Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbandonando

Numero di risultati: 4 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

IL RE DEL MARE

682268
Salgari, Emilio 4 occorrenze

- Abbandonando il Re del Mare al suo destino, ve lo dissi già. - No, sir Moreland. Finchè sventolerà la bandiera delle tigri di Mompracem, Darma, la protetta di Sandokan e Yanez, non lascerà la nave. - E non sapete dunque che essi sono destinati a perire tutti? Le migliori e le più possenti navi della marina inglese fra poco piomberanno su questi mari e spazzeranno via il corsaro. Fuggirà, vincerà forse altre battaglie, eppure presto o tardi dovrà soccombere sotto le nostre artiglierie. - Ve lo dissi ancora: noi sapremo morire da valorosi, al grido di: Viva Mompracem! - Bella e coraggiosa, come una vera eroina! - esclamò sir Moreland, guardandola con ammira rione. - Ed il fiotto di sangue sarà fatale a tutti! ... Yanez si era in quel momento accostato con precipitazione. - sir Moreland! - esclamò. - Una nave a vapore corre su di noi. È stata già segnalata dal comandante. - Che sia il Re del Mare! - esclamò Darma. - Si sospetta che sia una nave da guerra. Guardate: i marinai si preparano al combattimento. La fronte di sir Moreland si era oscurata, mentre un rapido pallore si era diffuso sul suo viso. - Il Re del Mare, - mormorò con voce sorda. - Esso viene a spezzare la mia felicità. Il tenente lo aveva raggiunto, tenendo in mano un cannocchiale. - Sir James, - disse. - Una nave e molto grossa, se non m'inganno, punta su di noi. - Che sia una delle nostre? - chiese il capitano. - No, perchè viene dal nord-est, mentre la nostra squadriglia si è diretta verso Sarawak colla speranza di trovare il corsaro in quella direzione. Un punto nero, che ingrandiva rapidamente, sormontato da due nere colonne di fumo, era apparso all'orizzonte e pareva che si dirigesse verso il gruppo di Mangalum, muovendo a grande velocità. Sir Moreland aveva puntato il cannocchiale e guardava con estrema attenzione. Ad un tratto l'istrumento gli sfuggì dalle mani: - Il Re del Mare! - esclamò con voce rauca, mentre gettava su Darma uno sguardo ripieno di tristezza. - Sandokan! - esclamò Yanez. - Nemmeno questa volta mi appiccheranno! - È il corsaro? - chiese il tenente. - Sì, - rispose sir Moreland. - Daremo battaglia e l'affonderemo, - disse il tenente. - Volete farvi colare a picco? Fra pochi minuti nave e uomini saranno in fondo al mar della Sonda. Ci vuole ben altro, che un incrociatore di terza classe per affrontare quella nave, la più moderna, la più rapida e la più formidabile di quante ve ne siano. - Eppure non mi lascerò catturare senza combattimento, - rispose il tenente. - Non lo vorrei nemmeno io, amico; credo però che noi lo eviteremo. Le conseguenze sarebbero per noi disastrose. - In quale modo? - Fate calare in acqua una scialuppa e lasciate che io vada prima a parlamentare colla Tigre della Malesia. Voi perderete i due prigionieri, io perderò molto di più, ve lo giuro, ma voi salverete la vostra nave e il vostro equipaggio. - Vi obbedisco, Sir James. Mentre i marinai calavano una baleniera, il Re del Mare che avanzava con una velocità di dodici nodi all'ora, piombava sull'incrociatore. Le sue possenti artiglierie delle torri di prora, erano già state puntate e si preparavano a coprire di fuoco e d'acciaio il minuscolo nemico ed a colarlo a fondo alla prima bordata. Il lungo nastro rosso, segno di combattimento, era salito sventolando sull'albero di prora, mentre la bandiera rossa di Mompracem, adorna d'una testa di tigre veniva innalzata su quella di poppa. Sandokan, vedendo l'incrociatore inglese arrestarsi, issare bandiera bianca e calare in mare una scialuppa, aveva ordinato macchina indietro, fermandosi a milleduecento metri dall'avversario. - Pare che l'inglese non si senta abbastanza forte per misurarsi con noi, - aveva detto a Tremal-Naik che lo aveva raggiunto nella torretta. - Che voglia arrendersi? Non saprei cosa farne di quella nave. - Le prenderemo le artiglierie e le munizioni, oltre il carbone, - rispose l'indiano. - Potranno servire ai nostri amici dayaki di Sarawak. - Sì, eppure mi spiacerebbe perdere altro tempo, - disse la Tigre della Malesia. - Dobbiamo cercare Yanez e Darma. - Speri di trovarli ancora sullo scoglio? - chiese Tremal-Naik con angoscia. - Non ne dubito. Io li ho veduti approdare, prima che le tenebre coprissero quell'isolotto. Oh! Un capitano nella baleniera! Che venga a offrirci la sua spada? Avrei preferito un combattimento, giacchè sento una smania furiosa di tutto