Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonano

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Il codice della cortesia italiana

184410
Giuseppe Bortone 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
  • UNICT
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Il giuoco era, un tempo, il trattenimento preferito nei circoli: ora usa giocare un po' da per tutto: si direbbe che ogni casa sia divenuta un circolo; perché, a mano a mano che vanno smettendo di giocare gli uomini, si abbandonano a questa passione le donne. Ho detto. « circolo », ma avrei anche potuto dire, con appena un po' di esagerazione, « bisca ». Strano questo improvviso femminile furore « giochereccio »: per spiegarselo, bisognerebbe pensare che, oggi, nella maggior parte dei salotti, le donne non sappiano piú parlare di letteratura e d'arte; che temano di parlar della moda; che abbiano capito non esser troppo signorile parlar di donne di servizio; che vogliano fingere di rifuggire dal pettegolezzo; che credano, infine, una nota particolare di distinzione, una nota ultramoderna, quella di invitare le amiche al gioco. Se l'invito è per il gioco vero e proprio, sala da gioco diventa il salotto: se è, invece, un trattenimento accessorio, si prepara una saletta accanto a quella in cui si conversa o si balla. Quindi, alcuni tavolini, coperti di tappeto verde, carte nuove, gettoni, marchette, carta e matite, scatole con sigarette, fiammiferi, portacenere. Nella stanza dove si gioca non dovrebbero esservi specchi sospesi, per evitare che i giocatori possano, anche involontariamente, vedere le carte degli avversari. Sarebbe bene che fossero evitati i giochi d'interesse; per lo meno, che fossero evitati i giochi forti. La padrona di casa dovrebbe fissare un massimo. Né ella dovrebbe prendervi parte, per poter attendere alle mansioni nelle varie sale. Se si accorge che qualcuno non gioca correttamente, o se si accende una disputa fra i giocatori, prima che questa degeneri, propone che si faccia un po' di musica, o fa portare qualche rinfresco-distrazione. Chi non sa giocare non deve mettersi con chi sa; e se qualcuno vi càpita o vi vuol partecipare di proposito, i piú esperti non andranno in collera, né lo rimprovereranno per gli errori: potranno, però, smettere cortesemente di giocare, a partita finita. Il mazzo delle carte deve essere collocato da chi le fa in mezzo al tavolo, perché ciascuno dei giocatori possa scozzarle. Non si prende il mazzo di mano a chi deve farle, per scozzarle, come se si dubitasse della sua onestà. Chi fa le carte mette il mazzo davanti a chi deve tagliare; e questo mette la parte che solleva presso colui che le fa. Non si deve pregare di giocare chi non ha voglia: certamente costui o non ha denaro, o ha paura di perdere. I debiti di gioco si pagano entro le ventiquattr'ore. Nelle case private, non si gioca sulla parola. Se si prende a prestito del denaro dai padroni di casa, bisogna restituirlo non piú tardi del giorno dopo. È volgare mettersi davanti, come molti fanno, degli amuleti; come non è corretto far capire e credere che qualcuno degli spettatori porti iettatura. È bene prestabilire l'ora in cui si smetterà di giocare. Se qualcuno s'accorge che un giocatore tenta d'ingannare, arriva in fondo alla partita e smette, senza far commenti o dare chiarimenti. Il vincitore deve evitare ogni espressione o gesto che dimostri avidità di guadagno, o che possa urtare il perditore; non si rallegra troppo per un colpo ben riuscito; non conta il denaro che ha davanti; non si ritira dal tavolo subito dopo una vincita; non darà parte della vincita ai ragazzi di casa, i quali non dovrebbero assistere al gioco. Il perditore non si dimostrerà avvilito o addolorato ; non perderà mai la calma e il rispetto per gli altri; non getterà le carte o batterà il pugno sul tavolo ; non pretenderà la rivincita; non si distrarrà e costringerà a ricordare che ha perduto e deve pagare; non insisterà perché si aumenti la posta; non proporrà che sia protratta l'ora fissata per il termine del gioco. È poco simpatico il partecipare al gioco quasi di mala voglia, come se si fosse annoiati, o non si prendesse interesse alla partita, o si giocasse per condiscendenza. Le signore non permetteranno che si abbiano eccessivi riguardi per loro « come giocatrici »: se pèrdono, debbono pagare come tutti gli altri; ed è un offenderle tentare o proporre di restituir loro quel che hanno perduto. Non meno corretto e delicato dev'essere il contegno di chi assiste al gioco: quindi, non si debbono suggerir mosse; non dare giudizi su mosse sbagliate; non scommettere sull'esito della partita. In una parola, ricordare costantemente che quando si gioca, è in ballo la conferma della qualifica di gentiluomo e di signore, o... della qualifica contraria. Non ben giudicati i «giochi di beneficenza», nei quali i giocatori, prima della partita, versano una certa somma che andrà a beneficio di qualche istituzione.

