Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonano

Numero di risultati: 56 in 2 pagine

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Fisiologia del piacere

170672
Mantegazza, Paolo 5 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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L'uomo egoista si riduce ad amare gli oggetti, perchè questi riflettono benissimo la sua immagine, perchè non tradiscono e non abbandonano, e perchè non elevano mai pretesa alcuna di gratitudine, nè domandano mai da noi il menomo sacrifizio. Il vecchio, che per natura è sempre alquanto egoista, ama spesso le cose più che gli uomini.

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Per alcuni questo piacere diventa un vero bisogno, ed essi vi si abbandonano compromettendo altamente la loro dignità. In questa gioia entra sempre una dose più o meno grande di malignità, o di quell'odio diluito di cui abbiamo parlato a proposito del piacere di far dispetti. Un altro elemento costante di questi piaceri è l'esercizio del pensiero che immagina la fandonia, ciò che in alcuni individui costituisce quasi l'unica sorgente di gioia. Essi diventano allora artisti della frottola, che si propongono con le loro invenzioni di far bere il più grosso possibile al maggior numero di individui.

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In generale, gli ingenui e i generosi si abbandonano al riso con maggior trasporto che gli egoisti, i quali ridono sempre in modo disarmonico. Vi sono poi risi cavernosi e squillanti, vibranti e muti, economici e generosi. Il riso sardonico colle sue varietà è sempre morboso, e invece di rallegrarci ci agghiaccia. Il riso produce effetti meccanici, ma esercita pure una influenza morale. Se siamo appena in uno stato di mediocre buon umore, entriamo facilmente, e al minimo invito, a far parte di un concerto di riso. Più d'una volta la scarica suscitata da una causa frivola, o anche dal semplice solletico, continua spontanea per qualche tempo; sia che ridiamo di noi stessi per aver riso tanto facilmente, sia che non ci riesca possibile di frenare ad un tratto la corrente nervosa. In ogni modo pare che una buona risata sia una vera reazione della macchina cerebrale per facilitarne i movimenti. Qualche volta un riso provocato ad arte interrompe una triste meditazione, ci lascia sbalorditi, e non trovando più il sentiero nel quale ci stavamo inoltrando, difficilmente si riannodano i tristi pensieri, e ci si avvia per un sentiero più lieto. L'accelerare il respiro a bocca socchiusa può essere un sintomo di piacere, e, in generale, esprime una straordinaria voluttà, o la sovrabbondanza di un soave sentimento. Esso ristabilisce lentamente l'equilibrio, scaricando a poco a poco la soverchia tensione, nello stesso modo che il riso produce questo effetto in modo improvviso. La fisonomia di uno stesso piacere è diversa secondo la costituzione individuate, l'età, il sesso e le altre condizioni congenite o accidentali che possono modificare il nostro modo di sentire. Gli individui nervosi e irritabili sentono intensamente ed esprimono il piacere con maggiore espansività degli uomini di sensi ottusi. I loro nervi oscillano alle minime eccitazioni, e si deliziano al microcosmo dei piaceri, che, per moltissimi individui rimane sempre chiuso. La loro mimica però è molte volte esagerata, e così esprimono, senza volerlo, più di quello che sentono. Vi sono a questo riguardo condizioni che non permettono molte volte di indovinare dai tratti del viso il grado di piacere che prova un dato individuo. Così alcuni non ridono quasi mai, senza che per questo siano infelici o insensibili; mentre alcune donnicciuole leggere ridono rumorosamente al volar di una mosca, senza essere di nervi molto delcati. La donna in generale è dotata di maggior quantità di forza nervosa. È per ciò che la fisonomia dei piaceri è più vivace e più ricca nella donna che nell'uomo. L'estrema suscettibilità del sistema nervoso nella donna la rende facilissima al pianto e al riso, e i crepuscoli di un dolore che tramonta si confondono spesso in lei coi primi albori di un piacere che nasce. L'età della fanciullezza ci dispone ad esprimere in tutta la sua pura serenità il riso franco ed espansivo. Nella giovinezza rappresentiamo meglio nel nostro volto le gioie burrascose; nell'età adulta esprimiamo nella calma più maestosa i piaceri della sodisfazione, mentre nessuno può meglio di un vecchio indicare con un intelligente sorriso le calme gioie dell'intelletto e la tiepida soavità delle reminiscenze. I popoli meridionali sono più espansivi di quelli del nord, per cui, esprimendo uno stesso piacere, sono più vivi e più rumorosi, rassomigliando in questo alle donne e ai giovani. L'Italiano allegro canto e balla e grida, mentre l'Inglese beve sorridendo la sua tazza di birra. Il primo ha già ristabilito l'equilibrio nel suo sistema nervoso con una solenne risata; il secondo invece comincia appena a scaricarsi della sua gioia con un freddo sorriso.

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Così l'unione di due esseri, che si trovano nell'oscurità senza conoscersi, e che si abbandonano a vicenda i loro corpi, è un fatto semplicissimo, nel quale non entra esclusivamente che l'istinto del sesso. Ma il più delle volte non è così. La tendenza vaga di avvicinarsi all'altro sesso ci rende avidi di vedere e di conoscere, e se ci incontriamo in un essere che appaga in noi anche il sentimento del bello, solo o anche apparentemente associato al vero e al buono, i nostri desideri indeterminati si fissano su quell'oggetto, s'infiammano colla massima violenza e producono una passione. Dal desiderio, però, alla sodisfazione del piacere è lungo il cammino: di mezzo sta spesso una lunga serie di alti guai e di gioie deliziose, che spettano al sentimento e all'intelletto. Volendo ridurre però a poche parole tutti i fenomeni che precedono la voluttà, si può dire che la natura ha incaricato la donna di eludere per qualche tempo l'attacco, ciò che rende tanto più cara la vittoria, quanto è più aspra e lunga la lotta. La donna del selvaggio, inseguita dall'uomo, fugge e si nasconde, mentre la giovine donzella europea coll'armi del pudore irrita ed esalta al massimo grado gli ardenti desideri dell'amante, al quale non concede la palma che dopo prolungate prove. Le complicazioni poi arrecate a questo fatto, da me di proposito semplificato, sono infinite, e provengono da tutte le passioni grandi e piccole che fanno battere il cuore umano alla gioia e al dolore. La parte puramente fisica del piacer d'amore è ricchissima di delizie, e si può dividere nelle gioie che precedono, e in quelle che accompagnano il congiungimento dei sessi. Quasi tutti questi piaceri spettano al senso del tatto, pochi alla vista e all'udito, nessuno agli altri due sensi. Il solo avvicinarsi e toccarsi di due persone che si amano induce tutti i nervi sensitivi del tatto in uno stato di eretismo o di iperstenia. I contatti più indifferenti sotto altre circostanze, riescono fonte di piacere; la pelle si fa calda, le labbra divengono tremanti, per cui le parole escono interrotte, la respirazione aumenta di attività, il cuore accelera le sue pulsazioni, e dal petto anelante escono lunghi e rari sospiri. In questi momenti, nei quali l'intelletto tace interamente e il sentimento non ragiona, tutta l'attività vitale, portata ad un grado di estrema tensione, si concentra nel senso del tatto. Allora quasi involontariamente le parti più sensibili del corpo si cercano a vicenda e si trovano. Le mani si stringono; le labbra si incontrano, si scambiano, coll'alito infuocato, dei baci ardenti ,e si tengono pressate le une sulle altre a lungo; le molli lingue si toccano spesso, rimandandosi torrenti di voluttà. L'organismo si trova tutto in uno stato di grande perturbamento, e i brividi ripetuti e i sussulti indicano in quale stato di tensione si trovi tutto il sistema nervoso. Gli occhi sono per lo più languidi e socchiusi, onde non distrarre colle immagini degli oggetti esteriori la coscienza tutta intenta a raccogliere i fremiti deliziosi che arrivano da tutte le parti del corpo... Rispettiamo col silenzio il mistero di questo momento solenne, nel quale il senso del tatto pare si concentrj in un sol punto del corpo, e nel quale i piaceri minori non vengono più percepiti, perchè sopraffatti dalla nuova sensazione che in sè li abbraccia e comprende. Il mistero si consuma, e il piacere, irradiando a torrenti dai genitali per tutta la vasta rete dei nervi sensori, effonde tale e tanta voluttà, che infrangerebbe la debole creatura umana, se dovesse durare molto a lungo. In questo breve momento la mente non palesa che pochissime tracce di vita con parole interrotte, che per lo più consistono in esclamazioni inframmezzate da sospiri o da gridi: talvolta è talmente conturbata che si ha un incomposto delirio, e l'uomo sembra colpito da un vero accesso convulsivo. Il riso è rarissimo e piuttosto la faccia si atteggia ad un sorriso prolungato e tremante. La espirazione interrotta a piccolissimi intervalli, quasi rassomiglia a un fremito; più volte la glottide si stringe e l'inspirazione riesce quasi sibilante. La fonte di tanta voluttà non può provenire che dalla struttura particolare dei nervi sensori degli organi genitali e dei loro centri nervosi, ma al punto in cui sono le nostre conoscenze non possiamo nulla affermare di positivo. L'azione è per se stessa semplicissima, e non consiste che nel contatto e nello sfregamento reciproco di due parti sensibili. Il fenomeno essenziale della copula, che sta nella polluzione, è prodotto dalla contrazione spasmodica delle vescichette, la quale avviene nello stato del massimo estro venereo. L'uomo può, fino a un certo punto, prolungare l'azione e modificarne la forma, ma negli ultimi istanti la natura sola si incarica dell'atto fondamentale del fenomeno, e l'ejaculazione avviene senza l'influenza della volontà. Nella copula i due sessi si comportano in modo diverso, quanto all'attività colla quale vi partecipano. La donna è quasi del tutto passiva, e può compier l'atto senza coscienza, e quindi senza piacere, mentre l'uomo ha bisogno di tutta la sua energia. Più d'una volta avviene che un importuno pensiero, il timore, l'immagine di qualche oggetto disgustoso, od altre cause consimili, rendano ad un tratto impotente l'uomo il più valido. alle lotte d'amore, ed esso deve rinunciare ad una battaglia già iniziata. In questi casi vien sottratta ai genitali una parte dell'eretismo nervoso nel quale si trovano, e questi sono istantaneamente colpiti dalla più inesorabile impotenza.

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Difatti, nei paesi caldi, dove la natura si mostra in tutto il suo lusso e la pompa della sua rigogliosità, gli uomini si abbandonano con maggior violenza alla copula, e sono dotati anche di un apparato genitale molto valido. Ma siccome in questi paesi l'eccessivo calore obbliga molto a rinunciare quasi affatto ai vestiti che ci difendono dagli agenti esterni, la sensibilità riesce minore; tanto più che agli ardenti trasporti dell'organismo mancano le infinite delicatezze imbastite dalla civiltà. Nei paesi freddi, invece, i sensi hanno desideri meno vivi, ma l'asprezza della temperatura ravvicina gli individui, e fa quindi entrare nei piaceri venerei, come elemento capitale di voluttà, anche il contatto dei corpi, e il piacevole contrasto del tepore ospitale della casa coll'aria fredda che ne lambe le mura. Si può quindi dire che anche in questo la natura si mostra provvida e giusta dispensatrice di gioie. L'Africano, di temperamento erotico, ha la pelle poco sensibile e l'intelletto ottuso, per cui gode con maggior violenza del solo piacere fondamentale della copula; mentre il freddo Svedese, nei suoi mollissimi letti, gode a dovizia le delicate gioie, che, a guisa di ornamenti splendidissimi, precedono ed accompagnano le lotte dell'amore. Guai se ad un uomo nato sotto i tropici fossero concessi la lucida intelligenza e lo squisito sentire dell'Europeo! Egli morrebbe affranto dall'eccesso della voluttà. Ma ciò vale soltanto per gli indigeni della zona torrida: l'Europeo, stabilito o nato in essa, si trova in una condizione sfavorevole all'esercizio della riproduttività perchè da una parte è invitato dall'ozio, dalla mollezza del clima e da molte altre circostanze a godere con maggior trasporto di questi piaceri; mentre dall'altra le sue forze sono più fiacche e men presto reintegrate. È questa una delle cause meno avvertite, e pur principalissima, della diversa mortalità delle varie zone del globo. Lo stesso Europeo in una regione fredda è più forte in amore e meno invitato a godere; mentre sotto il tropico si sente più debole e pur trascinato con maggior prepotenza a cedere a un piacere che ancor più lo fiacca. Le stagioni esercitano sopra questi piaceri la stessa influenza dei climi. Quantunque la vita dell'umanità attraverso i secoli presenti nei caratteri fisici e morali alcune modificazioni che si trasmettono sulle generazioni, pure queste modificazioni sono tanto meno marcate quanto più importante e fondamentale è la facoltà che si modifica. Così, io ritengo che la facoltà di generare sia una di quelle serbatesi più integre frammezzo alla trafila delle generazioni; perchè, essendo segnata dalla natura come la più importante fra quelle di ordine organico, ha limiti più definiti e mal si piega agli urti delle potenze esterne. Per rimanere però nell'elemento del piacere che deriva dall'esercizio di questa funzione, si può affermare, che esso può essere stato più intenso nell'infanzia dell'umanità, ma che ora deve essere più delicato e multiforme. L'amplesso dei primi uomini nudi, sul nudo terreno, sarà stato violento, ma certamente non può essere paragonato ai palpiti che si spengono fra le tiepidi coltri di mollissime piume. D'altronde l'esercizio di una facoltà tende a perfezionarla, e l'individuo, reso in questa parte migliore, lascia coll'eredità naturale alla nuova generazione una potenza più raffinata e più sviluppata. Ma sebbene pochissima parte di tal miglioramento si risenta in questo modo nascendo, pure attraverso il corso di lunghi secoli un'influenza deve pur essere stata avvertita anche nell'esercizio delle facoltà più fondamentali. Nei diversi tempi poi i piaceri del sesso furono tanto più squisiti quanto più furono coltivati, e quando le nazioni, deposta la spada, si riposarono sui loro allori, e non ebbero svago sufficiente nell'esercizio delle arti e nello studio delle lettere e delle scienze, non trovarono aperti che i facili campi dei piaceri del sesso, e vi si gettarono con avida brama, arrivando a godere forme inusitate e riprovevoli di voluttà, come la storia ce ne presenta moltissimi esempi. Tulle queste circostanze valgono a modificare la massa complessiva dei piaceri venerei della vita di un individuo e di una intera generazione; ma vi sono infiniti altri elementi che agiscono sopra ogni singolo piacere, e che tendono a variarlo di grado e di natura entro confini molto estesi. I piaceri sono tanto più vivi quanto più spontaneo è il desiderio che ci induce a goderli, e quindi quanto più è vero il bisogno fisico. I piaceri che seguono una velleità o un capriccio passeggero sono assai meno vivi di quelli che soli approva la natura, e che sorgono in un corpo casto e robusto. Nelle circostanze sociali, in cui vivono gli Europei, l'ora più propizia a questi piaceri è quella che segue il primo risvegliarsi, al mattino. Nella notte la vita dell'intelletto e del sentimento riposa quasi interamente a vantaggio della nutrizione in generale, per cui appena svegliati ci troviamo nelle condizioni più favorevoli per spendere tante forza, quanta è necessaria nell'atto della copula. D'altronde anche gli organi genitali, per la posizione nella quale dormiamo, per blando tepore delle coltri, per eventuali contatti voluttuosi, si trovano in uno stato molto favorevole alle sensazioni di questi piaceri.

