Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbandonando

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Racconti 2

662698
Capuana, Luigi 1 occorrenze
  • 1894
  • Salerno Editrice
  • prosa letteraria
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

- Ella storse gli occhi e aprí la bocca, annaspando con le braccia che ricaddero subito inerti, abbandonando la testa sui cuscini, pesantemente. - Santa! Santuccia! ... - Nino ruzzolò le scale come un pazzo e, aperto l'uscio di strada, si mise a urlare: - Aiuto, santi cristiani! ... Zia Peppa! ... Zia Pina! ... Mastro Paolo! ... Aiuto! - E alla zia Peppa, che s'era affacciata alla finestra, disse: - Accorrete, per carità! È venuto male a mia moglie ... Io volo dal medico! - E pareva dovesse fiaccarsi il collo pel vicolo, tanto andava di corsa. Cosí l'infelice Nino Spaso si trovò vedovo con quattro bambini su le braccia, quasi senza saper come. Sua moglie s'era sgravata felicemente; e poche ore prima, quantunque coi dolori del parto, gli aveva preparato la minestra e aveva messo a letto i bambini, bella e florida, allegra come al solito, scherzando coi figliuoli che non volevano addormentarsi: - Domani, se siete buoni, vi regalerò il fratellino o la sorellina, che troverò nella sporta dietro l'uscio -. Ed ora stava distesa là, morta, e pareva dormisse, con le mani in croce sul petto, la candela di cera accesa al capezzale, e da piè l'orfanello nato da poche ore, che non avrebbe conosciuto la mamma! - Come mai? Come mai? ... Ah bella Madre santissima! Che tirannia avete commesso, portandovi in paradiso la mamma di queste quattro creaturine! Che tirannia! - Le vicine piangevano zitte, sedute attorno, soffiandosi il naso di tanto in tanto, lasciando sfogare il pover'uomo che se la prendeva con la Madonna e con Gesú Cristo. Bisognava compatirlo; non sapeva quel che si dicesse, balordo, con gli occhi asciutti, fuor di sé dal gran dolore. E si aggirava per la camera, fissando il cadavere a cui avevano coperto la faccia con un fazzoletto bianco; e chiamava: - Santa! Santuccia! - quasi Santuccia avesse potuto udirlo e svegliarsi dal sonno della morte, impietosita da quelle grida. Si erano svegliati invece i tre bambini nella cameretta accanto, e domandavano se dalla mamma c'era già il fratellino o la sorellina trovata nella sporta dietro l'uscio, come aveva promesso. Poveri innocenti! Saltati ignudi fuor dal lettuccio, con gli occhi ancora ammamolati dal sonno e i capelli arruffati, festeggiavano il fratellino baciandolo, toccandolo, prendendolo per le manine; e non sapevano di essere orfani. Né lo avrebbero capito domani, quando non avrebbero piú visto la mamma, come non capivano le smanie del babbo che, affacciatosi piú volte dall'uscio, aveva esclamato: - Ah Cristo! Perché non avete preso questi qui e non m'avete lasciato la moglie? - Farneticava allo stesso modo ancora dopo due giorni, e non sapeva persuadersi che sua moglie fosse morta davvero. - Fatevi coraggio, compare Nino! - E a queste creaturine chi baderà, quando dovrò andare attorno per guadagnarmi il pane? - Rispondeva cosí, tenendo la testa fra le mani, accasciato sulla seggiola, ogni volta che le vicine tentavano di consolarlo. - Non siamo qua noi? - rispondevano in coro le vicine. Infatti esse erano là da mattina a sera; specialmente Nela della zia Peppa, bruna, magra, con grandi occhi neri; Ciccia di