Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Giacomo l'idealista

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De Marchi, Emilio 2 occorrenze

- proruppe Giacomo, abbandonandosi a ridere sulla sua seggiola, che perdeva le paglie per il di sotto. - Tutte le volte che io assicuro all'uomo una qualche superiorità, il mio cane abbaia. Ma abbi pazienza, Blitz: ancora una cartella e poi ho finito. Mentre Giacomo leggeva, e mentre l'acqua del caffè muggiva nel gamellino, sopra una fiamma a spirito in mezzo a un treppiedi di ferro, feci con l'occhio il giro delle quattro pareti di quell'umile cameretta, da dove usciva tanto orgoglio filosofico e tanta fede nella missione conquistatrice dell'umanità. Un letto con un pagliericcio imbottito di foglie secche, quattro sedie scompagnate, un vecchio trumò del settecento, pieno di libri, un tavolino zoppo di tre gambe tenuto ritto da un vecchio Rimario del Ruscelli, ecco tutto l'arredamento. A capo del letto pendeva un quadretto della Madonna del Bosco, di un gusto molto campagnuolo, circondata da un rosario a grani grossi come le noci, e da altri piccoli segni religiosi, che svelavano una mano affettuosa e forse una pia sollecitudine. Se il pensiero è il diavolo, i grani di quel rosario non erano ancor grossi abbastanza per cacciarlo via; ma Giacomo aveva troppa fede nella bontà, per togliere alla sua mamma un'illusione. Dall'imposta della finestra pendeva la borraccia, che gli aveva servito nella disgraziata campagna del 1866 nel Trentino, piccolo fasto, che, insieme al gamellino, ricordava una storia segnata di patimenti e forse di eroismi, di cui non si doveva mai parlare. Anche la vecchia chitarra pendeva attaccata a un chiodo, coperta da un dito di polvere, tra due sacchi di grano, un sacco di carbone e un arcolaio fuori uso. L'indole di Giacomo, cosí facile ad arrendersi ad ogni piccolo bene che parlasse un po' forte, non pareva nemmeno accorgersi della mediocrità e dello squallore, in cui era nato e cresciuto. Abituato fin da ragazzo ai gusti semplici e a cercare nelle reali compiacenze della meditazione il sapore squisito anche delle cose che non si possono avere, non solo non provava alcuna invidia per chi si pasce dei lauti favori della fortuna, ma il non vivere di idee parevagli la piú compassionevole sorte che potesse toccare a una creatura ragionevole. - Scarpe rotte e la testa in paradiso era il motto della sua nobiltà di spirito. Questa soddisfazione tutta interiore, come lo rendeva indifferente e spensierato nelle cose contingenti di questo basso mondo, lo rendeva altrettanto paziente nel sopportar i piccoli inconvenienti della povertà, le umili molestie e i pregiudizi de' suoi di casa, i piagnistei frequenti della mamma, che vedeva precipitare la sua casa, le fantastiche declamazioni di suo padre, che attribuiva al governo anche gli spropositi della sua ostinazione, le scontrosità di sua sorella Lisa (che, per far presto, in casa chiamavano Spaventapasseri), la povertà intellettuale di Battista, che vedeva in lui un prediletto il quale andava spesso a tavola in casa dei signori, perché gli ripugnava la polenta e il merluzzo di casa sua. - Ho bisogno che questa dissertazione sull' Idealismo sia stampata presto, perché il premio non si può ritirare se non si presenta l'opera stampata. E non mai, come in questi tempi, ho sentito il bisogno di denaro, non tanto per me, quanto per questa mia povera gente . Giacomo, mentre parlava, andava rimestando con un cucchiale il caffè bollente nel gamellino, come soleva fare in collegio Ghislieri, quando c'invitava a una discussione metafisica nella sua camera. - A mio padre, come forse avrai capito, manca il senso e l'indirizzo della vita moderna. Egli crede che negli affari basti essere galantuomini, e, quel che è peggio, immagina che gli altri siano tutti galantuomini come lui. Già da qualche anno siè lasciato trascinare in una falsa speculazione con un certo signore che abita quassú a un sito detto la Rivalta, un ex impresario che si è dato all'usura, un chiacchierone che incanta con la sua parlantina. Costui, col pretesto di un impianto d'una sega a vapore, credo che a quest'ora abbia già mangiato a mio padre una ventina di mila lire, e continui a mettere ipoteche su quel po' di terra che abbiamo al sole. Il male si è che il povero pà, per non spaventarsi, si sforza d'illudersi e, abilmente raggirato da quel furbo di professione, crede che il suo denaro abbia a fruttare domani il cinquanta per cento. Non volendo, per un senso d'orgoglio, confessare i suoi torti a persona pratica, cova i suoi pensieri dentro di sé, cerca di stordirsi colle barzellette, se la piglia cogli italiani, coll'esattore, colla ricchezza mobile, ch'egli crede causa della sua rovina. Se noi potessimo aiutarlo! ma Battista non ha che le spalle di buono, e ora si è fitto in capo di voler sposare la figlia dell'oste della Praschetta, che è stata l'amante di tutti i carabinieri di passaggio. Angiolino è un ragazzo che dovrà presto andar soldato. Ci sono io, il dotto, il sapiente, vale a dire il piú inutile. Se fosse greco, potrei dare un suggerimento; ma che vuoi che m'intenda io di mattoni, di tegole, di sega a vapore, di mutui e di ipoteche? Giacomo sorrise e cantarellò sull'aria del Crispino e la Comare: - Maledetto il mio troppo saper. Levò il gamellino dal fuoco, tolse dal trumò due chicchere che collocò sul tavolino, dopo averne rimossa la gran montagna di libri e di fogli scritti che vi stava sopra, e, sedendosi accanto a me, dopo avermi battuto famigliarmente colla mano sui ginocchi, riprese: - Ecco perché ti ho invitato, caro Edoardo, a passar qualche giorno alle Fornaci. Mio padre, che ha della simpatia per te, non avrà difficoltà ad avviare un discorso su questi benedetti suoi interessi, e tu potrai dargli un buon parere. Cerca di vedere un po' in fondo a questa birboneria della sega a vapore e delle ipoteche, e, se è possibile, di arrestare il male prima che diventi cancrena. - Lo farò volentieri. - Io ero tornato quest'anno con molti progetti, ma li metteremo in guardaroba con pepe e canfora fino a un altro anno. - Tu pensavi forse a prender moglie . Giacomo si fece subito rosso in viso, come soleva facilmente quando appena un'emozione un po' forte gli passava nel cuore. Versò il caffè nelle chicchere, tenendo delicatamente il gamellino per un'orecchietta, e, quando ebbe finita la delicata operazione, soggiunse: - Sai che io son legato da un'antica promessa . - Se non ricordo male, si chiamava Celestina questo tuo vecchio idealismo. - Vedi che non è un amore di ieri. Celestina è figlia d'una nostra povera parente, che, dopo essere stata mal maritata a uno scucito sarto di Oggiono, morí nell'estrema miseria. Il pà, col suo gran cuore, si prese la bambina, che rimase sempre con noi, ed è cresciuta con noi, come una sorella, fino all'anno scorso, quando la persuasi a entrare al servizio della contessa Magnenzio. Gli anni non sono piú quelli di prima, e in queste angustie la poverina non voleva piú restare di peso a' suoi benefattori. E poi per metter su casa non fa male l'aver un po' di quattrini in disparte. Un po' di quattrini lei, il premio dell'Istituto io, i mobili dello zio prete, che me li cede volentieri c'era abbastanza per fare in modo che il nostro ente ideale diventasse sussistente; ma anche per quest'anno non si potrà far nulla. Ieri il pà mi fece capire, che se gli potevo prestare cinquecento lire, gli avrei levata una spina dal cuore. Gli ho dato tutto quello che avevo su un libretto della Banca Popolare; e dico il vero che, se l'Istituto volesse anticiparmi i denari del premio, vorrei procurarmi questa consolazione di dire a mio padre: Prendete, è roba vostra. Sarebbe proprio una cosi grande consolazione per me, di poter rendere qualche cosa a questa povera gente, che, se coi libri si potesse far quattrini, vorrei scrivere e stampare tutto quel che mi passa qua dentro . Giacomo si toccò la fronte colla mano, e rimase un istante cogli occhi fissi alla luce della finestra. Poi lentamente, come se parlasse a sé stesso, soggiunse: - Tutte le volte che vedo mio padre sudar sotto il sole, intento a caricare e scaricare mattoni, che lo sento litigare cogli operai e coi capimastri, quando torna dai mercati rauco, spossato, abbattuto, mentre