Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonandosi

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Il marito dell'amica

245205
Neera 3 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
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Sofia ebbe un risolino furbo abbandonandosi sui guanciali, in una posa provocatrice: Maria si rifece, di ghiaccio, dura, immobile presso alla finestra, torcendo gli occhi dal letto. Sentiva come un ronzio, le tre voci; quella fioca di Emanuele che domandava i ragguagli della malattia, quella del dottore compassata, quella di Sofia squillante in note argentine; ma non seguiva il filo del discorso. Nel suo cervello indolorito le sensazioni si confondevano. Vedeva la pelle d'orso nero foderata di velluto rosa, lì, in quella camera; e sovr'essa Emanuele e Sofia abbracciati. - Un po' di distrazione le farà bene - prescriveva il dottore - nei mali delle donne i nervi formano la prima metà e l'immaginazione la seconda. - Aix... San Maurizio... L'odore della verbena, nell'atmosfera umida e rinchiusa, dava il capogiro a Maria; essa ora vedeva Emanuele cogli occhi sbarrati che diceva a Taziana: «Ti amo!» - Taziana rideva. Chi rideva erano Sofia e il dottore, accomiatandosi. Gli occhi di Emanuele però stavano veramente davanti a lei, sbarrati, pieni di amore. E Maria rise, rise forte, sonoramente, con una scossa convulsa in tutte le membra. Era finita; si sentiva scettica.

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Dimenticò presto le sue preoccupazioni di massaia, abbandonandosi alla gaia filosofia del piacere, lasciandosi ripetere in un orecchio dal dottore che: - Se tanto sensibili si mostrano le zitellone di quarant'anni, guercie, con un porro sul sopraciglio, quanto maggiormente deve ascoltare la voce dell'amore una creatura bella, gentile, amabile, amata... La litania sarebbe continuata ancora; ma Sofia girando gli occhi incontrò gli occhi di Maria che la guardavano con una espressione singolare, che a lei parve di rimprovero. Qualcuno intanto aveva aperto il piano tasteggiando a caso. Il dottore era un buon dilettante e Sofia lo pregò di suonare alcune romanze, alle quali egli sapeva dare un tocco particolare di sensualismo poetico. Erano romanze d'amore, calde, vibranti, che sprigionavano nella sala legioni alate di silfidi, attraverso raggi di luna e sussurro di zefiri, con cadenze prolungate di baci. Maria, che aveva cercato un nascondiglio per la sua faccia sbattuta nell'angolo più remoto, si trovò accanto Emanuele, sullo stesso divano, incapace di dominarsi. Già una volta o due la Guidobelli, co' suoi occhietti socchiusi, aveva lanciato un'occhiata indagatrice da quella parte, mordendosi le labbra; ma Emanuele nulla vedeva. Egli era sotto l'esaltazione di un progetto ardito, di cui solamente poteva essere capace un uomo al massimo punto dell'ebbrezza. - Lontano, lontano, lontano... con te. Così egli aveva susurrato, colle labbra frementi, a Maria, che non osava nè rispondergli, nè scacciarlo. Attenta, in apparenza alla musica, ella seguiva il passaggio di una visione tentatrice. Vedeva la sua casa al di là dei mari perduta nella verde solitudine delle praterie, sepolta in mezzo ai fiori con una grazia selvaggia e raccolta di nido; e vedeva sè stessa libera e felice in compagnia di Emanuele. Perchè non sarebbe fuggita con lui? Il fine della sua vita si ricongiungeva al principio. Emanuele era stato il suo primo amore, Emanuele doveva essere l'ultimo; e in questo secondo stadio di una stessa passione si concentravano tutte le scintille d'amore, i fochi fatui, le fiamme passeggiere che le erano apparse nella vita, portando ognuna il suo bagliore, il suo guizzo. Desideri fluttuanti di vergine, intuizioni segrete, rivelazioni lente e paurose, fino al primo sguardo, alla prima lagrima, al primo bacio; e poi l'amore materiale della donna maritata, e le seduzioni che circondano la vedovanza: un giovane bruno, alto e pallido, cogli occhi divorati