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Come devo comportarmi?

172354
Anna Vertua Gentile 2 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
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  • UNICT
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E tutti si abbandonano al piacere senza preoccupazioni, senza timori. Nelle passeggiate o nelle salite alpiniste, misura prima le forze di chi vi prende parte; persuade a rinunciare al divertimento chi soffre le vertigini dell'altezza o non regge alla fatica, perche l'indisposizione o la paura di uno guasterebbe il diletto di tutti. Si provvede di guide ben pratiche della montagna e camminando si mostra costantemente tranquillo e sereno, evitando di parlare di disgrazie incontrate da altri alpinisti, di bufere, di frane, valanghe o altro che possa impressionare. Con l'esempio, esorta a sopportare in pace la stanchezza ed il freddo, e offre a tempo opportuno un sorso di liquore o di cafiè freddo o altro, che sia suggerito dall'igiene e dall'esperienza, agli alpinisti. Agli asili, il gentiluomo fa in modo che le signore abbiano i posti migliori, e possano riposare in libertà. E lui stesso si occupa degli alimenti. Da persona inspirata al bello, al sublime della natura e delle scene alpine, egli poi intrattiene e diverte dolcemente tutti, con la sua schietta ammirazione, le scientifiche spiegazioni dei fenomeni che s'incontrano e rapiscono, l'entusiasmo per il grandioso, il solenne. E, grazie alla sua amabilità, alla sua cortesia, alla sua arte di interessare e divertire, la gita segna un ricordo soave nella mente e nel cuore di chi vi prende parte. In villeggiatura, il giovine può permettersi qualche bizzarria nel vestire. Può presentarsi, per es., a colazione in abito di flanella bianca, o di stoffa chiara inglese; ma a pranzo no. I costumi da cacciatore, da marinaio, da alpinista, da scudiero, devono essere eleganti, di taglio perfetto, pulitissimi; e usati solamente nelle occasioni che li giustificano.

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I bambini, i quali si abbandonano intieramente al dolore come alla gioia, hanno qualche volta una pienezza d'affanno, di cui le persone adulte sono incapaci. Ci sono bambini che soffrono crudelmente senza che nessuno ne sappia indovinare la causa; senza manco, che nessuno se ne avveda. O se qualcuno avverte l'espressione malinconica di un visetto infantile, o l'aria di abbattimento della piccola persona, ne cerca tosto la causa nella salute; e crede di guarire con ferro e olio di merluzzo un male morale, che avrebbe bisogno di affetto, di carezze, di dolce persuasione. Ora, chi può usare di tali rimedi per ritornare la serenità sul volto dei bimbi, mi pare ne abbia da risentire una dolcezza infinita. E una tale dolcezza se la può procurare senza fatica, anzi ubbidendo spontaneamente al proprio cuore, la signora nubile, che può consacrarsi allo studio dell'infanzia senza le distrazioni e gli impegni di chi ha famiglia.

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Il successo nella vita. Galateo moderno.

175251
Brelich dall'Asta, Mario 3 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Le signore, se hanno anche voglia di fumare, non abbandonano espressamente la compagnia delle signore. Però, al giorno d'oggi, il numero delle signore fumatrici cresce sempre più. Se il padrone di casa vi invita a seguirlo nel fumatoio, fatelo, però senza affrettarvi; in nessun caso, interrompete per esempio perciò un discorso con una signora. Se avete lasciato una signora nella località dove non si fuma per andar a fumare in un'altra, non rimanetevi troppo tempo. Farete la figura di un uomo senza tatto e senza cortesia. Però, gentili signore, da parte vostra non dovete tenere discorsi troppo lunghi ai vostri cavalieri, quando vedete che la maggior parte di loro va nel fumatoio, per godersi qualche boccata di fumo. Una signora non fuma mai per strada. In locali chiusi lo può fare senz'altro, mai però esageratamente. Una signora non fuma sigari. Se vedete che una signora, o un signore a voi superiore di rango ha voglia di fumare, offrite loro subito delle sigarette. Però se un altro ha già provveduto, non intervenite con eccessivo slancio, per precederlo: dimostrerete in un'altra occasione la vostra buona volontà e prontezza. Se qualcuno vi offre da fumare, è vostro dovere di offrirgli il fuoco. Se però egli vi precede anche in ciò, dimostrategli la vostra cortesia prendendo in mano il fiammifero offertovi e con esso offrite il fuoco prima a lui e soltanto dopo accendete voi stessi. Ciò farà bella figura, specialmente se avete da fare con un vostro superiore, dal quale non potete accettare un simile servizio. Lasciate, prima che il fiammifero col quale offrite il fuoco a qualcuno, arda bene e non mettetelo appena acceso sotto il naso dell'altro, affinchè questi non abbia una sensazione sgradevole in conseguenza dell'odore del fiammifero. Non tentate di dar fuoco con un fiammifero a tutta una fila di persone, ma quando sta spegnendosi, accendete uno nuovo. Per questo scopo sono molto adatto i cerini, specialità italiana. Una signora non offre mai fuoco ad un signore. Se anche ha già acceso il fiammifero, il signore deve prenderglielo dalla sua mano, offrir con esso il fuoco prima a lei, soltanto poi accendere la propria sigaretta. Se qualcuno vi chiede il fiammifero, tendeteglielo già ardente, e soltanto in casi di bisogno con una sigaretta già accesa. Ma, ad ogni modo dovete tenere voi la sigaretta offerta per accendere, perchè per l'altro non sarebbe troppo piacevole di prendere in mano il vostro mozzicone, eventualmente già molto corto, per accendersi con esso la sigaretta. Restituendo la sigaretta ardente, badate che l'altro possa anche pigliarla, senza bruciarsi le dita. Non accendete mai una sigaretta con un sigaro ardente; il gusto della sigaretta sarà guastato dal sigaro.

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L'indice sinistro (LZ) ed il mignolo destro (RK1) abbandonano improvvisamente lo spago, ed il mignolo sinistro (LKI)

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Quelli che non vogliono tenere la tassa dell'ultima quota abbandonano la partita, gettando le loro carte in mezzo al tavolo; ma l'ultima quota che hanno tenuta è perduta per essi e spetta a quegli che vincerà. 16. I giuocatori d'accordo sopra una quota, scartano allora un certo numero delle loro carte a loro scelta, e il distributore le rimpiazza. Le carte di scarto debbono essere deposte coperte in mezzo al tavolo, e nessuno può guardarle. 17. Quando i giuocatori hanno ricostituite le loro carte, s'impegnano le gare nell' egual modo fatto precedentemente; ma senza eccedere 64 volte l'unità. In questo terzo periodo di gare i giuocatori possono ancora passar parola; ma le quote sono in questo caso perdute per essi. 18. Terminate le gare, i giuocatori che si sono sostenuti fino all'estremo, gettano sul tavolo le loro carte per decidere della vincita. Il vincente raccoglie tutto il danaro che si trova sul tavolo. 19. Le varie combinazioni che un giuocatore può avere, sono, per ordine di valore crescente: una carta, un paio, due paia, una « sequence », un brelan o three, un fluch, un full, una sequence-full, un poker. 20. Si ha il giuoco di una carta, quando non si ha altro; le carte sono classificate secondo l'ordine precedentemente dato. Il più forte giuoco di una carta è quello che contiene la carta valutata maggiormente. 21. Si ha un pajo quando si posseggono due carte dell'egual valore; i giuochi al pajo si classificano secondo la forza del pajo. Trovandosi di fronte due giuocatori a pajo eguale, vince chi possiede la carta più alta; e se questa fosse eguale a quella dell'altro giuocatore, si dà la preferenza al colore nell'ordine, cuori, quadri, fiori e picche. 22. Si hanno due paja quando si posseggono due coppie di carte eguali. Di due combinazioni di questa specie, vince il pajo più forte. Quando le due paja alte sono eguali, vengono calcolate le seconde paja, e se queste pure sono eguali, si ricorre alla quinta carta. 23. La sequence è la riunione di cinque carte di colore vario, che si seguono. Di due sequences la più forte è quella che comprende la carta più alta. 24. Di due brelans vince quello formato dalle carte più alte. 25. Il flush è l'insieme di cinque carte dello stesso colore. Tra due flush il più forte è quello che racchiude la carta più alta. Se le prime carte sono eguali, si calcola la seconda, e così di seguito, se fosse necessario, fino alla quinta. 26. Il full è la riunione di un brelan e di un pajo. I full si classificano secondo l'ordine dei brelans. 27. Una sequence-full è formata da cinque carte dello stesso colore che si seguono. Le sequences-fulls si classificano secondo il valore della loro prima carta. 28. Il poker è formato da quattro carte dello stesso valore. I giuochi di poker vengono classificati secondo il valore delle carte. 29. Quando due giuocatori hanno combinazioni eguali, vince il colore. La precedenza dei colori è in ordine discendente: cuori, quadri, fiori e picche. 30. Quando una giuocata è finita, la distribuzione passa al vincente. 31. Quando alla distribuzione delle carte tutti passano parola, le quote vengono raccolte dallo straddler, e se non vi è straddler, dal giuocatore che distribuì le carte. Però, anche il distributore può passare, ed in tal caso ciascuno deve rimettere al giuoco una nuova quota, e la distribuzione non cambia di mano. 32. Esistono due combinazioni colle quali si è certi di vincere, e questo sono il poker d'asso ed il poker di re con un asso. Taluni giuocatori però sostengono: che il poker d'asso perde contro il poker di sette; e che quando il poker d'asso è accompagnato da un sette, esso perde contro il poker d'otto. Quanto al poker di re con un asso, esso perde contro il poker di sette. 33. Allorquando, dopo lo scarto, il distributore non trova nel mazzo carte sufficienti per fare una nuova distribuzione, esaurisce quelle, poi prende le carte gettate sul tavolo, le mischia di nuovo, le fa alzare e completa i giuochi con esse.