io sto qui di sopra a conciliare i nominalisti coi realisti o a sostenere il concetto dell'anima universale, provo una tale mortificazione di questo sapere che non sa far nulla . - Scusa, Giacomo, - interruppi con grave intonazione - tu lavori a sminuzzare la grammatica ai ragazzi, e ad elevare un edificio morale . - Ben, bene, lasciamola li. - soggiunse con un sorriso tra il lieto e il melanconico. - Intanto anche per quest'anno: cara Celestina addio. Quantunque si sforzasse di cantarellare sul suo patimento, una tenera commozione tremolò nella sua voce. Povero Giacomo! a questo suo amore aveva consacrato la parte migliore della giovinezza, quando la donna è per la maggior parte dei giovinotti allegri o una lieta scapestreria o una bambola divertente. Nel suo ascetismo filosofico aveva accesa una lampada davanti a una cara immagine, e in questa luce mite che emanava dal suo cuore, insieme alla sua virtú aveva potuto trattenerlo un santo rispetto per la celeste creatura, che l'amore monello piglia col vischio. Il tempo che egli aveva occupato in aspettare non era stato perduto per lui e nemmeno per la bella Celestina, se è vero che anche la donna migliori nel pensiero dell'uomo che l'adora. Ma perché l'aspettare sia bello, è necessario che non sia infinito. Se Giacomo, dunque, si doleva del suo destino non sapevo dargli torto. - Non conosco questa tua Celestina, - gli dissi compassionandolo - ma procuro di vederla co' tuoi occhi. - Per il momento non potrebbe essere collocata piú bene. Conosco casa Magnenzio fin da ragazzo, e quel che sono lo devo alla protezione di questi bravi signori. Fu per un legato di questa buona famiglia, che ho potuto avviarmi agli studi nel Seminario di Cremona e bussare alla porta della sacra teologia. Speravano di cavare da me un buon prete, e quando, per non ingannare la loro buona fede, ho dovuto confessare che non ne sentivo la vocazione, non mi tolsero per questo la loro benevolenza. La contessa Cristina è una donna d'animo e di coltura superiore, che sa unire a una grande delicatezza un sentimento elevato del dovere. In casa sua Celestina non può che migliorare. - E c'è anche una contessina? - Donna Enrichetta è una bambina alta, bionda, semplice come una figura di frate Angelico. A proposito di lei, mi fai ricordare che le ho promesso un sonetto per i suoi quindici anni. Tu le vedrai stamattina alla messa, perché per tua norma al Ronchetto e alle Fornaci si è tutti buoni cristiani. - Celestina vale una messa, dirò come Enrico quarto.

Abbandonandosi senza ritegno alla corrente dei pensieri, che nel silenzio e nell'ombra della notte risonavano nel suo capo in una specie di gorgo, correva a immaginare colla fantasia sconvolta le piú terribili insidie da parte di questi signori, che temevano in lei un parlante testimonio dei loro peccati, e che avrebbero avuto della sua morte un sollievo immenso. Che cosa vale la vita d'una ragazza, che nessuno conosce, che nessuno difende? Se non ci sono piú nei palazzi i trabocchetti, dove una volta si facevano sparire le persone, non mancavano ai signori altri trabocchetti di ogni sorta per sopraffare i poveri. Non l'aveva forse la contessa intronata di parole e di promesse per metterla nelle mani di queste vecchie, che ora volevano seppellirla viva in un ospizio? Da questi pensieri, in mezzo ai quali errava la sua immaginazione sgomentata, fu tolta dal fragore del carro, che il Pasqua stava allestendo nella corte per la partenza. Si mosse, fece due volte il segno della santa croce, si alzò, trangugiò un mezzo bicchier d'acqua per sciogliere l'amarezza della bocca, avvolse le spalle e la testa in uno scialle bigio di lana, prese da di sotto il letto l'involto, che vi aveva preparato; e, dopo aver soffiato sulla candela, si mosse per uscire. Allo sparire del lume, la finestra si disegnò nella luce umile della luna, che dal mezzo di un cielo rigido, solcato da leggerissime ale di nuvole bianche, incombeva sulla campagna immersa nella neve. Celestina fu assalita da un panico immenso. Per poco il cuore ricusò d'obbedire alla volontà, che fin allora aveva comandato con tanta forza. La sua energia oscillò un breve istante in uno di quei dubbi dolorosi e tremendi, da cui, come dal fulcro d'una bilancia delicatissima, dipende spesso il male e il bene di tutta una vita. A sospingerla sottentrò la riflessione che per lei non vi poteva essere un male che fosse peggiore del perdere per sempre il suo Giacomo e del lasciarsi seppellir viva; e che ogni passo, in qualunque senso si faccia, per uscir dalle braci, non può essere un passo perduto. Spinse l'uscio e stette ad ascoltare ancora un momento sul pianerottolo. Quando fu persuasa che dormivano tutti, scese al buio la piccola scala di servizio, tenendosi attaccata alla parete. Guidata dal chiarore, che entrava da una mezza finestra, raggiunse l'uscio di cucina, cercò, palpando, la chiave, l'infilò nella toppa, provando al rumore che fece nel girare, quasi uno scricchiolamento in tutte le ossa; stette a sentire se alcuno dava segno di vita: e coperta dal rumore che facevan di fuori nel caricare, uscí nel cortile. Il Pasqua finiva d'attaccare il mulo, aiutato dal suo ragazzetto, che rischiarava con una lampadina la stalla. Affogato in un ferraiolo di schiavina, col cappuccio calato sulla testa, il vecchio cavallante lasciò qualche ordine al figliuolo, che si curvò ad accendere la lanterna a vento sotto la traversa del carro. Una luce giallognola e oleosa si sparse sul biancore lucente della neve e proiettò l'ombra incappucciata del vecchio, ingrandita come quella di un gigante delle tenebre, sul muro livido e muto del palazzo. La bestia istigata dalla voce sepolta del padrone, cominciò a raspare sul terreno per cercar sotto la neve il sasso; il carro si mosse, ballottando la lanterna e portandosi seco le ombre in una danza sconvolta. Quando fu per uscir dal portone e per svoltare, Celestina uscí dal suo nascondiglio, traversò il cortile; aspettò che Menico tornasse per rinchiudere, e, andandogli incontro gli disse, fingendo una certa apprensione: - O Menico, avete dimenticato questo fagotto, che va alle monache. Menico prese l'involto dalle sue mani e chiamando: - O pà, - corse dietro al carro. La giovane colse quel momento e voltò a sinistra. Camminando in fretta lungo il muro del brolo, uscí sulla strada del molino. Non era ancora sonata la mezzanotte, quando cominciò a camminare verso la strada della Madonnina della Noce, che apparve ben presto in fondo al viale in una massa densa, resa piú oscura dal riflesso vivo della campagna. Tirava una brezza acuta, quale può mandar giú la montagna in dicembre; ma essa se ne difese imbacuccandosi fin sopra agli occhi nel grosso scialle di lana e affrettando il passo. L'idea del trovarsi sola, di notte, per una strada deserta tutta piena di neve, in un paese sconosciuto, questa sola idea, che qualche mese prima, passando in sogno, l'avrebbe risvegliata in un sudor freddo, ora non le incuteva piú nessuna paura. Non c'è nulla, che abitua cosí presto al male, quanto la minaccia del peggio: e anch'essa ritrovava nella necessità delle cose quella forza misteriosa, che meraviglia cosí spesso la nostra stessa presunzione. I ladri, le ombre dei morti, che vanno attorno per il mondo, gli orrori dell'oscurità, gli spauracchi delle ombre, i gemiti, i fischi, che escono dai profondi silenzi della notte, le reminiscenze delle fiabe spaventose udite raccontare dalle comari, i terrori addensati nello spirito umano da secolari pregiudizi passati in lei per eredità, non mai scossi, che non si possono scuotere del tutto nemmeno dai piú forti, tutto questo era sempre qualche cosa di piú sopportabile in paragone di quel che gli uomini avevano fatto e volevano fare di lei. La notte, non limpida del tutto, era però rischiarata dal quarto abbondante di una luna, che le nuvole sparse per il cielo e più accumulate verso i monti non riuscivano a nascondere; e quella luce fredda, quieta, che scivolava sulla neve, eccitandone i segreti splendori, dava alla notte e alla solitudine un non so che di tenero, di seducente, o almeno di non cattivo, che parlava con una certa indulgenza all'anima primitiva della giovine. Quando, uscita dal viottolo del mulino, si trovò davanti la strada provinciale, larga, piana, rotta dai