mastro Paolo, bionda, pallida, grassottina, con occhi cerulei, seria e lenta; e Carmela di comare Pina, rossa e paffuta, con tanto di spalle e di braccia e tanto di seno; tre ragazze piene di carità, che gli vestivano, gli lavavano i bambini, gli ravviavano la casa, gli preparavano il desinare e la minestra la sera; quasi intendesse ro persuaderlo che, invece d'una sola moglie, ne aveva ora tre; una meglio dell'altra, diceva maliziosamente qualche burlone. - Volete scommettere che compare Nino sarà imbarazzato nella scelta? - conchiuse la 'gna Rosa, la carbonaia lí di faccia. Eh, via! Quel povero compare Nino poteva aver il capo a rimaritarsi cosí presto, con quel gran dolore nell'anima? Infatti, egli se ne stava rincantucciato in casa, piagnucolando, lamentandosi, senza neppur pensare al mulo e al carretto che davano da campare a lui e ai figliuoli. Aveva le braccia e le gambe stroncate, la testa vuota, e pareva trovasse gusto a grogiolarsiI nella propria disgrazia. Era verità però: invece d'una, ora aveva tre mogli in casa, l'una meglio dell'altra; senza cattive intenzioni, s'intende, perché egli badava poco a quelle tre ragazze che gli si affaccendavano attorno e gli apprestavano ogni cura. Né s'accorgeva, poverino, che esse, dopo tre giorni, si guardavano in cagnesco, quasi se lo disputassero, facendo a chi meglio potesse servirlo, precorrendone i desideri, cercando ognuna di mostrarsi piú attenta, piú accorta, piú lesta dell'altra. Era assai ch'egli già notasse il letto sprimacciato molto meglio di quando viveva la sant'anima; la biancheria piú bianca e piú odorosa; i bambini piú ravviati e piú puliti; il desinare e la cena, piú saporiti. - La Provvidenza mi aiuta con la carità delle buone vicine! - E benediva quelle mani che sprimacciavano il letto, le santi mani di Nela; e benediva le belle mani di Ciccia, che lavavano e stiravano la biancheria; e benediva le mani di Carmela, che tenevano cosí ben ravviati i bambini e la casa. E se Ciccia voleva sprimacciar lei il letto, e Nela le diceva, stizzita: - Lascia stare! -; e se Nela voleva vestire e lavare i bambini lei, e Carmela glieli levava di mano con poco garbo: - Bada a fare qualcos'altro -; e se Carmela voleva mescolarsi del desinare o della cena, e Nela la mandava via di cucina, brontolando: - Qui basto io! - il povero vedovo sorrideva tristamente. E quando Carmela arrivava la prima, di buon'ora, e non mancava mai di dirgli: - Che ci vengono a fare quell'altre? Ho braccia solide io - e faceva osservargli che Ciccia era d'impaccio con quel suo fare lento, da tartaruga, e che Nela non era buona neanche ad arrostire due fave, Nino si stringeva nelle spalle e le dava tacitamente ragione. E dava ragione a Ciccia, se ella gli parlava male di quel fagotto della Carmela, che s'affannava e si dimenava tutta senza conchiuder nulla; e dava ragione a Nela, se cos tei gli susurrava all'orecchio che quelle altre erano due pettegole buone a niente, e non sapevano dove stesse di casa il governo d'una famiglia, ma pensavano alle pompe, a lisciarsi, a pettinarsi, a pararsi coi quattro stracci che possedevano. Che poteva mai fare, pover'uomo? Doveva dar ragione a tutte e tre, per vivere in pace. Ciccia e Carmela però, vedendo Nela star troppo attorno al vedovo, brontolavano insieme: - Che civetta! - Cosí Carmela e Nela si trovavano di accordo nel dir male di Ciccia, allorché, seduta