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Le belle maniere

180017
Francesca Fiorentina 1 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
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Pagina 138

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180673
Barbara Ronchi della Rocca 1 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
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Dopo ore e ore a tavola, anche le persone più eleganti imbruttiscono, si annoiano e si abbandonano a comportamenti sguaiati: gli uomini si tolgono la giacca, le signore le scarpe, i fumatori non resistono alla tentazione di accendere la sigaretta... Meglio prevedere un ricchissimo aperitivo «in piedi» con stuzzichini caldi e freddi, che sarà anche l'occasione per brindare alla felicità degli sposi bevendo champagne - che, come ben sanno le persone garbate, è un vino «da salati» che non deve assolutamente accompagnare i cibi dolci. II buffet dovrebbe essere all'insegna delle specialità locali, senza pacchianate a base di sushi e caviale: affettati, formaggi, fritti di pesce e di verdure. Il pasto inizia così con un primo piatto (uno: gli assaggi e i tris di primi sono eccessivi e volgari), continua con un secondo di pesce e uno di carne, ben cucinati e di ottima qualità, senza strafare e senza appesantire l'atmosfera e lo stomaco con mille portate, e termina con il tradizionale taglio della torta innaffiato da uno spumante dolce, servito nelle coppe, che vengono benissimo nelle fotografie. Se la maggioranza degli invitati sono giovani, si possono apparecchiare grandi tavoli-buffet a cui servirsi da soli, prevedendo il servizio ai tavoli da parte dei camerieri solo per gli invitati più anziani, o di carattere più tranquillo. Per un, pranzo «seduto» più tradizionale si pone il problema dei posti a tavola, che varia a seconda del numero dei tavoli. In questo caso gli sposi siederanno al tavolo centrale (o d'onore) insieme con i genitori, i testimoni, l'officiante e qualche invitato di particolare riguardo con cui vogliono condividere un momento significativo: il primo pasto che consumano da coniugi. Agli altri tavoli siederanno parenti e amici, alternando il più possibile gli invitati delle due famiglie, per farli conoscere. Nel caso si preferisca allestire una tavolata unica, questa di solito è a ferro di cavallo. Nella parte centrale, accanto agli sposi, siederanno i parenti più stretti, i testimoni e l'officiante. Qualunque sia la forma del tavolo, si cercherà di rispettare il più possibile l'alternanza donna-uomo. La sposa siede alla destra dello sposo. Vicino a lei siede il suocero, che avrà accanto una nonna o una testimone, che sarà vicina al padre della sposa, e così via. Alla sinistra dello sposo siede la madre della sposa, che avrà accanto un testimone, e così via. Questa disposizione dei posti non è obbligatoria, e volendo gli sposi possono optare invece per un'allegra tavolata di giovani, consigliabile soprattutto in caso di genitori divorziati e risposati, i cui nuovi compagni potrebbero offendersi se esclusi dai posti d'onore... Ecco qualche esempio di tavolata «a prova di critica».

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Il tesoro

182064
Vanna Piccini 1 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
  • Milano
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Pagina 663

L'angelo in famiglia

183322
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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Abbiamo riflettuto assieme più d'una volta, che coloro i quali vengono colpiti dalla sventura senza essere contrabbilanciati dalla fiducia e dalla speranza del premio futuro a quella promesso, si abbandonano a smanie, alla disperazione, fino al suicidio se non sono cinici, e se non sono riusciti ad attutire ogni loro sentimento. Ad evitare simili eccessi, noi abbiamo in pronto le virtù cardinali, le quali ci sollevano da un gran peso, e se non arrivano ad asciugare le nostre lacrime, per non privarci del merito ad esse congiunto, le rendono però meno amare, e comunicano loro una soavità ignota per sempre al mondo ed ai mondani. E chi leggendo la stupenda poesia del Torti sulla Fede, allorchè egli parlando della vecchierella della sua montagna dice: O del raccolto le godesse il core, O la gragnuola i tralci le schiantasse, Benedisse nel gaudio e nel dolore, Nè fu il suo ragionar che una parola: La volontà sia fatta del Signore. chi non si sente profondamente intenerito, ed invogliato a ripetere con essa la difficile parola la volontà sia fatta del Signore? È un errore credere esservi bisogno di una simigliante rassegnazione soltanto nei grandi dolori i quali ci capitano a lunghi intervalli, mentre ci e più che mai indispensabile in tutte le circostanze della vita, se non in grado uguale, almeno nella sostanza, tanto nei piccoli contrattempi e nelle leggiere indisposizioni, quanto nelle più fiere sventure e nelle mortali infermità. Oggi mi duole il capo od il petto, mi sento senza lena, svogliata, ed ho una matta inclinazione ad inquietarmi di tutto e con tutti; se avrò il pensiero costante di tutto prendere dalla mano di Dio, non farò sentire il peso del mio male a coloro che mi circondano, ma sarò dolce con essi, paziente, e mi guarderò dal riuscir loro di flagello forse maggiore di quanto nol sia il mio stesso male. Ecco la pazienza, la rassegnazione cristiana produrre naturalmente l'uguaglianza di carattere, quell'uguaglianza invidiabile che conserva la pace nelle famiglie, accresce il vicendevole attaccamento, migliora gli animi, e genera una lunga serie di benedizioni. Mia cara amica, io spero che questi miei consigli ti sieno superflui, e tu già possieda quella dolcezza, quella tranquillità inalterabile la quale proviene dall'aver donato la mente ed il cuore a Dio, dal quale tutto accetta; ma, pur troppo, alla tua età le passioni sono vigorose, la fantasia agitata, e molto facilmente potresti cadere in preda della sfiducia, dello scoraggiamento. No, no, figliuola, non cedere alle tentazioni; è l'angelo delle tenebre che soffia nel tuo fuoco per unire alle sue le tue fiamme; non ti accorgi che l'angelo tuo benedetto nol vuole, e che lui, proprio lui, ti suggerisce al cuore quel buon consiglio, quella specie di rimorso, per strapparti dal cuore quella sublime parola che l'Unigenito Figlio di Dio c'insegnò a dire quando nell'orto del Getsemani, immerso in un sudore di sangue, esclamò al Padre: la vostra volontá sia fatta, e non la mia? Disprezza i piccoli acciacchi, le piccole miserie della vita; renditi ad essi superiori, tieni il tuo spirito rivolto a Dio, ed allorchè ti sopravverranno le disgrazie, saprai accoglierle con animo rassegnato, offerendo al Signore le tue pene in espiazione delle colpe tue e delle altrui. Allorchè ad Abramo fu fatto il terribile comando di sacrificare ed uccidere il suo unico figlio sospirato tanto tempo, e tanto teneramente amato, egli dovette provare uno smisurato dolore; pure egli pensa all'obbligo di rassegnarsi al voler del sommo Iddio e di prestargli l'atto della sua obbedienza; e, caricato Isacco delle legna sulle quali doveva essere svenato ed arso, si reca con lui sulla sommità del monte, lega il proprio figlio, gli benda gli occhi, ed impugnato un coltello e fatto un supremo sforzo di rassegnazione, solleva la mano per ferirlo ed ucciderlo. Ma il Signore ha veduto l'obbedienza del suo servo, ha accettato il sacrificio già consumato nel suo cuore, ed inviato un Angelo, arresta la mano al santo Patriarca, e gli restituisce il figlio. E chi può ridire la gioja immensa di quel padre virtuoso e fortunato? E chi può enumerare la lunga catena di benedizioni riservatagli da Dio pel suo eroico coraggio, per la sua eroica rassegnazione? Orbene, il Signore non pretende da te un simigliante eroismo; pure pretende qualche cosa, anzi molto da te, ed è che tu rinunci alle tue passioncelle, alle tue inclinazioni per servire Lui solo, ti uniformi completamente alla sua divina volontà in tutte le cose, diventi tutta di Dio e per Iddio. Desideri tu vivamente un collocamento onesto, e vedi sempre fuggirti dinanzi quell' ombra che prima ti aveva cotanto lusingata? Pensa che soltanto pel tuo bene Iddio ti lascia nella tua casa; Egli conosce le cose future come le presenti, e vede che quanto forma il tuo sospiro, sarebbe invece la tua rovina. Pronuncia adunque generosamente quel fiat mediante il quale la tua volontà sarà unita ed uniformata a quella di Dio, e ti renderà meno pungenti le perdite amarissime ch'io prego ti vengano risparmiate, ma che pur troppo facilmente verranno a colpirti. Entriamo in uno spedale; da un letto una donna ti guarda con occhio bieco quasi a vendicarsi del benessere che tu hai e ad essa tolto; t'avvicini ad essa, le dici parole pietose, le porgi un soccorso, ma l'inferma conserva alcunchè di selvaggio e d'irritato; si lagna del letto, del vitto, dell'infermiera, del medico, e finisce col bestemmiare che Dio ha fatto male ad aggravarla così... Col cuore accasciato ti allontani da quella malata, e t'accosti ad un'altra la quale ha un occhio più mite ed un'apparenza più tranquilla. Leggendo sulla tabella sovrapposta al letto, cancrena, chiedi tremante all'inferma se il suo male è tormentoso; essa affermando china dolorosamente il capo, e soggiunge non volerci che la somma carità delle infermiere a tollerarla cogl'infiniti suoi bisogni e cogl'interminabili suoi ahimè! Essa trova ottimo il trattamento usatole dai medici, dalle suore, dalle inservienti; dice e crede di non meritare tanta bontà; si sforza di ringraziar il Signore il quale si degna, colle pene temporali, accorciarle le pene del purgatorio, ed avendo sentito il medico susurrare all'orecchio dell'infermiera che quella vita non potrà prolungarsi oltre una quindicina di giorni, ha frenato un primo movimento di timore per dar luogo ad una vera esultanza. La terra si dilegua ai suoi occhi; non vede che il cielo. Tu le chiedi se ha parenti che la visitino, e la poveretta traendo un sospiro e levando al cielo uno sguardo ti dice che spera rivederli lassù: tu non sai distaccarti da quel povero letto, e mentre la povera inferma ti ringrazia commossa d'averla visitata senza pur conoscerla, ti dice che sei l'inviata di Dio e ti promette di pregare per te. Io lo vedo, sulle gote ti scorrono calde due lagrime, e giunta all'altarino della Madonna, e piegato il ginocchio nascondi il viso tra le mani volgendo nell' animo: Io sono veramente un nulla; quella è vera grandezza! Non sai allontanarti da quella sala senza volgere un ultimo sguardo alla povera inferma, senza riavvicinarti ad essa, raccomandarti nuovamente alle sue preghiere come a quelle d'un'anima santa, ed il suo limpido sguardo figgendosi nel tuo ti riempie di confusione, e come eco insistente e pur cara ti ripete al cuore: rassegnati, rassegnati al voler di Dio! Oh! sì la rassegnazione è una virtù difficile se la consideriamo astrattamente; ma se la vediamo praticata, posta in atto, leggiamo come in un libro lucente la soavità da cui è costantemente accompagnata. E dimmi; coloro i quali tolgono alle anime afflitte la rassegnazione cristiana, sforzandosi considerarla dote delle anime piccole, dimmi, cosa danno loro in compenso? Essi come popoli vandali e selvaggi non sanno che abbattere e distruggere, senza pensare nè aver modo alcuno a riedificare. Io ho una casina modesta se vuoi, ma ben salda sui fondamenti, comoda e pulita, adattata ai miei bisogni e rispondente a tutto il confortevole alla vita: viene un mestatore e mi dice che quella casa è piccola, indecente, rovinosa, e, senz'aver mezzo alcuno di rifarmela poi pretende la mia adesione per atterrarla, o tenta passare dal detto al fatto colla violenza; non sarei io sommamente sconsigliata, assoggettandomi alla stolta prepotenza del temerario? Oh! non lasciamoci abbattere questo edificio: non lasciamoci rapir dal seno questo tesoro!

Pagina 821

Il codice della cortesia italiana

184410
Giuseppe Bortone 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
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Il giuoco era, un tempo, il trattenimento preferito nei circoli: ora usa giocare un po' da per tutto: si direbbe che ogni casa sia divenuta un circolo; perché, a mano a mano che vanno smettendo di giocare gli uomini, si abbandonano a questa passione le donne. Ho detto. « circolo », ma avrei anche potuto dire, con appena un po' di esagerazione, « bisca ». Strano questo improvviso femminile furore « giochereccio »: per spiegarselo, bisognerebbe pensare che, oggi, nella maggior parte dei salotti, le donne non sappiano piú parlare di letteratura e d'arte; che temano di parlar della moda; che abbiano capito non esser troppo signorile parlar di donne di servizio; che vogliano fingere di rifuggire dal pettegolezzo; che credano, infine, una nota particolare di distinzione, una nota ultramoderna, quella di invitare le amiche al gioco. Se l'invito è per il gioco vero e proprio, sala da gioco diventa il salotto: se è, invece, un trattenimento accessorio, si prepara una saletta accanto a quella in cui si conversa o si balla. Quindi, alcuni tavolini, coperti di tappeto verde, carte nuove, gettoni, marchette, carta e matite, scatole con sigarette, fiammiferi, portacenere. Nella stanza dove si gioca non dovrebbero esservi specchi sospesi, per evitare che i giocatori possano, anche involontariamente, vedere le carte degli avversari. Sarebbe bene che fossero evitati i giochi d'interesse; per lo meno, che fossero evitati i giochi forti. La padrona di casa dovrebbe fissare un massimo. Né ella dovrebbe prendervi parte, per poter attendere alle mansioni nelle varie sale. Se si accorge che qualcuno non gioca correttamente, o se si accende una disputa fra i giocatori, prima che questa degeneri, propone che si faccia un po' di musica, o fa portare qualche rinfresco-distrazione. Chi non sa giocare non deve mettersi con chi sa; e se qualcuno vi càpita o vi vuol partecipare di proposito, i piú esperti non andranno in collera, né lo rimprovereranno per gli errori: potranno, però, smettere cortesemente di giocare, a partita finita. Il mazzo delle carte deve essere collocato da chi le fa in mezzo al tavolo, perché ciascuno dei giocatori possa scozzarle. Non si prende il mazzo di mano a chi deve farle, per scozzarle, come se si dubitasse della sua onestà. Chi fa le carte mette il mazzo davanti a chi deve tagliare; e questo mette la parte che solleva presso colui che le fa. Non si deve pregare di giocare chi non ha voglia: certamente costui o non ha denaro, o ha paura di perdere. I debiti di gioco si pagano entro le ventiquattr'ore. Nelle case private, non si gioca sulla parola. Se si prende a prestito del denaro dai padroni di casa, bisogna restituirlo non piú tardi del giorno dopo. È volgare mettersi davanti, come molti fanno, degli amuleti; come non è corretto far capire e credere che qualcuno degli spettatori porti iettatura. È bene prestabilire l'ora in cui si smetterà di giocare. Se qualcuno s'accorge che un giocatore tenta d'ingannare, arriva in fondo alla partita e smette, senza far commenti o dare chiarimenti. Il vincitore deve evitare ogni espressione o gesto che dimostri avidità di guadagno, o che possa urtare il perditore; non si rallegra troppo per un colpo ben riuscito; non conta il denaro che ha davanti; non si ritira dal tavolo subito dopo una vincita; non darà parte della vincita ai ragazzi di casa, i quali non dovrebbero assistere al gioco. Il perditore non si dimostrerà avvilito o addolorato ; non perderà mai la calma e il rispetto per gli altri; non getterà le carte o batterà il pugno sul tavolo ; non pretenderà la rivincita; non si distrarrà e costringerà a ricordare che ha perduto e deve pagare; non insisterà perché si aumenti la posta; non proporrà che sia protratta l'ora fissata per il termine del gioco. È poco simpatico il partecipare al gioco quasi di mala voglia, come se si fosse annoiati, o non si prendesse interesse alla partita, o si giocasse per condiscendenza. Le signore non permetteranno che si abbiano eccessivi riguardi per loro « come giocatrici »: se pèrdono, debbono pagare come tutti gli altri; ed è un offenderle tentare o proporre di restituir loro quel che hanno perduto. Non meno corretto e delicato dev'essere il contegno di chi assiste al gioco: quindi, non si debbono suggerir mosse; non dare giudizi su mosse sbagliate; non scommettere sull'esito della partita. In una parola, ricordare costantemente che quando si gioca, è in ballo la conferma della qualifica di gentiluomo e di signore, o... della qualifica contraria. Non ben giudicati i «giochi di beneficenza», nei quali i giocatori, prima della partita, versano una certa somma che andrà a beneficio di qualche istituzione.

