Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbandonando

Numero di risultati: 9 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Da Bramante a Canova

251256
Argan, Giulio 1 occorrenze

E la vittoria finale non tocca alla vita, ché sarebbe davvero una curiosa vittoria uscire dall’irrealtà per cadere nella finzione, abbandonando la natura delle «vere essenze» per ritrovarsi sulle tavole di un palcoscenico sotto le luci false del proscenio. È l’«ideale» classico che, per sopravvivere in questo frangente storico, è costretto ancora una volta a trapassare nella dimensione equivoca, né tutta materiale né tutta spirituale, del sogno: dove non c’è sublimazione senza contaminazione né bellezza che non nasca portando già in sé il germe della propria fine. Fuseli, che non ha il puritanesimo freddo di Blake non teme di abbandonarsi alle soavi debolezze dei sensi e ai teneri capricci dell’anima, lascia che la tenera brezza della grazia di Webb e quella più ardente dell’entusiasmo di Shaftesbury sciolgano in superficie i ghiacci eterni del Sublime. Non servirà: in quella sua dimensione astratta ciò che non si purifica si corrompe subito, scende a sfiorare il torbido, il volgare, l’osceno. Le gentildonne di Reynolds e di Romney, quando non diventano Titania, Elena, Cleopatra, degenerano in lady Roxana e in Moll Flanders; sotto gli eroi di Shakespeare si sente spesso la stoffa di Jonatan Wild. Non più di un velo separa la «belle dame sans merci» dalla prostituta, l’eroe dal «rake»: ché gli uni e altri sono figure dell’arte e ciò che li distingue è soltanto un diverso manierismo sociale.

Pagina 439

Le due vie

254986
Brandi, Cesare 1 occorrenze

Ugualmente letteralisti ed emotivisti, secondo la dizione di Kaplan 1, fondandosi su una concezione dualistica del discorso, emotivo e cognitivo, trasportano sul piano del contenuto semantico (altrimenti designato come riferimento) la dicotomia forma — contenuto, ma, incentrandola decisamente dalla parte del ricevente o fruitore, si trovano nella necessità di buttare alla deriva tutta o una parte della specificità dell’opera d’arte, sia, come fanno i letteralisti, forzando sul riferimento e abbandonando il resto, sia come si sono astretti gli emotivisti, salvando del riferimento solo quanto comunichi un’emozione al ricevente. Nel primo caso si perde la specificità dell’opera d’arte, nel secondo la si lascia in balia del ricevente: nell’un caso e nell’altro, l’accettazione unilaterale del punto di vista del ricevente sopprime di autorità uno dei termini dell’antinomia, senza riuscire a comporla.

Pagina 12

Le tre vie della pittura

255664
Caroli, Flavio 1 occorrenze

Questa riflessione sarà ambientata in un’epoca precisa della storia dell’arte europea, e cioè nel Settecento, secolo di tutte le rivoluzioni, secolo ponte fra l’arte moderna e l’arte contemporanea, secolo nel quale nasce il romanzo e in cui la psicologia, abbandonando la fisiognomica, configura il “personaggio”, cioè attribuisce a ogni creatura uniche e irripetibili caratteristiche interiori, che si manifestano a tutti i livelli, dall’intimo, all’interpersonale, al sociale...

Pagina 7

L'Europa delle capitali

257381
Argan, Giulio 1 occorrenze

Tra fede ed esperienza Michelangiolo sceglie la fede, abbandonando prima l’esperienza della natura e poi quella della storia: il fine ultimo è l’incontro diretto e personale con Dio (fu, notoriamente, in contatto con i circoli romani della “riforma cattolica” di Juan de Valdés) e questo esclude la mediazione storico-naturalistica; l’arte non è più rappresentazione mediatrice, ma processo di ascesi. L’impulso che spinge l'uomo verso Dio, però, è ancora una volontà, anzi un’ansia di conoscenza intellettuale: si cerca Dio perché l’intelletto vuole la verità, ma la verità assoluta di Dio è diversa dalla verità relativa della natura e della storia. Per arrivare a Dio non serve la logica ma l’amore, e l’amore, a sua volta, non è che un modo superiore dell’intelletto. Ma se Dio è il fine ultimo della ricerca, non è più la forma data a priori del creato, cioè una forma che possa mutare negli aspetti esteriori o accidentali rimanendo immutata nella sostanza; è un’idea, un’immagine incorporea che si profila al di là della materia del mondo fisico.