lunghi solchi delle ruote, che pareva correre senza fine al piede dei monti oscuri; e quando, fissando questi monti avvolti nelle nuvole, li vide lontani lontani, rimpiccioliti, sprofondati nella lontananza, un senso di nuovo terrore e di scoraggiamento ghermí il suo cuore. Il suono improvviso e pesante delle ore, scoccando sulla sua testa dal vicino campanile, ruppe quel breve istante di titubanza e di inerzia, che l'aveva fermata nel mezzo della strada, l'incoraggiò a continuare. A spingerla aiutò la vista d'un alto carro, che lentamente lentamente, col moto ondeggiante d'una barca che si avanza, veniva dalla parte di Bergamo, dondolando una lanterna sulla neve. L'idea d'aver dietro di sé in un momento di pericolo questo appoggio la sostenne. Volendo però stargli davanti per sfuggire alle questioni curiose dei carrettieri, si affrettò a riprendere il suo cammino nella direzione dei monti, che la chiamavano. A destra e a sinistra taceva la campagna nella sua gelida inerzia; ma questo silenzio avrebbe finito collo sgomentarla, se, oltre al soffio del suo respiro non fosse arrivato di tempo in tempo a sostenere il suo coraggio il rumore spezzato del carro che la seguiva, a cui, col raccorciare un poco il passo, cercava di accompagnarsi, appoggiandosi a quel rumore amico, che rappresentava per lei gli ultimi aiuti del mondo: cosí il bambino che si sveglia per un brutto sogno, si riaddormenta al rumore dell'arcolaio, che gli parla della mamma. E andò cosí tre o quattro chilometri, senza incontrar anima viva, sempre nella strada aperta, sempre col pensiero e coll'occhio rivolto a quei monti, che non mutavano di aspetto. Intanto pensava: - Prima che a Buttinigo possano pensare a me, io sarò quasi alle Fornaci. Troverò Giacomo? egli non può non tornare a casa a passar le feste, specialmente quest'anno di disgrazia. Se la zia non mi volesse ricevere andrò a cercar un ricovero in qualche cascinale, finché Giacomo non torni; e se anche lui non mi vuol ricevere e mi serra l'uscio in faccia, andrò a cercar lavoro a Brivio, a Lecco, in qualche filatoio, andrò a far la serva, a lavar la biancheria dei soldati, a cercar, se Dio vuol cosí, la carità sulle strade; ma in un ospizio non ci vado a farmi rinchiudere, a morire disonorata, arrabbiata come una cagna .". Col capo circondato da questi pensieri, come da uno sciame irritato di vespe, camminava sull'orlo della strada, dove la neve era già stata battuta da altri passi, fissando lo sguardo a qualche gruppo di piante lontane, che vedeva disegnarsi coi rami duri e neri sullo sfondodell'aria, provando nel suo muoversi rapido e nel calore che andava sviluppandosi dal suo corpo giovine e robusto, un senso quasi di soave energia. Dopo quattro mesi di sottili angoscie e di spasimi, durante i quali la volontà degli altri aveva fatto ogni sorta di strazi di lei, avviluppandola di fili invisibili, ubbriacandola di false dolcezze e di carezze e di moine snervanti, ora, finalmente, si sentiva libera, padrona di sé e dei suoi dolori, libera di soffrire e di morire a modo suo. Il calore del corpo, eccitato dall'andar lesto e faticoso su di una strada rammollita, dopo aver con una segreta delizia rianimato i suoi spiriti, cominciò a salire in un'afa soffocante alla testa, chiusa nel pesante scialle di lana. Lo lasciò andare sulle spalle, e provò un vero refrigerio a camminare cosí a testa nuda. Dopo quasi un'ora di non interrotto viaggio in cui poté piú di una volta abbandonarsi e dimenticare sé stessa nella successione rapida e luminosa di immagini lontane, che uscivano dal fondo scosso della memoria, cominciò a scorgere, nel bianco della strada, un gruppo di case, un villaggio, o un grosso cascinale da cui sentiva venire un abbaiare ingiurioso di cani, che si chiamavano nella notte. Stette un momento e si chiese se doveva aspettare e unirsi al carro che brontolava dietro di lei. Ma vinse quest'ultima incertezza con un senso crudele di disprezzo verso di sé. Se anche i cani uscivano a sbranarla, tanto meglio. Si affrettò a raggiungere le case, che dormivano tutte chiuse in una quiete che aveva un non so che di pensoso e di accigliato. Attraversò un grosso borgo passando prima davanti ai tarlati portoni dei cascinali, dietro i quali sentiva l'urlare e il raspare della bestia, poi davanti alle botteguccie chiuse e alla chiesa che dominava col vasto profilo nel vuoto d'una gran piazza deserta, non incontrando anima viva, cercando inutilmente coll'occhio una fessura, da dove uscisse un filo di luce. Dormivano tutti: i vecchi che hanno il sonno scarso, i giovani che portano a letto il corpo inquieto, i ragazzi che giocano anche in sogno; dormivano anche le povere mamme, che hanno i figli al camposanto; essa sola andava come un'anima in pena per le strade deserte a cercare qualche cosa che nemmeno il Signore le poteva dare. Non avrebbe domandato a Giacomo che una parola. Era persuaso della sua innocenza? bastava un suo sí, che fosse la convinzione in lui che in tutta questa disgrazia il suo amore, non solo non gli era mai venuto meno, ma non era stato toccato. Capiva che non poteva essere piú sua, ma l'essere abbandonata da lui non era nulla, se egli diceva di credere alla sua innocenza. Il suo amore gliel'aveva dato tutto e nessuno glielo poteva togliere. Questo pensiero le avrebbe infusa la forza di vivere in qualche maniera, lavorando, mendicando: nessuno, nemmeno il Signore, le poteva togliere l'orgoglio di essere stata amata da Giacomo. Ma se lui la cacciava via, se non la voleva vedere, oh allora, chi poteva assicurare della sua testa? E come se si spaventasse all'insorgere intempestivo di questa nera previsione, si fermò sui due piedi, strinse la testa nelle mani per aiutarsi con un atto vivace a non disperare, invocò tre volte il nome di Gesú, che aveva tanto patito anche Lui su questa terra; e per chiedere un aiuto a una sensazione esterna, che la sorreggesse in quel momento di vertigine, si voltò a cercare il suo carro. Ma la strada era vuota, immersa nella tristezza d'una nuvola che passava sulla luna. Forse il carro s'era fermato al borgo. Allora, per non lasciarsi prendere dallo scoraggiamento, corse con affannosa precipitazione fino allo svolto della strada, che cominciava a discendere e a penetrare in certe boscaglie tenebrose piene di una neve piú bianca, che copriva un terreno piú tormentato e mosso. Sentendo passar nelle ossa un brivido di freddo, si strinse lo scialle indosso, si coprí di nuovo la testa per schermirsi dalle minute goccioline d'acqua, che stillavano dai rami sotto le scosse del vento: e fatto il segno della croce, trasse la corona e incominciò a intonare il rosario con una voce sostenuta ch'essa ascoltava. La preghiera lunga ed uguale, che nel suo sonoro meccanismo par fatta apposta per condurre gli spiriti piú inerti verso una lontana e indeterminata speranza, dopo aver rimesso in movimento la sua volontà, segnando quasi la battuta dei passi, la sottrasse per qualche tempo alla sofferenza de' suoi pensieri; non cosí bene però che gli sgominati fantasmi, sospinti da una parte, non rientrassero a poco a poco da un'altra, insinuandosi tra le avemarie, intralciandone la seguenza, interrompendone la benefica energia, finché a poco a poco la parola le moriva sulle labbra, i passi si facevan piú piccoli e pigri, l'infelice, continuando a muoversi collo spirito, dimorava coi piedi nel mezzo della via, rivolta e intenta a cercare dietro di sé qualche cosa di cui aveva piú il desiderio che la memoria. Una volta la scosse da quest'attonita immobilità il vociare grosso d'un carrettiere, che svegliatosi all'improvviso arrestarsi della bestia, gridava con anima assonnata a quest'ombra, che gli impediva di passare. Celestina trasalí con un guizzo acuto di spasimo in tutti i muscoli, balzò in disparte, si rimbacuccò nello scialle e riprese a correre sull'orlo della strada. Camminò un'altra mezz'ora, concentrando gli sforzi mentali nel richiamare la memoria di un sito, il cui nome ora le sfuggiva, dove sapeva che si passa l'Adda. Nel disordine sparpagliato delle immagini, la risonanza confusa del nome d'Imbersago, dov'è il passo del fiume, serviva come di nucleo e di centro a' suoi pensieri dispersi, in mezzo ai quali passavano delle fosforescenze febbrili. Lasciò indietro altri casolari isolati, sparsi