distruggere. - Tigre della Malesia, - disse in quel momento Sambigliong, il quale aveva puntato un cannocchiale sulla scialuppa. - È mai possibile! Che io mi inganni o che sia realmente lui! Guardate! Guardate! - Che cosa hai veduto? - È lui, vi dico, è lui! - Chi lui? - sir Moreland. - Moreland! - esclamò Sandokan, prima impallidendo e poi arrossendo, mentre un lampo di speranza gli balenava negli sguardi. - Moreland a bordo di quel legno! Allora Yanez ... Darma ... Come possono trovarsi su quella nave? È impossibile, ti sei ingannato, Sambigliong. - No, guardate, ci ha scorti e ci saluta agitando il berretto. Sandokan si era slanciato fuori dalla torretta. Un grido di gioia gli sfuggì. - Sì, è lui, sir Moreland! ... La baleniera, sotto la spinta di dodici remi, s'avanzava rapidissima. L'anglo-indiano, in piedi a poppa, salutava ora col berretto, senza abbandonare la barra del timone. - Abbassate la scala! - gridò Sandokan. L'ordine era stato appena eseguito che la baleniera abbordava. Sir Moreland salì rapidamente a bordo, dicendogli con una certa freddezza: - Sono lieto di rivedervi, signore, e di potervi dare una notizia che gradirete assai. - Yanez ... Darma? ... - gridarono ad una voce Sandokan e Tremal-Naik. - Sono a bordo di quella nave. - Perchè non li avete condotti qui? - chiese Sandokan aggrottando la fronte. L'anglo-indiano che era diventato estremamente serio e che parlava con voce quasi imperiosa, rispose: - Vengo per intavolare delle trattative, signore. - Che cosa volete dire? - Che il comandante vi consegnerà il signor Yanez e miss Darma a condizione che voi lasciate tranquilla quella nave, che come ben vedete non sarebbe in grado di misurarsi con la vostra. Sandokan ebbe un istante di esitazione, poi rispose: - Sia pure, sir Moreland. Saprò ritrovarla più tardi. - Fate abbassare la bandiera di combattimento. Il comandante comprenderà che voi avete accettato la sua proposta e vi manderà subito i prigionieri. Sandokan fece un segno a Sambigliong e pochi istanti dopo il nastro rosso veniva fatto scendere in coperta. Quasi nel medesimo istante una seconda scialuppa si staccava dal fianco del piccolo incrociatore: vi erano sopra Darma e Yanez. - sir Moreland, - disse Sandokan, - dove vi ha raccolti quella nave? - A Mangalum, - rispose l'anglo-indiano, senza levare gli occhi dalla scialuppa che s'accostava rapidissima. - Vi eravate salvati sullo scoglio? - Sì, - rispose il capitano, che pareva avesse perduta la sua abituale cordialità e che fosse in preda a delle profonde preoccupazioni. La seconda scialuppa era giunta. Yanez e Darma avevano salito precipitosamente la scala, cadendo l'uno nelle braccia di Sandokan e la seconda in quelle di suo padre. Sir Moreland, pallidissimo, guardava con occhio triste quella scena. Quando si furono separati, si volse verso Sandokan, chiedendogli: - Ed ora mi tratterrete ancora prigioniero? La Tigre della Malesia stava per rispondere, quando Yanez lo prevenne. - No, sir Moreland, voi siete libero. Tornate a bordo dell'incrociatore. Sandokan non aveva nascosto un gesto di stupore. Probabilmente non era quella la risposta che intendeva dare all'anglo-indiano, nondimeno non replicò. - Signori, - disse allora l'anglo-indiano con voce grave, fissando bene in viso Sandokan e Yanez, - spero di rivedervi presto, ma allora saremo terribili nemici. - Vi aspettiamo, - rispose freddamente Sandokan. S'accostò a Darma e le tese la mano, dicendole con accento triste: - Che Brahma, Siva e Visnù vi proteggano, miss. La fanciulla che appariva profondamente commossa, strinse la mano senza parlare. Pareva che avesse un nodo alla gola. L'anglo-indiano finse di non vedere le mani che Yanez, Sandokan e Tremal-Naik gli porgevano, salutò militarmente e scese rapidamente la scala senza volgersi indietro. Quando però la scialuppa che lo conduceva verso il piccolo incrociatore passò dinanzi la prora del Re del Mare alzò la testa e vedendo Darma e Surama sul castello, le salutò col fazzoletto. - Yanez, - disse Sandokan, traendo da parte il portoghese. - Perchè lo hai lasciato andare? Egli poteva diventare un ostaggio prezioso. - Ed un pericolo per Darma, - rispose Yanez. - Essi si amano. - Me n'ero accorto. È un bel giovane e valoroso, ha sangue anglo-indiano nelle vene al pari di Darma ... chissà? Dopo la campagna. Stette un momento come immerso in un profondo pensiero, poi riprese: - Cominciamo le ostilità: gettiamoci sulle vie di navigazione e cerchiamo, finchè le squadre ci cercano nelle acque di Sarawak, di fare il maggior male possibile ai nostri avversari.