Pagina 40

Pop art

261702
Boatto, Alberto 1 occorrenze

Si delinea così un movimento di regressione che, abbandonando il mondo degli oggetti e delle immagini, tenta di risalire al mondo del soggetto, recuperato nella sua indissolubile totalità di mente e di corpo, uno sganciarsi dalla sfera pubblica del conformismo e del luogo comune, per ritrovare un luogo ideale ed utopico, che si ponga come possibile terreno d’incontro e di formazione di una comunità nuova. Ma a questo punto si abbandonano le prospettive degli anni Sessanta per volgersi risolutamente verso le diverse prospettive degli anni Settanta, cui ha fatto da introduzione, nelle sue indicazioni come nei suoi stessi fallimenti, quell’anno spartiacque che resta il 1968

Pagina 194

Scritti giovanili 1912-1922

262627
Longhi, Roberto 3 occorrenze

Immaginate un post-impressionismo che abbandonando ancora parecchio all'azione del chiaroscuro scavallato tenda a rassodare qualche fluente istantanea visione - forse la vecchia portinaia di Rosso - raccogliendo la materia plastica prima sconvolta, in bulbosità snocciolate con qualche disordine, allato; non è una vera e propria organizzazione di stile ma è ad ogni modo una tendenza allo stile, e la gnoccosità compressa delle carni è di certo dovuta alla trama ossea che punge adunca qua e là come a suggerirei una costruzione sotterranea ma sicura. Ancora: il peso della materia cadente, questa ossessione plastica che domina sull'arte moderna, grava vitalmente espresso dove i bulbi formali si appendono numerosi a un sol filamento nascosto come una serqua di fichi cedevoli stipati ad un solo attacco vegetale.

Pagina 136

Si è costretti al massimo della «relatività» del giudizio, epperciò si è certi che abbandonando quella relatività ci si troverebbe fuori del valore artistico pieno, e che occorre così, occorre ancora aspettare prima di riprendere la narrazione della storia dell'arte italiana. Quante parole allora toccheranno a costoro? forse tre, o cinque, chissà? "Tentativi nel senso di liberarsi dall'accademismo neoclassico furono anche a Napoli dopo il 1840. Un olandese il Pitloo diffuse il gusto per la pittura all'aria aperta, e per il paesaggio, gusto che ben inteso in una sana prosecuzione della vena paesistica del Seicento locale e dell'olandese avrebbe potuto produrre qualcosa di analogo ai paesisti francesi del trenta. Ma i napoletani non escirono dalla idolatria e dalla carezza di quel ricordo seicentesco di Rosa o di Gargiulo. Altri come il Bonolis portavano innanzi il principio della «tonalità» e del «realismo», proprio come Courbet a quei tempi in Francia, ma non fecero corrispondere nulla di buona pittura a quelle esigenze teoriche; e infine, pure carpendo un po' all'una, un po' all'altra di quelle scuole qualche raro accento di verità tonale o di aria aperta, la scuola del Morelli concluse anche meno e si sviò anche più, in cerca di un'arte di «sentimento» o di «passione», come la chiamavano, che non era invece altro. che un po' di stracca simbologia coloristica ad uso di tragicommedie romantiche in pedulini e in giustacuore e d'infingimenti religiosi col contorno di una Palestina studiata sulle fotografie di Goupil. Ora le piccole sensibilità di Morelli per il colore non potevano far troppa resistenza a queste banalità da serenata a mare e alle sue affezioni per la «forma elegante», sotto la quale si nascondeva null'altro che l'Accademia, come sempre nell'arte Italiana del sec. XIX". E forse questo brano dovrà anche scorciarsi.

Pagina 357

Soltanto, i residui della solidità mantegnesca nei corpi dei santi sono tali che si sente come il colore e la luce non riescano a granirne a nuovo la sostanza, sicché v'è ancora un senso statuario nelle figure circonfuse di luce; ma larghezza maggiore è nelle pieghe che cadono ampie e statiche come in Piero, e secondo Piero si modificano in parte anche i tipi che si fanno di squadro facciale più robusto e pianeggiante, abbandonando i tipi sentimentali del primo periodo.

Pagina 95

Ultime tendenze nell'arte d'oggi. Dall'informale al neo-oggettuale

267250
Dorfles, Gillo 1 occorrenze
  • 1999
  • Feltrinelli
  • Milano
  • critica d'arte
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Fu attorno al 1950 che l’artista romano — abbandonando, come dissi, tutta la sua precedente attività — espose per la prima volta alcune delle sue tele astratte, basate sopra un unico e costantemente ripetuto modulo grafico, modulato nelle più diverse guise, ma costantemente ricorrente. L’artista ben presto imparò a moltiplicare il numero delle sue sigle, a rimpicciolirle, a farle giganteggiare, a invertirle, a specularizzarle, a trarne delle scansioni ritmiche, o a ridurle a meri motivi decorativi. Questo, anzi, fu il pregio ma anche il difetto della "scoperta” di Capogrossi, che giunse sino a fare della sua pittura un genere realizzabile a mo’ di stoffa stampata, o di semplice decorazione. Il che tuttavia mostra come un segno veramente efficace dal punto di vista formale possa diventare anche un mezzo trasferibile alla cosiddetta arte applicata, possa entrare a far parte di quel vasto settore della “expendable icone” dell’icone diffusibile alle masse e di cui si sente così acutamente il bisogno. Codesto segno aveva in sé — oltre a una indiscutibile efficacia plastica e compositiva — una misteriosa natura criptica, alcunché di magico e di scientifico insieme, quasi come se si fosse trattato della L. Alcopley, Disegno ricomparsa di antichi simboli tratti da testi ermetici, da cifrari alchemici.

Pagina 39

Cerca

Modifica ricerca