nella campagna dai quali non usciva un filo di luce. Sentí muggire dal fondo delle stalle: incontrò altri carri schierati che seguivano il passo affaticato delle bestie e mettevano dei cupi rumori nell'aria intirizzita e chiusa. Scivolò, passò via non avvertita dagli uomini, che dormivan sulle robe, sempre sostenuta dall'orgasmo febbrile, che la faceva sognare a occhi aperti, aprendole davanti delle prospettive luminose, in cui nereggiavano i camini e i tetti bassi delle Fornaci. In questa mèta, che essa fabbricava a sé stessa, la fantasia inferma andava collocando le figure del suo pensiero, in costruzioni false ed illogiche. - Che avrebbe detto donna Gesumina, quando entrando la mattina nella stanza della guardaroba, non l'avesse piú ritrovata seduta davanti al solito telaio? forse avrebbe fatto bene a lasciare una parola scritta in un biglietto: le due signore l'avevano sempre trattata bene; ma Giacomo avrebbe scritto meglio di lei per giustificare la sua fuga. Non c'era che Giacomo che poteva disporre di lei: essa era sempre stata sua fin dal giorno che lo zio Mauro l'aveva condotta alle Fornaci sulla timonella, dopo la morte della povera mamma Mariannina. Aveva allora poco piú di cinque anni. Lo zio Mauro, che durante il viaggio se l'era tenuta sul ginocchio, nel calarla dalla timonella, l'aveva collocata in braccio a Giacomo, che la portò subito in vignetta a vedere i conigli. Fu ancora lo zio Mauro, che per una sua idea cominciò fin d'allora a chiamarla "Frulin", un nome senza senso, che pareva averli tutti al suo orecchio, quando ricordava i bei giorni passati. La zia Santina volle subito indossarle una sottanina di lana d'un color rosso vivo,che spiccasse bene in mezzo all'erba, quando andava a correre nel prato, perché non v'era buco in cui "Frulin" non si cacciasse, tanto era piccina e inquieta. E quando Giacomo sonava la chitarra nella stanza del torchio dell'uva? Lui sonava, zufolando sull'aria: Tant che l'era piscinin; e lei ballava, girando in una grande tinozza, che mandava il forte profumo del mosto. Nei sensi le parlava ancora questo acuto profumo d'uva calda. Un'onda spumante le pareva di veder scorrere qua e là in macchie purpuree sul candore della neve. E quando Giacomo se la recava sulle spalle nella gerla in mezzo alle colorite pannocchie del granoturco? Camminò su questi pensieri, senza poter distinguere sempre tra le impressioni reali e le immagini, che apparivano alla memoria, or più or meno confuse, fin che giunse all'incontro di piú strade. Qui si fermò, non sapendo per quale andare avanti, e novamente l'assalirono, come se fossero ivi appiattati ad aspettarla, i terrori della sua vita di ragazza oltraggiata, reietta, ingannata, figlia di nessuno, che nessuno voleva piú. Al chiaror della luna, che ricomparve un momento con improvvisa nitidezza, vide, sulla neve pesta, l'ombra della sua persona rimpicciolita, della sua testa nuda, che perdeva le treccie, dello scialle che, scivolando dalle spalle e mal trattenuto in vita, andava strascicando nel molliccio. Si vide, e cominciò a singhiozzare dolorosamente ed a cercare intorno a sé un'anima, che volesse aver compassione del suo stato. A sostenerla nel tristo momento venne un primo colorirsi del cielo dietro i monti, quasi un sospiro dell'alba in mezzo ad una nuvolaglia spessa, che si ammontonava sulle creste. Di là scendevano soffi piú densi, di un vento umido, pieno di ghiacciuoli, che le avviluppavano il capo, le stiravanoi capelli, le facevano desiderare qualche rifugio. Le strade del crocicchio partivano lunghe e larghe per direzioni diverse nel vasto piano di neve solcato dalle ruote, calpestato dai cavalli e dagli uomini: ma non un'anima viva nel deserto! Solamente uncapanno di paglia presso una pianta, un trenta passi fuori della strada, usciva dalla neve e pareva invitarla a prendere un po' di riposo. Vi si avviò, avendo creduto d'intendere voci di ragazze, che la chiamassero; ma, fatti alcuni passi nella neve molle, cominciò a sprofondare fino al ginocchio; e allora tornò indietro; poi, per quanto cercasse intorno, non vide né il capanno, né la strada. Si fece il segno della croce e, richiamate con uno sforzo acuto della volontà le energie dello spirito, avviò un secondo rosario colla intonazione alta, con cui soleva precedere la processione della chiesa al camposanto, durante la novena dei morti. La preghiera traboccava dalle labbra per un impulso meccanico della voce; ma il pensiero andava a ritroso, risaliva a tempi lontani, s'immedesimava con cose passate e morte, rivivendo, con lucida illusione i momenti trascorsi, indimenticabili, di una vita umile e dolce, piena di affetti, di tenerezze, di gioie nascoste, di pudibondi sogni, che non aveva mai osato esprimere asé stessa, quando il piú santo dei desideri le pareva cosí bello che non osava carezzarlo senza qualche rimorso. Si sparpagliavano come foglie trasportate dal vento le immagini, che illustravano la storia segreta del suo amore per Giacomo, dal dí che se l'era veduto venir davanti vestito da pretino (allora essa non sapeva ancora che cosa fosse amore) fino all'altro dí, cosí diverso, al tempo della guerra, quando, dopo aver provato tutti gli spaventi della morte, seppe che era tornato sano e salvo. Essa era in vignetta a coglier dei piselli per la minestra, quando il Manetta, che amava le grosse celie, le disse: - Cerestina , c'è il Garibaldi: non senti pim pum pam? - Essa rispose: - Che mi fa a me il vostro Garibaldi? - Ma non aveva ancora finito di parlare, che dietro il verde dei fagiuoli vide muoversi qualche cosa di rosso, come sarebbe stato un grembiale che sventolasse all'aria, e invece era lui, che, appiattandosi, cercava di avvicinarsi senza farsi scorgere: era lui, colla camicia rossa del garibaldino, arrivato improvvisamente; era lui annerito dal sole, lacero come un povero ladro; che, senza pensarci, se la prese tra le braccia: e anche lei, senza pensarci, gli aveva buttato le braccia al collo, mentre il Manetta cantava l'inno di Garibaldi e batteva le mani, piangendo come un ragazzo. Era cosí viva e presente questa scena che la poverina, come se l'allegria la portasse in aria, affrettava il passo, volando sulla neve, ridendo ancora giulivamente, mentre vedeva verdeggiare la strada e, in mezzo al verde, vedeva uscire il suo garibaldino. Cercava buttargli le braccia al collo senza poter raggiungerlo mai; e correva innanzi, sorretta dalla calda ebbrezza della febbre crescente, che non le lasciava sentire i brividi dell'aria mattutina. Una volta fu repentinamente arrestata e svegliata da un fischio acutissimo e dal passare rumoroso di un treno, che scivolò, lanciando una fiammata di scintille. Si fermò, girò gli occhi intontita, si raccapezzò, sentí la sua febbre, la sua pesante stanchezza; ma si consolò nel vedere già chiaro il cielo e nel trovarsi in mezzo alle note alture, poco lontana dalle sue montagne. Piovigginava da una mezz'ora, e non se n'era accorta. Sentendosi lo scialle e i vestiti inzuppati e freddi come ghiacciuoli, li scosse, si rimbacuccò, ringraziò il Signore d'averla accompagnata e (poteva dire d'aver camminato in sogno) si volse a cercar qualcuno, che le insegnasse la strada piú corta per andare al traghetto del fiume. Al rintocco d'un'avemaria, che venne da una chiesuola pocolontana, di cui scorse il campanile disegnarsi tra due cipressi, si avviò a quella parte, si mise a sedere sul gradino della chiesa, e stette ad aspettare che qualcuno aprisse la porta. Cosí accovacciata, colla testa sui ginocchi, si assopí un istante, rotta dalla fatica. Le furiose scosse della febbre la svegliarono: temette di morir intirizzita sulla strada, e colla forza nervosa ed esaltata, che dà il delirio, si mosse, si volse a tre contadine, che andavano al mercato a vender uova, e chiese loro la strada per il passo dell'Adda. Le fu indicata una stradetta, che scendeva al fiume, senza bisogno di girar tutta la carrozzabile; ed ecco dopo cinque minuti poté scorgere dall'alto della riva l'acqua incassata d'un color nero inchiostro, e al di là, nell'ombra grigia del crepuscolo, nel biancore della neve, la macchia del Santuario, il palazzo del Ronchetto e i neri camini delle Fornaci. Non sentí piú a quella vista né stanchezza, né brividi, né titubanze: di là c'era il suo Giacomo.

