Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonando

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La tecnica della pittura

253990
Previati, Gaetano 1 occorrenze
  • 1905
  • Fratelli Bocca
  • Torino
  • trattato di pittura
  • UNIFI
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E poi in praticare a colorire, ad ornare di mordenti, far drappi d’oro, usare di lavorare di muro per altri sei anni sempre disegnando, non abbandonando mai nè in dì di festa nè in dì di lavorare».

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CAINO E ABELE

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Perodi, Emma 1 occorrenze

Abbandonando Roma, mandava a monte la vendita del palazzo, non poteva impedire la dichiarazione del fallimento e privava suo fratello degli ultimi rimasugli del suo patrimonio. Rimanendo poteva impedire tutto questo e ottenere nel tempo stesso che l'opera del Governo contro i malandrini non si rallentasse, non sonnecchiasse. Resterò! - disse con calma e tolse dalle valigie i vestiti che vi aveva gettati in fretta nel momento della massima esaltazione, e stracciò la lettera all' avvocato. Assai prima delle otto riceveva un telegramma di urgenza spedito un'ora avanti da Castelvetrano. Velleda con quello gli annunziava che la notte era stata calmissima, che i carabinieri non lasciavano un momento la villa e che Maria, mentre ella scriveva il telegramma, dormiva ignara di tutto. Quel dispaccio era certo partito all'alba da Selinunte, per esser consegnato così presto a Castelvetrano, e Velleda aveva dunque voluto che gli giungesse prima che si mettesse in viaggio. "Era una delle tante delicate attenzioni di lei per tenerlo calmo. Oh! come benediva il momento che ella era entrata in casa sua, come benedivala per sapersi fare a volta a volta, amica devota, consolatrice sua e protettrice della sua bambina! Perché la sorte, che gli aveva fatto incontrare quella donna rara, quel cuore pieno d'affetto, poneva fra loro un ostacolo insormontabile alla piena, alla completa felicità? Sarebbe troppo! - mormorava egli chinando il capo rassegnato e cercava di scacciare quel pensiero, che era una chimera, un sogno, per abbandonarci alla contemplazione spirituale di Velleda. Roberto la vedeva vegliare tutta la notte accanto al letto di Maria, sussultare al più lieve rumore e tanto precisa era la visione evocata dalla fantasia; che tendeva l'orecchio come se volesse afferrare il fruscio che facevano le vesti leggiere di lei quando movevasi andando a origliare alla finestra o alle porte, aggirandosi inquieta e trepidante per quella stanza nella quale egli da molto tempo non aveva messo piede. L'ultima volta che vi era stato, se ne rammentava Bene, era la vigilia di Natale. Maria aveva la febbre e Roberto era entrato dietro al dottore e ne era uscito subito commosso. La stanza semplice era piena di lei, del profumo sottile che emanava dalla sua pelle delicata, dai piccoli oggetti che ella soleva usare di continuo. In uno scaffale chiuso vi erano i libri scritti da Veliera, che rappresentavano il passato, sotto, una tavola con i quaderni di Maria, i libri sull'insegnamento, che rappresentavano il presente, cioè un'occupazione arida da cui scompariva la personalità, l'ingegno; una rinunzia coraggiosa ai sogni dell'artista, un annichilimento volontario che ella aveva preferito alla gloria, che le prometteva grandi soddisfazioni, mescolate ed acerbi dolori. Lungamente Roberto s'indugiò con il pensiero in quella camera quasi verginale, ma ad un tratto si scosse rammentando che occorreva rimettersi agli affari, e dopo aver telegrafato a Velleda, annunziandole che non partiva più, andò al palazzo Astura ad attendere l'acquirente. Era questi uno svizzero grasso, sorridente, un vero uomo d'affari, il quale giunse puntuale al convegno e girando insieme con Roberto per le vaste sale del pianterreno, toccava le stoffe delle portiere, squadrava i mobili, i ninnoli e ripeteva sempre: Quanto danaro sciupato! Quanti capitali immobilizzati! Ora a venderla tutta questa roba non ci si prenderebbe nulla! nulla! Era quello il sentimento anche di Roberto, ma gli dispiaceva di sentirlo esprimere da un uomo volgare, al quale