in un canto presso il vedovo, faceva lunghi pissi pissi con lui, quasi fosse stata la padrona e avessero dei segreti fra loro! Allo stesso modo, Nela e Ciccia levavano i pezzi di Carmela, se si metteva in maniche di camicia, per darsi l'aria di massaia, mostrando le belle braccia e il resto, senza vergogna di sciorinarglieli sotto il muso; ma compare Nino neppur le badava! Compare Nino, veramente, badava a godersi quella grazia di Dio, né parlava piú della morta, né sospirava piú, quantunque rimanesse sempre in casa, anche dopo che i giorni del lutto erano terminati. Stavasene seduto in un angolo, tutto rannicchiato, o si stendeva sul letto, con le braccia dietro il collo, e si faceva cercar in capo, per svago, perché provava una specie di sollievo nel sentirsi formicolar fra i capelli quelle dita di ragazze, stando con gli occhi socchiusi, quasi tentasse di addormentarsi per addormentare cosí la pena della propria disgrazia. Un giorno, dopo desinare, Nela, che lo cercava, con le dita fra i capelli, uscí a un tratto a domandargli: - Compare Nino, e ora che pensate di fare, con quattro bambini su le braccia? - Compare Nino aperse gli occhi, e la guardò fisso, meravigliato di questa domanda. Quel giorno gli parve che le dita di Nela fossero piú delicate in quel lavoro di solletico tra i capelli e su la cute del capo. Ma il giorno appresso, venne la volta di Ciccia, che disse: - Compare Nino, chi sa quali mani vi cercheranno in capo da qui a sei mesi? - Compare Nino aperse gli occhi, e la guardò fisso, come aveva fatto con l'altra; e ci corse poco non rispondesse: - Quali altre mani posso trovare meglio delle vostre? - Il giorno dopo però, si rallegrò di non esserselo lasciato scappar di bocca. Carmela gli passava e ripassava le dita fra i capelli, rimescolandoglieli, grattandogli delicatamente la cute; e le belle braccia ignude gli sfioravano le guance e gli orecchi, quasi volessero unire al solletico una dolce carezza. Ella intanto non gli diceva nulla; non gli domandava che pensasse di fare con quattro bambini su le braccia; né si preoccupava delle mani che gli avrebbero cercato in capo di lí a sei mesi; ma cercava, ce rcava delicatamente, con le dita tra i folti capelli, e talvolta gli posava il braccio nudo sulla guancia, senza malizia forse; ed egli sentiva come avesse sode, fine e fresche le carni. Il povero vedovo la lasciava fare, non apriva gli occhi, e cacciava giú, in fondo al cuore, il rimorso che saliva a morderlo. - Appena otto giorni da che quella poveretta era spirata su quel letto, e già stava per dimenticarla! - Avrebbe preferito che le cose fossero andate in lungo sempre cosí; ma una mattina venne su la zia Peppa, mamma di Nela, con rocca e fuso, seria seria. - Compare Nino, io mi chiamo Santa Chiara; e a voi il parlar chiaro non deve dispiacere. - Dite pure, comare Peppa. - Se siete uomo di onore, e c'è la volontà del Patriarca san Giuseppe ... - Ma non poté continuare, perché sopraggiunse mastro Paolo, con la fetida pipa in bocca. Veniva a visitare il compare, e si rallegrava di vederlo star bene. Mastro Paolo, tiratolo in disparte, gli chiese scusa se Ciccia non sarebbe salita piú da lui. - La gente sparla. Debbo fare un omicidio? ... Se voi, compare, avete buone intenzioni ... - Quel giorno, venne soltanto Carmela; e si sbracciò, com'era solita, e ravviò la casa, sprimacciò il letto, cucinò il