Le doppie scialuppe, vedendo avanzarsi quel colosso di ferro, si erano affrettate a scappare verso l'isola, abbandonando il giong alla sua sorte, tanto più che non avevano più nemmeno l'appoggio della scialuppa a vapore, scomparsa già verso il sud coi prigionieri. Il veliero, colpito già da tre obici, si era inclinato su un fianco, imbarcando acqua per lo squarcio che doveva essere stato gravissimo. I suoi uomini, dopo d'aver scaricato i loro pezzi contro la nave, cominciavano a saltare in acqua per non venire attratti dal gorgo. - Amici! - gridò Yanez. - Ai remi! Andiamo a cercare il pellegrino! Mentre la nave a vapore metteva in acqua due scialuppe, montate da due dozzine d'uomini armati di carabine, i pirati di Mompracem, impadronitisi dei remi, spinsero il praho addosso al giong il quale cominciava ad immergersi. A bordo non erano rimasti che dei morti e qualche ferito. Tutti gli altri nuotavano disperatamente verso l'isola, dove erano già giunte le scialuppe doppie. Yanez, Kammamuri e Sambigliong si issarono rapidamente a bordo del veliero, slanciandosi verso il cassero dove supponevano si trovasse il pellegrino. Non si erano ingannati. Il loro misterioso ed implacabile avversario, giaceva su una vecchia vela, coi pugni stretti sul petto, comprimendosi una ferita prodotta probabilmente dalla palla della carabina di Yanez. Non era morto, poichè appena si vide presso quei tre uomini, con uno scatto improvviso s'alzò sulle ginocchia e strappatesi dalla cintura una pistola dalla canna lunghissima, tentò di far fuoco. Kammamuri, a rischio di ricevere la scarica in pieno petto, gli si era gettato prontamente addosso, strappandogli l'arma. - Credevo che fossi morto, - disse il maharatto, - ma giacchè ti ritroviamo ancora vivo, ti ricacceremo all'inferno. Aveva volta l'arma contro il pellegrino e stava per fracassargli il cranio, quando Yanez gli trattenne il braccio. - È più prezioso vivo che morto, - gli disse. - Non commettiamo la sciocchezza di finirlo. Sambigliong, prendi quest'uomo e portalo sul praho. Lesti; il giong affonda! Il veliero continuava a inclinarsi sul fianco squarciato, minacciando di rovesciarsi. Yanez ed i suoi compagni saltarono sul praho, mentre una delle due scialuppe gettava un cavo per rimorchiarlo verso la nave, la quale erasi arrestata a due gomene di distanza. Tutto l'equipaggio, che era piuttosto numeroso, era salito sulle murate del vapore, seguendo con viva curiosità l'opera di salvataggio. - Sono europei! - aveva esclamato Yanez, appena ebbe terminato di far legare il pellegrino. - Che siano inglesi? - Per lo meno parlano inglese, - disse Kammamuri, che aveva udito un comando dato dall'ufficiale che guidava la scialuppa. - Sarebbe comica che dovessimo la nostra salvezza a dei nemici non meno accaniti dei dayaki. Poi, con un profondo sospiro, aggiunse: - E Tremal-Naik? E Darma? Che cosa sarà accaduto di loro? Ah! Mio Dio! - La scialuppa a vapore è scomparsa verso il sud, signor Yanez. - Non si è diretta verso la foce del Kabatuan? Sei proprio sicuro? - Sicurissimo: non sono stati consegnati ai dayaki. - Ma allora chi erano costoro? Dove li avranno condotti? Una scossa lo interruppe. Il praho aveva urtato contro la piattaforma inferiore della scala che era stata subito abbassata. Un uomo sui cinquant'anni, solidamente piantato, con una barbetta brizzolata tagliata a punta, che indossava una divisa di panno azzurro cupo con bottoni dorati ed un berretto con gallone, attendeva sulla piattaforma superiore. Yanez pel primo balzò sui gradini e salì rapidamente, dicendo al comandante della nave, in inglese: - Grazie, signore, del vostro aiuto. Ancora qualche minuto e la mia testa andava ad aumentare la collezione di quei terribili cacciatori di crani. - Sono ben felice, signore, di avervi salvato, - rispose il comandante, tendendogli la destra e dandogli una stretta vigorosa. - Qualunque altro uomo bianco, d'altronde, avrebbe fatto altrettanto. Con quei furfanti non ci vuole misericordia, come non ci vogliono mezze misure. - Ho l'onore di parlare al comandante? - Sì, signore ... - Yanez de Gomera, - rispose il portoghese. Il comandante aveva fatto un soprassalto. Prese Yanez per una mano, traendolo sulla tolda per lasciare il passo libero a Sambigliong ed agli altri che portavano il pellegrino e si mise a guardarlo con viva curiosità, ripetendo: - Yanez de Gomera! Questo nome non mi è nuovo, signore. By God! Sareste voi il compagno di quell'uomo formidabile che anni or sono ha detronizzato James Brooke, lo sterminatore dei pirati? - Sì, sono quello. - Ero a Sarawak il giorno in cui Sandokan