del resto, in quel momento, non voleva inffliggere un biasimo per non disgustarlo dall'acquisto, e silenziosamente lo seguiva nelle stanze, scendeva e saliva dietro a lui, con una pazienza impostagli dalla situazione. E sempre il grasso svizzero, per deprezzare il palazzo, diceva quanto avrebbe dovuto spendere per ridurre i piani superiori a uso d'albergo, i capitali che gli occorrevano per ammobiliare le camere, e tutte queste lamentazioni terminavano con il solito ritornello : Ho offerto anche troppo, non posso dar di più, non posso davvero. Se avessi calcolato meglio le spese da fare, avrei fatto un'offerta minore, ma la cifra è detta. Roberto faceva obbiezioni, si mostrava incerto, adducendo per pretesto che il palazzo non era suo, che cedendolo per quella somma si addossava una responsabilità troppo grande; cercava tutti i mezzi per strappare al compratore qualche migliaio di lire di più, ma l'altro teneva duro, e finalmente Roberto, per non mandare a monte l'affare, annuì. Lo svizzero era di quegli uomini che hanno sempre fretta e che non rimettono mai al domani quello che possono far subito. Egli volle che Roberto andasse insieme con lui dall'avvocato per firmare il compromesso e lì sul momento sborsava la caparra, rimettendo a otto giorni la stipulazione del contratto e il pagamento della intiera somma. Ora che l'affare era conchiuso, si mostrava raggiante e nella sua vanità di proprietario diceva che a Roma ne altrove vi sarebbe stato un albergo come il suo al quale voleva dare il nome pomposo di Hôtel dell' Urbe UrbeAnche Roberto era contento e si applaudiva di non essere partito. Con quella vendita rapidamente conclusa, evitava tante vergogne, tanti scandali, rigenerava moralmente suo fratello. Egli andò a recare la buona notizia alla vecchia duchessa d'Astura, che in quei giorni, tutta afflitta per Franco, che nella sua estrema indulgenza scusava con tenerezza materna, aveva scritto più volte a Roberto per sapere come stavano le cose. Figlio mio, - diceva ella vedendo Roberto e buttandogli le braccia al collo, - tu ci hai salvati. Che il Signore ti benedica e benedica la tua piccina! Prima di morire penserò a lei, non dubitare. Maria non ha bisogno di nulla, - disse Roberto rammentando l'ostilità della duchessa al suo matrimonio. Lo so che sei ricco, molto ricco, ma nel commercio si può perdere a un tratto un patrimonio, le imprese rovinano; vedi che cosa è successo a Franco. Zia, - rispose Roberto, - il suo esempio non mi sgomenta. Egli s'è condotto come un fanciullo; io sono un uomo. La vecchia dama chinò la testa dinanzi a quella sobria affermazione di forza, e per la prima volta pensò che suo marito avrebbe fatto meglio a istituire suo erede Roberto, nelle cui mani il patrimonio Astura non sarebbe stato sperperato. La duchessa voleva che il nipote lasciasse l'albergo e andasse a stare da lei e non sapeva più che cosa fare per dimostrargli la sua gratitudine. Roberto ricusò dicendo che da lui capitava tanta gente e di ogni conio, che non gli piaceva di riceverla nel palazzo. .Ma di quella offerta fu lieto; ormai i parenti, e avelie la vecchia dama, si ricredevano sul conto suo, ormai dimostrava loro che sua madre aveva avuto torto di pronosticargli che avrebbe dovuto vivere delle largizioni del fratello. Era una tarda riparazione, che lo compensava di molte amarezze. Prima di accomiatarsi promise che sarebbe andato una sera a pranzo dalla zia, e accompagnato dalle benedizioni di lei, uscì da quel palazzo che gli ricordava tante umiliazioni infantili, tanti piccoli dolori tenuti segreti, e ai quali doveva in gran parte l'impulso al lavoro, la febbre di conquistarsi un avvenire, di cui la famiglia gli negava il diritto. In quell'edifizio tetro, fra tutte quelle cose vecchie, sotto quelle grandi volte fregiate di rilievi pesanti e fino alle quali la luce saliva scarsa, pareva si fossero rifugiate tutte le idee, tutte le superstizioni di un mondo sparito e sotterrato. Il passato vi aveva conservato dimora, e nell'aria rarefatta e satura di quel forte odore che tramandano i mobili antichi, gli antichi parati serici, le porte tarlate, i cuoi irrigiditi dal tempo, Roberto si sentiva opprimere, come da bambino, allorché