Pagina 153

Come devo comportarmi. Le buone usanze

184880
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
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Per finire questo capitolo di miserie, resterebbe a parlare di certi atti sconvenienti, ai quali le persone poco fini si abbandonano non di rado: tali sarebbero, grattarsi, pulirsi le unghie in pubblico o mordersele, ficcarsi le dita nel naso, ecc. ecc. Ma noi non ci spenderemo sopra parole inutili. Sono atti, questi, che tutti sanno non esser permessi alle persone per bene; sono atti che si proibiscono perfino ai bambini, all'inizio della loro educazione. Tanto più dunque debbono astenersene i grandi, per i quali non vale la scusa dell'ignoranza o del poco giudizio, che invece vale tanto per i bambini. Del resto, questi ed altri simili atti o cattive abitudini sono ormai così universalmente condannati dal moderno galateo, che non c'è da temere che qualcuno possa innocentemente crederli leciti. Riassumendo, l'uomo civile deve, in ogni circostanza della vita, attenersi rigorosamente a quelle regole di vita sociale, sancite dalla lunga esperienza di secoli e affinate e ingentilite con l'avvento della moderna civiltà. Più egli si atterrà scrupolosamente ad esse, più osserverà le norme universalmente conosciute e approvate, più avrà fama di persona corretta e finemente educata. Sappia egli adattarsi all'ambiente in cui vive, e, se gira il mondo, sappia anche, pur mantenendo intatti i fondamenti della propria educazione, rispettare le abitudini degli altri paesi; accolga le usanze straniere, se è in paese straniero, senza maravigliarsene, senza criticare, senza alterarsi. Si ricordi che, accanto a certe regole fisse, alle quali ogni galantuomo deve sottostare, ce ne sono tante altre, che dipendono dalla moda, dalle diverse abitudini, dal clima, dal carattere, dalla razza, le quali cambiano da paese a paese, da regione a regione, da città a città; e non si può dire quali siano le migliori, quali siano da preferire. Tutte son buone, quando non contraddicono alla legge suprema della morale, della decenza e della civiltà.

Pagina 36

Il galateo del campagnuolo

187549
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1873
  • Collegio degli artigianelli
  • Torino
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E quel che è più strano di tutto si è che diffidano piuttosto delle persone di studio; mentre si abbandonano ciecamente alle persone ignoranti. Il maestro, il medico, il segretario spiegheranno coi dati della scienza un fenomeno naturale, il fulmine, l'aurora boreale, e il contadino ascolterà con quell' aria che dice: a me non la si fa bere; oppure: chissà se sarà così! Un paltoniere qualunque dirà d'aver visto la Madonna sopra un albero, oppure l'ombra di un morto sulla porta del cimitero, e ci si crede come al Vangelo! Se qualche male vien addosso a loro, o al bestiame, i prescritti del medico o del veterinario o non li eseguiscono, o lo fanno con infiniti ma e se; vi passa una cialtrona di donnicciuola, che consiglia il più matto empiastro che si possa immaginare, quello senza indugio vien applicato. Esaminate pure ma troverete quasi sempre la diffidenza più oltraggiosa verso chi sa e la credulità più sciocca ne' farabutti. Ciò che fa ancora più contrasto coll'onestà abituale della gente di campagna è la volgare credenza nella venalità di chi comanda. Fa male al cuore vedere come i contadini credono che tutto si ottenga col danaro; non v'è onestà di magistrato, che essi non credano, che si possa corrompere coll'oro. In una lite si dà loro la sentenza contro? L'avversario, dicono tosto, acciecò il giudice con marenghini. Un giovane tisicuzzo vien dichiarato inabile al servizio militare? Sono i rotoli d'oro che il padre fece sguazzare nelle tasche del medico e del commissario. Un bravo giovane prende bene il suo esame? Il padre chiuse gli occhi ai professori con buoni biglietti di banca. Uno spunta un intrigo? È il prefetto che fu comprato. E chi toglie loro di capo che le imposte, che essi sudano a pagare, non siano mangiate dai ministri, dai deputati, dai senatori? e lo dicono piano e forte. Insomma la diffidenza dappertutto. La giustizia, l'onestà, la virtù, il galantomismo, l'onore, sono vane parole; col danaro si ottiene tutto; e vengono poi fuori co' loro provverbi: le braghe di tela con quel che segue; danaro e amicizia rompono il collo alla giustizia; ed altri su questo andare; e se v'è qualche tristo fatto lo tirano sempre in campo; ma non citano mai quegli esempi di onestà a tutta prova, di rettitudine d'animo fino all'abnegazione, che pur tanti ve ne sono, d'uomini che consumarono il loro avere per beneficare altrui, di gente che sacrificò il meglio della vita a pubblico vantaggio. Massimo d'Azeglio nel 1852 usciva dal ministero, del quale era stato Presidente, e vendette subito i cavalli e licenziò le persone Di questi già non se ne tien conto, si trova di servizio; perchè scrive egli « non avendo più lo stipendio di ministro, se spendessi in cavalli spenderei quel che non ho. » E nel 1849 si diceva che aveva ricevuto milioni dall'Austria! Nel 1859, dopo esser stato Commissario nelle Romagne, ove per aver carattere militare, da colonnello, era stato promosso generale di brigata, così scriveva al ministro della guerra. «Ora la conclusione della pace avendo determinato S. M. a richiamarmi dalle Romagne, sopprimendo la carica, colla quale m'aveva voluto onorare, prego l'E. V. a voler presentare al Re la dimanda delle mie dimissioni. La carriera militare, breve ed interrotta, che ho corsa, non mi dà nessun diritto al grado che occupo, al quale non è conveniente si giunga se non dopo lunghi e segnalati servizi.» Nel 1861 così si rivolse al ministro dell'Interno: «Quand'io lasciai il posto di governatore di Milano, fui messo in disponibilità con metà dello stipendio. Trovo di poter far a meno della somma, che importa. Mi par dovere nelle attuali condizioni delle finanze di rinunziare al soldo di disponibilità!» E giova rammentare che d'Azeglio non era ricco; viveva del lavoro del suo ingegno. Camillo Cavour, accusato di infiniti monopolii; alla sua morte, lasciò il patrimonio avito tutt'altro che moltiplicato. Vincenzo Miglietti, fu due voìte ministro; quando venne a morire, non lasciò che un nome onorato; o come avvocato guadagnava le suo trenta mila lire all'anno! Ed è lunga la schiera d'intemerati cittadini, che ben lungi dal lucrare sulle pubbliche cariche a danno dello Stato, scapitarono anzi ne' ìoro privati interessi. più facile pensar male. Che ci sia qualche caso, che loro dia ragione, pur troppo è a confessarsi; ma sono eccezioni, che non debbono punto servir di regola generale. Ora vi s'aggiungono ancora le amministrazioni provinciali e comunali. Chi non pensa che il sindaco mangi sul Comune, che mangi il segretario e l'assessore? Porgete l'orecchio qui e qua, e troverete che ne' paesi non v'è più una persona onesta, una coscienza intemerata, se state alle dicerie volgari. E badate contraddizione; ciascuno per sè stima il sindaco, il consigliere, il segretario, come uomini incapaci di azioni meno che oneste, la loro rettitudine è proverbiale, ognuno loro affiderebbe la borsa a custodire; tuttavia trattandosi di roba del Comune, bah! mangiano anch'essi; come se prendere al Comune non fosse rubarizio. Oh in che mondo viviamo? O siam tutti ladri? Ripeto, che fa stizza sentir dar addosso alle persone più stimabili con tanta leggerezza! Mettiamo ora per un momento che qualcheduno di costoro abusi dell'autorità e della carica sua, e volga a suo pro il danaro del Comune; chi è in colpa? Chi li ha portati là? siete voi, voi che loro avete dato il voto. E se avevate qualche dubbio sulla loro fede; perche li avete eletti? Pecchè non avete cercato persone probe, oneste, intelligenti, incapaci del male? Il torto è vostro, picchiatevi il petto, e gridate: mea culpa. Ma voi bandite la croce addosso ad uno, e poi alla sua scadenza lo rieleggete; che logica è questa? Quando siete in tempo di riparare al male, nossignore, andate colla testa nel sacco; e poi vi mettete alle querimonie. Nel tempo delle elezioni, pensate bene a' casi vostri, badate chi eleggete, osservate se è galantuomo prima di tutto, se amministra bene le sue sostanze, se ha ordine in casa propria, se è onesto, e poi smettete le diffidenze, che vi fanno torto e torto marcio; vi fanno passare per incontentabili, pigoloni, maldicenti, di mala fede, e capaci voi di far quello che credete degli altri; giusta il proverbio di chi non si fida, non è a fidarsi; oppure chi mal fa, mal pensa. Da questo sistema di recriminazioni e querimonie, sapete che seguirà? Che le persone oneste, che han cura del loro buon nome, che non amano le brighe, piuttosto che esporsi alla maldicenza del pubblico, alle critiche insensate del primo barbagianni venuto, si terranno infuori da ogni amministrazione, e allora?... Allora i guasta-mestieri, i ciarlatani, i furbi, gl'intriganti, gli arruffa-popolo si faranno innanzi, e viva finchè ce n'è; costoro sì che penseranno al vostro vantaggio!... Dunque un po' di buona fede, e quando conoscete uno probo e dabbene, non date retta a tutte le ciancie, che l'invidia e la gelosia potranno mettere in giro per sorprendere la vostra credulità, per allontanare i buoni, per far strada ai tristi. Tutti abbiam de' nemici, e le autorità più che ogni altro, perchè è naturale, che coloro che non vogliono filar dritto, tutti i cattivi soggetti insomma, non possano veder di buon occhio la legge e chi debbe farla eseguire; il malvagio è certamente nemico del galantuomo, il vizio è l'eterno avversario della virtù.

Pagina 62

Galateo per tutte le occasioni

187901
Sabrina Carollo 1 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
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Gli animali non si abbandonano. Mai! tre gattini con al collo un cartello che recita "for ever!"