da una fiamma interna, che l'aveva seguita un giorno a Buenos-Ayres e che adesso le attraversava la mente perchè solamente adesso capiva il significato di quegli occhi: un walzer ballato, non sapeva più quando, con un capitano inglese, sulla tolda di un bastimento illuminato a luce elettrica, con davanti il mare fosforescente e sopra il cielo; la stretta violenta di un povero ragazzo, un mezzo selvaggio al quale ella aveva fatto del bene e che la salvò una notte, da un incendio, portandola di peso nelle braccia e morendo per lei. Tutti palpiti, desideri, concupiscenze che venivano ora, come vassalli a tributare i loro tesori al signore unico e che le ingrossavano il cuore di un lungo anelito insoddisfatto. - Ieri... Ella disse: ieri, avvicinandosi colla spalla alla spalla di Emanuele, volendo raccontargli la storia angosciosa della sua notte; ma si fermò improvvisamente, stringendo i denti. Egli non insistette; pensava al domani, all'avvenire. Il dottore chiuse il piano, le signore domandarono i loro mantelli. -Tu che abito metti? - chiese l'Elvira: Bonamore alla padrona di casa. - Lo sai bene, quello color fragole, colla guernizione di chantilly. - Credi che non farò una figura troppo meschina col mio vecchio foulard chinese? - Tutt'altro, è originalissimo; e poi siamo tra noi. - Ma vedrai la Guidobelli... chi sa che pompa! Sofia fece spalluccie, sorridendo. Si trovava accanto Maria, che aveva lasciato il divano e volle infilarle il braccio con un movimento grazioso per metterla a parte di quell'alta discussione femminile; ma trovò Maria così fredda e impacciata che le morirono sul labbro le parole. Accompagnò i suoi ospiti fino all'anticamera, seguita dal professore che disimpegnava macchinalmente i doveri di padrone di casa. Quando rientrarono nel salotto, Maria non c'era più; si era già ritirata nella sua camera. E nella sua camera si svestiva in fretta, per entrare prontamente nella oscurità e nel silenzio. Un colpo leggero picchiato all'uscio le trasse un grido di spavento; balzò sulla chiave e la girò, tenendovi sopra una mano, mentre coll'altra si stringeva sul petto lo scollo della camicia. - Apri - susurrò, fuori, una voce indistinta. - No, no - balbettava Maria pazza di terrore. - Apri, voglio dirti una parola... Riconobbe la voce di Sofia e aperse, gettandosi sulle spalle un mantello. Sofia entrò tutta vestita, con un viso compunto, quasi malinconico. - Perchè non volevi aprire? Chi credevi che fosse? Maria non rispose; era ancora tutta tremante. Quella domanda così naturale: chi credevi che fosse? le parve una accusa terribile. - Forse hai sonno, poverina, scusami... Alla fine Maria balbettò qualche parola insignificante. Essa rispose: - Scusami, ma non potevo coricarmi così. Già da qualche giorno ho un peso, qui, come un nodo che mi stringe... La guardò fissa. Maria, quasi barcollante, chinò gli occhi. - Tu non sei più la stessa. Tenti invano di nasconderti... io ti leggo nel cuore. Maria gemette, stremata di forze, appoggiata con tutto il corpo alla sponda del letto. Quel momento le sembrava il più orribile della sua vita. Aveva paura e tremava. - Non rispondi? Indovino dunque? Sofia fece un passo verso l'amica. - Per pietà! implorò Maria, tendendo avanti le mani, smarrita. Sofia si arrestò. Quel pallore, quel turbamento la sorprendevano; non è così ch'ella credeva di trovarla. - Maria che hai? Sono io che devo implorare la tua indulgenza. Le si accoccolò ai piedi come una fanciulletta davanti alla madre, e prendendole per forza le mani e baciandogliele: - Maria, sei in collera con me, lo vedo... lo sento... I tuoi sdegni silenziosi sono un eloquente rimprovero alla mia leggerezza... Zitta! Non dir nulla. Capisco. Tu vuoi dirmi che ho mancato alla mia parola, che dopo aver scacciato Bandini non ho avuto la forza di respingere anche il dottore... Sono una cattiva moglie e una cattiva madre... è questo, non è vero? Maria la guardava adesso, intensamente, colle pupille febbrili, rispondendo