la zia, la vecchia duchessa, gli amici di casa e soprattutto la madre lo deridevano per le sue tendenze moderne, di lavoro e di sentimento di se, e gli facevano il doloroso pronostico; che egli aveva reso bugiardo con la pertinacia e la fede nelle proprie forze. I suoi forti polmoni furono sollevati quando ebbe varcato il portone del vecchio palazzo e lasciando dietro a sé le vie strette, fiancheggiate dagli alti palazzi e dalle case luride della Roma vecchia, si rivolse con passo spedito verso la nuova. Ma qui se era confortato dall'aria pura, che circolava nelle larghe vie assolate, quel sentimento d'arte che suo padre aveva destato in lui e che egli aveva sviluppato con lo studio dei ruderi di un'epoca classica, era offeso dalla vista delle case sproporzionate, sopraccariche di goffi ornamenti e nelle quali tutti gli stili si confondevano. Come l'aveva sognata diversa da quel che era, questa Roma moderna, questa Roma italiana di cui aveva seguito da lungi, con amore di figlio, la creazione! E camminava guardando in su, sostituendo alla brutta realtà il sogno, senza vedere chi gli passava d'accanto, procedendo spedito per la via Nazionale, fra la gente che s'avanzava lentamente per solo diporto. Ma nell'avvicinarsi all'albergo i ricordi del passato lontano, le considerazioni sulla Roma moderna, tutto svanì dal cervello di Roberto e sentì nel cuore come una martelleta annunziante il ritorno di un cocente pensiero, assopito momentaneamente, che reclamava l'assoluto dominio. E quel pensiero si riassumeva in Velleda. Mi avrà scritto? - susurrava. Ma un rapido calcolo distrusse ogni speranza. Anche se Velleda avesse risposto subito alla sua lettera, la replica non poteva essere a Roma altro che il giorno seguente. Il portiere dell'albergo gli presentò invece un telegramma del Varvaro, col quale gli annunziava la cattura dei due malandrini fuggiti e la morte di uno dei feriti. Aggiungeva che i due ultimi arrestati nè gli altri non erano dei d'intorni; Alessio solo era del paese e bisognava considerarlo come capo del complotto. Un respiro di soddisfazione uscì dal petto di Roberto. In quei due giorni s'era angustiato maggiormente all'idea che i malandrini fossero tutti operai, tutta gente beneficata da lui, tutti ingrati. Invece non c'era altri che Alessio che avesse appartenuto allo stabilimento. Alessio che egli aveva tante volte cercato invano di piegare a migliori sentimenti, Alessio il ribelle, il pervertito, il corruttore, che aveva dovuto licenziare per salvare alcuni altri operai, i quali subivano il fascino di quel vizioso, che si vantava delle sue turpitudini. Si rammentava che uscendo dallo stabilimento l'ultima volta, col salario della settimana nel palmo della mano, Alessio vi aveva sputato sopra, lanciando al padrone uno sguardo di sfida. Oh! se Maria fosse caduta nelle mani di quell'uomo! Gli si rizzavano i capelli a pensarci. Era ancora scosso da quella sensazione dolorosa, allorché fu bussato all'uscio. Un cameriere entrò e gli dette una busta grande, elegante, sulla quale era scritto il suo indirizzo con un carattere inglese di mano femminile. Roberto guardò a lungo quella lettera senza aprirla, Non conosceva nessuna signora a Roma, dove non capitava mai, e le sue relazioni si limitavano a deputati siciliani, banchieri, avvocati, creditori di Franco; chi poteva scrivergli dunque? Stracciò la busta e lo sguardo cercò subito la firma, ma nel leggerla scrollò il capo mestamente. La lettera era della marchesa Paola Salvati e la povera signora gli chiedeva di andar da lei quella sera e supplicavalo di entrare in salotto e di salutarla come se l'avesse già conosciuta, caso mai vi fossero altre persone. Poi gli avrebbe spiegato tutto, gli avrebbe detto il perché di quel mistero. " Venga, venga, - scriveva prima di firmarsi, - glielo chiedo in carità. " Quella supplica ardente turbò Roberto. Fra tante noie, non si aspettava che gli capitasse anche quella di liquidare gli amori di Franco, di consolare le vittime dell'egoismo e della vanità di lui; ma non volle rispondere con un rifiuto alla preghiera di una signora, che gl'ispirava tanta compassione, e dopo pranzo salì in carrozza e andò in via Condotti. Il