vi entrò coi guerrieri di Muda Hassim e le sue invincibili tigri. Signor de Gomera, sono ben felice di avervi prestato un po' d'aiuto. Ma che cosa volevano quegli uomini da voi? - È una istoria un po' lunga a narrarsi. Ditemi, signore, voi non siete inglese? - Mi chiamo Harry Brien e sono americano della California. - E questa nave che è così poderosamente annata, meglio d'un incrociatore di prima classe? - Oh molto meglio! - disse l'americano, sorridendo. - Credo che finora non ve ne sia una seconda in tutta la Malesia e nel Pacifico. Forte, a prova di scoglio, con artiglierie formidabili e rapida come una rondine marina. Si volse verso i marinai che stavano loro d'intorno, interrogando curiosamente i compagni del portoghese, mentre il medico di bordo prodigava le prime cure al pellegrino, dal cui petto usciva un filo di sangue. - Date la colazione a quelle brave persone, - disse loro. - E voi signor de Gomera, seguitemi nel quadro. Ah! Che cosa devo fare del vostro praho? - Abbandonatelo alle onde, comandante, - rispose il portoghese. - Non vale la pena di prenderlo a rimorchio. - Dove desiderate che vi sbarchi? - Più vicino a Mompracem che vi sarà possibile, se non vi spiace. - Vi condurremo direttamente colà, si trova quasi sulla mia rotta e la visiterò volentieri. Venite, signor de Gomera. Si diressero verso poppa e scesero nel quadro, mentre la nave, dopo che i marinai ebbero issato le due scialuppe e tagliati gli ormeggi del praho, riprendeva la sua corsa verso il sud. Il comandante fece portare una colazione fredda nel salotto poppiero e invitò Yanez a dare l'assalto. - Possiamo discorrere anche mangiando e bevendo, - disse amabilmente. - La mia cucina è a vostra disposizione, signor de Gomera, al pari della mia cantina particolare. Quando il pasto fu finito, l'americano conosceva già tutte le disgraziate avventure toccate al suo commensale sulla terra dei dayaki, per opera del misterioso pellegrino e anche la pericolosa situazione in cui trovavasi Sandokan. - Signor de Gomera, - disse, offrendogli un manilla profumato, - vorrei proporvi un affare. - Dite, signor Brien, - rispose il portoghese. - Sapete dove stavo per recarmi? - Non lo saprei indovinare. - A Sarawak per cercare di vendere questa nave. Yanez si era alzato, in preda ad una visibile commozione. - Voi volete vendere la vostra nave! - esclamò. - Non appartiene alla marina da guerra americana? - Niente affatto, signor de Gomera. Era stata costruita nei cantieri d'Oregon, per conto del sultano di Shemmerindan, il quale voleva vendicare, a quanto mi fu detto, suo padre uccisogli dagli olandesi nella sanguinosa sconfitta inflitta a quei predoni molti anni or sono. - Nel 1844, - disse Yanez. - Conosco quell'isola. - Il sultano aveva già versato ai costruttori un'anticipazione di ventimila sterline, promettendo l'intero pagamento alla consegna della nave, ed un forte regalo se fosse riuscita tale da poter sfidare impunemente le navi olandesi. Non abbiamo lesinato e, come avete potuto osservare, questo piroscafo vale meglio d'un incrociatore di prima classe. Disgraziatamente quando condussi la nave alla foce del Cotti, fui informato che il sultano era stato assassinato da un suo parente, ad istigazione degli olandesi, a quanto pare, per evitare una nuova campagna. Il suo erede non ne volle sapere della nave, abbandonandoci l'anticipo fattoci. - Quello là è una bestia, - disse Yanez. - Con un simile piroscafo avrebbe potuto far tremare anche il sultano di Varauni. - Da Ternate ho telegrafato ai costruttori e mi hanno incaricato di offrirla al rajah di Sarawak o a qualche sultano. Signor de Gomera, vorreste acquistarla? Con questa voi potreste diventare il re del mare. - Vale? - chiese Yanez. - Gli affari sono affari, signore, - disse l'americano. - I costruttori chiedono cinquantamila sterline. - Ed io, signor Brien, ne offro sessantamila, pagabili sul banco di Pontianak, a condizione che mi lasciate il personale di macchina a cui offrirò doppia paga. - Sono gente che non rifiuterà, avventurieri della più bella razza, pronti a chiudere ed aprire una valvola ed a sparare il fucile. - Accettate? - By God! È un affare d'oro, signor de Gomera, e non me lo lascerò sfuggire. - Dove volete sbarcare col vostro equipaggio? - A Labuan possibilmente, per prendere il postale che va a Shangai, da cui troveremo facile imbarco per San Francisco. - Quando saremo a Mompracem farò mettere a vostra disposizione un praho onde vi sbarchi in quell'isola, - disse Yanez. Estrasse un libriccino che teneva gelosamente nascosto in una fascia che portava sotto la camicia, si