da automa alle sue strette. - Se sapessi - Sofia le si fece ancor più vicina, passandole un braccio intorno al collo - se sapessi, in certe ore, come mi sento triste! Io non ho il tuo ingegno, non ho il tuo carattere, non ho il tuo cuore, ma qualche cosa ho pure anch'io; un ideale di felicità, un bisogno di tenerezza... infine non chiedo altro che di essere amata. Non posso vivere senza amore. Tu lo puoi, perchè sei una donna forte; io non sono altro che una femminuccia... e voglio amare. Maria schiuse le labbra per parlare. Sofia non gliene lasciò il tempo, incalzando con una foga sincera che le metteva un tremito nella voce. - Emanuele non si cura di me; non mi ha mai amata, ma da qualche tempo si direbbe che mi odia. Io speravo, sai, che portando a casa il bambino, i nostri vincoli d'affetto si dovessero stringere maggiormente. Voglio bene a mio figlio, oh Dio, sì, lo idolatro, ma mi trovo sempre sola alla sua culla... Singhiozzava, adagio, asciugandosi le palpebre colla pezzuola. - Mi pare che so Emanuele volesse, potrebbe rendermi la casa più bella e i miei doveri più facili. Sostò un momento, incerta, e poi con uno scatto improvviso: - Digliene tu qualche cosa. - Io?... Oh!... Maria si ritrasse bruscamente; Sofia interpretando male quell'atto, mormorò con dolcezza umile. - Mi abbandoni anche tu?... - No... Completò con un gesto affettuoso le parole che le uscivano a stento. Quella scena terminava di abbatterla; era scossa fin nel midollo delle ossa. - Mi comprendi, nevvero? Dimmi che non mi credi poi tanta perversa... e che sono sempre la tua Sofia, la tua pazzerella, eh?... Abbracciami, tanto che me ne possa tornare consolata... Dammi un bacio. Le si avvinghiò com'edera, cercando le sue labbra. Maria, pur prestandosi all'amplesso, deviò leggermente il capo, così chè il bacio sonoro dell'amica, le sfiorò appena la guancia.

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Il corpo di Maria si piegò come un giunco, abbandonandosi, provando l'impressione di una ferita acutissima. Sotto la dolcezza dell'amante ella sentiva fremere, repressa, una brutalità ignota. Eppure mentre tremava in quella violenta rivelazione, mentre un senso nuovo, quasi doloroso, si destava in lei dal bacio di Emanuele, una tenerezza struggitrice, un bisogno di darsi, di sacrificarsi le faceva mormorare: «ti amo, ti amo!» Al che egli non rispondeva altro che stringendola maggiormente, con un rantolo nelle fauci. Ed ora, coricata su quel letto straniero, cogli occhi aperti nella oscurità di una camera ignota, Maria rivedeva quella scaletta, risentiva quel primo bacio al quale molti altri erano seguiti di poi senza cancellarne la profonda impressione. Sostò per poco, ondeggiando col pensiero in un periodo di deliziosi incanti, durante il quale i giorni volavano in una continua ricerca di furberie e di astuzie per stringersi in un amplesso rapido, per ripetersi che si amavano. Nelle lettere, Emanuele diceva ancora che bisognava combattere una passione insensata, le chiedeva scusa per aver turbato co' suoi ardori la casta tranquillità di lei; le prometteva di frenarsi, di soffrire, di non chiederle più nulla. Un solo istante però distruggeva tutte queste saggie teorie. Così nel cuore di Maria ardeva sempre la fede, alimentata dai giovanili entusiasmi e dall'immenso amore. Ad onta delle sue letture, ella, dotata di molto idealismo, era rimasta ignorante sulle verità materiali dell'esistenza; come un cieco che abbia studiato a perfezione il meccanismo della vista, ma che non vede. Istintivamente sentiva che nell'amore di Emanuele per lei c'era qualche cosa che non poteva capire, differente dalle sensazioni sue proprie; ma che cosa fosse preciso non cercava. Non era curiosa, non era maliziosa. Quando la bocca di Emanuele così piccola, così gentile, le dava nel buio quei baci virili che la sorprendevano e la turbavano, ella rimaneva per poco sotto l'assillo di una curiosità indeterminata, che svaniva poi nei tranquilli colloqui