Teresa

678512
Neera 2 occorrenze
  • 1897
  • CASA EDITRICE GALLI
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Una robustezza fiorente e giuliva le correva in tutta la persona; il suo sangue si scaldava piacevolmente nel moto; tutti i nervi, tutti i muscoli esultavano; ed ella li attizzava, esagerando la pressione delle mani, abbandonandosi al benessere fisico di quella specie di ginnastica. Si fermò un momento per levarsi dalle braccia alcuni pezzettini di pasta, tenendo alte le mani, osservando che in quella positura le vene dei polsi scomparivano, morendo su su nella bianchezza soda delle carni. Un raggio di sole piombando diritto, da un buco della tenda, sui capelli della fanciulla, le metteva intorno al capo una cornice luminosa che dava risalto ad alcune ciocchette pioventi sul collo, di dietro, fin dentro all'avvallatura delle spalle; e a certi piccoli ricciolini che si sbizzarrivano tra l'occhio e l'orecchio, coperti da un lieve pulviscolo di farina. E si rimise al lavoro, spalmando, levigando la pasta che diventava lucida e prendeva un tono caldo nella prima gradazione del giallo; poi, con una grossa cannella, che Teresina staccò da un chiodo, incominciò la difficile operazione dello stirarla, adagino, con precauzione, per non romperla; avendo cura che tutta la superficie riuscisse uguale in spessore. Quando fu ridotta sottile e compatta quasi come un foglio di carta, la ragazza, sollevando la cannella con un movimento esperto, sbatté la pasta sul tavolo, facendola cantare, srotolandola, colla soddisfazione che ispira un lavoro riuscito bene. A questo punto, sulla soglia della cucina, comparve la pretora. - Sei sola? Teresina amava quella donna loquace, che aveva pratica del mondo, e che sembrava comprendere così bene le aspirazioni di una fanciulla. Le andò incontro sorridendo. - Sì, sono sola. La mamma è di sopra ... ha l'emicrania. L'Ida, combinazione, è uscita col babbo ... Dio sa quanto lo fa ammattire! - Oh! non troppo. Tuo padre ha per questa bambina una predilezione; ne sopporta tutti i capricci ... e non è dir poco, davvero. Ma continua, sai? Non far complimenti. - No, veda, ho terminato; ora la lascio asciugare prima di tagliarla. Fece atto d'avviarsi in sala, ma la pretora sedette lesta sopra uno sgabelletto di paglia, dicendo: - Restiamo qui. Tacquero un momento, intanto che Teresina si lavava le mani e le braccia in una catinella di rame; e poi venne anche lei a sedersi accanto alla pretora, tirando giù le maniche lentamente, facendosi vento col grembiale. - Che caldo, nevvero? Teresina accennò di sì, col capo. Non dondolava un nastro, non tremava una foglia, né una festuca; dalle fessure della tenda non entrava un filo d'aria. L'afa d'agosto gravitava, come piombo fuso, con una caldura opprimente che toglieva il respiro. Nella cucina ronzavano, instancabili, quasi feroci, alcune mosche, e le due donne le cacciavano con un movimento automatico della mano, prese entrambe da una specie di torpore, in quell'atmosfera chiusa, dove evaporava l'odore umido e molle della pasta. Bruscamente Teresa chiese, strizzando l'occhio: - È poi vero? ... L'altra comprese a volo. - E che vero! È andato stamattina a fare la domanda formale; l'ho saputo dal cancelliere che è amico intimo di Luzzi. Una lieve ombra attraversò gli occhi di Teresina. - Che cosa vuol dire i denari, eh? perché nessuno mi farà credere che Luzzi la sposi per la sua bella faccia! quando mai, senza andare a cercar lontano, una faccia un po' piú simpatica ... Teresina interruppe in fretta, divorando le parole: - Si diceva che l'avrebbe sposata il Prefetto. - Siii ... il Prefetto; quello è un furbo! Finché vi sono le lenzuola degli altri non vuol sciupare le sue. E senza fermarsi sull'arditezza sguaiata di una frase simile, detta ad una ragazza, la pretora tornò alla sua idea: - Dimmi il vero, qui tra noi ... non hai mai pensato che Luzzi potesse venire per te in via San Francesco? Molto turbata, Teresina si dié a spianare le arricciature del suo grembiale, mormorando: - Egli non me lo ha mai fatto capire, certamente; né io avrei osato immaginarlo. Chi vuol mai che pensi a me? - To', perché non si potrebbe pensare a te? Non sei una ragazza come le altre? - e a parte i complimenti, le Portalupi te le mangi tutte in un boccone. - Ma sono povera. - Ah! ... questo ... La pretora si morse le labbra, mentre batteva nervosamente il piede sull'ammattonato, collo sguardo a mezz'aria, come se cercasse qualche cosa nel suo cervello. E Teresina intanto pensava che dacché avevano mandato Carlino a Parma, per via del liceo, e tutti i mesi bisognava pagare la pensione, si parlava molto molto d'economia in casa sua - e non avevano piú la donna di servizio - ed erano tre mesi ch'ella aspettava un paio di stivaletti nuovi. D'improvviso la pretora domandò: - Quanti anni hai? - Diciannove. - Sei giovane. Però senti, conosci il professor Luminelli, quello che fa la quarta e la quinta? che è d'Ostiano? che porta gli occhiali? ... No? ... che va attorno cosí, dimenando le braccia? - Aah! - Ti ricordi adesso? - Che ha una bambina della stessa età dell'Ida? - Giusto. Ha una bambina, ma non ha moglie; e la cerca. Si fermò, guardando Teresina tra occhio e occhio. Soggiunse, trascinando le parole, sempre guardandola: - Cerca una brava ragazza, sana, senza pretese, senza lusso… Si fermò ancora, aspettando che la sua giovane amica dicesse qualche cosa; ma vedendola muta, col respiro un po' affannoso e una voglia di lagrime in fondo agli occhi: - Tu non lo prenderesti? Tagliò corto così per far piú presto. - Rispondi. - Ma se non lo conosco ... - Non è una ragione. - È tanto piú vecchio di me. - È vero, ma ... - È vedovo. - Peuh!, per questo, mia cara, gli uomini sono sempre piú o meno vedovi. Teresina voleva replicare: Ha una bambina: ma temette di dire una brutta cosa, una cosa che la facesse sembrare priva di cuore; mentre non era ciò. - Infine non ti piace? - Proprio no. - Fa' come vuoi. È un buon partito però. Un uomo posato, senza vizi, che lavora, che ha già la casa piantata; io l'ho vista. Fior di mobili di noce, e il letto con baldacchino. - E poi - saltò su Teresina - questo signore non l'ha mica la voglia di sposarmi! - Glie la si fa venire. Passa sempre la sera con mio marito, al caffè, ed è stato parecchie volte anche in casa nostra ... è facile mettersi d'accordo. Purché tuo padre si decida a fissarti un piccolo assegno ... Teresina ascoltava, istupidita, con una voglia di piangere che le faceva groppo alla gola e un'ira contro se stessa, inesplicabile. - Capisco, - disse la pretora, calma, con un fondo di indulgenza canzonatrice - tu aspetti il principe Camaralzaman quello delle Mille ed una notte lo sogni, e ti figuri che i mariti si taglino su quel modello là. - Non è ... - Lascia