Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbandonando

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Demetrio Pianelli

663139
De Marchi, Emilio 2 occorrenze

E come ci si sta bene ... " soggiunse, mettendosi a sedere e abbandonando la persona sullo schienale. "Dovreste regalarmela." "Pigliatela." "Dico per celia ... No, no, son venuta invece per parlarvi di una cosa seria, che voi sapete già. Eravate forse già venuto apposta per parlarmene, ma io vi ho confusa la testa colle mie storie." "Oggi a me domani a te" mormorò Demetrio, tanto per dire qualche cosa, senza badare se la sentenza che gli usciva di bocca tornava piú o meno a proposito. "Avrete già capito di che cosa si tratta." "Di che cosa?" dimandò ingenuamente Demetrio, che in quel momento non era ancora entrato nell'idea di Beatrice. "Non avevate una certa lettera da consegnarmi?" "Ah!" esclamò rimpicciolendo gli occhi, "è vero ... l'ho persa." "E io l'ho trovata." "Do ... dove l'avete trovata?" "Indovinate." "Ma, non saprei ... ." "Tra la sponda e la coperta del letto." Beatrice non seppe trattenere un altro trasporto di ilarità. "To' ... " disse Demetrio, socchiudendo quasi del tutto gli occhi, mentre imponeva a sé stesso di non essere troppo imbecille. "Trattandosi di uno sposo, è quasi un augurio ... ." "E ... avete ... letto?" "Naturale." "Meglio, già, la lettera era per voi. E avete ... avete anche pensato?" "Non vi so dire, caro voi. Mi pare una cosa cosí strana!" "Che cosa?" soggiunse l'altro, stiracchiando le parole per sostenere un dialogo, che minacciava di cascare d'ambo le parti. "L'idea che io possa rimaritarmi." "Ebbene?" continuò Demetrio, pesando e compesando le parole, mentre si tirava la coltre piú sopra la bocca. "Ho voluto prender tempo a riflettere e per questo non sono venuta a trovarvi prima, perché temevo che me ne parlaste ... ." Beatrice disse queste parole cogli occhi bassi, seguendo colla punta del suo parasole le screpolature dell'ammattonato. Seguí un po' di silenzio. "E adesso avete deciso?" chiese finalmente il malato. "Adesso non so. Se devo rimaritarmi non lo faccio per me, ma per i miei figliuoli. Non posso fare un matrimonio di slancio come si dice, né di poesia, si sa, è naturale; ma devo riflettere a molte cose, dico bene? L'offerta del signor Paolino fa onore al suo buon cuore. È un galantuomo, un uomo di gran cuore e penso che se il povero Cesarino legge nelle mie intenzioni, non può che approvarmi. Anche la sua posizione è buona. Dicono che sia molto ricco. Anche l'idea di andare in campagna non mi dispiace. Ho patito tanto in questo brutto Milanaccio, che mi sembrerà d’essere un uccello fuori di gabbia. Penso anche a quel povero uomo di mio padre, che invecchia e peggiora tutti i dí. Non c'è piú nulla a sperare nelle sue cause e anche il sogno della dote è sfumato. Voi non potreste continuar sempre nei vostri sacrifici, e poi dovete pensare anche ai casi vostri. La Carolina ... vi ho detto che è stata a Milano? Sicuro, fu a trovarmi ieri l'altro dopo forse vent'anni che non si moveva dalle Cascine, e me ne disse tante che mi ha quasi persuasa. Povera donna! Un gran cuore anche lei ... ." "Che cosa vi ha detto la Carolina?" interruppe Demetrio con voce soffocata dall'emozione. "Che cosa si diceva? Ah ... ! mi ha detto che voi avete già dovuto ricorrere piú d'una volta per grosse somme a Paolino per far fronte a molte spese. Il matrimonio metterebbe un bel saldo a tutto ... ." "È vero," esclamò con improvvisa eccitazione Demetrio. Le sue guance s'infiammarono un momento, poi d'un tratto impallidirono. "È vero," seguitò "a questo non ci avevo pensato. Il matrimonio salda tutto. Va benissimo, e poi?" "E poi siamo rimasti intesi che prima dell'agosto il matrimonio non si abbia a fare anche per rispetto ai morti e per riguardo alla gente. Paolino ... ." "È stato a Milano anche lui?" "Sí, ieri ... ." "O bello ... bello ... " esclamò Demetrio, con uno scoppio nervoso d'ilarità. "Perché ridete?" "Cosí, per nulla ... So che egli è tanto innamorato ... ." "È buono ... Mi ha fatto già un mucchio di regali." "Sí, sí ... non guarda a spendere ... " soggiunse Demetrio ridendo sempre e asciugando col lenzuolo l'umore che l'immensa soddisfazione gli spremeva dagli occhi. "E che cosa ha detto Paolino?" "Ha detto che il matrimonio si può fare in campagna, e preferisco anch'io cosí. Ma per questo bisogna che la sposa scelga il suo domicilio legale in campagna, tre mesi prima del matrimonio, nel Comune dove vuol maritarsi. Paolino mi ha detto di chiedere a voi che passi si possono fare." "Io non saprei che passi ... " fece Demetrio con un sorriso morto e penoso. "Nel qual caso si sceglierebbe il Comune di Chiaravalle, che è a quattro passi dalle Cascine." "Benissimo." "Cosí si possono fare le cose quiete." "Giusto." "Paolino ha detto anche che vi scriverà e verrà egli stesso a trovarvi." "Mi farà piacere." "Dovrò poi ringraziarvi anche voi." "Di che cosa?" "Di aver pensato al mio bene e a quello de’ miei figliuoli." Demetrio questa volta non aprí bocca, ma sollevò uno sguardo umile e quasi pauroso. "E ora pensate a guarire" soggiunse Beatrice, alzandosi. La sua persona pareva quasi ingrandita nell'angustia della stanza. Raccolse i lembi del velo, se lo aggiustò un poco nei capelli, alzando le braccia, e fece qualche passo per uscire. Ma si ricordò di essere venuta anche per un altro motivo importante. "A Paolino, naturalmente, non ho detto nulla di quell'altra storia." "Quale?" "Quella del braccialetto e del cavaliere. È una storia noiosa e stupida che è meglio lasciar cadere, anche per voi, non vi pare? Solamente fatemi il piacere, con vostro comodo, quando sarete guarito, di consegnare al portinaio di quel signore il suo regalo, che io non voglio assolutamente tenere (Beatrice levò da una tasca del vestito l'involtino e lo collocò sul tavolino) e se non vi disturba, di unire anche le cento lire. Queste ve le restituirò alla prima occasione, risparmiando qualche spesa inutile: ma a Paolino non dite nulla, come se non fosse capitato nulla; e nemmeno a quel signore non dite nulla: capirà da sé." "Va bene ... " disse Demetrio con voce fredda e asciutta. "Ve lo lascio qui il prezioso regalo?" "Sí, lasciatelo lí ... ." "E che ne dite voi?" "Di che cosa?" "Di questo matrimonio." "Bene, benissimo, tutto bene ... ." Beatrice si fermò ancora un poco a parlare di Arabella, dei Grissini e di cose indifferenti: diede ancora un'occhiata alla bella vista: passò anche sulla ringhiera, lasciando l'ammalato solo nel suo letto di spine: rientrò, gli raccomandò di nuovo di guarir presto, e se ne andò via quasi di furia, chiamata dall'improvviso pensiero dei figliuoli, ch'erano rimasti in casa soli e l'aspettavano per la colazione. E cosí la bella storia finiva, come doveva finire. Chi aveva detto a lui d'innamorarsi? che colpa aveva quella povera donna s'egli era pazzo? di tutti i suoi tormenti e di quel gran male, che gli faceva il cuore gonfio, Beatrice non s'era manco accorta. Quel po' di bene ch'egli aveva fatto a lei e a’ suoi figliuoli era stato saldato dai denari di Paolino. Ecco, signor Demetrio, come vanno le cose del mondo. Un'altra donna forse ... , ma che altra donna! è il mondo fatto cosí, è la sorte degli ingenui, era il suo destino, il suo pianeta ... Non valeva la pena di voler male per questo a una povera creatura, che pensava al bene de' suoi figliuoli, e nemmeno a un galantuomo che operava con sincerità e con bontà d'intenzioni. Fossero felici tutti quanti! A lui rimaneva il suo tormento, la sua brace nel cuore. La ruota della fortuna non gira senza schiacciare qualcuno. Egli ricuperava la sua vecchia libertà, rientrava nel suo guscio, tornava alle sue erbe — povere erbe tanto dimenticate, — a’ suoi canarini, a rattoppare le sue scarpe, a trascriver protocolli e rapporti, precisamente come prima, forse piú sicuro di prima, come un uomo che si desta da un sogno di tre mesi, durante i quali abbia vissuto una vita diversa e stravagante. Provava il senso di chi torna al suo paese dopo un lunghissimo giro