Pagina 171

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188229
Pietro Touhar 1 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
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E intanto si mostrano trasandate nel vestiario e nei modi; non hanno cura della nettezza e dell'ordine delle mobilie; chiedono o rispondono con mal garbo, ricevono senza ringraziare, si abbandonano al cattivo umore, addivengono inquiete, noiose, insopportabili, e con quelle persone poi con le quali devono passare la maggior parte della loro vita; poichè guai a coloro che disaffezionate al tetto paterno s'immaginano di dovere star meglio altrove! Ma guai anche a chi non sa rendere gradevole e beato il soggiorno nelle pareti domestiche! I figliuoli devono in tutto consolare e abbellire la vita dei genitori, il chè principalmente dalla religiose e dalla morale deriva; ma anche la civiltà vi ha molta parte. I doveri dei padri e delle madri verso i loro figliuoli sono cosa della maggiore importanza; non s'appartiene a questa operetta il parlarne; ma non sarà fosse inopportuno ricordare che la educazione, affinchè non apparisca goffa e affettata, vuol essere annoverata fin dal bel principio tra le utili istruzioni da dare all' adolescenza. Quest'avvertenza è viepiù a proposito per le convenienze della società, imperocchè facilmente si acquistano con la imitazione: perciò la gioventù educata sotto gli occhi di genitori o di precettori, che le buone usanze conoscono e seguono, a poco a poco vi si assuefà e vi si conforma, senza che, per così dire, sia necessario farlene la spiegazione. Sonovi da osservare questi doveri anche verso i parenti prossimi, come zii, zie, cugini, ai quali già ci lega affetto di famiglia. Invero i diversi gradi di parentela, d'età e di stato possono indurre qualche differenza nella nostra condotta riguardo a ciascuno di essi, quanto al rispetto, alla familiarità, all'intimità; ma a tutti dobbiamo voler bene, usare attenzione, portar rispetto quand'anco la nostra condizione ci facesse essere al di sopra di loro nella scala sociale. Chi sfuggisse di riconoscere parenti che il caso abbia posto in istato inferiore, darebbe indizio di orgoglio ridicolo e imperdonabile. Non dovete dunque studiarvi di tenerli lontani da voi, o di farli accorti che vi reputate da più di loro; chè anzi quanto maggiore vi sembrerà la distanza, tanto più vi conviene usar con essi delicati riguardi, procurando di far dimenticare la differenza di condizione che passa tra voi e loro. Se aveste maggior trasporto d' affetto per alcuni che per altri, non dovreste addimostrarlo in presenza di questi, che sarebbe lo stesso che mortificarli. E da ciò nascono talora quelle avversioni di famiglia che fanno divenir nemiche le persone tra le quali esser dovrebbe affettuosa e durevole amicizia. In una parola, non dimenticate mai questa massima: Onorare la famiglia, è lo stesso che fare onore a noi medesimi. Dobbiamo: Portar rispetto e usare attenzione ai genitori; ascoltare i loro consigli; mostrare riconoscenza delle loro cure paterne; essere affetto per tutti i parenti, e darne lor prova in ogni miglior modo e occasione. Non dobbiamo: Far trapelare agli estranei quelle dissenzioni leggiere che talora si suscitano in seno della famiglia; diportarsi con orgoglio verso i parenti di condizione inferiore; mostrare più affetto verso gli uni che verso gli altri.

Pagina 34

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189216
Pitigrilli (Dino Segre) 4 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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I soli che si salvino sono coloro che giocano senza metodo, quelli cioè che «non sanno giocare», perchè si abbandonano all'istinto, alla fantasia, all'ispirazione, e non credono al metodo, non credono che essendo usciti certi numeri, debbano uscire degli altri, e che certi numeri essendo già usciti, non escano più. Ma non è tutto: per vincere è necessario immergersi in uno stato di ipnosi, di estasi, di sogno, di «trance», lasciare che il nostro «demone» - una specie di angelo custode in smoking, - ci guidi la mano. A tutti i giocatori si avvicina a un certo punto l'invisibile angelo custode in smoking, che impartisce silenziosi ordini e guida la mano. Per obbedirgli è necessario il silenzio, la passività, la sottomissione. Il vicino che tossisce, che urta il braccio, che fuma un sigaro cattivo, basta a rompere l'incantesimo. E il nostro buon genio se ne va. Il marito che interviene con un consiglio o con un sorriso ironico non fa altro che rompere l'incanto. E la signora comincia a perdere perchè il genietto benefico se ne è andato. Il genietto benefico è un artista e perciò non ha simpatia per i mariti. Spero che la signora vinca la propria causa alla roulette della giustizia; questa vittoria le darà la forza per vincere alla giustizia della roulette.

Pagina 152

Quando passa un reggimento con la banda in testa, i pedoni si mettono a camminare al ritmo della marcia, e alcuni abbandonano il proprio itinerario, per seguire quello del reggimento; se qualcuno ha eseguito una moltiplicazione sul marmo del tavolino di un caffé, tutti gli avventori che si siederanno a quello stesso marmo verificheranno l'operazione, e se ci sarà un errore lo correggeranno. Voi sapete che il cappello da uomo è simmetrico; si può mettere il davanti di dietro e viceversa. La sola asimmetria è nella posizione del nodo del nastro. Provate a mettervi il cappello col nodo a destra, il che non turba né l'equilibrio del cappello, né il funzionamento del cervello che c'è sotto. Ma troverete degli sconosciuti che vi fermeranno per avvertirvi che avete il cappello nel senso opposto semplicemente perchè il nastro avrà il nodo a destra, e non ve lo siete messo «come si deve», cioè come lo mettono tutti. «Tutti» è un Moloch implacabile che si nutre delle eccezioni che gli vengono a tiro. Non essere un'eccezione! Per vivere tranquilli bisogna iscriversi al sindacato della Gente Qualunque, alla Società di Mutuo Soccorso fra gli Inesistenti. Alcuni anni or sono avevo conosciuto a Losanna un brav'uomo al quale dovevo della riconoscenza per un'ininterrotta serie di piaceri che mi faceva, e che io, rifugiato politico in Svizzera, non potevo ricambiare. Mi regalava bottiglie di vino e di vermouth e mi dimostrava la sua bontà, la sua indulgenza e la sua sopportazione. Sentivo però che mi considerava un ribelle, un irregolare, un refrattario. Ciò che gli dicevo io e come lo dicevo io non gli piaceva, e io sapevo che mi giudicava uno strano animale che è meglio cercare di non comprendere. Mi avvolgevano le onde della sua diffidenza, e sentivamo, ciascuno per conto suo, che nè io nè lui avremmo potuto consegnare la nostra anima nelle mani dell'altro. Un pomeriggio d'estate eravamo seduti in una birreria e ciò che egli mi raccontava con voce monotona non interessava. Tuttavia, per fargli credere che seguissi il suo racconto e condividessi le sue idee, emettevo ogni tanto quei monosillabi e quelle paroline che usa il compiacente interlocutore per confermare all'altro e a se stesso di essere sempre sveglio. A un tratto, quando egli scese nei particolari di non so più quale ingiustizia che lo aveva colpito, io che ho orrore dei modi di dire e delle frasi fatte, mi lasciai sfuggire senza nessuna convinzione questo commento: - Ci vuole un coraggio da leone. Il mio amico si arrestò. Mi guardò. Mi fissò. Ripetè in tono solenne: «ci vuole un coraggio da leone». Ordinò un'altra birra e degli altri salami di Vienna con crauti, e sentii che il suo cuore fino allora diffidente ora si abbandonava a me. Io avevo parlato finalmente il suo idioma! Si persuase che avevo anch'io la tessera del mediocre buonsenso, il baccellierato del luogo comune, la capacità di dire «cose da pazzi, roba da chiodi, gente dell'altro mondo, spiegato l'arcano, bevi Rosmunda, l'eccezione conferma la regola, grazie non fumo». Che ero cioè un essere come tutti gli altri - e come lui.

Pagina 260

Nei collegi femminili le ragazze si formano con uno spirito motteggiatore, «taquin», e si abbandonano a una gara di piccole prepotenze contro la dignità e la suscettibilità delle compagne. Nei collegi maschili gli anziani perseguitano i novizi, per antica tradizione, con scherzi di cattivo genere, che nei collegi inglesi si chiamano «fagging» e in quelli francesi si chiamano «brimades». Non so se questi esercizi formino il carattere, ma certarnente abituano a una mancanza di rispetto verso il prossimo, il che aiuterà forse a conquistare gradi e medaglie nella Legione Straniera, ma non serve a chi, più pacificamente, si accontenterebbe di essere un gentleman, un homme de bien, un caballero, un signore. Dirà il lettore che io lo spingo in quella «Scuola dell'ipocrisia» dalla quale al capitolo 37 ho strappato lui e i suoi teneri figli. Legga meglio. Questa non è ipocrisia. E' la «riserva mentale». La «riserva mentale» è una nobile arte inventata dai Gesuiti e forse più anticamente ancora, dagli Stoici. E' la conciliazione della saggezza con la necessità. Il Padre Sanchez, nelle sue Opere Morali, diceva che si può giurare di non aver fatto una cosa pur avendola fatta, pensando entro di sè di non averla fatta prima di essere venuti al mondo, ed Escobar spiega che la promessa non impegna: basta dire «lo farò», e aggiungere mentalmente «se non cambierò di idea». Secondo Pascal la restrizione mentale non è altro che la menzogna. Anche per me. Ma quante volte nella giornata dobbiamo difenderci contro coloro che ci fanno domande indiscrete o esigono promesse assurde. Nella vita di società la maggior parte delle nostre frasi è l'applicazione della restrizione mentale, l'impiego di frasi a doppio senso e di spiritose anfibologie, rallegrate dallo schizzo di seltz di un sorriso.

Pagina 300

Il male è che quando le cose sono stanche di noi, ci abbandonano sfacciatamente. Gli ultimi tre bicchieri di una dozzina di baccarat, le ultime tre statuine di una serie delle Nove Muse sono testimoni superstiti del tradimento dei nove bicchieri di baccarat o delle sei Muse e sono tornate nell'Empireo del nulla, per ammonirci che bisogna amare le cose, ma non fino al punto di rendercene schiavi. Fra qualche anno la Regina Giuliana, ritrovando in fondo a un cassetto i suoi «paradisi bianchi», oltraggiati dalle tarme, direbbe, se avesse letto questo mio ultimo periodo, che dopo tutto io ho ragione.

Pagina 333

Nuovo galateo

190178
Melchiorre Gioja 4 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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  • UNICT
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Pagina 198

Pagina 218

Pagina 270

Pagina 41

La gente per bene

191866
Marchesa Colombi 1 occorrenze
  • 2007
  • Interlinea
  • Novara
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Gli uomini, un po' più positivi delle signore, si abbandonano più facilmente ai loro gusti, e diventano più presto abitudinari. Uno non può discorrere il mattino appena svegliato e vincere un certo malumore che gli rimane dopo il sonno, e dovunque sia, in viaggio con amici, ospite in casa altrui, o nella propria famiglia, resterà imbronciato e brutto, finchè il malumore mattutino si sia dissipato con tutto comodo. Un altro non può soffrire certi piatti a tavola, e non saprà imporsi il menomo sacrificio per nascondere la sua ripugnanza agli ospiti che l'hanno invitato; e se un vino non è di suo gusto, lo lascerà scorgere con una lieve smorfia, o almeno lo lascerà nel bicchiere con ostentazione. Alcuni sono avvezzi ad una temperatura molto alta, e si fregano le mani, si raggrinzano, si accartocciano inurbanamente in un salotto, che, secondo loro, non è riscaldato a sufficienza; oppure sono calorosi, e smaniano, soffiano, sbuffano come locomotive, se l'ambiente è troppo caldo. Vi sono degli scapoli avvezzi a pranzar soli, che si fanno tirare gli orecchi, per accettare un pranzo in casa altrui e non sanno nascondere che s'impongono un sacrificio. Ad un pranzo d'invito un signore è naturalmente il cavaliere della signora che ha accanto, e non trascurerà menomamente questa parte, troppo comune perchè metta conto di ricordargliela. Non è però inutile rammentargli che dopo aver pranzato con persone che gli furono presentate per la prima volta, dovrà entro le 24 ore portare in persona una carta di visita alla porta di quei commensali. Soltanto nel caso che le commensali fossero delle signorine, la formalità si dovrebbe tralasciare. Un dono poi li offende addirittura, lo rifiutano, o lo accettano come per forza e di mala grazia, poi lo ricambiano troppo presto e con ostentazione, come per far capire che non vogliono accettar nulla da nessuno. C'è alle volte par generosità nell'accettare che nel dare, ed un gentiluomo deve saper accogliere con garbo e con riconoscenza gli inviti ed i doni, e ricambiarli con tatto, senza fretta, per scambio di cortesia, non per sdebitarsi. Molti hanno contratta la dolce abitudine di abbandonarsi ad un pisolino riconfortante durante il chilo; e subito dopo un pranzo, in compagnia, cominciano ad inghiottire sbadigli con ogni sorta di boccacce come se ruminassero, se pure non cedono al bisogno prepotente di lasciarli partire come razzi, comunicandoli a tutta la società, che finisce per sbadigliare in coro fino a smontarsi le mandibole. Questi signori abitudinari, che hanno il loro lato buono, perchè facendo tutto per abitudine, anche l'amore, sono dei modelli di costanza, debbono essere gli inventori di quel motto che è la quintessenza dell'egoismo: «Il primo prossimo è se stesso.» Ma sarebbero assai più amabili se si ricordassero un pochino delle giuste suscettività dell'altro prossimo, il secondo. Se un signore sa di dover essere presentato ad un pittore, ad uno scultore, ad un musicista, ad un autore, ad un uomo politico, ad un'illustrazione del teatro, deve se non li conosce già, informarsi dei quadri, delle statue, delle opere, dei libri, delle opinioni e gesta dei trionfi del nuovo personaggio, per poterne parlare con cognizione, e non con quegli accenni vaghi, quegli elogi generici e banali che fanno parer stupido lui, ed offendono l'altro. Si rammenti a questo proposito la bella storiella di quelle vicine del signor De-Amicis, che gli fecero dire che desideravano di conoscerlo, perchè ammiravano tanto i suoi lavori e poi quando lo videro gli dissero: «Lei si diverte a scrivere, nevvero? Ma bravo! bravo! e nel congedarsi gli ripetevano: Scriva sa, scriva!» Ed era chiaro che de'suoi lavori non conoscevano che il titolo, o tutt' al più la copertina, soltanto di vista.