fece dare una penna e appose delle firme su diversi biglietti. - Ecco degli chèques per sessantamila sterline, pagabili a vista sul banco di Pontianak, dove io e Sandokan abbiamo un deposito di tre milioni di fiorini. Signor Brien, da questo momento la nave è mia e ne assumo il comando. - Ed io, signor de Gomera, da comandante divento un pacifico passeggero, - disse l'americano, raccogliendo gli chèques. - Signor de Gomera, visitiamo la nave. - Non mi occorre mi è bastato uno sguardo per giudicarla. Solo desidero conoscere il numero delle bocche da fuoco. - Quattordici pezzi, fra cui quattro da trentasei, un'artiglieria assolutamente formidabile. - Mi basta: devo occuparmi del pellegrino. O egli mi dice dove la scialuppa ha condotto Tremal-Naik e Darma o lo martirizzo fino a che esalerà l'ultimo respiro. - Conosco un mezzo infallibile per costringerlo a parlare, l'ho appreso dalle nostre pelli-rosse, - disse l'americano. - Sempre la rotta su Mompracem, signor de Gomera? - Ed a tiraggio forzato, - rispose il portoghese. - È probabile che in questo momento Sandokan stia per misurarsi cogli inglesi e non ha che dei prahos. - E voi, signor de Gomera, avete a disposizione una nave da cacciare tutti a fondo. Pezzi da 36! Faranno saltare le cannoniere di Labuan come giuocattoli. Lasciarono il quadro e salirono in coperta. La nave filava a tutto vapore verso il sud-ovest, con una velocità assolutamente sconosciuta ai piroscafi di quell'epoca. Quindici nodi all'ora e sei decimi. Chi avrebbe potuto gareggiare con quel piroscafo americano che filava come una rondine marina o poco meno? Yanez ne era entusiasmato. - È un fulmine! - aveva detto ad Harry Brien. - Con tale nave, nè gli inglesi di Labuan, nè il rajah di Sarawak mi fanno paura. Sandokan, se volesse, potrebbe dichiarare la guerra anche all'Inghilterra! Kammamuri in quel momento gli si appressò, dicendogli: - Signor Yanez, la ferita del pellegrino non ha alcuna importanza. La vostra palla deve aver colpito prima qualche cosa di duro, probabilmente l'impugnatura del tarwar, che quell'uomo portava alla cintura e l'ha colpito solamente di rimbalzo, strisciando su una costola. - Dov'è? - In una cabina di prora. - Signor Brien, volete accompagnarmi? - Sono con voi, signor de Gomera, - rispose l'americano. - Cerchiamo di strappare il velo che nasconde quel misterioso personaggio. Scesero nella corsia di babordo di prora ed entrarono in una stanzetta che serviva d'infermeria. Il pellegrino giaceva su una branda, guardato da Sambigliong e da un marinaio della nave. Era un uomo sui cinquant'anni magrissimo, dalla pelle assai abbronzata, coi lineamenti fini come quelli degli indiani delle alte caste e gli occhi nerissimi, penetranti, animati da un fuoco sinistro. Aveva i piedi e le mani legate e conservava un mutismo feroce. - Capitano, - disse Sambigliong a Yanez, - ho veduto or ora il petto di quest'uomo e vi ho scorto un tatuaggio rappresentante un serpente con una testa di donna. - Ecco la prova che egli è veramente un thug indiano e non già un arabo maomettano, - rispose Yanez. - Ah! Uno strangolatore! - esclamò l'americano, guardandolo con vivo interesse. Il prigioniero udendo la voce di Yanez aveva trasalito, poi aveva alzato il capo, fissandolo con uno sguardo ripieno d'odio. - Sì, - disse, - sono un thug, un amico devoto di Suyodhana, che aveva giurato di vendicare su Tremal-Naik, su Darma, su te e più tardi sulla Tigre della Malesia la distruzione dei miei correligionari. Ho perduto la partita quando credevo di averla vinta: uccidimi. Vi è qualcuno che penserà a vendicarmi e più presto di quello che credi. - Chi? - domandò Yanez. - Questo è il mio segreto. - Che io ti strapperò. Un sorriso ironico sfiorò le labbra dello strangolatore. - E mi dirai anche dove quella scialuppa a vapore ha condotto Tremal-Naik, Darma ed i miei Tigrotti sfuggiti al fuoco dei tuoi lilà. - Questo non lo saprai mai! - Adagio, signor strangolatore, - disse l'americano. - Permettetemi di avvertirvi che io conosco un mezzo infallibile per farvi parlare. Non resistono nemmeno le pelli-rosse, che sono d'una cocciutaggine incredibile. - Voi non conoscete gli indiani, - rispose il thug. - Mi ucciderete, ma non mi strapperete una sillaba. L'americano si volse verso il suo marinaio dicendogli: - Prepara sul ponte un paio di tavole ed un barile d'acqua. - Che cosa volete fare, signor Brien? - chiese Yanez. - Ora lo vedrete, signor de Gomera. Fra due minuti quest'uomo parlerà, ve lo prometto. - Voi, - aggiunse poi rivolgendosi a Sambigliong e a Kammamuri, - prendete quest'uomo e portatelo in coperta.

