Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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IL PAESE DI CUCCAGNA

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Serao, Matilde 1 occorrenze

- Io vi voglio tanto bene, - diss'ella, abbandonandogli il dominio della sua anima. - Oh cara, cara, - le sussurrò lui, carezzandone i capelli bruni, mentre la testa della fanciulla si riposava, per un minuto, su quel forte e fedele petto di uomo. - Promettetemi una cosa… - chiese ella, con atto infantile. - Ditela… - Promettetemi che non giudicherete male mio padre, promettetelo! Sappiatelo, egli è il più buono, il più affettuoso fra i padri; qualunque figliuola sarebbe gloriosa di averlo per padre; io stessa ho per lui una reverenza, un amore che nulla può far crollare. Io voglio che voi non lo accusiate, di nulla, dovete promettermelo: il suo traviamento fatale è ancora una forma della sua bontà, egli è così infelice, così infelice, in fondo! - Vi prometto, Bianca, di essere indulgente, come voi potete essere indulgente. - Mi basta. È un infelice, amico mio, da anni e anni che la nostra casa è declinata. Quando, perché? Non mi rammento, ero piccina: non so neppure di chi sia colpa, questa decadenza, non voglio saperlo. Mi ricordo solo che mia madre era una creatura pallida e languente, dalle sottili mani sempre gelide… - Come le vostre, povera cara. - Come le mie, - replicò ella, con uno smorto sorriso. - Di che è morta, la mamma? - Di anemia… di languore… negli ultimi giorni, non sempre il suo spirito era presente… - Delirava? - Sì: dolcemente, - ella rispose, arrossendo sino alla fronte. - Non pensate a ciò, - disse lui, intuendo la causa di quel rossore. - Mio padre soffriva tanto delle sofferenze di mia madre! E da anni, lo teneva un gran sogno, quello di rifare la fortuna di casa Cavalcanti, di far vivere a mia madre e a me una vita magnifica, di tenere corte bandita, e di prodigare in elemosine, in un giorno, quanto… quanto ora ci serve a vivere per un anno, - soggiunse, con un nodo di pianto alla gola. - Calmatevi, cara, non vi agitate. - No, no, lasciatemi dire, se non parlo, soffoco. Un grande sogno, grande come il cuore di Carlo Cavalcanti, nobile e generoso come il suo animo, qualche cosa di così nobile e generoso, che mia madre e io gli consacrammo una gratitudine che non finirà con la vita, che continuerà in quel mondo delle anime, oltre la tomba, dove ancora si sente, si ama e si prega. Ma nella sua accesa fantasia, egli desiderò un mezzo pronto, bizzarro, dalle forme amplissime e immediate, per realizzare questa fortuna: un mezzo dovuto al caso, poiché un Cavalcanti non lavora e non fa speculazione… - Il Lotto, - concluse Amati. - Il Lotto; come lo sapete? - Lo so. - La sciagura nostra è nota a quanti ci avvicinano, - riprese ella, fremendo di dolore. - Una così grande sciagura, a coronare tutte le altre! Una sciagura per cui è morta mia madre, di mali fisici e morali, una sciagura in cui si è sommersa, prima e dopo, tutta la nostra fortuna; una sciagura che mi ha tolto il cuore di mio padre e che dopo aver distrutto tutto quello che era a me più caro, mi darà alla miseria e alla morte! - Non temete, non temete, tutto ha rimedio, - disse lui, vagamente, cercando di attenuare quell'impeto di desolazione. - È irrimediabile! - disse lei, profondamente. - Mia madre, morendo, in un lucido intervallo, baciandomi, mi disse: "Non giudicare tuo padre, figliuola mia; non esser mai dura con lui; obbedisci, obbedisci. La passione che lo divora e di cui io muoio, non può che crescere con gli anni: questa febbre peggiorerà, io non l'ho guarita, tu non la guarirai. Lascialo in questo suo sogno; non lo tormentare; se sei infelice, raccomandati a Dio; ma rispetta questo vecchio, che ha per solo desiderio la