Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Clelia: il governo dei preti: romanzo storico politico

675950
Garibaldi, Giuseppe 2 occorrenze
  • 1870
  • Fratelli Rechiedei
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Abbandonai il liberato compagno e fui tosto presso alla ruota. Appena giunto mi compariva innanzi un angiolo custode cioè uno dei birri il quale s’innoltrava girando la ruota colla sua brava lanterna sorda nella mano sinistra ed una pistola nella destra. Fatto piccin piccino e rannicchiato io lo contemplai in tutta la maestosa sua corpulenza e nella sua apparizione fantastica e quando gli occhi suoi si fissarono spaventati sulla mia fisionomia ben poco piacevole in quel momento avevo già attanagliato la sua destra colla mia sinistra, la mia daga aveva trovato la sede della vita nelle sue viscere ed il corpaccio del birro rotolava cadavere sul terreno. Voi sapete, Capitano, che io sono nemico del sangue e che solo per difesa personale l’ho versato. Ma là non c’era da burlare, sapevo i nemici non meno di cinque e io ero solo... ma che dico? al capitombolo dello sgherro mi avvidi di non esserlo più. Il mio liberato, rifatto agile dall’urgenza, era già sul caduto, Io spogliava delle armi e se ne armava lui stesso. Le mie valenti compagne da una vecchia graticola di tortura avevano staccato due spranghe e s’erano schierate in serrafila per aiutarmi. La situazione era cambiata. Il morto, per adagio che lo avessi spacciato, non avea mancato di dar fuori un grugnito straziante e ciò avea insospettito i compagni e veramente io udii battere in ritirata il nemico perché i passi che noi distinguevamo perfettamente rimanendo in silenzio assoluto si sentivano allontanarsi. Lo ripeto, non c’era da burlare, né da far consigli di guerra per pigliare una decisione. Dalla parte ove eravamo entrati, cercar di uscire sarebbe stata pazzia. E che altra via ci restava? Sapevamo tutti che le nostre romane catacombe, hanno sempre vari usci, la via di scampo non poteva trovarsi che lì, ed anche sta volta non m’ingannai. Un’occhiata significativa al mio nuovo compagno mi confermò nelle mie congetture e senza aprir bocca toccando colla sinistra il cuore egli mi fé’ capire ch’io potevo far assegnamento su lui in un viaggio per quel regno delle tenebre e della morte. Non v’era tempo da perdere: l’alba dovea essere vicina e molte misure dovevano concertarsi nel convento per assicurare la nostra cattura. Gente armata dovunque allo sbocco di ogni uscita del sotterraneo era il meno che si poteva aspettare di trovare tardando. L’acquisto di Tito fu per noi tutti prezioso. Egli non solo era pratico del sotterraneo ma a certa distanza alquanto a sinistra egli raccolse parecchie torcie a vento e le distribuì alla comitiva. La precauzione del mio compagno fu ben utile poiché il mio piccolo cero era sul finire e la lanterna del birro non aveva olio sufficiente per continuare un lungo viaggio sotterra. A destra del punto ov’egli aveva trovato le torcie, Tito mi mostrò un chiarore e mi disse: quell’apertura mette nel giardino del convento e passata che sia, siamo fuori dal pericolo. Camminammo, camminammo certo ben due ore, per un sotterraneo tagliato a scalpello nel tufo di cui come sapete, Capitano, il sottosuolo romano è composto e ne abbiamo visitate insieme di quelle catacombe ben molte nella nostra misteriosa ed illustre terra. Catacombe terribili per chi non le conosce poiché ramificandosi per molti versi esse diventano un vero labirinto per chi non ne ha il filo. Giovani e svelte le due donne eran sempre sulle nostre calcagna. Io chiedevo loro sovente: siete stanche, volete il braccio? ma loro: "Oh! no! Andate pure che vi seguiremo sino alla morte". "Ecco la luce", esclamò finalmente Tito: e veramente davanti a noi comparve come un bagliore che si perdeva nella lontananza. "Da quell’uscio noi giungeremo nel bosco di Castel Guido, da dove mi trassero per condurmi a Roma in un seminario semenzaio d’immoralità e di turpidini". Seminario! ove si seminan preti e donde escono i giovani negromanti per l’edificazione di questa nostra povera Italia! Ed il Parlamento li ha conservati questi vivai di malizia e di corruzione! Parlamento nazionale! Rappresentanti del popolo!... Maledizione ai falsarii!

e mi abbandonai così dicendo nelle braccia di lui. Dopo pochi giorni di preparativi io seguiva Orazio in questa foresta e qui dimoro da più anni. Non dirò, per essere esatta nella mia storia, che sono perfettamente felice. No! provo un’afflizione, l’unica, quella di aver forse accelerata la morte del mio vecchio ed amoroso genitore». Qui una lacrima rigava la guancia bellissima della regina della foresta. Silvia, quantunque stanca, non aveva potuto a meno di prestare attenzione all’interessante istoria dell’amabile ospite, Clelia non ne aveva perduta una parola. Quante volte durante la narrazione non era essa stata sul punto di esclamare: il mio Attilio anch’esso è bello, valoroso, degno d’essere amato di un simile amore! Sì! il mio Attilio!, mio! essa ripeteva a sé stessa, intanto che Irene guidava alla loro stanza le due nuove amiche.

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