intorno alla lucerna, allora che il giovane professore, calmo, colla sua voce monotona, rispondeva alle controversie del padre; e l'impressione violenta svaniva per lasciar posto a una idealità piena di dolcezza. Maria non pensava neppure che vi potesse essere un pericolo per lei in quell'amore. Era cresciuta con un principio di morale, non bigottamente ristretta, ma di una conclusione rigida e inflessibile. A' suoi occhi, l'abbandono completo di una donna, quando non fosse reso legittimo, metteva capo a una vergogna incancellabile. Certe parole grosse, brutte, ch'ella aveva udite per caso, le sembravano applicabili a tutte le donne che cedono; e nei momenti di maggior debolezza, il ricordo di quelle parole le faceva salire alla fronte una fiamma di vergogna. L'uomo ha un altro, diverso e vasto campo in cui esercitare la virtù; egli ha le virtù cittadine, politiche, patriottiche e guerriere; ha l'onestà della carica che occupa e dei commerci che intraprende. La donna non ha che questa povera, modesta virtù del resistere, che cresce nell'ombra, spoglia di gloria, quasi sempre inapprezzata. Non importa; Maria aveva fede in essa; sperava che Emanuele avrebbe superati gli ostacoli che li dividevano e si sarebbero alfine sposati. Si voltò dolorosamente nel letto; la successione delle idee che le presentava in quadri spiccati le scene principali nella sua vita, l'aveva condotta ad una scena ch'ella non poteva ricordare senza sentirsi dare un tuffo nel sangue. Sempre la tetra casa, l'abbandono, la miseria e suo padre morto - questa la cornice. Nel mezzo, lei, disperata, folle, abbracciata come un naufrago ai ginocchi di Emanuele... A questo punto, con tutte e due le mani, prese il guanciale e se lo pose sul volto, premendo, non trovandosi abbastanza nascosta nelle tenebre, desiderando nascondersi a sè stessa in un bisogno di annientamento; ma anche soffocata dal guanciale vedeva gli occhi di Emanuele senza lagrime intanto che la sua voce misurata le diceva: Non posso farti mia. E l'amava, sì, l'amava; ma non aveva la fede che ispira, non aveva il coraggio che spinge alla lotta, non si sentiva la forza di darle la sola prova d'amore che un uomo possa dare ad una donna onesta: soffrire con lei, lavorare per lei... E dopo tanti anni, lì, in quella camera che apparteneva a lui, su quel guanciale dove egli aveva forse appoggiata la testa sognando di un'altra, i singhiozzi della povera donna scoppiarono alti, irrefrenati.

Pagina 34

L'indomani

246093
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
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cari - esclamò Alberto abbandonandosi sui cuscini della vettura - quel capo ameno di Merelli, quel simpaticone di un farmacista! Tanto per dire qualche cosa, per interessarsi anche lei a quello che interessava suo marito, Marta chiese : - Sono tuoi amici? - Merelli sì, Merelli fin dal ginnasio; abbiamo fatto la quarta e la quinta insieme. Fu lui che il giorno onomastico del professore... Ah! ma tu non sai, non sai, che bel matto! - E l'altro? - L'altro è il farmacista, Toniolo: quello che mi diceva sempre: prendi moglie, alla nostra età è ancora il meglio che si possa fare. Il piacere di aver riveduto i suoi amici, di riprendere le antiche abitudini, coloriva il volto di Alberto e faceva luccicare i suoi occhi piccoli e buoni. Egli si fregava i ginocchi colle mani, guardando la coda della cavalla. Marta si rimproverava di non partecipare a quella gioia, di provare invece una impressione di tristezza, quasi d'invidia. Le venne in mente sua madre, sua madre ch'ella aveva un poco dimenticata durante il viaggio, e che da piccina le diceva e da grande le ripeteva: «Marta sei troppo impressionabile, troppo esclusiva, senti troppo, pensi troppo. Ciò non conduce alla felicita.» Parole che ella aveva ritenute come un'aria da organetto e che ora le tornavano alla mente, ma più chiare, della chiarezza improvvisa di un lume che s'accende. Volendo vincersi, volendo uscire da