Noi concentreremo tutte le nostre difese verso le aie e le abitazioni dei servi, lasciando ai dayaki il passo libero e abbandonando loro il bengalow e le tettoie. - Come! - esclamò Tremal-Naik. - Tu cederesti loro le nostre migliori opere di difesa? - Non ci servirebbero più dal momento che abbiamo deciso di evacuare la piazza, - rispose Yanez. - Anzi abbatteremo una parte della cinta che guarda la saracinesca per attirare meglio i dayaki. - La palizzata interna non è molto solida. - Mi basta che resista qualche ora e poi i dayaki non si affaticheranno ad abbatterla. Preferiranno bere il tuo bram, - disse Yanez ridendo. - Noi collocheremo nel cortile tutti i vasi che contiene la tua cantina e vedrai che quella barriera li arresterà meglio di qualunque altra. - Si ubriacheranno, ne sono certo. - È quello che desidero; perchè noi ne approfitteremo per andarcene, dopo d'aver incendiato il bengalow e le tettoie. Protetti dalla barriera di fuoco, nessuno ci molesterà almeno per alcune ore. - Tippo Sahib, il Napoleone dell'India non sarebbe certo capace di architettare un simile piano. - Quella non era una tigre di Mompracem, - disse Yanez con comica serietà. - Cadranno nel laccio i dayaki. - Non ne dubito. Appena si accorgeranno che la saracinesca è aperta e che le terrazze sono state abbandonate e disarmate, non indugieranno ad assalirci. Sotto gli arbusti spinosi non mancano delle spie che si affretteranno ad avvertirli. - A quando il colpo? - chiese Kammamuri. - Tutto deve essere pronto per questa sera. Le tenebre ci sono necessarie per fuggire senza essere veduti. - All'opera Yanez, - disse Tremal-Naik. - Io ho piena fiducia nel tuo piano. - Hai un cavallo per Darma? - Ne ho quattro e buoni. - Va benone, faremo correre i dayaki fino alla costa. Quanto hai impiegato tu, Kammamuri, a raggiungerla? - Tre giorni, signore. - Cercheremo di arrivare prima. I villaggi di pescatori non mancano e qualche praho o delle scialuppe sapremo trovarle. L'audace progetto fu subito comunicato ai difensori del kampong e da tutti approvato senza obiezioni. D'altronde, non vi era nessuno che non fosse disposto a fare un supremo tentativo per liberarsi da quell'assedio che cominciava a pesare e demoralizzare la piccola guarnigione. I preparativi vennero cominciati. Le spingarde vennero ritirate e piazzate dietro la palizzata interna, su terrazze frettolosamente costruite, essendo la fattoria fornita di legname, poi le cantine furono vuotate portando tutto il bram nel cortile che si estendeva dinanzi al bengalow. Vi erano più di ottanta vasi, della capacità di due e anche tre ettolitri ciascuno; tanto liquore da ubriacare un esercito, essendo quella mistura fermentata, di riso, di zucchero e di succhi di palme diverse, eccessivamente alcolica. Verso il tramonto, la guarnigione abbattè una parte della cinta e dopo aver isolate le terrazze, le incendiò per meglio attirare i dayaki e far loro credere che il fuoco fosse scoppiato nel kampong. Terminati quei diversi preparativi e preparate delle cataste di legna sotto le tettoie e nelle stanze terrene del bengalow, abbondantemente innaffiate di resine e di caucciù onde ardessero immediatamente, la guarnigione si ritrasse dietro la palizzata in attesa del nemico. Come Yanez aveva preveduto, gli assedianti attratti dai bagliori dell'incendio che divorava le terrazze contro cui si erano fino allora infranti i loro sforzi e fors'anche avvertiti dai loro avamposti celati sotto gli arbusti spinosi, che le cinte erano state sfondate, non avevano indugiato a lasciare i loro accampamenti per muovere ad un ultimo assalto. Presa fra il fuoco ed i kampilang, la guarnigione del kampong non doveva tardare ad arrendersi. Calavano le tenebre quando le sentinelle che vegliavano sui due angoli posteriori della fattoria annunciarono il nemico. I dayaki avevano formato sei piccole colonne d'assalto e s'avanzavano di corsa, mandando clamori assordanti. Si tenevano ormai certi della vittoria. Quando Yanez li vide entrare fra gli arbusti, fece dare fuoco alle cataste di legna accumulate sotto le tettoie e nelle stanze del bengalow, poi appena vide che i suoi uomini erano in salvo, fece tuonare le spingarde per simulare una disperata difesa. I dayaki erano allora davanti alle cinte. Vedendole in parte abbattute ebbero un momento di esitazione temendo qualche agguato, poi passarono correndo sotto le terrazze che finivano di ardere e si rovesciarono all'impazzata nel kampong, urlando a squarciagola, pronti a sgozzare i difensori a colpi di kampilang. Yanez vedendoli slanciarsi verso gli enormi