dire. Siete tutte così, benedette ragazze, e non volete mai approfittare dell'esperienza di quelle che ne sanno piú di voi. Si ha un bel dirvi: non cercate la bellezza del marito, non cercate l'aria sentimentale, non cercate l'eleganza, non cercate la poesia ... sono corbellerie, razzi, fuochi fatui. Ma che! Finché non ci date dentro il naso ... - Però la mamma - interruppe Teresina, colla vivacità di chi crede aver trovato una buona ragione - sposò il babbo perché ne era innamorata. La bocca, discretamente maliziosetta, della pretora si inarcò ad un sorriso tale di compassione ironica, che non sarebbero occorse altre spiegazioni. Tuttavia volle aggiungere: - Domanda a tua madre se è stata contenta. Ha mangiate piú ... Basta, mi faresti dire uno sproposito. - E lei? - arrischiò timidamente Teresina. - Io? Oh! le ho avute anch'io le mie disillusioni; ma quando vidi che gli anni passavano, sposai il pretore, che era allora cancelliere, che di illusioni me ne poteva dar ben poche… e che per compenso, mi diede un figlio tutti gli anni. Il linguaggio un po' brutale della pretora faceva, tratto tratto, trasalire la fanciulla. Ella rifletteva ora a tutti quei figli nati senza amore, mentre nel suo cervello stava fissa l'idea che i figli sono un pegno d'amore. - Ebbene, grullina, che pensi? Vuoi il compendio della saviezza in poche parole? Un Luminelli che sposa è sempre superiore ad un Luzzi che non sposa ... o sposa un'altra. Teresina arrossì per quella nuova allusione al segretario di Prefettura. Ella non si era accorta di aver pensato qualche volta all'elegante zerbinotto e di averlo seguito con lunghe, lunghe occhiate quando passava sul marciapiede, a testa alta, attillato nel soprabito chiaro. Però era strano che, dopo la notizia del suo matrimonio colla seconda delle Portalupi, questa signorina le sembrasse il doppio piú antipatica di prima. - Dunque - continuò la pretora vedendo che la ragazza si ostinava a tacere - niente Luminelli. Peccato, avrei combinato questo affare volentieri; senza dire che egli è uomo influente in materia di studi, ha molte relazioni e potrebbe giovare anche a tuo fratello ... A Teresina vennero i lucciconi; per fermo non si teneva piú. Scoppiò a piangere, con una desolazione, un abbandono che intenerirono la pretora; la quale, abbracciatala maternamente, si diede a consolarla: - Via, via, non ne parliamo altro; sei tanto giovane ... capiterà di meglio ... speriamolo. Oh! Dio, vedete qui questa bella ragazza che piange, priva d'amore, e tanti uomini invece ... Strinse il pugno minacciando nell'aria una legione invisibile di uomini, e li chiamò egoisti, brutali, avidi, calcolatori. - Guarda, se tu sapessi ... se potessi solamente dirti come non valgono niente ... Infine verrà un giorno che capirai ogni cosa e allora dirai: La Giovannina aveva ragione. Si alzò dandosi una palmatina sui rigonfi del vestito, un po' nervosa. - Se ne va? - Sì. È l'ora che tornano a casa i monelli dalla scuola. Se non mi trovano presente, succede un diavolìo; io, lo sai, ho un sistema spiccio per farli star cheti ... Ci vorrebbe per l'Ida, che, sia detto intanto che babbo e mamma non sentono, è un vero folletto in carne ed ossa. Ieri ha picchiato la mia Estella come fosse un tamburo, ma se la trovo io ... E cosí piccina! Quando poi sarà grande ... - Non so proprio cos'abbia quella bambina nella pelle, - disse Teresa - la mamma se ne dispera, creda ... ma, povera mamma, non ha piú salute; tocca a me a ridurla meglio che posso ... e non ci arrivo; babbo la protegge sempre. - Sì, sì, hai la tua bella croce. E le gemelle, eh? quelle mutrione ... pelano la gallina senza farla gridare, tutt'e due d'accordo, che quel che dice l'una dice l'altra; sono due corpi in un'anima sola. S'erano avviate nell'andito; si fermarono ancora un momento prima di aprire la porta. - Fai la mamma innanzi tempo, tu ... Cara Teresina, vero come c'è Dio, se non ti voglio un bene di sorella! Magari la mia Giulia e la Bice e l'Estella e la Norina ti assomigliassero; sarei una madre fortunata. Si intenerirono entrambe, tenendosi per la mano, ciondolando, senza riuscire a staccarsi. La pretora, che aveva la faccia voltata verso il giardino, esclamò: - Che bella cedrina! Io non sono mai arrivata ad averla così viva e folta; le bestie me la mangiano sempre; quelle bestie che nascono dalla pianta stessa, che ne hanno il preciso colore e portano sulla schiena certe righe azzurrine che sembrano ricami di ciniglia ... un orrore ti dico! - Ne vuole una piantina? - Volentieri. - Attacca subito. Tornarono indietro fino ai vasi di cedrina, fermandosi a guardarla, stropicciandone le lunghe foglie asprette e odorose. La fanciulla andò a prendere una forbice. - Penso che le bestie me la mangeranno ancora! - esclamò la pretora languidamente. - Oh perché? Verrò io a tenergliela pulita. Si guardarono, sorrisero. Una placida simpatia di donna le spingeva l'una verso l'altra. Intanto che Teresa, china sull'arbusto, ne tagliava i ramicelli, la pretora le accomodava le treccie piú alte sulla nuca. - Così, stai meglio. - Non ho mai tempo di pettinarmi a modo. - Povera ragazza! Alla cedrina vennero aggiunti due bei gerani rossi infocati e un garofano dello stesso colore. - Sai che cosa indica nel linguaggio dei fiori il garofano rosso? - chiese la pretora, riunendo con delicatezza i gambi, colla testa un po' inclinata da una parte, l'occhio socchiuso: - Amor vivo e puro Grazioso nevvero? se esistesse. Teresina non afferrò subito l'ironia; ma la capì a poco a poco, rifacendo l'andito verso la porta, e un sentimento di malinconia la invase. - A rivederci. - A questa sera. La porta era chiusa. Sul punto di varcarla, la pretora si fermò: - Notizie di Carlino? - Buone. Deve arrivare a giorni. - Addio dunque; non me ne vado piú. Saluta la mamma. - Senta. Era Teresina, questa volta che la richiamava. Voleva chiederle quando si farebbe il matrimonio della Portalupi; ma, colpita da una vergogna improvvisa, balbettò e si confuse. La pretora, quasi le avesse letto nel pensiero, disse: - Presto i confetti, dall'altra parte della strada; e, chi sa, forse presto anche da questa parte ... Teresina crollò il capo, ridendo, per mostrarsi forte. - Oh! se lei dice che gli uomini non valgono nulla, che sono egoisti, brutali, avidi, calcolatori ... Già fuori, con un piede sul selciato della via, l'amica si volse tutta d'un pezzo: - E sono pronta a ripeterlo. Ma, che vuoi, è un po' come le cipolle; vi è cosa piú volgare, che ammorba dove tocca, che fa piangere solamente a maneggiarla, doppia da non riuscire mai a contarle le pelli, comune che si trova dappertutto, disgustosa al punto che nessun animale la mangia? Eppure si pretende che senza cipolla è impossibile fare un manicaretto gustoso. Addio. Scappò decisamente.