nostra felicità e che mi uccide per questo, che ti farà soffrire atrocemente, sempre essendo nobile e generoso. Abbi pietà di tuo padre, intendi? Solo così potrai morire tranquilla di coscienza, come io muoio". Aveva ragione, mia madre egli è diventato, con gli anni, più infelice, più fantastico, inguaribile oramai dimenticando tutto, tutto, mi capite? Un giorno o l'altro, io temo che questo vecchio gentiluomo, che questo padre di cui io debbo venerare la canizie, su cui vorrei riunito il rispetto del mondo dimentichi le leggi dell'onore, in qualche oscura combinazione di giuoco! - Che Dio lo guardi! - augurò Amati, trasalendo. - Che Dio vi ascolti! - esclamò lei. - Ma prego tanto, e il male si fa sempre più aspro. Se sapeste! Qui manchiamo di tutto; è la prima volta che parlo di queste cose, a qualcuno; tremo dalla vergogna, ma non posso celarvi niente. Egli ha venduto tutto, prima gli oggetti d'arte, poi i mobili, finanche i pochi gioielli che mi aveva serbati mia madre, ed egli l'adorava! finanche i ritratti dei vecchi Cavalcanti. mentre è così fiero della sua stirpe! finanche le lampade di argento della cappella, ed è un credente! Io vivo con questi due vecchi servi, così fedeli che non li ha potuti allontanare né la sciagura né la povertà! Egli non li paga, costoro servono casa Cavalcanti senza esser pagati, capite? Ed è al loro studio sottile, se la casa continua ad andare avanti, se abbiamo da mangiare la mattina e da accendere il lume alla sera! Io sollevo innanzi a voi i veli del santo pudore familiare, non mi tradite! Egli si chinò sulla mano che Bianca Maria gli stendeva e la baciò: era la conferma della sua promessa. - Tutto questo denaro, ed altro che se ne procura non so come, non voglio saper come, ho paura di saper come, va al giuoco: il venerdì e il sabato egli è demente. Vengono a trovarlo altri miserabili simili a quell' assistito il cui solo nome mi fa trasalire di onta e di paura; fanno conciliaboli bizzarri e spaventosi; si esaltano, gridano, litigano, proferiscono parole incomprensibili in un gergo oscuro. Questi sono i suoi amici: i gentiluomini del suo ceto, i suoi parenti, lo hanno abbandonato. Forse… cercò loro denaro; ne ebbe forse senza restituirlo: o forse è l'alito istesso della sciagura che li ha fatti fuggire. Questi cabalisti, questi uomini che vedono e rabbrividì, guardandosi intorno - gli levano il suo denaro, lo eccitano al giuoco. E il giorno si approssima in cui mancherà di tutto, e non potrà giuocare, e in quel giorno, Dio mio, Dio mio, illuminatelo voi, se non volete farci tutti perire, col nostro nome e con la nostra casa! - Bianca, Bianca, vi scongiuro di calmarvi, - disse lui, allarmato da quell'eccitamento, seguendone le variazioni con la mente del medico e col cuore dell'uomo. - Non posso! - esclamò ella. - Non vi ho detto tutto. Ascoltate, io sono una povera creatura debole; il sangue è povero e lento, nelle mie vene, voi lo sapete, voi me lo avete detto; ho vissuto fra questa triste casa e il convento di mia zia, cioè in compagnia di mio padre, sempre in preda alle sue fantasie, e in compagnia di mia zia, a cui la fede dà visioni quasi profetiche; in questa casa è morta mia madre: e come la passione del giuoco è diventata allucinazione nella mente di mio padre, l'allucinazione si è infiltrata in me contro la mia volontà. Mio padre mi parla di ombre, di fantasime, di spiriti, in tutte le ore, massime in quelle della sera e della notte, e io ci credo: intendete, voi, che vi è di orribile, in ciò? La luce del sole, la vista delle persone cancellano questi terrori: ma quando scende la sera, ma quando questa mia casa si empie di tenebre, ma quando mio padre mi parla dello spirito, l mio sangue si gela, il cuore arresta o precipita i suoi movimenti: io mi sento morire dallo