per il mondo, colle scarpe rotte, bisognoso di riposare, di chiudere l'uscio di strada, di rivedere i vecchi mobili ricoperti di polvere, in attesa che le mani e la testa rientrino nelle vecchie abitudini, dalle quali forse sarebbe stato meglio non uscire. Ecco i pensieri che lasciò dietro di sé, nell'uscire, quella donna, e che vennero a sedersi sul letto del malato. Ma al disotto di questa stanca rassegnazione, Demetrio sentiva un gran vuoto, come se nell'uscire quella donna avesse portato con sé qualche cosa di cui un uomo non può far senza per vivere. Non era il cuore, no: il cuore, a furia di colpi, si indurisce e impara a resistere. Ciò che lo pungeva era un pensiero che non avrebbe saputo mettere in carta, ma che egli riassumeva all'ingrosso in una parola: la fede ... Sí, egli aveva creduto per un momento di esser buono a qualche cosa in questo mondo. Colla sua fede aveva abbracciato i dolori di una povera famiglia, sollevata un'anima dal purgatorio, salvato dal disonore il nome di una famiglia, creato il sentimento di quella donna ... Oh sí, quella donna l'aveva in certa qual guisa creata lui. La gente non aveva che scherno e disprezzo per la povera bambola; ed egli s'era illuso per un momento che la bambola avesse sangue e lagrime e sentimento ... e che gli volesse infine un poco di bene. E invece nulla, nulla, nemmeno una parola di carità. Essa era venuta piú per sbrigarsi di una convenienza e di un braccialetto che per chiedergli un consiglio, piú per pregarlo a fare dei passi per lei, che non per consolare un povero malato. Si vedeva che la felicità era seduta come in un trono nel suo cuore: le gote, gli occhi, la voce, i movimenti mandavano fuori la contentezza da tutte le parti. Essa stendeva avidamente le mani all'occasione per paura che il momento la portasse via. Aveva ragione, ciò forse era giusto e naturale in quella donna ... ma una parola di carità costa cosí poco! E invece niente, niente per lui. Demetrio si sollevò e si pose quasi a sedere sul letto: sentendo mancare il respiro, chiuse strettamente gli occhi, abbandonando la testa senza forza sul cuscino, e lasciò che queste idee monche e cozzanti tra loro finissero d'agitarsi. Beatrice era morta per lui, era morta e sepolta nel cuore che l'aveva creata. Tranne la sua mamma, nessuno gli aveva voluto bene a questo mondo. Eppure egli non aveva mai fatto male a nessuno, anzi ogni occasione era stata buona per lui per lavorare, per struggersi, per far mortificazioni e sacrifici. Povero illuso, povero scemo! Il mondo ama piú le apparenze che la sostanza, e non c'è nulla che piú offenda la gente incapace di bene quanto la vista del bene che fanno gli altri. Non potendo difendersi dal bene che ricevono, gli uomini cercano di non accorgersene e di dimenticarsene presto, fin che giunge opportuno il momento di vendicarsi con un piccolo trionfo d'ingratitudine. Oh, la sua povera fede! sí, era questa che moriva in quel profondo abbattimento di tutte le forze, in quella crisi nervosa di malinconia. Ora che l'idillio della sua vita era finito e che il lume dell'ultima illusione erasi spento come un razzo nelle tenebre, non gli rimaneva che di morire. Morire! — questa brutta parola risonò come un fischio nelle sue orecchie attutite dal male. — Gesú di misericordia! che idea gli passava ora per il capo? anche a lui, anche a lui lo spettro della morte doveva presentarsi come una liberazione? che avesse perduta veramente ogni fede nelle cose di questo e dell'altro mondo? che Dio e la sua mamma lo avessero proprio abbandonato del tutto? Ah Cesarino! Spalancò gli occhi per bere la luce del giorno e per liberarsi da quel tremendo incubo che lo trascinava a rivedere suo fratello disteso sotto una stuoia fra le ruote d'una carrozza: e gli occhi andarono a posarsi sopra la tazza di vetro, in cui Arabella aveva collocate le belle rose di maggio. Fisso in quei fiori lasciò che le lagrime colassero un gran pezzo in silenzio, come se dentro di lui si sciogliesse veramente qualche cosa di duro e di irrigidito.