desinare. Impastò anche il pane, zitta zitta, e fece le focacce pei bambini; e quando, piú tardi, giunse la balia che allattava l'orfanellino, glielo tolse dalle braccia, disfece le fasce, gli ricambiò i panni, proprio come una mamma, quasi già fosse abituata; e poi domandò: - Compare Nino, debbo dare una manciata di fave alla balia? - La zia Peppa torse il muso, e nell'andar via disse a compare Nino in un orecchio: - Che le costano a lei le fave? - Anche mastro Paolo, ripulita la pipa e battendola sul pomo della seggiola, si alzò imbroncito; e stringendogli la mano, brontolò sottovoce: - Ho capito, compare: vi piace mangiare nel piatto dove altri ha mangiato prima di voi. Buon pro vi faccia! - Carmela, che aveva udito ogni cosa, rimettendosi il grembiule, disse: - Compare Nino, mi dispiace pei bambini ... - E fu interrotta dal gruppo di pianto che le strinse la gola. - Lasciateli dire. So che sono calunnie; parlano per rabbia - rispose Nino. - Fatelo per quelle creaturine, comare Carmela -. Il giorno dopo però erano lí tutte e tre; e non si scambiavano una parola, rabbiose, intolleranti, ognuna levando di mano all'altra i servigi da fare. Cosí il desinare andò a male e prese il bruciaticcio; i bambini rimasero sporchi e spettinati; la casa, tutta sossopra; e nel letto mal rifatto le materasse parevano riempite di sassi. Nela ruppe due piatti, e se la prese con Ciccia e Carmela, sporcaccione disadatte. Ciccia rovesciò il catino per terra e inondò la camera, e per poco non venne alle mani con Ca rmela, cialtrona, che non era altro, da non averci che fare. E Carmela rispostò con tanto di bocca e le mani sui fianchi, urlando che compare Nino era un grullo, e si lasciava menare pel naso da quelle due sgualdrinelle! - Che c'entro io? - diceva compare Nino. Quella notte, tra pel frastuono di tutta la giornata e tra pel letto pieno di gobbe, il povero vedovo non chiuse occhio. - E pretendono che ci ho tre mogli, invece di una! Troppa grazia, sant'Antonio! - egli esclamava, dopo due altri giorni di quella baraonda. - Bisogna decidersi; cosí non può andare. Se non ci fossero i bambini ... Ma poiché il Signore ha voluto cosí! ... - E si decise la sera dopo. Le braccia fresche, sode, dalla pelle fina, che gli avevano accarezzato la guancia, non le aveva piú dimenticate; e appena Carmela, che in quel momento si trovava sola in casa di lui, vistolo arrivare col carro, scese giú nella stalla per aiutarlo a levar gli arnesi al mulo, egli la prese per una mano: - Sentite, comare Carmela ... - Lasciatemi stare, compare Nino ... - Sentite, comare Carmela: se mi giurate che è un'infamità quel che di voi dice la gente! ... - E quando vi avrò giurato? Mi crederete? - Vi crederò, per l'anima santa della morta! - Allora ... ve lo giuro, per questa croce di Dio! - rispose Carmela, baciandosi i pollici incrociati. Il giorno delle nozze, al ritorno degli sposi dalla chiesa, Nela e Ciccia, già ridiventate amiche per far dispetto a quell'altra, erano in istrada, fra le altre vicine, e si sforzavano di parere allegre. La gna Rosa gettava manate d'orzo addosso agli sposi: - Salute e figli maschi! - Non c'è pericolo - borbottò malignamente mastro Paolo. - La prova è stata fatta! - Nela e Ciccia scoppiarono a ridere sgangheratamente. Allora Carmela, fingendo d'avere la tosse, sputò tre volte dietro a sé, e infilò l'uscio: - Crepate! - Catania, aprile 1888@. 1888.