quell'esclusivismo che, a detta di sua madre, non l'avrebbe resa felice, guardò intorno la bella campagna, gli alberi, le siepi entro cui svolazzavano le farfalle. - Ti piacciono questi luoghi? domandò Alberto. - Sì, molto. - Io non posso vedermi altrove. In città sto bene otto giorni, poi sento la nostalgia de' miei campi. - A me pare che starei bene dovunque con te. - Cara! Egli disse: cara. Non era una dolce parola? Perchè Marta non esultò? Perchè rimase fredda in apparenza e muta? Ella ascoltava ancora, ripercosso nell' aria e nel suo orecchio, il suono uguale, identico a quello di un momento prima, quando aveva detto: cari! E le pareva una stonatura, una nota falsa che alterasse il valore della parola. Si chinò verso di lui, con la bocca contro il suo collo, mormorandogli nel folto dei capelli: Caro! caro! caro! Egli la respinse vivamente, indicando Gerolamo. Marta alzò le spalle. Sarebbe stato così bello baciarsi, lì, sotto il cielo fulgido, intanto che la carrozzella correva! Chi li avrebbe visti? E quand'anche! Tornò a guardare la strada che fuggiva, guardò gli alberi; dal cortile di un cascinale saliva acuto nell'aria il chiocciare di alcune galline. I mandorli fioriti allargavano le braccia, i boccioli dei peschi punteggiavano, nella freschezza rosea di labbra dischiuse, i loro ramoscelli privi ancora di foglie; e delle goccie sparse, rugiada, gomma, lacrime misteriose della natura, luccicavano sopra il verde tenero; frammiste ai fili d'argento che gli aracnidi sospendevano da ramo a ramo. Il cuore di Marta si gonfiava, pieno di tenerezza, con un bisogno di espandersi, di abbracciare, col segreto desiderio di quelle ferite per cui l'animo trabocca e dilaga in passione, deliri, abbandoni, singhiozzi, tutta la forza rinchiusa, l'intima essenza del sentimento femminile. Assetata d'amore ella disse a se stessa, stringendosi nel mantello per sentire la carezza del proprio calore. «Egli mi ama, ne sono sicura. Perchè mi avrebbe presa? Mi ama sopra tutte le donne; è mio, tutto mio!» E, sollevata, sorrise a suo marito. Alberto, che per parte sua non pensava a nulla, fu molto soddisfatto nel vedere che la sua sposina aveva un buon temperamento; questo lo persuase sempre più di aver avuto la mano felice nella scelta. La cavalla intanto, sentendo prossima la stalla, prese un trotterello giulivo. Già si vedevano da lungi i tetti del paese dominati dal campanile, e, man mano che la carrozza progrediva, qualche cascinale sparso, qualche cane che abbaiava, una fanciulla che conduceva le oche. - Sono le oche di Gavazzini - disse Gerolamo, indirizzando la sua osservazione alla signora. - Chi è Gavazzini? - È il più ricco proprietario del paese - rispose Alberto. - Tuo amico? - Non dei più intimi, ma qui si è tutti amici. Del resto egli fa vita ritirata, e sua moglie non si vede mai. Oh! un romanzo! Lei era una istitutrice, fuggirono insieme, andarono in cima di un monte a passare la luna di miele, scrissero i loro amori sulle corteccia degli alberi. Figurati, una volta si punsero apposta un dito per bere il sangue l'uno dell'altro.... quando ti dico romanzi! Marta si interessava, avrebbe voluto chiedere di più, ma la faccia di Gerolamo, che sembrava quella di un filosofo stoico in mezzo alle follie del mondo, le dava un po' di soggezione. Incominciarono le prime case allineate, coi portoni aperti, da cui si intravedevano cortili verdeggianti, gruppi di vasi, lunghi anditi freschi, riparati da tendoni a righe; una gonnella svolazzava tra due usci, un visetto curioso spuntava da una finestra, i gatti scodinzolavano sulle sedie di paglia, sbadigliando, socchiudendo gli occhi. Più innanzi, nel centro del paese, si aprivano le poche botteghe; il fornaio, il pizzicagnolo, il mercante, il tabaccaio, il calzolaio, il barbiere. - Ecco la farmacia - disse Alberto. Marta guardò. Non c'era nessuno sulla soglia; una cortina verde, strofinata e attorcigliata come una fune, lasciava scorgere nell'interno un pezzo di scansia