marcia vi potremo giungere in cinque o sei ore. - Cerchiamo la colazione, allora. - Un momento, signor conte; è la costa che mi occorre trovare. Se non riesco a scoprirla, non potremo allontanarci dall'isolotto. Spezzò una canna, armò l'archibugio per essere piú pronto a far fuoco sui caimani e avanzò nell'acqua tastando il fondo. Aveva percorso una quindicina di passi, quando il conte lo vide ritornare. - Abbiamo una fortuna meravigliosa, - disse - il fondo è ottimo e non vi sono sabbie. Signori spagnuoli, ci aspetterete un bel po' e quando vi metterete in marcia non troverete che dei caimani ... Signor conte, guadagniamoci ora la colazione. Non sarà una faccenda lunga. Getteremo giú una mezza dozzina di scoiattoli e ci procureremo un arrosto squisito. Rifecero il cammino percorso, costeggiando specialmente i noci neri, ed aprirono quasi subito il fuoco. Fra gli enormi rami delle grosse piante saltavano disperatamente o meglio volavano dei graziosi animaletti, un po' piú grossi dei topi, col pelame grigio perla sopra e bianco argenteo sotto, con gli orecchi piccoli e neri, il muso roseo ed una splendida coda che pareva una magnifica piuma di struzzo. Erano degli scoiattoli volanti i quali, spaventati dalla presenza di quei due sconosciuti, cercavano di mettersi in salvo, come se avessero già indovinate le malevole intenzioni del bucaniere. Quantunque rassomiglino un po' a quelli che si trovano nelle foreste d'Europa, ne differiscono per una membrana pelosa che unisce le gambe posteriori a quelle anteriori, permettendo loro di spiccare delle vere volate che si prolungano talvolta perfino di cinquanta e più passi. Avevano però da fare con un tiratore meraviglioso; cosicché, in meno di cinque minuti, sette od otto di quei graziosi roditori, mitragliati dal bucaniere, caddero al suolo insieme ad un gran numero di noci che potevano servire benissimo come ottima frutta. Mendoza ed il guascone, che già s'immaginavano di avere una buona colazione con un cacciatore cosí famoso, avevano nel frattempo acceso un allegro fuoco e raccolte delle erbe aromatiche per rendere l'arrosto piú gustoso. I quattro uomini scuoiarono in pochi istanti le bestiole, le infilarono nella bacchetta di ferro d'uno degli archibugi e le misero sopra i carboni, girando quello spiedo primitivo su due forchettoni di legno piantati nel suolo. Mendoza si era improvvisato cuoco, dopo che il guascone gli aveva solennemente dichiarato di saper divorare anche sei beccaccini l'uno dietro l'altro, ma di non saperseli cucinare. Il buon marinaio non aveva né protestato, né brontolato; anzi, aveva guardato con ammirazione quel formidabile mangiatore, chiedendogli solamente per quale motivo i guasconi, pur essendo divoratori, non ingrassavano. Non occorre dire che la domanda era rimasta senza risposta, perché anche don Barrejo non avrebbe saputo dare su quello strano caso nessuna spiegazione plausibile. Il fatto sta che gli scoiattoli scomparvero tutti e la maggior parte passò nel ventre del guascone. Finita la colazione, i quattro uomini si occuparono subito degli spagnuoli, temendo sempre un improvviso colpo di mano. Quelli invece pareva che per il momento non si occupassero affatto di loro. Avevano acceso dei fuochi all'estremità della penisoletta e divoravano la loro colazione tranquillamente, composta forse di testuggini, poiché quei preziosi rettili abbondano intorno alle savane sandominghesi.. - Attendono dei rinforzi - disse Buttafuoco al conte. - Se noi non ci affrettiamo a scappare, circonderanno la palude, e allora sarà bravo chi potrà sfuggire all'accerchiamento. Le cinquantine non si trovano però lí per lí, e possono passare parecchi giorni prima che arrivino. Certo che noi non aspetteremo il momento terribile e fileremo attraverso le acque e anche fra le sabbie mobili. Penserà poi la marchesa a farvi scappare, signor conte. - Sarà la seconda volta - rispose il conte. - A lei tutto è facile - disse Buttafuoco. Aprí una tasca di cuoio che portava al fianco e offrí al conte un grosso sigaro dicendogli: - Potrete con questo ingannare il tempo. È tabacco cubano che ho potuto avere dai filibustieri della Tortue, e non ne troverete del migliore, ve lo assicuro io. Il conte stava per prendere il sigaro, quando un colpo d'archibugio rimbombò e una palla fischiò sopra di loro. Il basco si alzò precipitosamente, afferrando il suo fucile. - Signor conte - disse con la voce un po' alterata - sono giunti dei rinforzi agli spagnuoli e si preparano a prenderci a fucilate. Poi, alzando la voce, disse a Mendoza ed al guascone: - S'impegna battaglia: attenti alle palle!

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