I PESCATORI DI BALENE

682388
Salgari, Emilio 1 occorrenze

- esclamò il fiociniere, abbandonando con precauzione il nascondiglio. - Animo, mio caro Koninson, se sei venuto fin qui non devi tornare al campo a mani vuote. Sapendo quanto gli orsi bianchi siano diffidenti e difficili a lasciarsi accostare se non sono affamati, si gettò sottovento onde l'animale non lo fiutasse e guadagnò la riva del fiume sempre tenendosi celato dietro i tronchi degli alberi e le irregolarità del terreno. Giunto là, s'alzò sulle ginocchia tenendo in mano il fucile e guardò. A trenta soli passi di distanza egli scorse l'orso bianco occupato a divorare le coccole rosse dei cespugli e le tenere gemme di alcuni minuscoli salici d'acqua che crescevano stentatamente fra la neve. Senza dubbio non si era ancora accorto della presenza del cacciatore, poichè non dimostrava alcuna inquietudine, anzi lentamente gli si avvicinava. Koninson imbracciò il fucile e mirò lungamente la testa del mostro, non ignorando che, se lo avesse colpito in qualunque altra parte del corpo, non lo avrebbe atterrato. Alcuni istanti dopo la detonazione del fucile si fece udire scuotendo fortemente gli strati dell'aria. Quando il fumo si dissipò, il fiociniere, con suo grande terrore, vide l'orso che saliva la riva di galoppo, aprendosi impetuosamente il passo fra i cespugli. Nessuna macchia di sangue si scorgeva sulla bianca pelliccia, segno chiaro che la palla si era perduta altrove. Mancava il tempo di ricaricare l'arma e anche di fuggire, poichè l'orso non era più che a pochi passi. Il fiociniere in quel terribile frangente non si perdette d'animo. Afferrò il fucile per la canna e quando si vide l'animale dinanzi, lo percosse replicatamente sul muso. Disgraziatamente l'arma gli sfuggì di mano mentre vibrava un terzo colpo e si trovò inerme. Impegnare una lotta corpo a corpo col coltello era cosa troppo pericolosa con simile avversario, la cui forza è veramente straordinaria, se non eguale, certo di poco inferiore a quella del terribile orso grigio delle Montagne Rocciose. Non restava che fuggire a tutte gambe. Koninson si appigliò a questo partito, e si diede a precipitosa fuga attraverso la foresta, mandando alte grida per attirare l'attenzione del tenente che non doveva essere molto lontano. Superò, correndo disperatamente, la piccola altura procurando di tenersi presso gli alberi onde, in caso disperato, salvarsi sui rami; poi si lasciò scivolare o meglio rotolare fino al basso, dove incontrò il tenente che si era affrettato ad accorrere col fucile e una scure. - Cos'hai? - gli chiese questi, precipitandosi verso di lui. - Che ti è accaduto? Chi ti insegue? - Fuggite! Fuggite! - esclamò Koninson rimettendosi in piedi. - Ho un orso bianco alle spalle. - Un orso! E dov'è? - L'ho incontrato presso le rive del fiume e si era messo a inseguirmi, dopo essere sfuggito al mio colpo di fucile. - Se si mostra avrà una buona accoglienza, ragazzo mio. Ma dov'è il tuo moschetto? - Mi è sfuggito di mano mentre mi difendevo. - Bisogna andarlo a riprendere, o quell'animale te lo rovinerà tutto. Orsù, prendi la scure e andiamo a vedere. - Badate, tenente, che abbiamo da fare con un orso affamato, il quale si getterà su di noi. - Siamo in due e possiamo tenergli testa. Hai nulla di rotto? - Sono intatto. - Allora silenzio e avanti. Il tenente, che ci teneva assai ad abbattere il carnivoro per rinnovare le provviste già molto scarse, salì intrepidamente l'altura a rapidi passi, fiancheggiato da Koninson, il quale trovandosi male armato tentennava, e giunto sulla cima gettò uno sguardo sul versante opposto, in direzione del fiume, ma. non vide nulla, nè udì il ben noto nitrito del pericoloso avversario. - Dove si sarà nascosto? - si chiese. - Forse dietro a quelle macchie - rispose il fiociniere, indicando i cespugli che crescevano sulle sponde del Porcupine. - Non ti ha inseguito? - Non lo so, poichè non ardii voltarmi indietro. - Scendiamo, amico mio. Tenendosi dietro ai tronchi degli alberi e cercando di produrre meno