coi barattoli di terraglia bianca e azzurra. - Ha moglie il farmacista? - È vedovo; ma la riprenderà. Che cosa deve fare? - Sicuro - disse Marta, ripetendo macchinalmente tra sè: che cosa deve fare! - Guarda la casa di Merelli; sul canto di piazza, dipinta in giallo; l'hai vista? - No, non l'ho vista. - C'era la serva davanti alla porta. - No, non l'ho vista. Ha moglie Merelli? - Sì, ha moglie. - E la casa di.... di quel signore.... quello che ha bevuto il sangue.... - Gavazzini? Ah! non è qui; è fuori di paese, isolata; più isolata ancora della nostra. - La nostra è l'ultima, nevvero? È forse questa? La cavalla rallentò, Gerolamo fece una voltata dà cocchiere esperto, e, passando da un cancello spalancato, fermò di botto nel bel mezzo di un cortile vellutato d'erba minuta, con alte muraglie imbrunite dal tempo, su cui si sbizzarriva a rabeschi una lussureggiante glicina, carica di fiori. L'aspetto generale del fabbricato e del cortile era quello di una vecchia casa borghese, comoda, dove un seguito di generazioni agiate e tranquille si erano succedute senza scosse, senza cambiamenti. Appollonia corse fuori, tutta traballante nella sua rotondità di pan buffetto, con la facciona lucida raggiante di semplicità, la bocca aperta, le mani sporche di farina. Marta, nel guardarla, non potè a meno di sorridere, e balzando lesta dalla carrozza gridò: - Buon giorno, Appollonia. Furono le prime parole che la nuova padrona pronunciò entrando ne' suoi domini. Gerolamo ammiccò segretamente Appollonia, con uno stringimento di palpebre che voleva dire: Va bene, va bene! E la grossa serva, sgangherando la bocca fino alle orecchie, mostrò di aver inteso il senso di questa affermazione. Marta non doveva dimenticare più quel momento del suo arrivo, in un ridente giorno di aprile; i grappoli lilla che fiorivano sui muri, l'erba del cortile, una pace, una serenità diffusa nell'aria, un benessere sicuro che sembrava uscire dalle muraglie della vecchia casa; perfino il volto bonario di Appollonia e il nitrito della cavalla che scuoteva il muso fine sotto le carezze di Gerolamo. Alberto, senza aspettare ch'ella si levasse il cappello, passò il braccio sotto il braccio di sua moglie e la condusse subito a visitare la casa. Niente di ricercato nè di pomposo. Una grande comodità in tutto, nella disposizione delle camere, nei mobili, negli ampi seggioloni, nei divani sparsi con abbondanza; una certa ricchezza tradizionale ma tranquilla; buoni quadri, stipi intarsiati, biancheria accuratissima, delle vecchie maioliche di famiglie. - Queste sedie le ha ricamate mia madre - disse Alberto. Erano otto sedie di legno chiaro con profili dorati, coperte da ricami a mezzo punto, bellissimi, tutti l'uno differente dall'altro. Marta le ammirò religiosamente, commossa. - Questo è il mio ritratto di quando ero bambino. Marta vi si precipitò sopra, coprendolo di baci e di esclamazioni, portandolo sotto alla finestra per esaminarlo meglio. - Come è bellino! Care queste spalluccie nude! E che occhietti! E le manine, Dio, che manine... ma avevi le mani così piccole allora? - Caspita, i bambini!... Risero entrambi, stringendosi il braccio, felici. Salirono così lo scalone che conduceva al piano superiore. - Ma è tutto bello qui, sai? - Sì, non c'è male. È comodo. Entrarono nella camera da letto. Tre finestroni la illuminavano, facendo penetrare i raggi del sole attraverso un ricco cortinaggio di stoffa a fiori sopra un fondo cilestrino. Della medesima stoffa era il parato del letto, altissimo, ampio, per metà ricoperto di un piumino di seta celeste, sull'orlo del quale ricadeva, accuratamente stirata, la trina del lenzuolo. Sulla pettiniera un'altra trina, nel festone della quale serpeggiava un nastro celeste, faceva da sopporto a un servizio di cristallo, lucentissimo. Sugli specchi, sulle cornici non si scorgeva un atomo di polvere. - È stata l'Appollonia a preparare queste belle cose? - Lei, certamente. Vi avrà impiegato tutto il tempo che ci