vasi che formavano come una doppia barriera dinanzi al bengalow, aveva dato ordine di sospendere il fuoco per non irritare troppo gli assalitori. Vedendo quei recipienti, i dayaki per la seconda volta si erano arrestati. Un resto di diffidenza li tratteneva ancora non sapendo che cosa potessero contenere. L'alcol che si sprigionava dai coperchi, che erano stati appositamente smossi, non tardò a giungere ai loro nasi. - Bram! Bram! Fu il grido che uscì da tutte le gole. Si erano precipitati sui vasi, strappando i coperchi e tuffando le mani nel liquido. Urla di gioia scoppiarono tosto fra gli assedianti. Una bevuta s'imponeva, tanto più che i difensori avevano sospeso il fuoco. Un sorso, solo un sorso e poi avanti all'attacco! Ma dopo le prime gocce tutti avevano cambiato parere. Era meglio approfittare dell'inazione della guarnigione del kampong; d'altronde era infinitamente migliore, quell'ardente liquore, delle palle di piombo. Invano i capi si sfiatavano per cacciarli innanzi. I dayaki erano diventati ostriche attaccate al loro banco colla differenza che si erano invece incrostati ai vasi. Ottanta vasi di bram! Quale orgia! Mai si erano trovati a simile festa. Avevano gettato perfino gli scudi ed i kampilang e bevevano a crepapelle, sordi alle grida e alle minacce dei capi. Yanez e Tremal-Naik ridevano allegramente, mentre i loro uomini staccavano senza troppo rumore alcuni tavoloni dalla cinta per prepararsi la ritirata. Intanto le tettoie cominciavano ad ardere e dalle finestre del bengalow uscivano torrenti di fumo nero. Fra pochi istanti una barriera di fuoco doveva frapporsi fra gli assedianti e gli assediati. I dayaki non parevano preoccuparsi dell'incendio che minacciava di divorare l'intero kampong. Insaziabili bevitori continuavano a dare dentro ai vasi, urlando, ridendo, cantando, e contorcendosi come scimmie. Bevevano colle mani, coi panieri destinati a contener le teste dei vinti nemici, con gusci di noci di cocco trovati per il cortile. I loro stessi capi avevano finito per imitarli. Il terribile pellegrino dopo tutto era al campo e non poteva vederli. Perchè non avrebbero approfittato di quell'abbondanza, dal momento che gli assediati si mantenevano tranquilli? E gli uomini cadevano, come fulminati, pieni da scoppiare, intorno ai vasi, mentre le fiamme s'alzavano altissime facendo piovere su di loro una pioggia di scintille. Il bengalow era tutto in fuoco e le tettoie, piene di provviste, ardevano come zolfanelli, illuminando i bevitori. Era il momento di andarsene. I dayaki non si ricordavano forse di non aver più dinanzi il nemico, tanto la loro ubriachezza era stata rapida. - In ritirata! - comandò Yanez. - Abbandonate tutto fuorchè le carabine, le munizioni ed i parangs. Aiutando i feriti, lasciarono silenziosamente la palizzata, attraversarono la cinta e si slanciarono a corsa sfrenata attraverso la pianura, preceduti da Tremal-Naik e da Kammamuri che cavalcavano a fianco di Darma. La tigre li seguiva spiccando salti immensi, spaventata dalla luce dell'incendio che diventava sempre più intensa. Raggiunto il margine della boscaglia che si estendeva verso ponente, il drappello che si componeva di trentanove persone, compresi sette feriti, s'arrestò per prendere fiato e anche per osservare ciò che succedeva nel kampong e negli accampamenti dei dayaki. La fattoria pareva una fornace. Il bengalow che era costato tante fatiche al suo proprietario, ardeva dalla base alla cima come una fiaccola immensa, lanciando in aria fitte nubi di fumo e sprazzi di scintille. Le cinte avevano pure preso fuoco e rovinavano assieme alle terrazze. Si udivano gli scoppi delle spingarde che erano state abbandonate ancora cariche. Degli uomini s'aggiravano affannosamente trascinando i guerrieri che si erano ubriacati e che correvano il pericolo di essere bruciati accanto ai vasi di bram. Il pellegrino doveva aver tenuto alcuni drappelli di riserva per appoggiare le colonne d'assalto nel caso che non fossero riuscite a penetrare nel kampong e, non udendo più nè spari nè grida di guerra, erano certamente accorsi per vedere che cosa era successo dei loro compagni. - Che l'inferno bruci tutte quelle canaglie, - disse Yanez inforcando uno dei quattro cavalli che gli era stato condotto da Tangusa. - Solo mi spiace andarmene senza aver potuto mettere le mani su quel cane di pellegrino. Spero di ritrovarlo un giorno sul mio cammino e allora guai a lui! - Un giorno? - disse ad un tratto Kammamuri, che aveva volti gli sguardi verso il nord. - Gambe, signori! Siamo stati scoperti e ci danno la caccia!