rumore che fosse possibile, per sorprenderlo e sparargli addosso prima che potesse fuggire, raggiunsero i cespugli e precisamente il luogo ove era avvenuta la lotta. Guardarono attorno alle piante, sulla riva e nel fiume, ma l'orso bianco non c'era e, quello che era più sorprendente, non c'era nemmeno il fucile perduto dal fiociniere. - Tò! - esclamò il tenente al colmo della sorpresa. - Che abbia mangiato il moschetto? Eppure non è una bistecca. Si misero a frugare nelle macchie colla più grande attenzione, visitarono i crepacci, girarono i tronchi degli alberi per un bel tratto di bosco, ma sempre nulla: il fucile era proprio scomparso. - Che ne dici? - chiese Hostrup, che si grattava furiosamente la testa. - Io dico che questa sparizione ha del soprannaturale, - rispose Koninson. - Che l'orso abbia portato con sè l'arma? - E per che farne? - Non lo so davvero, Koninson. - Che sia venuto qui qualche indiano? - Non è possibile, poichè non vedo sulla neve che le tue traccie e quelle dell'orso. - E allora? - Che sia un orso ammaestrato? - Ma non vi sono serragli nei dintorni, che io sappia, signor Hostrup. - Ma vi possono essere degli indiani. - E voi credete ... - Io non credo nulla, ma dico che quell'orso può appartenere a qualche banda d'indiani. - E voi supponete che il birbante abbia portato il mio fucile ai suoi padroni? - Così deve essere. - Cosa dobbiamo fare? - Inseguire il ladro. - Ben detto, signor Hostrup. - Ecco qui le traccie che ha lasciato sulla neve. Ha disceso la riva, ed ha attraversato il fiume dirigendosi senza dubbio verso sud. Forse dietro a quella foresta sorge un accampamento di indiani. - Allora andiamo, ma ... e la nostra slitta? - La ritroveremo nel ritorno. - Ma i lupi la saccheggeranno. - Faranno un ben magro bottino, amico Koninson. Orsù, in cammino. Discesero la riva, attraversarono il fiume che in quel luogo misurava circa duecento metri di larghezza e risalirono l'opposto pendio entrando in un'altra foresta, sotto la quale scorrazzavano diversi lupi bianchi di dimensioni non comuni. Le traccie dell'orso furono ben presto ritrovate ed assieme ad esse l'impronta del calcio del fucile. - Si direbbe che quel birbante adopera la mia arma come un bastone - disse Koninson. - Deve essere un gran burlone! - rispose il tenente. - Ora che ci penso, che sappia anche adoperare il fucile? Non vorrei che ce lo scaricasse contro a tradimento. - Mi hai detto che non hai avuto tempo di ricaricarlo, quindi questo pericolo non esiste. Affrettiamo il passo e apriamo ben bene gli occhi. Si rimisero in cammino sempre seguendo le traccie del carnivoro ma, percorsi duecento metri, tutti e due tornarono a fermarsi in preda ad una certa inquietudine. Da una fitta macchia di pini e di abeti neri, usciva una grande cortina di fumo che strisciava lentamente sul campo gelato prolungandosi infinitamente, e in distanza si udivano delle voci umane. - Un accampamento? - chiese Koninson. - Senza dubbio! - rispose il tenente. - Andiamo innanzi? - Sì, ma con prudenza. Se sono indigeni potremmo venire scambiati per nemici e accolti molto male. - Vedete? - esclamò Koninson, - le traccie dell'orso si dirigono verso quell'accampamento. - Lo dicevo io, che quel burlone doveva essere ammaestrato. Gettiamoci dietro questi alberi e procediamo cauti. Stavano per eseguire quella prudente tattica, quando delle urla selvaggie scoppiarono alle loro spalle. Si volsero rapidamente l'uno puntando il fucile e l'altro impugnando la scure. Alcuni uomini, che si erano forse tenuti nascosti dietro i tronchi degli alberi o i mucchi di neve, correvano loro addosso agitando certe fiocine e certi ramponi di forma particolare ed alcuni vecchi fucili. Essi giunsero come un uragano fino a pochi passi dal tenente e dal fiociniere, poi si fermarono di colpo in un atteggiamento che nulla aveva di ostile, e uno di loro, il capo senza dubbio, facendo un passo innanzi, disse con voce abbastanza graziosa e in lingua russa: - Siate i benvenuti. I Tanana sono vostri amici!

Cerca

Modifica ricerca