vecchio servo doveva aver ricevuto ordini dalla padrona, perché lo introdusse subito annunziandolo. Donna Paola era sola, e lo sforzo che fece per sollevarsi dalla poltrona nella quale stava abbandonata, la magrezza della mano che stese a Roberto, rivelavano i patimenti di lei. Gli occhi soli pareva vivessero in quel viso concontratto e consunto: due occhi grandi, ardenti, pieni di tragica passione. Scusi, - gli disse con voce tremante, - scusi di averla disturbata, ma sono una grave malata e agli infermi si usa compassione. Mi dica, mi dica, è vero che Franco ... che il duca è partito per sempre? Mio fratello è partito da quindici giorni, - rispose Roberto, - ma non credo per sempre; nessuno lo costringe a stare assente da Roma. Ah! come mi consola! - esclamò donna Paola. Io sono stata molto ammalata, credevo di morire e non sapevo più nulla di quello che accadeva intorno a me ; la mia malattia data appunto dal giorno successivo al Derby e a un pranzo in casa del duca. Roberto ascoltava come se non sapesse nulla. Ma ogni giorno io vedevo il mio letto coperto di rose e mi dicevano che il duca mandava a prender notizie mie e m'inviava quel dono. Ieri una mia amica, la principessa San Secondo, è venuta. Non avevo ricevuto nessuno, non sapevo nulla di quello che è accaduto a Roma in questo tempo, ed ella mi narrò tante frivolezze che non rammento: rammento soltanto che mi disse che Franco era fuggito, che il palazzo era in vendita e si aspettava da un momento all'altro la dichiarazione del fallimento. Mandai al palazzo ed ebbi la conferma della partenza; mandai di nuovo per sapere l'indirizzo e il guardaportone disse che non poteva darlo, ma aggiunse che lei era a Roma all' Hôtel del Quirinale e lo rappresentava. Sono tanti anni che conosco don Franco, aggiunse arrossendo lievemente, - e non potevo rimanere indifferente alla sventura che lo colpiva. E poi quando uno è malato è più sensibile, è più eccitabile, non è vero? Roberto capiva lo sforzo di donna Paola per scusare il suo operato e finse di non accorgersi della passione che la divorava" Io la ringrazio, - disse, - di mostrar premura per mio fratello. È tanto raro di conservare gli amici nei giorni di sventura! Ma si rassicuri, Franco non è fuggito. La sua amica era male informata; Franco ha venduto il palazzo a buone condizioni, e non si tratta di fallimento, ma di sistemazione di affari, alla quale lavoro e lavorerò anche in seguito. E quelle rose? - domandò donna Paola sorridendo. Franco, sapendola ammalata, mi aveva detto di nasconderle la sua partenza mandandole ogni giorno quei fiori che le facessero credere che egli fosse ancora qui. Povero, caro amico! - esclamò riversando la testa sui guanciali accasciata da quell'insperata consolazione. Veda, io non posso ancora regger la penna e ho detto di sentirmi forte per poterla ricevere, ma gii scriva lei, gii dica che aspetto una lettera sua e che quelle rose-quelle care rose mi hanno tenuta in vita. Ormai la felicità le impediva di aver reticenze con Roberto, e la fisonomia dolce e compassionevole di lui la spingeva alla confidenza. Gli pareva di parlare a un amico e gli rifaceva la storia delle sue angosce di quelle ultime ore, gii diceva che il suo male derivava da una immensa gioia distrutta; lo supplicava di tornare a visitarla spesso, molto spesso. Roberto si sentiva a disagio. Non voleva cullarla con vane speranze, e lo stato veramente lagrimevole di Paola impedivagli di essere veritiero e di dirle che Franco non meritava quell'appassionata adorazione che ella gii portava. Ogni momento faceva atto di alzarsi, ma la marchesa con uno sguardo supplichevole lo tratteneva, dicendogli : È tanto difficile che mi trovi sola un'altra volta che possa parlare con lei liberamente come stadera; rimanga. E Roberto rimaneva ad ascoltare lo sfogo di quell'anima sensibile, divorata dall'amore, che pareva da un momento all'altro dovesse abbandonare il corpo. Ed era lei che Franco aveva chiamato a sparger di fiori e di lagrime il suo cadavere! La visita era durata due ore e Roberto, nello scender le scale, pensava con raccapriccio al grande, all'immenso egoismo di Franco che voleva morendo uccidere una povera creatura colpevole