Durante il tempo che lo zio Demetrio stette allo sportello a comperare il biglietto, essa sedette sulla valigia, abbandonando le mani sulle ginocchia, assorta in una grande quantità di cose, che non avevano ordine, ma che la trascinavano colla forza di una corrente, di cui sentiva nella testa il frastuono. La stazione era andata di mano in mano popolandosi di gente che si aggirava frettolosa nella luce scialba e biancastra che pioveva dai globi, in mezzo al sordo rotolío delle carriole che menavano i bauli e alle voci sonore e imperiose che annunciavano le partenze. I treni in arrivo fischianti e rumoreggianti sotto la tettoia, il picchiar dei ferri, il suono delle catene, il bisbiglio, lo scalpiccío di tante persone mosse e sospinte anch'esse da pensieri, da voglie, da inquietudini proprie, o dalla forza delle cose, tutto ciò bastò a distrarre Arabella dai pensieri indeterminati, misti di presentimenti e di risentimenti, coi quali essa cominciava troppo presto la storia della sua giovinezza. Guai se gli occhi avessero la vista del futuro! A distrarla tornò indietro lo zio Demetrio, che colla piccola ombrella sotto il braccio e il biglietto in mano le fece capire ch'era giunta l'ora d'andarsene. Giovann dell’Orghen prese la valigia e si avviò verso la scala d'ingresso. Arabella si attaccò al braccio dello zio e lo accompagnò fin sulla soglia. Era pallidissima, ma non piangeva per non conturbare con lagrime inutili la malinconia del viaggiatore. Questi, col corpo in preda a piccole scosse, colle rughe del volto tese a uno sforzo supremo, disse ancora qualche cosa colla mano, mosse le labbra a un discorso che non volle uscire, e lí sulla soglia, sotto gli occhi del controllore, baciò sulla fronte Arabella, mettendole la mano sulla testa, come aveva fatto la sua mamma con lui. E si divisero senza piangere. Demetrio, quando si trovò solo nel suo scompartimento di terza classe, immerso nella poca luce d'un torbido lampadino giallognolo, poté abbandonarsi interamente, con minor soggezione di sé stesso, alla piena dei varii pensieri, che in quell'epilogo della sua oscura tragedia uscivano da cento parti a invadere l'anima. Sentendosi la testa calda come un fornello, quando il treno cominciò a muoversi nella crescente oscurità della sera, appoggiò la faccia al finestrino e stette a bevere l'aria con le labbra aperte, cogli occhi fissi a un cielo non ancora chiuso del tutto agli ultimi respiri del crepuscolo. Passando sul cavalcavia del vecchio Lazzaretto, da dove la città si apre ancora alla vista del viaggiatore in tutta l'ampiezza del corso, co’ suoi bianchi edifici, — e già splendevano di lumi case e botteghe — la salutò con un sospiro. Poi il treno, affrettando la corsa, cominciò a battere la bassa campagna nelle umide e fitte tenebre della notte, assecondando colle sorde scosse il correre tumultuoso dei pensieri. Non era una campagna ignota, anzi erano gli stessi prati suoi, dov'era nato, dov'era cresciuto ragazzo. Oltre il quarto o il quinto casello cominciò a riconoscere anche al buio i vecchi fondi di casa Pianelli, e piú in là San Donato, e tra una macchia bruna di pioppi il fabbricato chiatto e lungo del cascinale, da dove una volta un Demetrio bifolco usciva coi piedi negli zoccoli e coi calzoni rimboccati fino al ginocchio. In una bassura, nascosta da un muro sormontato da un tettuccio a triangolo, riposava da venticinque anni una donna, una povera donna, che inutilmente anch'essa aveva lavorato per il bene de' suoi. " Ciao , mamma ... " disse una voce, che un Demetrio irritato e sordo non volle ascoltare. Un tratto ancora e il treno avrebbe rasentato uno stagno, all'orlo del quale appare la stupenda abbazia di Chiaravalle: ed eccola infatti uscire quasi dall'acqua livida, a venir addosso nella sua nera e solenne costruzione, colla stupenda macchina del campanile impressa come un'ombra sull'aria oscura; e piú in qua, segnato da alcuni lumi rossicci, il solido edificio delle Cascine, la reggia del signor Paolino. A quella chiesa quante volte aveva accompagnato la sua mamma nei tempi che meno si pensava alle miserie del mondo! C'erano, in quell'antico convent o degli angoli cosí tiepidi e santi, con certe figure lunghe e patetiche su per i muri: c'erano dei corridoi cosí lunghi con cento cellette che davano sul verde luminoso delle praterie: c'era insomma in quella vecchia badia del medio evo un tal senso di riposo, che solo a pensarci il cuore se ne immalinconiva. Peccato non esserci vissuto trecent'anni prima! peccato non esserci due braccia sotto terra. In quella chiesa Beatrice avrebbe detto il suo sí un'altra volta. Ributtato da questi pensieri, Demetrio si ritrasse dal finestrino, appoggiò la testa nell'angolo delle due pareti di legno, chiuse gli occhi come se si atteggiasse a dormire; e mentre il treno lo portava via sbattacchiandolo, una canzone ancora in fondo al cuore sussurrò in tono quasi di canzonatura "To-to ... finito."

Cerca

Modifica ricerca