spavento. Misteriosi rumori mi ronzano nelle orecchie, passi leggieri, voci sommesse; veggo dinanzi agli occhi della mia fantasia passare spettri ammantati di bianco, e guardarmi, e lagrimare, guardandomi; mi pare che mani evanescenti mi carezzino i capelli; mi pare di sentire aliti gelidi sulle guancie, e le mie notti, oramai, non sono che una lunga veglia affannosa, o un sonno lieve turbato da visioni! - Questi spiriti on esistono, Bianca, - disse lui, con voce ferma e dolce. - Ah io sono così debole, così inetta a difendermi, contro le allucinazioni! Quando ho riconquistato un poco di tranquillità, ecco, mio padre, per fantasia propria, o per bieco suggerimento di quell' assistito viene a tormentarmi. Vuole che io veda e senza curarsi della mia debolezza, della mia paura, senza capire la tortura che mi dà, mi parla dello spirito, vuole che io lo evochi, io che sono una fanciulla, io che sono innocente! Invano io tento di resistere, invano io mi dibatto, invano io chiedo a mio padre di risparmiarmi, di non farmi bere questo calice amaro, egli è ostinato, egli è acciecato, egli vuole che io veda lo spirito, e che gli chieda i numeri da giuocare. Ed è così forte l'influenza che mio padre esercita su me, è così terribile il modo con cui egli mi comunica la sua follia, che io finirò per essere come lui, una povera allucinata, consumantesi fra le visioni delle sue notti, e le ardenti delusioni delle sue giornate! Ella si nascose il volto fra le mani, convulsa. Il dottore la guardava esterrefatto, non osando più dirle niente. - E ancora non sapete tutto, - riprese ella convulsamente. - Un giorno, voi mi avete scritto una lettera, una buona lettera confortante, proponendomi di partire, di andare da vostra madre. Che conforto è stato quello! Ah avrei finalmente fuggito questa casa, di cui ogni vano nero di porta, alla sera, mi fa paura, di cui ogni mobile assume forme spettrali: sarei andata dove vi è luce, sole, calore, e gioia. Ebbene, in quella notte, preso da un accesso di stravaganza, mio padre è venuto nella mia stanza. In quell'ora, al chiaror vago di una lampada, svegliandomi dal sonno, buttandomi in un sogno con le sue parole, non curando le mie preghiere, non sentendo che mi faceva agonizzare, per due ore egli mi parlò dello spirito he doveva apparirmi, che era lì lì per apparirmi, che mi avrebbe detto le parole sacre. E tenendomi le mani, soffiandomi il suo alito nella faccia, comunicandomi il suo ardore e la sua fede, egli ha ottenuto il suo scopo. - In che modo? - Io ho veduto o spirito, mico mio. - Come, veduto? - Come vi vedo. - Era la febbre: non vi è nulla di ciò, Bianca, - disse lui, aspramente, per ricondurre quella mente smarrita alla pace. - Voi lo dite, vi credo. Ma quando voi sarete partito, quando io avrò finito di pregare, di leggere, quando sarò sola nella mia stanza, fra le penombre della lampada, io vedrò la visione di quella notte, e la vertigine mi coglierà dì nuovo, facendo roteare il mio cervello e battere i miei denti! Ma mio padre, oramai, disperato, perché i numeri di quella notte non sono mai usciti, dice che io non seppi interpretarli, vuole che io evochi di nuovo lo spirito! Ma egli mi crede assistita oramai, e non mi lascia più un'ora di riposo! Ma io non sono sua figlia oramai, egli mi considera solo come intermediaria fra lui e la fortuna, e sorveglia ogni mia parola, e mi guarda talvolta con invidia, talvolta con alterezza, e non so quali strane discipline vada pensando, perché io possa vedere, i nuovo, non so quali bizzarre privazioni egli voglia impormi, perché la mia anima sia pura come il mio corpo e possa avere la veggenza lucidissima! Nei primi giorni della settimana mi lascia più tranquilla, ma la notte del giovedì egli viene da me e mi prega, capite, mi prega di chiamare lo