Pagina 215

La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

192659
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 1 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
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Quando hanno germogliato, si sarchian, si bagnano, e quando le pianticelle sono bene avviate, si abbandonano a sè stesse. Il prezzemolo riesce in ogni terra un po' arabile, e non abbisogna di concime se non quando allo stato di seme, se viene piantato in terra che si può solcare. In settembre si taglia rasente terra, perché nell'autunno dia nuove foglie. Queste sono verdi e tenere. Durante il gelo e la neve copresi la pianta con un gran letto di strame, oppure le si conservano le antiche foglie, che allora servono di riparo al cuore della pianta e la preservano. Nell'ottobre si fanno seccare le foglie di prezzemolo, che suppliranno le foglie verdi, le quali mancheranno nella cattiva stagione. A questo effetto si lavano, si mondano, si gettano per un momento nell'acqua bollente, si stendono al sole sopra graticci, e si espongono al forno tiepido, quindi si ritirano, si rinchiudono in un luogo asciutto, involte in sacchi di carta o in iscatole, oppure si lasciano seccare all'ombra, divise in pacchetti e sospese al soffitto. Il prezzemolo secco è però inferiore al fresco, il quale solo comunica squisitezza alle vivande. E ad averlo mai sempre fresco supplisce il vaso da prezzemolo coltivato in cucina. È desso un vaso di zinco, di legno o meglio di terra cotta, della forma di un cono tronco alla base, aperto al vertice, mezzo metro di altezza, un metro e 46 centimetri di larghezza, e forato in i 150 o 200 luoghi, nei quali si pianta il prezzemolo. A questo fine si semina in poca quantità nel marzo, e nell'autunno si forma il vaso. Disponesi sul fondo del vaso un primo strato di terra e vi s'introducono le radici del prezzemolo per modo che il collare della radice della pianta esca dal vaso. Quando la schiera inferiore dei fori è guarnita, si sovrappone uno strato di buona terra e s'inaffia lievemente. Via via dal basso all'alto ed in ogni foro s'introducono piante e terra fresca ; quando il vaso è tutto guarnito, lo si corona con qualche pianta di prezzemolo o di fiori di stagione, ed è bello e preparato. Quando la pianta ha messo radice e vegeta, s'incomincia la raccolta. Ogni qualvolta si ha bisogno di prezzemolo, lo si taglia da uno o due fori secondo la quantità che occorre. In capo a qualche settimana il ramo tagliato mette nuove foglie, e così se ne ha una provvista sufficiente per tutto l'inverno. Il vaso da prezzemolo si può trasportare da un luogo all'altro a piacere. Nell'inverno lo si porta nella serra od in cucina per sottrarlo ai grandi freddi. Per evitare che le foglie si scolorino, si espone il vaso alla luce. Si avrà cura che di mese in mese da un foro all'altro tutto il prezzemolo sia tagliato ; il secondo anno bisogna anzi tagliarlo più di sovente, perchè non si formino rami. - Si rinnovano le piante ogni due anni. Anche i semi si conservano per lo stesso spazio di tempo. S'inaffia il vaso secondo il bisogno. Per agevolare l'assorbimento lungo tutto il vaso fu immaginato un tubo stretto di terra cotta, tutto bucherato dall'alto al basso, chiuso di sotto, aperto di sopra. Lo si colloca nel vaso quando vi s'introduce la terra in cui si fa la piantagione. Per inaffiare la pianta si riempie d'acqua il tubo collocato nel centro del vaso, e l'irrigazione si espande da sè in tutto l'apparato.

Pagina 288

Saper vivere. Norme di buona creanza

192949
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
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Molti fra questi sono scapoli impenitenti; molti sono vecchi aristocratici, che non escono mai di casa; molti sono professionisti, deputati, senatori, talvolta ministri, che non hanno mai tempo per nulla, eppure, tutti, tutti quanti, di diversa condizione, età ed occupazione, tutti abbandonano il loro lavoro,il loro comodo, il loro piacere, per fare da testimoni. Bene! Benissimo! E quando vi è gente che ha proprio la vocazione della testimonianza, perché privarla di questo piacere? Dunque, il testimone deve essere invitato al suo ufficio, almeno venti giorni prima del matrimonio: è naturale che a lui si dirigano lo sposo, la sposa o i parenti, per questo invito. Il testimone dello sposo se non conosce la sposa e la sua famiglia, deve esserle precedentemente presentato: viceversa la sposa e la sua famiglia presentano allo sposo, quei testimoni che egli non conosce. Il testimonio non può cavarsela con un bouquet di fiori, anche magnifico, anche messo in un vaso prezioso: le spose detestano i bouquet di fiori dentro i vasi, rammentarselo! Non è necessario che il dono sia molto ricco: deve essere fine ed elegante. Si manda il giorno prima delle nozze, per un servitore, con una carta da visita, dove sia una parola d'augurio. Il testimone porta la redingote, pantaloni chiari, panciotto nero o bianco, cravatta grigia, o bleu, o verde, non chiarissima, con qualche bello spillo: cappello a tuba, quanti grigioperla. Il testimone prende posto nelle prime carrozze; dopo quella della sposa, sta presso la tavola dell'Ufficio di Stato Civile, sale sull'altare, alla Chiesa, dà il braccio, andando e venendo, a qualche parente importante della sposa e dello sposo, e siede alla tavola d'onore. Dopo le nozze, i doveri e i diritti del testimone, spariscono: e restano, fra lui e gli sposi quelle relazioni di amicizia, di affetto, di stima o di semplice conoscenza mondana, che vi erano prima delle nozze.

Pagina 33

Nuovo galateo. Tomo II

194676
Melchiorre Gioia 3 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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L'amor proprio, che non abbandona gli uomini se non quando essi abbandonano la vita, fa loro temere sopra ogni altro male la derisione, e scuote loro didosso l'indolenza, e delle più care follie gli spoglia per non rimanere esposto ai frizzi del ridicolo, il che spesso non ottiene la più lampante verità ed agguerrita ragione. Se Aristofane avesse dato agli Ateniesi in una concione quegli ammaestramenti che diede loro nelle commedie, l'avrebbero tagliato a pezzi; laddove in teatro ridevano smascellatamente e dicevano ch'egli aveva ragione. Benché i Gentili avessero veduto Cicerone assalire l'edificio dell'idolatria con armi prestategli dalla filosofia, pure non sapevano indursi ad abbandonarne i tempii. Comparve in mezzo d'essi Luciano, il quale fece la guerra al gentilesimo col motteggio, e se non ne distrusse gli altari, ne disperse in gran parte gli adoratori. ll buon senso aveva già proscritto le pazzie cavalleresche in Ispagna, pria che nascesse Cervantes; ma quella nazione non riuscii a spogliarsene se non dopo che egli ebbe presentato al pubblico il suo ridicolissimo Don Chisciotte. Tanto é vero ciò che dice Orazio:

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L' esperienza dimostra che gli uomini dotati delle più felici disposizioni, di talenti distinti ed anche di virtù stimabili, s'abbrutiscono del tutto, se troppo imprudentemente all'impeto delle loro inclinazioni sensuali si abbandonano; ed altri non arrivano giammai al grado di perfezione intellettuale e morale al quale sembrano chiamati dalla sensibile superiorità de' doni che dalla natura avevano ricevuto. Osservate Antonio, pensate all'eminenza del suo genio come guerriero, come oratore, come politico, e ricordatevi la vergogna e l'infelicità del suo destino. Antonio sarebbe forse stato uguale a Cesare, certamente vincitore d' Ottavio, se meno dall'impeto del suo temperamento si fosse lasciato dominare e da' suoi gusti sensuali. Tra tutte le sensualità quelle che più istupidiscono lo spirito, sono l'ubbriachezza e la ghiottoneria. Combinando gli antecedenti riflessi colle idee esposte nel capo 1.°, non resteremo sorpresi, se, rimontando il corso de' secoli, ritroveremo l'ubbriachezza e la ghiottoneria dominanti presso tutti i popoli barbari e semi-barbari, principalmente ne' climi freddi, uniti ai sozzi e feroci vizi che le accompagnano. 1.° (Secolo XVIII) Nelle isole occidentali della Scozia si riguardava come atto di coraggio il bere finché si fosse ubbriaco. Gli abitanti occupavano 24 e talvolta 48 ore a bere. Alle porte di queste orgie si trovavano due uomini muniti di barella, i quali l'uno dopo l'altro trasportavano gli ubbriachi alle loro case. In Edimburgo (almeno sino al 1779) davasi tutti gli anni un concerto per soscrizioni nel giorno di Santa Cecilia. Le più belle dame della città vi erano con speciale biglietto invitate. Dopo il concerto i soscrittori si univano in una taverna e cenavano insieme. Collocavasi sulla tavola una cassetta la quale portava il nome d'Inferno. Si presentavano i biglietti delle dame che avevano assistito al concerto, e l'una dopo l'altra si proclamavano. I biglietti di quelle che non trovavano alcun campione pronto a bere per salvarle, venivano gettati nella cassetta; e quegli che beveva di più (purchè potesse terminare quella bravura bevendo in un solo fiato un gran bicchiere che chiamavasi S.Cecilia, e che d'ordinario rovesciava ubbriaco sul suolo il bevitore più potente) era autorizzato ad andare il giorno appresso dalla sua dama, presentarle il suo biglietto, gloriandosi d'avere avuto l'onore d'ubbriacarsi per salvarla. Ciò che é più strano si è, che quand'anco ella non avesse avuto relazione alcuna con lui, egli era sempre ben accolto, gentilmente ringraziato, ed invitato a rinnovare le sue visite a suo piacere. Ho conosciuto delle dame, dice Odier che racconta il fatto, in onor delle quali uno di questi bravi avea bevuto 17 in 18 bottiglie di punch (giacché non il vino, ma il punch serviva a questo stravizzo), e le quali altamente se ne gloriavano. Le Grand d'Aussy che scriveva verso la metà del secolo XVIII, ricordando l'antico costume vigente in Francia di costringere i commensali a bere, e le leggi che lo condannarono, aggiunge: « II tempo non ha potuto guarirci di questa riprensibile » stravaganza. La si trova tuttora in molte » parti del regno ed in più d'una classe. Fu anche » un tempo in cui, quando taluno assisteva ad un » pranzo di bevitori, e ricusava di bere come essi, » il costume voleva che gli si tagliasse il cappuccio » a segno d'insulto». Anche dopo la metà del suddetto secolo i Francesi cantavano a mensa una canzone, ciascun ritornello della quale in ciascuna strofa, citando Ipocrate, dichiarava

Pagina 195

Pagina 248

Galateo morale

196395
Giacinto Gallenga 2 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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I grossi eserciti poi vengono schiacciati, più ancora che dal valore e dalla scienza dei nemici, dall'ozio e dalla corruzione a cui si abbandonano in tempo di pace. Ed è cosa ormai fuori di dubbio che l'insolenza è per l'ordinario la maschera della viltà; giacché il vero coraggio non ha d'uopo d'essere strombazzato ai quattro venti.

Pagina 382

L'abito inoltre che essi acquistano di prestare fede al soprannaturale, al fantastico, al favoloso, ha per effetto di renderli tardi e restii al ragionare, creduli, maninconiosi, sfiduciati; diventeranno insomma della razza di quei minchioni che credono all'influenza del destino, senza pensare che il proprio destino ciascuno può crearselo più o men buono collo studio, colla fatica, colla perduranza; che si abbandonano sfiancati a ogni menomo urto, incapaci di lottare colle difficoltà, coi pericoli, colle disgrazie; che diventano in una parola zimbello dei furbi, facili ai pregiudizi, tenaci negli errori, vittime delle cabale e delle superstizioni.

Pagina 52

Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

201065
Simonetta Malaspina 1 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
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Una stretta di mano, insomma, non deve essere troppo energica ma nemmeno troppo fiacca: stringere certe mani che si abbandonano nell'altra come se fossero prive di vita fa quasi impressione. Ma neanche stringete la mano con troppa violenza, quasi voleste stritolarla. Non scuotete la mano altrui. Non tenetela troppo a lungo nella vostra. Non lasciatela cadere di colpo come se vi scottasse tra le dita. Non tendete la mano sinistra. Non dimenticate di stringere prontamente la mano che vi viene tesa: lasciare una persona con la mano inutilmente tesa significa metterla in imbarazzo, anche se non l'avete fatto apposta. La mano va tesa intera: e questo vuol dire che non si tende pigramente un dito, quasi con aria di degnazione. Gli errori in un semplice gesto come il saluto sono tantissimi. Basta che vi guardiate intorno per accorgervi dei peccati altrui e forse anche dei vostri. Osservate quel signore che saluta con la sigaretta in bocca, quell'altro che non toglie la sinistra dalla tasca dei pantaloni, quell'altro ancora che tiene il cappello ben calcato sulla testa. Per non calcolare, poi, gli esempi di cattiva educazione (i saluti gridati a distanza, i "ciao" mormorati con la bocca piena, i frizzi idioti, e così via). Se siete affacciato alla finestra non mettetevi a urlare per salutare un amico che sta passando per la strada. Non date pacche sulla schiena. Il saluto deve essere esplicito. Molte persone hanno il vezzo di salutare con un lieve sorriso, anzi una piccola inclinazione delle labbra che potrebbe anche essere una smorfia. Il "buongiorno" a voce alta si usa ancora. Non è passato di moda, anche se certe persone che si credono snob decidono da un giorno all'altro di licenziare come "superate" certe vecchissime regole di buona educazione. Non salutate con "ciao" o "salve" una persona con la quale non siete in rapporti di amicizia confidenziale o che comunque, per età o altre ragioni, merita rispetto. E se vi trovate in un salotto, non rivolgetevi a tutti con esclamazioni sciocche come "tesoro!" "amore mio!" "carissimo!" "carissima!". Se salutate una persona, quando siete in compagnia di un'altra, e il saluto precede lo scambio di qualche parola, a necessario fare le presentazioni. Se viceversa il saluto consiste in un semplice "buongiorno", non è assolutamente necessario informare la persona con la quale si è in compagnia sul conto di quello che si è appena salutato.