- gridò, abbandonando il pezzo che ormai diventava inutile. - Sgombrate la prora! In un baleno quei comandi furono eseguiti. I fucilieri si ammassarono sul cassero, lasciando soli i gabbieri nelle coffe, mentre Sambigliong con alcuni uomini sfondava a colpi di scure due casse lasciando scorrere per la coperta una infinità di pallottoline d'acciaio irte di punte sottilissime. I dayaki, resi furiosi dalle gravi perdite subite, avevano circondata la Marianna urlando spaventosamente e cercavano di arrampicarsi, aggrappandosi alle bancazze, alle sartie, ai paterazzi ed alla dolfiniera del bompresso. Yanez aveva impugnata una scimitarra e si era messo in mezzo ai suoi uomini. - Stringete le file attorno alle spingarde! - gridò. I fucilieri che stavano presso le murate non avevano cessato il fuoco, fulminando a bruciapelo i dayaki dei pontoni e quelli che cercavano di montare all'abbordaggio. Le canne dei fucili e delle carabine indiane erano diventate così ardenti che scottavano le mani dei tiratori. I dayaki arrivavano, inerpicandosi come scimmie. Ad un tratto atroci urla di dolore scoppiarono fra gli assalitori. Avevano posate le mani sui fasci di spine che coprivano le murate e che erano dissimulati dalle brande stese sopra i bastingaggi, straziandosi orribilmente le dita e non reggendo a così atroce dolore si erano lasciati cadere addosso ai compagni, travolgendoli nella loro caduta. Se non erano pel momento riusciti a scavalcare le murate di babordo e di tribordo, quelli che si erano issati sulle trinche del bompresso, erano stati invece più fortunati, avendo trovato subito un appoggio sull'albero istesso. Accortisi delle spine, a gran colpi di kampilang staccarono i fasci gettandoli in mare, ed in dieci o dodici irruppero sul castello di prora mandando urla di vittoria. - Dentro colle spingarde! - gridò Yanez che li aveva lasciati fare. Le quattro bocche da fuoco lanciarono una bordata di chiodi su quel gruppo, spazzando tutto il castello. Fu una scarica terribile. Nessuno degli assalitori era rimasto in piedi, quantunque non vi fosse nemmeno un morto. Quei disgraziati, che avevano ricevuto in pieno quella bordata, si rotolavano pel castello, dibattendosi e mandando urla spaventevoli e gemiti strazianti. I loro corpi, foracchiati in cento luoghi dai chiodi, parevano schiumarole gocciolanti sangue. La vittoria era nondimeno ancora ben lungi. Altri dayaki salivano da tutte le parti, disperdendo prima le spine coi kampilang e rovesciandosi in coperta, malgrado il fuoco vivissimo delle tigri di Mompracem. Là un altro ostacolo però, non meno duro delle spine, attendeva gli assalitori: erano le pallottole d'acciaio che coprivano tutta la tolda e le cui punte non si potevano sfidare senza i pesanti stivali di mare. Per di più, i gabbieri delle coffe avevano cominciato a lanciare le granate che scoppiavano con fragore, lanciando intorno frammenti di metallo. I dayaki, presi fra due fuochi, impossibilitati ad avanzare, si erano arrestati; poi un subitaneo terrore, accresciuto da un'altra bordata di mitraglia che ne gettò a terra parecchi, li prese e si precipitarono confusamente in acqua, nuotando disperatamente verso i pontoni e le scialuppe. - Pare che ne abbiano finalmente abbastanza, - disse Yanez, che durante la lotta non aveva perduto un atomo della sua flemma. - Ciò v'insegnerà a temere le vecchie tigri di Mompracem. La disfatta degli isolani era completa. Pontoni e scialuppe fuggivano a forza di remi verso le isolette che si estendevano dinanzi al fiume, senza più rispondere al fuoco del veliero, fuoco che ben presto fu fatto cessare dal portoghese, ripugnandogli di massacrare delle persone che ormai non si difendevano più. Dieci minuti dopo, la flottiglia, le cui scialuppe facevano per la maggior parte acqua, scompariva entro il fiume. - Se ne sono andati, - disse Yanez. - Speriamo che ci lascino tranquilli. - Ci aspetteranno nel fiume, signore, - disse Sambigliong. - E vi daranno nuovamente battaglia, - aggiunse Tangusa, che ai primi colpi di cannone era pure salito in coperta per prendere parte alla difesa, quantunque esausto di forze. - Lo credi? - chiese il portoghese. - Ne sono certo, signore. - Daremo loro un'altra lezione che leverà loro, e per sempre, la voglia d'importunarci. Troveremo acqua sufficiente per spingerci fino alle scale del kampong? - Il fiume è profondo per un tratto lunghissimo e purchè il vento sia favorevole non troverete difficoltà a salirlo. - Quanti uomini abbiamo perduto? - chiese Yanez a Kickatany, il malese che funzionava da medico a bordo. - Ve ne sono otto nell'infermeria, signore, fra cui due gravemente feriti e quattro morti. - Che il diavolo si porti quei maledetti selvaggi ed il loro pellegrino! - esclamò Yanez. - Orsù, così è la guerra, - aggiunse poi con un sospiro. Quindi volgendosi verso Sambigliong che pareva aspettasse qualche ordine: - La marea sta per raggiungere la sua massima altezza. Cerchiamo di trarci da questo maledetto banco.

Cerca

Modifica ricerca