spirito: questo vecchio bianco, a cui io bacio la mano per rispetto, s'inginocchia innanzi a me, come innanzi all'altare, per commuovermi! In quella del venerdì, le sue preghiere diventano furiose, egli non si accorge delle convulsioni di spavento che squassano il mio corpo, egli crede che siano l'approssimazione dello spirito! L'altra notte, per sottrarmi a questa tortura che mi pareva ormai insopportabile, ho chiuso a chiave la mia porta, ho avuto il coraggio di negare l'accesso della mia stanza, a mio padre! Ebbene, egli è venuto a bussare, prima piano, poi forte; mi ha parlato, supplicando, comandando, passando dalla collera all'umiliazione, voleva che io vedessi lo spirito, a forza, a forza, quella notte - io mi turava le orecchie, per non udire, nascondevo la testa nel cuscino, mordevo le lenzuola per soffocare i miei singhiozzi, venti volte avrei voluto aprire quella porta, ma il terrore m'inchiodava sul letto. Mio padre ha pianto! Oh mamma mia, mamma mia, io ti ho disubbidito! Tu hai saputo morire per mio padre, ma io non so imitarti! - Poveretta, poveretta, - mormorava lui, tentando di cullarne l'esaltamento con quella dolce parola di compatimento, carezzandone le mani, quasi per addormentarla, per magnetizzarla. - Oh sì, sì, compatitemi, perché io sono così misera, così disgraziata, che l'ultima mendicante della via mi fa invidia: compatitemi perché la sola persona che dovrebbe amarmi, cercare la mia salute e la mia felicità, sogna invece di darmi del denaro, molto denaro, e m'impone per questo tutti i sacrifici materiali e morali; compatitemi, perché sono una disgraziata creatura, votata a una oscura catastrofe; compatitemi, perché in tutto il vasto mondo, io non trovo altro, per me, che la vostra compassione! Tacquero. Il sangue era salito alle guance pallide di Bianca Maria; gli occhi di lei scintillavano; e le parole dove si era sfogato tutto il suo cuore, erano uscite convulsamente, tumultuariamente dalle sue labbra. Taceva, ora. Aveva detto tutto. L'aspro segreto che torturava implacabilmente la sua esistenza, evocato dall'amore, aveva dato i brividi di una paurosa sorpresa, al forte uomo che l'ascoltava. Egli taceva, cercando di dominare la propria stupefazione, cercando di riunire le proprie idee confuse. Certo, egli era avvezzo a udire il racconto lugubre di tutte le miserie spirituali e fisiche dei suoi ammalati, egli aveva sollevato i veli di tutte le onte, di tutte le corruzioni, e come al confessore si erano aperti a lui, affannosi e contriti, i cuori che racchiudevano i più orrendi umani misteri. Ma in verità, l'affanno di Bianca Maria era così profondo, attaccava così profondamente le sorgenti stesse della vita, che lo aveva fatto sgomentare, dinanzi allo spettacolo di una miseria inaudita. Ma quella povera creatura che si consumava sotto le strette di un morbo non suo, che aveva il suo carnefice in suo padre, quella povera buona e bella creatura, era la donna che egli amava, senza la quale egli non poteva vivere, la cui felicità, la cui salute gli era necessaria, più della propria. Perturbato, non sapendo ancora raccapezzarsi innanzi a quel duplice problema di malattia e di passione, che rendeva il marchese Cavalcanti l'uccisore della sua famiglia, egli non trovava nulla da dire a Bianca Maria, per confortarla. Adesso, ella era accasciata: e provava un vago rimorso di aver accusato suo padre. Ma non doveva Antonio Amati essere il suo salvatore? Non si sentiva ella tranquilla, sicura, forte, quando egli era là? E traendosi dal suo abbattimento, levandogli gli occhi nel volto, timidamente gli disse: - Voi non dite che io sono cattiva ed ingrata, nevvero? - No, cara. - Voi non lo giudicate male, lui? - Io lo guarirò, - egli disse, pensando.

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