Eva Regina

203078
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 9 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Queste ore nere che travagliano per solito la donna nella sua prima giovinezza, e le dànno malinconie, impazienze, irascibilità, cambiamenti d'umore, inesplicabili per gli altri, non l' abbandonano, purtroppo, neppure nella nuova fase della sua vita. Essa lo aveva sperato dapprima, nella sua letizia di fidanzata, nel suo luminoso tripudio di sposa: si era creduta libera per sempre dalla schiavitù del dolore che pesa sulla povera umanità e quando non la strazia con le sventure, la tormenta con le tristezze arcane. Ma ecco che nel bel mezzo della sua gioia, il nemico, come un nero nibbio, cala rapace e l'avvolge nella cupa ombra delle sue ali. È in un giorno di malessere, in un'ora di solitudine. L'inutile ed elegante ricamo le sfugge dalle dita; il libro rimane aperto sempre alla stessa pagina... La giovane signora ha sottocchio un calendario, ricorda che quello stesso giorno, quella medesima sera, fu per lei una data felice... Oh, un ballo, una prémière al teatro, un five o' clock, una gita, un piccolo lieto avvenimento qualunque della sua vita di fanciulla, ma che basta per farle rivolgere in dietro il capo, verso la dolce riva lasciata, verso la sua innocente verginità che non torna.... E quasi senza volerlo è tratta a paragonare la sua esistenza d'allora, così spensierata, così rosea, così gaia fra le amiche e i corteggiatori, alla sua vita del presente dove anche le dolcezze più profonde appaiono rivestite della severa maestà del dovere. Ella pensa a quelle fra le sue giovani compagne ancora libere di svolazzare di festa in festa, di lasciarsi rapire dall' armonioso turbine della danza; di uscire alle passeggiate mondane; di accettare degli inviti in villa; di fare dei viaggetti; di stare in ozio anche, o di suonare il piano e imparare qualche bel lavoruccio artistico nuovo: mentre lei... mentre lei..., lei ha un padrone : un padrone benigno, tenero, indulgente, ma sempre un padrone, e sospira....

Pagina 101

Gli uomini soffrono più superficialmente della morte dell'amore, forse perchè non vi si abbandonano interi, con tutto l'essere pensante e sensibile, e in tutti i minuti della giornata, come fa la donna quando ama con passione e tutto il mondo scompare per lei che s'è fatta un mondo nel suo cuore. Si disse che l'amore per l'uomo è un episodio, per la donna un poema; e tutte le donne che sanno che cos' è amare e soffrire, sentiranno la triste verità di questa definizione. Un poema drammatico, aggiungo io, per la fatalità che presiede all'epilogo, Oh quel giorno! un estremo bacio ad una stazione : una stretta di mano angosciosa all'angolo d'una via; uno sguardo carico di strazio all'uscire da una sala ; una breve e solenne parola, un addio scritto fra i singhiozzi in fondo a una lettera... e poi la solitudine, il silenzio, il deserto, come quando è passata la morte. Oppure, in piena fioritura, in piena sicurezza, una delazione, un tradimento, un sospetto che acquista basi di realtà, e la lettera scritta nell'abbandono assoluto, dov'è tutto l'ardore dell'anima, tutta la confessione della colpa, è nelle mani dello sposo offeso e ingannato : oppure il nascondiglio fido è bruscamente invaso e la colpevole è sorpresa dove le prove dell'infedeltà sono così evidenti che il negare sarebbe un' assurdità.

Pagina 258

Ve ne sono di quelli che si abbandonano all' impulso della loro ira, della passione gelosa, e colpiscono ciecamente o scacciano la colpevole. Le cronache dei giornali sono sempre piene di mariti ingannati che uccidono, feriscono, maltrattano la loro compagna, mutando il dramma in tragedia. Eppure, quante volte, il fatto che li esaspera fino a trasformarli in assassini non è che una conseguenza naturale e fatale della loro condotta, del loro modo d' agire verso la moglie, dei loro vizii, delle loro stesse infedeltà ! Se la legge dovesse accordare ad ambedue i coniugi il diritto di uccidere quello fra i due che manca alla data fede, il primo ad andarsene all'altro mondo sarebbe sempre, ne son certa, il marito. Chi porta seco la maggior quantità d' illusioni nel matrimonio è la donna; chi soffre più dei disinganni è lei, e tanto ne soffre talora, che un mutamento radicale avviene nel suo mondo morale. Da fiduciosa diventa scettica, da tenera e pietosa diviene sdegnosa e aspra, da zelante osservatrice del proprio dovere si muta in trascurata e spergiura. E questo, perchè ? Perchè la vita dopo i disinganni che l'hanno percossa le appare sotto un altro aspetto, e nell' amara evoluzione ella si sente sciolta dai propri obblighi, dal momento che il suo compagno non osserva i suoi. Egli le ha dato il cattivo esempio, ella lo segue ed eccede perchè è più debole, più impulsiva, più inesperta di lui. «Ce ne sont pas les trahisons des femmes qui nous apprennent le plus â nous défier d' elles. Ce sont les nôtres» ha scritto Bourget. Francesca da Polenta tradì lo sposo, ma Gianciotto l' aveva preceduta sulla via dell' inganno quando la fece chiedere in isposa dal fratello Paolo, bellissimo, lasciandolo prendere in isbaglio per lui, brutto e zoppo d'un piede. Offesa per offesa. Oh, prima di scacciare, prima di colpire, prima d' uccidere, interrogate la vostra coscienza, o signori! E se la troverete sgombra di ogni rimorso, se non vi rimprovererà proprio nulla nella vostra condotta del passato o del presente verso colei che vi ha tradito, allora — ma solamente allora — colpite, uccidete !

Pagina 262

Questa è l'ambizione di molti genitori ed è l'ideale di molte fanciulle, e vi si abbandonano a prezzo di non lievi sacrifici, con tenacità singolare, senza riflettere prima se non convenisse meglio scegliere altra via più modesta ma più proficua : senza interrogarsi profondamente — la fanciulla — se la missione grave, ardua, delicata dell'insegnante si confaccia davvero al suo carattere, alle sue attitudini. Invece la giovinetta dovrebbe se sta in famiglia e studia per farsi una coltura d'ornamento, non affrettarsi al termine e continuare a studiare, ad apprendere, anche oltre i quindici anni, nell'età in cui appunto la sua mente si apre meglio ad accogliere le spiegazione delle conquiste della scienza e le visioni della bellezza ideale, e continuare a imparare, ad esercitarsi finchè prenderà marito ed anche dopo, perchè non c'è condizione di vita od età in cui si possa dire: « io so abbastanza » e non desiderare di andare più oltre. Se poi la signorina studia per professione, procuri almeno di applicarsi a quelle discipline verso cui le sue facoltà intellettuali e i suoi gusti la portano maggiormente. E se invece di andare alla scuola Normale andrà ad una scuola professionale non dovrà vergognarsene, giacchè potrà diventare un'abile cucitrice, una brava modista, piuttosto che una cattiva insegnante e sarà tanto di guadagnato per gli altri e per lei. Io vorrei particolarmente insistere perchè alle ragazze d'oggi, in cerca di professione, si desse qualche altro avviamento, per impedire che si agglomerasse intorno a certi pochi rami determinati un soverchio numero di postulanti che divengono poi le spostate. Il commercio, per esempio, la contabilità, la scrittura a macchina, la stenografia, le lingue straniere, la chimica, la botanica, i corsi d'igiene e di infermeria. L'estetica ha una grande importanza nell' istruzione, ma io vorrei che vi fosse infusa più generalmente anzichè vederla limitata all' esercizio delle belle arti che si riduce spesso ad un ozioso dilettantismo o ad una misera profanazione. Vorrei che tutte le fanciulle potessero gustare la bella musica, ammirare i bei quadri, le belle statue, i bei versi, la bella prosa; potessero analizzare, conoscere, preferire, invece di udirle suonare l'obbligato pezzo con variazioni, o vederle insudiciare coi colori dei lembi di tela e scrivere un bozzetto o una lirica piena di luoghi comuni. Le vorrei interpreti, insomma, più che esecutrici o creatrici, a meno di una tendenza speciale verso qualche arte, che allora sarebbe delitto misconoscere o soffocare.

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Si abbandonano le velette aderenti, e si portano i larghi veli fluttuanti che riparano dalla polvere e dal sole senza far caldo : quelli leggermente azzurri o verdi sono buoni per chi ha gli occhi delicati, facili a irritazione provocata dal riflesso del sole. Del resto il bianco essendo cattivo conduttore del calorico è da preferirsi nell' estate, specialmente quando si è costretti ad uscire nelle ore calde o a rimanere esposte a lungo ai raggi del sole.

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Le signore modernissime, forse per questo complesso di ragioni o per un' educazione più razionale, sdegnano tutte la sigaretta, che, del resto, anche molti uomini delle nuove generazioni abbandonano. Ed io segno questo come un piccolo guadagno, fra i grandi, del progresso.

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Entrambe possono fare del male a sè stesse e agli altri per gli eccessi a cui spiritualmente si abbandonano. L'ottimista è una eterna illusa. Si persuade d'essere bellissima, d'essere amata da tutti per la sua seduzione e le sue qualità, con disinteresse unico al mondo. Se ha delle delusioni nella sua giovinezza se ne consola presto, pensando che sarà più fortunata un'altra volta. Quando si marita, il suo sposo è il più simpatico, il più educato, il più intelligente, il più fedele; anche se è brutto come il peccato, rozzo come un facchino, ignorante come un analfabeta, ottuso come una talpa, traditore come un gatto. I suoi bambini saranno i più sani, i più belli, i più svegli e ne magnificherà di continuo le qualità. Si proclamerà felicissima: troverà che la sua casa è un paradiso terrestre e il padrone di casa un arcangelo di condiscendenza: i vicini persone stimabili, onorate : la città dove abita, la più bella del mondo. Le malattie, la sventura, possono visitare la sua dimora ella non se ne sgomenterà: il male è cosa leggera, le altre disgrazie non saranno poi irreparabili. E la morte può seguire la malattia; la disgregazione e la rovina possono succedersi ai disaccordi e alla cattiva amministrazione, che l' ottimista piegherà per poco il capo e troverà presto altri motivi per amare ancora la vita e trovarla buona ancora. Il contrario accade nell' anima e nell' esistenza della pessimista. Il più comune disinganno la farà cadere sotto il peso d' una croce che proclamerà troppo grave per le sue forze ; nelle persone care ella vede prima di tutto le deficenze, i difetti, e se ne accora e se ne lagna con tutti. La più leggera indisposizione è per essa il principio d'una malattia insanabile; un cattivo affare, il preludio della rovina: l' avvenimento più comune della vita, un viaggio, un matrimonio, una nascita, un trasloco, sono per la pessimista minacce oscure del destino. Ella rende a sè stessa e agli altri l' esistenza pesante, difficile, cupa : l'atmosfera che la circonda è irrespirabile perchè ella trarrà da ogni atto, da ogni circostanza, da ogni parola, motivo di lamento e di offesa. Se poi le disgrazie piombano davvero sulla sua casa, ella può risentirne tale turbamento psichico da diventare pazza o maniaca. L'ottimista per cecità, per imprevidenza, per l'abitudine di negare il brutto e il pericoloso onde non turbare la sua quiete serena, rischia di cadere nel pèlago e di affogare, d'essere la causa involontaria della rovina propria ed altrui. La pessimista coi suoi dubbi, le sue paure, la sua negazione perpetua, si toglie ogni possibile conforto della vita, ogni forza di reazione, aggrava ogni male, ne allontana il rimedio.

Pagina 410

Forse eccessi di tal genere non si ripetono fuori delle regioni meno evolute d' Italia : ma in ogni luogo abbiamo però donne, e fra esse signore della piccola borghesia, che chiedono insistentemente questa o quella grazia a un dato Santo e non ottenutala ne abbandonano il culto, disgustate come di un medico che non avesse conseguita una guarigione. Altre esigono a tutta forza miracoli, e per averli si espongono a disagi di pellegrinaggi, interrompono cure, peggiorando le loro condizioni fisiche, se si tratta di salute, giacchè è assurdo violare le leggi naturali, dal Creatore stesso decretate, per poi pretendere il sovrumano. Anche certe devozioni composte di formule ripetute centinaia di volte : certe immaginette o certe medaglie a cui si attribuiscono virtù particolari e piccine, certe penitenze di digiuni e di privazioni, compiute magari a scapito della salute, sono tanto lontane dalla religione vera quanto il paganesimo dal cristianesimo.