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Il romanzo della bambola

245591
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Si raccomandò al cielo; ma in cielo ci sono i santi che, a volte, proteggono le bestie, perchè le amarono in vita, come sant'Antonio, san Francesco, san Benedetto, san Rocco; nessuno protegge i giocattoli, abbandonati da tutti quando li abbandonano i bambini. Nelle sue corse rapide, il sorcio le si accostò parecchie volte; poi, da bravo, forse perchè glie n'era piaciuto l'odore, si mise a rosicchiarle una scarpina, una delle sue belle scarpine di cuoio bronzato. Dati i primi morsi, staccò un pezzetto della suola sottile di pelle di guanto; e per un poco, finchè non ebbe terminato il boccone, la Giulia non sentì più scosse. Ah, fosse finito lì il suo spavento! Ma che! L'animale, fatto un foro nella scarpa, attaccò la calza di seta, che i suoi denti lunghi e puntuti ragnarono tutta. Allora principiò per l'infelice pupattola il martirio di sentirsi divorar lentamente il povero piccolo piede, senza poterlo ritirare, anzi, dovendolo abbandonare inerte, come cosa morta. Le sembrava che, insieme al piede, la bestia le dilaniasse il cuore, la testa, ogni nervo del corpicino. Perchè, perchè non veniva ora la sua Marietta a strapparla di lì, a salvarla? Nessuno! Nessuno si ricordava piú di lei, rifiutata, buttata via senza pietà, come un impiccio, come un limone spremuto. Dal buco fatto nella pelle fina del roseo pieduccio, una ferita orrenda, la segatura scorreva, e ne' sussulti impressi dal topo nel roderla, si vuotava parte della gambina; che rimase poi lì con la sua pelle floscia, cadente, quando l'animale si fu ben impinzato e volle mutar cibo. Fuori, l'inverno era finito, e la primavera, con le sue magnifiche giornate, già tiepide e odorose di fiori, invitava a lasciar la città per i semplici divertimenti all'aria aperta della bella campagna. Anche per i signori de' Rivani era prossima la partenza; e già si facevano in casa tutti i preparativi. Il Moro era stato il primo a esser nominato dalla Marietta tra le cose da portare con sé. Con lui ella avrebbe fatto chi sa quante galoppate allegre per il bosco, sotto gli alberi, dove anche a mezzogiorno c'è ombra. Si trattava di condurlo perfino ai bagni di Viareggio; per le gite lungo la spiaggia e le colazioni nella pineta, dove tutte le sue amiche e più ancòra le bambine conosciute colà l'avrebbero invidiata. Innanzi di lasciare Roma per tutti i mesi della villeggiatura, la signora de' Rivani soleva fare una distribuzione degli oggetti usati di vestiario alle sue persone di servizio e a' suoi poveri; ma prima che agli altri alla famiglia della propria sorella, signora Amalia Cerchi, mamma di Camilla: una signora che, come abbiamo detto, s'era maritata male ed era poco felice. Alla signora Amalia e a Camilla, dunque, venivano, quasi di diritto, gli oggetti migliori fra quelli scartati; e si dava loro anche roba addirittura nuova perchè non si mortificassero. Quell'anno, poi, c'era un monte di vestiti, di sottane, di mantelletti, una sfilata di cappelli, e scatole di guanti, e cassette di scarpe; più regali del solito, perchè anche il signor Giovanni aveva inzeppato il guardaroba al suo ritorno da Milano. Nella stanza degli armadi, davanti agli sportelli spalancati, stavano la signora de' Rivani con la signora Amalia e le due cuginette: la Marietta e Camilla. Nessuna persona di servizio assisteva a quella scelta, per non offendere la miseria della signora Cerchi. - Questo non lo prendo, sai - diceva la signora Amalia alla sorella, tenendo in mano un abitino di velluto - perchè per Camilla è troppo bello. - No, anzi, prendilo; l'ho messo da parte proprio per lei - insisteva la madre della Marietta.

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Saper vivere. Norme di buona creanza

248303
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
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Molti fra questi sono scapoli impenitenti; molti sono vecchi aristocratici, che non escono mai di casa; molti sono professionisti, deputati, senatori, talvolta ministri, che non hanno mai tempo per nulla, eppure, tutti, tutti quanti, di diversa condizione, età ed occupazione, tutti abbandonano il loro lavoro, il loro comodo, il loro piacere, per fare da testimoni. Bene! Benissimo! E quando vi è gente che ha proprio la vocazione della testimonianza, perchè privarla di questo piacere? Dunque, il testimone deve essere invitato al suo ufficio, almeno venti giorni prima del matrimonio: è naturale che a lui si dirigano lo sposo, la sposa o i parenti, per questo invito. Il testimone dello sposo se non conosce la sposa e la sua famiglia, deve esserle precedentemente presentato: viceversa la sposa e la sua famiglia presentano allo sposo, quei testimoni che egli non conosce. Il testimonio non può cavarsela con un bouquet di fiori, anche magnifico, anche messo in un vaso prezioso: le spose detestano i bouquets di fiori, dentro i vasi, rammentarselo! Non è necessario che il dono sia molto ricco: deve essere fine ed elegante. Si manda il giorno prima delle nozze, per un servitore, con una carta da visita, dove sia una parola d'augurio. Il testimone porta la redingote, pantaloni chiari, panciotto nero o bianco, cravatta grigia, o bleu, o verde, non chiarissima, con qualche bello spillo: cappello a tuba, guanti grigio-perla. Il testimone prende posto nelle prime carrozze, dopo quella della sposa, sta presso la tavola dell'Ufficio di Stato Civile, sale sull'altare, alla Chiesa, dà il braccio, andando e venendo, a qualche parente importante della sposa e dello sposo, e siede alla tavola d'onore. Dopo le nozze, i doveri e i diritti del testimone, spariscono: e restano, fra lui e gli sposi quelle relazioni di amicizia, di affetto, di stima o di semplice conoscenza mondana, che vi erano prima delle nozze.

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