volle a noi per percorrere l'Italia; ma infine, ognuno fa quello che può. Marta, levandosi il cappello e la spolverina, sedette sul divano che era ai piedi del letto, sentendosi finalmente in casa propria. - Oh come si sta bene qui! Tese le mani a suo marito, invitandolo a sedersi anche lui sul divano. Ora non dubitava più di essere la signora Oriani. La sua felicità doveva incominciare da quel momento; prima era stata una corsa vertiginosa, contraria all'amore. L'amore ha bisogno di un nido. Marta sollevò gli occhi, girandoli torno torno come per prendere possesso d'ogni cosa; e quando ebbe ben riguardata la camera, il letto, le cortine a fiori, fissò Alberto con un'estasi tale di riconoscenza, di tenerezza timida e ardente, che egli, un po' sorpreso, la baciò, non sapendo che dire. Ella trasalì tutta, colla speranza di una rivelazione. - O mio Alberto, mi amerai sempre, sempre? - Che domanda! - Dillo! - Ne dubiti dunque! - Dillo... - ripetè Marta, stringendosi, avviticchiandosi a lui tutta tremante, con la bocca socchiusa. Un'ondata di sangue colorì la fronte di Alberto, che rispose per la durata di un attimo alla stretta di sua moglie. Poi si sciolse, dolcemente, ravviandosi i capelli. - Andiamo - disse - non facciamo ragazzate.

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Voci della notte

250806
Neera 1 occorrenze
  • 1893
  • Luigi Pierro Editore
  • Napoli
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E si sorvegliavano, non abbandonandosi mai cogli occhi. In questa lotta coperta, i volti indurivano, prendendo una tinta terrea sotto il lume vacillante della candela; le pupille scintillavano di cupidigia repressa; le mani tremavano — specie le mani della figlioccia, bianche ed affilate in mezzo ai cenci capovolti, ai batuffoli scoperchiati, essendosi già ferita ad un chiodo dell'armadio, ma non prendendo neppure il tempo di asciugare la gocciolina di sangue che lasciava qua e là una striscia sulle biancherie. Improvvisamente lo zoppo lasciò cadere il suo bastone e prima di raccoglierlo brancicò a lungo fra le gambe del tavolino, rialzandosi poi rosso rosso, col pugno stretto. — Ebbene? — Che cosa? — Mi sembrava.... Egli aveva frattanto cacciata la mano in tasca e levatala, colle cinque dita tese, si passò il fazzoletto sulla fronte. — Non troveremo nulla — disse la figlioccia con accento secco, già stanca di quella inutile fatica. — Voi, ve l'ho già detto, dovreste andare a riposarvi! — garrì la vecchia. — No, no. Sto qui piuttosto accanto al mio povero padrino a recitargli il rosario, così anche dal mondo di là potrà vedere e giudicare chi gli vuol bene. Fratello e sorella, dopo di aver girellato ancora un poco sempre l'uno sulla pista dell'altro, vennero a sedersi anch'essi vicino al morto biascicando avemarie, presi da una repentina tenerezza per quel loro fratello di cui non avrebbero più udita la voce. Senonchè, rammentando la voce, tornavano loro a memoria i litigi avuti in parecchie occasioni, sempre che l'interesse fosse della partita; e come egli, primogenito, li avesse trattati male al momento della divisione, tenendosi il bene ed il meglio. Questa riflessione li consolò. - Se potessi trovare solamente l'anello della mia povera madre! — tale pensiero attraversava la mente della vecchia, intanto che le labbra mormoravano preghiere. — Esso mi viene di diritto sacrosanto. Mi viene, mi viene : continuava a borbottare tra un requiem e l'altro, mentre il capo le ciondolava, vinto dai primi attacchi del sonno. Ma sobbalzò, udendo il te tec, te tec, ripercosso sull'ammattonato della stanza vicina. — Che fai li? - Nulla. Si alzò essa pure, non volendo ad ogni costo cedere al sonno; e ripresero a vagolare misteriosamente, muti, nel duplice silenzio della notte e della morte. Il bastoncino dello zoppo, co' suoi colpi cadenzati, destava un'eco sinistra che sembrava anticipare le palate di terra sulla fossa. Che gente! — pensava la figlioccia, stringendosi tutta e rabbrividendo per il