Pagina 441

L'amore nasce da piccolo seme, ma muore anche per una piccola causa: non è dunque stoltezza osservare che la negligenza nell'acconciatura e nelle consuetudini a cui certe sposine si abbandonano passati i primi mesi, possono determinare nel marito un disgusto, dapprima lieve, che facilmente degenera in freddezza e lo allontana sospingendolo nello stesso tempo verso quelle che trova ancora graziose e seducenti. Bisogna invece che la donna sua si prefigga di non scapitare a nessun confronto: di tener alto il proprio prestigio fisico come il proprio prestigio morale. Se è bella, continui ad aver cura di sè come quando cercava ogni giorno un mezzo nuovo per accrescere la sua bellezza e piacere di più all' innamorato : se è solamente simpatica, continui a scegliere l'acconciatura e le mode che mettono in miglior evidenza il suo tipo; e procuri di abbellirsi con la grazia, lo spirito, o la soavità, secondo il suo carattere. Sia elegante, anche nel vestire dimesso, giacchè l' eleganza, non è lo sfarzo ma l'armonia delle tinte, la semplicità, la cura dei particolari : sopratutto sia linda nella persona e negli indumenti. Pare impossibile, eppure molte signore che se s' incontrano per le vie sembrano figurini di moda, si permettono poi di portare nell'intimità certe vestaglie, certi colletti, certi grembiuli che potrebbero dare un' efficace ma triste idea del loro senso d' ordine e di pulizia, e spiegherebbero il disgusto dei loro mariti o ne ginstificano la trasandataggine degli abiti e della persona. Una signora maritata ha doppio obbligo di essere linda, d'una donna nubile, giacchè oltre che per rispetto a sè stessa, deve esserlo per rispetto al suo compagno ed ai rapporti della loro vita comune. Quindi bagni, abbondanti lavacri, nitidezza nella biancheria, minuziosa cura in ogni dettaglio della toilette intima: semplice eleganza negli abiti e nella acconciatura. Come nella persona, così nei modi. Lo sposo rimanga sempre un poco il fidanzato a cui si desidera esser cara e gradita. Nulla di più poetico e di più dolce che il vedere fra marito e moglie di vecchia data, continuate quelle premure, quelle cortesie, quegli atti d'urbanità, quelle minute e tenere dimostrazioni d'affetto che abbellirono il primo periodo della loro vita in due. E la casa, il nido, rispecchi sempre, per opera della donna, l' accordo, la serenità, la freschezza inalterabile dei cuori. Sentite in che modo delicato e commovente madame Rostand, che vi citavo dianzi come esempio di moglie, esprime il proposito di conservare intatto il suo prezioso tesoro d' amore attraverso la fuga degli anni e le offese del tempo:

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La freccia d'argento

212160
Reding, Josef 1 occorrenze
  • 1956
  • Fabbri Editori
  • Milano
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MA I CROCIATI NON LO ABBANDONANO.

Pagina 49

Il romanzo della bambola

222110
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • paraletteratura - romanzi
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Si raccomandò al cielo; ma in cielo ci sono i santi che, a volte, proteggono le bestie, perchè le amarono in vita, come sant'Antonio, san Francesco, san Benedetto, san Rocco; nessuno protegge i giocattoli, abbandonati da tutti quando li abbandonano i bambini. Nelle sue corse rapide, il sorcio le si accostò parecchie volte; poi, da bravo, forse perchè glie n'era piaciuto l'odore, si mise a rosicchiarle una scarpina, una delle sue belle scarpine di cuoio bronzato. Dati i primi morsi, staccò un pezzetto della suola sottile di pelle di guanto; e per un poco, finchè non ebbe terminato il boccone, la Giulia non sentì più scosse. Ah, fosse finito lì il suo spavento! Ma che! L'animale, fatto un foro nella scarpa, attaccò la calza di seta, che i suoi denti lunghi e puntuti ragnarono tutta. Allora principiò per l'infelice pupattola il martirio di sentirsi divorar lentamente il povero piccolo piede, senza poterlo ritirare, anzi, dovendolo abbandonare inerte, come cosa morta. Le sembrava che, insieme al piede, la bestia le dilaniasse il cuore, la testa, ogni nervo del corpicino. Perchè, perchè non veniva ora la sua Marietta a strapparla di lì, a salvarla? Nessuno! Nessuno si ricordava piú di lei, rifiutata, buttata via senza pietà, come un impiccio, come un limone spremuto. Dal buco fatto nella pelle fina del roseo pieduccio, una ferita orrenda, la segatura scorreva, e ne' sussulti impressi dal topo nel roderla, si vuotava parte della gambina; che rimase poi lì con la sua pelle floscia, cadente, quando l'animale si fu ben impinzato e volle mutar cibo. Fuori, l'inverno era finito, e la primavera, con le sue magnifiche giornate, già tiepide e odorose di fiori, invitava a lasciar la città per i semplici divertimenti all'aria aperta della bella campagna. Anche per i signori de' Rivani era prossima la partenza; e già si facevano in casa tutti i preparativi. Il Moro era stato il primo a esser nominato dalla Marietta tra le cose da portare con sé. Con lui ella avrebbe fatto chi sa quante galoppate allegre per il bosco, sotto gli alberi, dove anche a mezzogiorno c'è ombra. Si trattava di condurlo perfino ai bagni di Viareggio; per le gite lungo la spiaggia e le colazioni nella pineta, dove tutte le sue amiche e più ancòra le bambine conosciute colà l'avrebbero invidiata. Innanzi di lasciare Roma per tutti i mesi della villeggiatura, la signora de' Rivani soleva fare una distribuzione degli oggetti usati di vestiario alle sue persone di servizio e a' suoi poveri; ma prima che agli altri alla famiglia della propria sorella, signora Amalia Cerchi, mamma di Camilla: una signora che, come abbiamo detto, s'era maritata male ed era poco felice. Alla signora Amalia e a Camilla, dunque, venivano, quasi di diritto, gli oggetti migliori fra quelli scartati; e si dava loro anche roba addirittura nuova perchè non si mortificassero. Quell'anno, poi, c'era un monte di vestiti, di sottane, di mantelletti, una sfilata di cappelli, e scatole di guanti, e cassette di scarpe; più regali del solito, perchè anche il signor Giovanni aveva inzeppato il guardaroba al suo ritorno da Milano. Nella stanza degli armadi, davanti agli sportelli spalancati, stavano la signora de' Rivani con la signora Amalia e le due cuginette: la Marietta e Camilla. Nessuna persona di servizio assisteva a quella scelta, per non offendere la miseria della signora Cerchi. - Questo non lo prendo, sai - diceva la signora Amalia alla sorella, tenendo in mano un abitino di velluto - perchè per Camilla è troppo bello. - No, anzi, prendilo; l'ho messo da parte proprio per lei - insisteva la madre della Marietta.

Pagina 35

Manon

233285
Adami, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1922
  • Edizioni Alpes
  • Milano
  • teatro - commedia
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Così, di tanto in tanto, le signore abbandonano le grate per ritirarsi qui con me, in un piccolo angolo, a far chiacchiere...

Pagina 73

Il romanzo della bambola

245591
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • Verismo
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Si raccomandò al cielo; ma in cielo ci sono i santi che, a volte, proteggono le bestie, perchè le amarono in vita, come sant'Antonio, san Francesco, san Benedetto, san Rocco; nessuno protegge i giocattoli, abbandonati da tutti quando li abbandonano i bambini. Nelle sue corse rapide, il sorcio le si accostò parecchie volte; poi, da bravo, forse perchè glie n'era piaciuto l'odore, si mise a rosicchiarle una scarpina, una delle sue belle scarpine di cuoio bronzato. Dati i primi morsi, staccò un pezzetto della suola sottile di pelle di guanto; e per un poco, finchè non ebbe terminato il boccone, la Giulia non sentì più scosse. Ah, fosse finito lì il suo spavento! Ma che! L'animale, fatto un foro nella scarpa, attaccò la calza di seta, che i suoi denti lunghi e puntuti ragnarono tutta. Allora principiò per l'infelice pupattola il martirio di sentirsi divorar lentamente il povero piccolo piede, senza poterlo ritirare, anzi, dovendolo abbandonare inerte, come cosa morta. Le sembrava che, insieme al piede, la bestia le dilaniasse il cuore, la testa, ogni nervo del corpicino. Perchè, perchè non veniva ora la sua Marietta a strapparla di lì, a salvarla? Nessuno! Nessuno si ricordava piú di lei, rifiutata, buttata via senza pietà, come un impiccio, come un limone spremuto. Dal buco fatto nella pelle fina del roseo pieduccio, una ferita orrenda, la segatura scorreva, e ne' sussulti impressi dal topo nel roderla, si vuotava parte della gambina; che rimase poi lì con la sua pelle floscia, cadente, quando l'animale si fu ben impinzato e volle mutar cibo. Fuori, l'inverno era finito, e la primavera, con le sue magnifiche giornate, già tiepide e odorose di fiori, invitava a lasciar la città per i semplici divertimenti all'aria aperta della bella campagna. Anche per i signori de' Rivani era prossima la partenza; e già si facevano in casa tutti i preparativi. Il Moro era stato il primo a esser nominato dalla Marietta tra le cose da portare con sé. Con lui ella avrebbe fatto chi sa quante galoppate allegre per il bosco, sotto gli alberi, dove anche a mezzogiorno c'è ombra. Si trattava di condurlo perfino ai bagni di Viareggio; per le gite lungo la spiaggia e le colazioni nella pineta, dove tutte le sue amiche e più ancòra le bambine conosciute colà l'avrebbero invidiata. Innanzi di lasciare Roma per tutti i mesi della villeggiatura, la signora de' Rivani soleva fare una distribuzione degli oggetti usati di vestiario alle sue persone di servizio e a' suoi poveri; ma prima che agli altri alla famiglia della propria sorella, signora Amalia Cerchi, mamma di Camilla: una signora che, come abbiamo detto, s'era maritata male ed era poco felice. Alla signora Amalia e a Camilla, dunque, venivano, quasi di diritto, gli oggetti migliori fra quelli scartati; e si dava loro anche roba addirittura nuova perchè non si mortificassero. Quell'anno, poi, c'era un monte di vestiti, di sottane, di mantelletti, una sfilata di cappelli, e scatole di guanti, e cassette di scarpe; più regali del solito, perchè anche il signor Giovanni aveva inzeppato il guardaroba al suo ritorno da Milano. Nella stanza degli armadi, davanti agli sportelli spalancati, stavano la signora de' Rivani con la signora Amalia e le due cuginette: la Marietta e Camilla. Nessuna persona di servizio assisteva a quella scelta, per non offendere la miseria della signora Cerchi. - Questo non lo prendo, sai - diceva la signora Amalia alla sorella, tenendo in mano un abitino di velluto - perchè per Camilla è troppo bello. - No, anzi, prendilo; l'ho messo da parte proprio per lei - insisteva la madre della Marietta.

Pagina 35

Saper vivere. Norme di buona creanza

248303
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
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Molti fra questi sono scapoli impenitenti; molti sono vecchi aristocratici, che non escono mai di casa; molti sono professionisti, deputati, senatori, talvolta ministri, che non hanno mai tempo per nulla, eppure, tutti, tutti quanti, di diversa condizione, età ed occupazione, tutti abbandonano il loro lavoro, il loro comodo, il loro piacere, per fare da testimoni. Bene! Benissimo! E quando vi è gente che ha proprio la vocazione della testimonianza, perchè privarla di questo piacere? Dunque, il testimone deve essere invitato al suo ufficio, almeno venti giorni prima del matrimonio: è naturale che a lui si dirigano lo sposo, la sposa o i parenti, per questo invito. Il testimone dello sposo se non conosce la sposa e la sua famiglia, deve esserle precedentemente presentato: viceversa la sposa e la sua famiglia presentano allo sposo, quei testimoni che egli non conosce. Il testimonio non può cavarsela con un bouquet di fiori, anche magnifico, anche messo in un vaso prezioso: le spose detestano i bouquets di fiori, dentro i vasi, rammentarselo! Non è necessario che il dono sia molto ricco: deve essere fine ed elegante. Si manda il giorno prima delle nozze, per un servitore, con una carta da visita, dove sia una parola d'augurio. Il testimone porta la redingote, pantaloni chiari, panciotto nero o bianco, cravatta grigia, o bleu, o verde, non chiarissima, con qualche bello spillo: cappello a tuba, guanti grigio-perla. Il testimone prende posto nelle prime carrozze, dopo quella della sposa, sta presso la tavola dell'Ufficio di Stato Civile, sale sull'altare, alla Chiesa, dà il braccio, andando e venendo, a qualche parente importante della sposa e dello sposo, e siede alla tavola d'onore. Dopo le nozze, i doveri e i diritti del testimone, spariscono: e restano, fra lui e gli sposi quelle relazioni di amicizia, di affetto, di stima o di semplice conoscenza mondana, che vi erano prima delle nozze.

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