Pagina 106

Tutti si mettevano comodi, allargando i gomiti per non essere troppo pigiati, raschiandosi in gola e abbandonandosi di peso, colla testa in dietro, il naso per aria, emettendo un piccolo sospiro rassegnato, quasi a dire: Ci siamo. Il curato di San Francesco predicava male, con una voce monotona sempre afflitta da raucedine; le sue variazioni sul Vangelo non avevano originalità né vigore. Egli stesso non vi pretendeva; lo capiva forse di non essere ascoltato; e vedendo quelle teste abbassarsi via via sui petti, ciondolanti, vinte dal sonno; vedendo quella interminabile fila di sbadigli, quella immobilità rigida dei corpi intorpiditi, egli, il buon curato, precipitava le parole affogandole in gola, troncando le finali; finché la predica si riduceva ad un mormorio indistinto, dolce come una ninna nanna, piú dolce, piú cullante che mai in quella brutta giornataccia di novembre, propizia al sonno. Stretta contro a un pilastro, quasi per trovarvi una nicchia, Teresina non ascoltava nemmeno lei. Sulle prime era stata un po' distratta, guardando la gente che arrivava in ritardo, che non trovava un posto, e che lo cercava insistentemente facendosi largo tra la fila degli ombrelli gocciolanti, che rigavano il pavimento. Le signore che stavano sedute colle gonne rialzate da terra, attorcigliate intorno alle gambe, cercavano di non muoversi, socchiudendo gli occhi in un mistico raccoglimento; ma un ombrello che cadeva, un gomito sgarbato contro la tesa del loro cappellino, le obbligava a scuotersi, a farsi da parte. Quando tutti furono accomodati e il respiro dei dormienti salì, ora lieve ora fischiante, da quella moltitudine di persone, perdendosi sotto le alte navate, come un accompagnamento corale alle parole del predicatore, e Teresina si sentì quasi sola, un pensiero venne a tenerle compagnia - il solito pensiero che da un mese le stava fisso nel cervello, che la accompagnava nelle sue faccende domestiche, che la seguiva per la via, che si coricava con lei tutte le sere, e ch'ella trovava, ogni mattina, per il primo sul guanciale. La sua buona mamma dormiva, come gli altri, al suo fianco; le gemelle davanti sembravano statue. Teresina sollevò la testa, guardando in fondo alla chiesa, verso la porta maggiore; ma un gruppo di contadini, in piedi, glie ne toglieva la vista. Allora fissò gli occhi, distratta, sui finestroni a ogiva, dai quali entrava una luce scialba. Pioveva sempre, e quelle goccie continue sui vetri impolverati, tracciavano dei rigagnoletti piú chiari sulla trasparenza densa del cristallo. "il giorno del giudizio o peccatori". Questa frase monca, che per un movimento del predicatore era giunta abbastanza distinta al suo orecchio, la scosse; procurò di stare attenta alla parola divina, aggrottando le ciglia, stringendo le mani sopra il suo libro di preghiere. Ma dopo qualche istante le mani tornavano ad allontanarsi, gli occhi ripresero le vie aeree su per i cornicioni, nel fogliame dei capitelli, dentro lo sfondo della cupola, e ancora sulle ogive pallide battute dalla pioggia. Un sorriso impercettibile le sfiorò le labbra; per un giuoco strano della fantasia ella aveva visto improvvisamente quel finestrone illuminato da un tramonto d'autunno e le saliva alla testa, con un profondo sospiro, un profumo acuto di basilico; proprio come se avesse davanti i ciuffi rigogliosi di quell'erba. Chiuse gli occhi, abbagliata. Per un po' di tempo s'avrebbe potuto credere che ella pure dormisse, tanto era immobile, assorta nella visione. "Così avverrà quando, per la misericordia di Dio, ci troveremo riuniti in paradiso". La predica era finita. Tutti si alzarono, stirando le gambe, sbattendo le palpebre per cacciare un resto di sonno. Teresina aperse il manuale, a caso, temendo avesse qualcuno ad accorgersi delle sue distrazioni, volendo cacciarle coll'intensità della preghiera. Non era il posto della messa, ma ella lesse egualmente, con un ardore inquieto, pronunciando le parole, spiccandole, piena di fervore. "Vi abbraccio, o Gesù, mia gioia e mia consolazione. O anima mia, creata ad immagine di Dio, ama il tuo Dio da cui sei tanto amata. O Gesù, se non vi amo abbastanza, accendete in me il fuoco del vostro amore, che mi abbruci, che mi consumi, che mi faccia tutta vostra". Il celebrante trascinava l'ultima parte della Messa, assorto nel mistico raccoglimento della comunione. La signora Soave, rispondendo ad una inchiesta delle gemelle, disse: - Or ora, abbiate pazienza. Fate l'atto d'adorazione. L'Ite missa est fu accolto con un movimento di soddisfazione generale. Teresina chiuse il libro, in apparenza composta, ma con un tremito in tutto il corpo. Si segnò, fece la riverenza; il cuore le batteva disordinatamente. Appena fuori di chiesa, sulla soglia, prima ancora di aprire l'ombrello, ella guardò ansiosa in un certo angolo della piazzetta. Orlandi era là, riparato sotto un'ampia gronda all'antica, colle spalle al muro, l'occhio intento. Scambiarono uno sguardo rapidissimo, lor due soli; e poi, quando furono vicini, il giovane salutò. - Come fa Orlandi ad essere ancora qui? - disse la signora Soave. - Dovrebbe trovarsi a Parma già da un mese. Teresina non rispose; ma il suo viso divenne rosso infiammato. Non osava piú alzare gli occhi; camminava automaticamente, fissando i quattro stivaletti delle gemelle i quali battevano il lastrico davanti a lei. Dalla chiesa di San Francesco alla lor casa erano pochi passi. Sulla porta furono raggiunte da Orlandi, che si scusò dell'ardire, annunciando che l'indomani partiva per Parma, ed era venuto a chiedere se la signora Caccia avesse qualche imbasciata per Carlino. La signora, grata e sorridente, lo invitò ad entrare; egli volle schermirsene; ma siccome discorrevano sotto la pioggia, le gemelle apersero la porta, e Orlandi si tirò indietro per lasciar passare le signore. Entrarono prima le gemelle, la mamma e da ultimo Teresina, la quale, piú morta che viva, sentì prendersi rapidamente la mano e far scivolare in essa una lettera. Non ebbe tempo né di rifiutarla né di parlare e nemmeno di guardare l'audace che, ritto sulla soglia, protestava di non voler entrare a dar disturbo, bastandogli una parola per Carlino. Il ricevitore uscì dal suo studiolo, alla voce d'Orlandi; le gemelle salirono lentamente la scala, strisciando le scarpe per farle asciugare. Teresina le seguì. Quella lettera le bruciava il palmo della mano; non sapeva dove metterla. Si spogliò con un pugno chiuso, a movimenti febbrili; divorando cogli occhi le due ragazze che non terminavano mai di levare gli abiti. Sotto il portico, Orlandi, il signor Caccia e la signora Soave scambiavano dei complimenti; poi Orlandi se ne andò. Teresina col viso contro i vetri lo vide allontanarsi verso la piazza. - Non siete ancora pronte? ... - Che te ne importa? Facciamo il comodo nostro. Le gemelle erano cattive e maligne; l'istinto le avvertiva che annoiavano Teresina restando in camera, e vi restarono piú a lungo. Teresina colla fronte appoggiata ai vetri guardava a piovere; aveva messo la lettera in tasca, e vi teneva sopra la mano, stringendola con furore. Finalmente se ne andarono. La fanciulla balzò all'uscio, tirò il catenaccio e, tremante come fosse sul punto di commettere un delitto, aperse la lettera. "Ho bisogno di parlarle da solo a sola; non mi neghi questo favore. Stassera, dalle dieci alle undici, passeggerò finché ella abbia la bontà di aprire la finestra terrena. Aspetto e spero. E. ORLANDI. Era piú, ed era meno di quello che