soltanto di amarlo. E il fratello allora gii apparve vile come quei Werther da strapazzo, che inducono una donna a farsi ammazzare da loro, esaltandola al pensiero di una riunione eterna nella morte, e quasi sempre tremano nello sparare contro se stessi e vi rinunziano o si feriscono leggermente. Povera donna! - esclamò, - se potesse dimenticarlo! ma non lo dimenticherà. Il cuore di Roberto era una di quelle arpe divine che vibrano al soffio di ogni umano dolore, che si commovono non in ragione della sventura maggiore o minore, ma del grado di resistenza dell'infelice che deve sopportarla. E Paola a gli occhi suoi apparve debolissima. Il sentimento era il perno della vita di quella donna, anzi era la vita stessa. Tutte le altre facoltà, lasciate sonnacchiose da una educazione sbagliata, erano subordinate a quello. Non lo sapeva. Paola non gli aveva fatto nessuna confidenza sulla vita anteriore al matrimonio, ma era sicuro che quella pallida creatura era cresciuta fra le mura claustrali di un convento, ove le tendenze appassionate dell' anima si erano manifestate ora nelle estasi della comunione con lo sposo celeste, ora nell'adorazione di San Luigi, ora nella passione per una compagna. La religione, questo balsamo delle anime forti, questo rifugio delle menti torturate dal dubbio, era stata un eccitamento troppo forte per quella sensitiva. Se le persone cui era affidata l'educazione di Paola, avessero capito il frutto che potevano trarre da quella sensibilità, avrebbero dato vigore alla mente della bambina, esercitandola in severi studi, costringendola a pensare più che a sentire, e nello stesso tempo con i! moto razionale, con l'aria, col cibo, avrebbero dato forza ai muscoli. Stabilito l'equilibrio fra quella triade di forze che costituisce la vita dell'individuo, data al sentimento una direzione più ragionevole, Paola sarebbe stata una donna onesta e utile, una di quelle donne che sono una benedizione per la famiglia, sulla quale spargono i tesori della loro tenerezza. Invece era una infelice; e un cenno di Franco sarebbe bastato a farne una colpevole. Ovunque guardava, Roberto non vedeva altro che vittime di una falsa educazione, che forze disperse a danno dell'umanità e del bene, che elementi buoni sviati dal grande scopo e convertiti in cagione di malessere sociale. Come benediva suo padre di averlo diretto, educato; di aver fatto di lui un uomo! E quanto era grande il desiderio di far del bene che lo animava, ma quanto sentivasi impotente dinanzi a tanti dolori, a tanti pervertimenti. Doveva limitare l'opera sua a Franco, pensare a lui solo per non sperdere le forze in altri tentativi che avrebbe dovuto abbandonare subito. Franco bastava per il momento. E tornando in camera scrisse al fratello una breve lettera ringraziondolo di quello che aveva fatto, dimostrandogli una calda gratitudine. Si protestava suo obbligato per togliere all'altro una parte dell'onere della riconoscenza, che spesso è grave a portare e infonde nell'anima del beneficato un sentimento di avversione per il benefattore. Non voleva che Franco provasse rispetto a lui, nessuna avversione; voleva poter spargere nel cuore di quell'indifferente i semi dell'affetto e sperava raccoglierne i frutti, non perché avesse desiderio di farsi voler bene da Franco, ma per nobilitarlo con un sentimento buono. In quella lettera accennò alla visita a donna Paola, gli descrisse lo stato lagrimevole in cui avevala trovata e lo esortò a scriverle una buona lettera, da amico vero, senza sentimentalità e senza lamenti, per calmarla ancora più e trattenerla dal commettere atti inconsulti che potessero comprometterla. Quando ebbe terminata quella lettera, Roberto si sentì preso da un sonno prepotente. Era il fisico che riprendeva i suoi diritti, che reclamava alcune ore di riposo, dopo due giorni di continua angoscia, di continua tensione della mente. Tutto si confuse a un tratto nel pensiero di Roberto e quasi macchinalmente cercò il letto, e si addormentò di un sonno pesante, scevro di sogni, che sono il ricordo confuso di certe impressioni, che il letargo del pensiero e del sentimento non riesce a dileguare.

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