luogo, per l'ora, per la situazione — mossa anch'ella da brame cupide, ma persuasa che fossero più gentili perchè più gentile ne era la forma. Anche nella sua mente passava la visione delle lenzuola fine, delle posate, delle maioliche, del vecchio anello a castone con una miniatura sopra smalto azzurro; e li desiderava; ma il suo era un desiderio fine, intelligente, una intuizione che tutta quella roba in mano di villani era, come dire, perle gettate ai porci. Per nient'altro la desiderava. E poi, che ne avrebbe fatto Marco, senza famiglia, un beone grossolano? e quale costrutto ricavar ne poteva la vecchia già prossima alla tomba? Ma a lei giovane, lei educata, lei elegante, lei di buon gusto... — Oh! mio povero padrino --- irruppe con uno scoppio di lagrime — povero, caro e amato! Oh! mio padrino che non puoi vedere, che non puoi parlare più! — Commedie — borbottò lo zoppo, col naso ficcato dentro un armadietto dove stavano riposti liquori e vini scelti, preda che la sorella gli aveva abbandonata. Abbandonata tanto più volentieri perchè intanto ella continuava a girare per suo conto, ingrossandosi i fianchi di protuberanze misteriose, cacciandosi ad ogni poco la mano in seno e nelle tasche. La figlioccia, in quella lunga veglia, aveva presunto troppo dalle sue forze. Si sentiva sfinita, rotte le ossa, con un brivido per tutto il corpo; appoggiava ad ogni poco la testa contro il letto, ma il raccapriccio e la tristezza del cadavere ne la facevano allontanare. E tutta questa debolezza fisica accresceva il sentimentalismo del suo dolore che si sfogava in gemiti, in sospiri, in lagrime; in mezzo alle quali sorvolava tuttavia il rimpianto acuto del bene che stava per perdere. Se il padrino non aveva fatto testamento, addio roba! L'aculeo di tale pensiero le accresceva ancora i sospiri, per modo che la camera era tutta piena di lei e del suo dolore. Ma sollevando spesso gli occhi lagrimosi ad un altarino dove il defunto venerava, tra due palme di fiori di carta, una statuetta della Madonna, era attratta suo malgrado dal disegno di una trina antica che circondava i piedi della Madonna - una cosa da nulla, mezzo metro, tanto da cavarne un paio di manichini.... Non era forse vero che, se ella avesse chiesto quel pezzetto di trina all'adorato padrino, egli l'avrebbe concessa? E se invece la prendeva adesso, di moto proprio, non potendo più chiederla a lui, che gran male! Le restava almeno un cencio di ricordo, il solo, se quella gentaccia le negava il resto.... quasi un diritto. Oh! ed essi che cosa facevano girellando per la casa?... la derubavano com'è vero Dio! La derubavano, lì sulla faccia, spudoratamente, da quei villanacci esosi che erano, che si sarebbero proprio meritati un testamento contro! Si alzò, barcollando, e andò a smoccolare la candela. La notte stava per finire. Un chiarore biancastro rompeva le tenebre della finestra, battendo sul rigonfio del letto formato dal cadavere. La vecchia, che si era appisolata sopra una cassa, si alzò pur essa. Di fronte, nel primo raggio dell'alba, le due donne si guardarono. — Se Dio vuole è finita! — disse la vecchia, cercando, sotto il livido della faccia che aveva davanti, i segreti pensieri. L'altra, muta, osservava le dimensioni prese dalla gonna e dal busto della vecchia. Si squadravano, si pesavano a occhiate, si insultavano reciprocamente in un silenzio cupo, concentrato, dove le narici sole fremevano a guisa di segugi in caccia. Te tec, te tec... La testa da satiro dello zoppo apparve in mezzo a loro, trasfigurata dall'emozione. — Ho trovato il testamento! — gridò sollevando in alto un rettangolo bianco. Fu un momento di angoscia indescrivibile. Tre cuori sospesero per un'istante le loro pulsazioni, tre vite si concentrarono in uno sguardo acuto, assorbente, quasi feroce... Un raggio di sole entrava, obliquo, ad illuminare il letto dove il morto riposava, completamente staccato dalle miserie terrene.

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