supponeva. Da un mese il giovinotto le faceva, visibilmente, quantunque delicatamente, la corte. Una dichiarazione formale non poteva essere molto lontana dalle idee di Teresina; se la fanciulla avesse avuto il coraggio di interrogare se stessa, avrebbe trovato il desiderio di quella dichiarazione in tutti i sospiri che gettava al vento, nelle ansie della domenica, quando doveva andare a messa e sapeva di vederlo, là, al solito posto; nelle distrazioni frequenti, nei sonni agitati: - sì, la dichiarazione era attesa. Ma quella lettera non diceva una sola parola d'amore, e le chiedeva invece, senza preamboli, una cosa tanto grave, qual'era un appuntamento. Teresina non sapeva che risolvere; si trovava in una agitazione strana. Per fortuna nessuno venne a bussare al suo uscio, così che ebbe tempo di rimettersi alquanto, almeno in apparenza. Nascose la lettera in seno; ma era troppo alta, la sentiva scricchiolare ad ogni movimento; aperse il busto, e la spinse piú avanti, vicino al cuore; allora le venne il dubbio che potesse scivolarle giú per la vita e perdersi per la casa; ne provò un terrore pazzo; tornò a slacciarsi tutta, assicurando la carta con uno spillo alla camicia. Ancora non si sentiva tranquilla, e ad ogni tratto andava tastando colle dita se la lettera fosse al posto. Che voleva Orlandi da lei? Era possibile che l'amasse davvero? Egli, il piú bel giovane del paese! Si batté la fronte: - oh! - proruppe in un oh! di rabbia, di dolore. Ricordava una fotografia trovata nella valigia di Carlino, il ritratto di una bella donna che suo fratello aveva chiamata l'amante d'Orlandi. Uno strazio, una smania orribile la prese, una gelosia rapida, quasi fulminea; un bisogno di interrogare suo fratello, di sapere chi fosse quella donna, se Orlandi l'amava molto, se l'amava ancora, dove era, che faceva, tutto tutto. E Carlino era a Parma! Si morse le mani dal dispetto; almeno glie lo avesse domandato subito, lo saprebbe. Ma che glie ne importava allora? - E adesso? Lo amava già tanto quell'Orlandi, lo amava al punto di soffrire, da piangere per lui? perché piangeva, non dirottamente, ma con quelle lagrime scarse e brucianti che lasciano il solco. Non sarebbe andata all'appuntamento, oh! no. Gli avrebbe rimandata la sua lettera, con un silenzio sdegnoso. Ma se la storiella del ritratto non fosse vera? Se Carlino avesse affibbiata all'amico quella innamorata, così per celia? In fatti, perché tenere nella sua valigia il ritratto dell'amante di un altro? Si chetò. Rifece, dolcemente, la breve tela de' suoi incontri col giovane; la prima volta che si erano conosciuti, nella passeggiata alla Fontana; l'improvvisata che egli le aveva fatta, trovandosi subito la domenica appresso sulla porta della chiesa. Ripensò i suoi sguardi così espressivi, quella bella persona, quella testa intelligente, quel sorriso che pareva un raggio di sole. Una soavità d'amore la invase; sentì correre per le vene un giubilo novo, come se una grande felicità l'attendesse, come la sua vita, chiusa fino allora, si aprisse ad orizzonti sconfinati. Ma volle frenarsi, dopo tutto non sapeva che cosa le avrebbe detto Orlandi. Pensò un istante di chiedere consiglio alla pretora. Se fosse stata presente, le avrebbe narrata ogni cosa. Ma la pretora, quel giorno non si fece vedere. Prima di scendere Teresina cedette a un desiderio invincibile di rileggere la lettera. Era la terza o la quarta volta che si sbottonava l'abito, che sentiva correre sulla pelle quel foglietto di carta levigata, morbido come una carezza, pungente come una ferita; ed alla carezza sorrideva, alla puntura gettava un piccolo grido smorzato dal piacere, tutta tremante, sembrandole che quel foglio, uscito dalle mani di un uomo e che ella nascondeva in seno, togliesse il primo velo al suo pudore di vergine. Quando andò a raggiungere la madre nel salotto terreno, ella si era composta una fisonomia calma, ma così seria, così piena di mistero, che la signora Soave le domandò subito che cosa avesse. Teresina mentì, come mentono tutti gli innamorati. Ma in fondo al cuore le doleva quella menzogna alla mamma, non sapendo poi nemmeno lei perché taceva, perché mentiva. La signora Soave, colle manine di cera abbandonate sui ginocchi e lo sgabello sotto ai piedi, incominciò a parlare di Carlino, delle camicie che bisognava mandargli, dei fazzoletti che non erano orlati ancora; ogni tanto interrompeva la litania monotona con un: - Te ne rammenti, nevvero, Teresina? Teresina diceva di sì. - Tuo padre si lagna sempre; dice che non facciamo economia, che quel ragazzo gli costa un occhio, e che, se noi non sappiamo limitarci nelle spese, sarà costretto a fargli sospendere gli studi ... Un lunghissimo sospiro sollevò il petto gracile della signora Soave, per un po' non ebbe voce; indi riprese, affievolita, tenendosi una mano sul cuore: - Ho raccomandato all'Orlandi di dargli dei buoni consigli … che posso fare, mio Dio, che possiamo fare noi donne? A quel nome di Orlandi, Teresina aveva trasalito impercettibilmente, volgendo gli sguardi al gran quadro meccanico che conteneva l'orologio. Erano le due. Otto ore ancora! Le gemelle intanto si accapigliavano nel vano della finestra, mute, senza chiedere soccorso a nessuno. Convenne dividerle; cinque minuti dopo si abbracciavano, al medesimo posto, facendo sberleffi alla loro sorella maggiore. L'Ida si annoiava con quella giornataccia: in causa della pioggia non poteva uscire nel cortile a giuocare. La noia pei bambini è sinonimo di capricci; ella incominciò a far tante diavolerie, che la signora Soave, colla testa intronata, sentendo un principio di emicrania, pregò Teresina di occuparla. E Teresina, pazientemente, si pose a ritagliare degli ometti di carta, e poi delle carrettelle, e dei vasi da fiore, e poi delle casette col tetto, colla porta, colle finestre da chiudere e da aprire. Era calma, sorrideva; ma ad ogni quarto d'ora i suoi occhi cercavano con ansia le sfere dell'orologio, e ad ogni ora che suonava, il sangue le dava un tuffo. Per lo sforzo del contenersi, era diventata pallida. Aveva dimenticato di far colazione; si sentiva appetito, ma non la voglia di mangiare. Anche il parlare le costava fatica. Avrebbe voluto chiudersi nella sua camera, e non far altro che pensare a lui, intensamente, esclusivamente. Non era possibile. Verso le quattro dovette andare in cucina ad ammannire il desinare; la mamma l'aiutava, debolmente, sedendosi ad ogni minuto, stringendo colle manine gialle il capo che le doleva. - Va', va', mamma; faccio io. - Le gemelle potrebbero darti una mano ... - No, mamma; hanno i loro compiti di scuola. Le gemelle erano l'incubo di Teresina. Ella se le vedeva crescere accanto astiose, diffidenti, ricambiando con una musoneria fredda tutte le sue premure. Avrebbero potuto essere le sue amiche, le sue confidenti, e invece una barriera di ghiaccio le divideva. Questo era un grande sconforto per Teresina. Così, tutta sola nella cucina bassa, intenta a uffici volgari, la fanciulla ingannava l'eternità dell'aspettativa avvinta docilmente alla sua catena, imparando la grande virtù femminile del dominarsi, la profonda abilità femminile di nascondere un tormento dietro un sorriso. Nel muoversi rapidamente, nel chinarsi, ella sentiva ancora lo sfregamento della lettera sulle carni delicate del seno; allora stringeva le labbra, palpitando lievemente, come per assaporare meglio quella sensazione che era ad un punto dolore e piacere.

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