Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandona

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Galateo ad uso dei giovietti

183991
Matteo Gatta 1 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Similmente, chi per qualsiasi motivo abbandona il suo posto non ha nessun diritto di rioccuparlo. Se poi al primo affacciarti alla porta d'ingresso t'accorgi che la folla è numerosa e stipata, metti il tuo cuore in pace, acconténtati di quel cantuccio qualunque che trovi, nè voler farti innanzi a furia di spinte, di urtoni, di gomitate. che sono modi da lasciarsi ai contadini nel pigío delle sagre campestri e nel va-e-vieni delle fiere e dei mercati. Nè in platea nè in loggia privata non alzar mai la voce, chè la sarebbe una intollerabile e villana molestia. Eppure qualche volta, in un punto del maggior interesse, quando le orecchie, gli occhi, gli animi degli spettatori sono rivolti alla scena e nell'uditorio non s'ode un zitto, ecco uno scroscio incomposto di risa erompere fuori da un palchetto e distruggere bruscamente quell'illusione, questa tacita corrispondenza fra gli attori e il pubblico che è tanta parte del diletto di cui è fonte il teatro. Giovinetti, fanciulle mie, al certo voi non commetterete mai di codesti atti incivili, che oltre, al suscitare un fremito generale di dispetto e di disapprovazione, all'attirare tutti gli sguardi, accompagnati forse da qualche agra parola, sugli ineducati schiamazzatori, sono prova manifesta, sia nelle donne che negli uomini, di leggerezza di spirito, di nessuna coltura, di un totale difetto d'ogni senso gentile e delicato del bello. Veniamo agli atti non imposti dal dovere, ma consigliati dalla urbanità e dalla pulitezza. Tu, Modesto, sei seduto comodamente, poniamo, in un teatro, in un circo equestre od in qualsiasi altro luogo di pubblico spettacolo. Una signora, giunta troppo tardi, non trova più uno scanno vuoto ed è costretta a starsene in piedi. Che fare? Lasciarla in quella posizione disagiata e sconveniente per due o tre ore? Bisogna cercare un ripiego. Comincia tu a restringerti un tantino: gli altri t'imiteranno, e un po' di spazio sarà subito fatto. Chè se poi le sedie sono numerate, allora non ti resta altro spediente che alzarti e cedere la tua. Capisco anch'io che il sacrifizio è un po' pesante e non è facile trovare chi vi si sobbarchi di buona voglia: ma appunto per ciò, se tu sei da tanto, la tua gentilezza è più squisita e, non esito a dire, cavalleresca. Altro caso. È consuetudine, alla quale il tempo diede forza di legge, che in teatro chi sta in piedi ha diritto di non levarsi il cappello. Ma in una sera di gran folla in cui ciascuno resta, per così dire, inchiodato al suo posto, senza facoltà di libero movimento, chi si trova casualmente innanzi potrà valersi di questo diritto, o abuso che sia, per togliere la vista a quei di dietro? La civiltà non lo permette. In quanto ai segni di approvazione o disapprovazione, guarda di restare nei limiti della giusta misura. Anche qui, come sempre, gli eccessi son riprovevoli. Il giovine educato, pur applaudendo, si astiene ugualmente dall' urlare a squarciagola « immensa! unica! divina! » e da altre siffatte esclamazioni, come pure dall'imboccare un fischietto per trarne sibili assordanti, dal battere dei piedi sul pavimento, dal picchiare colla mazza le panche. Il silenzio generale dell'uditorio, che quando è soddisfatto applaude, non è già una solenne condanna, una protesta del pubblico, un biasimo eloquente? E qui mi permetto una disgressione che non credo fuor di proposito, Fu tempo, e non molto lontano da noi, che in Italia la gioventù ricca e scacciapensieri faceva le sue maggiori prove... in teatro. È proprio così. Impedita dai sospettosi dominatori stranieri o domestici ogni via che riuscisse a più elevata e virile palestra, tutto lo slancio appassionato dei giovani si concentrava in teatro. Che politica, che patria, che utopie di emancipazione e di libertà? « Divertitevi (dicevano i dominatori o chi per essi): l'Italia è ricca, è bella; godete dei doni che vi offre... » I più non pensavano che a mettere in pratica nel miglior modo il letale consiglio: alcuni, quantunque intravedessero il nefasto intento di quelle parole e protestassero in cuor loro contro « ....la viltà tranquilla Di quel ser vaggio che non ha rimorsi, » pure, non offrendosi al momento probabilità e nemmeno possibilità che si potessero mutare le sorti d'Italia, soffocavano nei piaceri il tedio del presente e la voce della coscienza. Un'opera nuova, un nuovo ballo, l'aspettazione d'una gran celebrità della scena fornivano argomento di discorsi e di ipotesi molto tempo prima del giorno della rappresentazione, come se si trattasse di un affare di stato. Poi veniva la sera della gran sentenza, degli applausi, degli urli frenetici, delle ovazioni. Uno o due nomi correvano su tutte le bocche. Per molte settimane il successo di una danzatrice era il tema obbligato dei caffè, delle conversazioni aristocratiche e borghesi, dei giornali. Talvolta l'entusiasmo d'una sera andava alle vertigini del fanatismo e all'idolatria dell'apoteosi. Una moltitudine compatta in giubba nera e in guanti gialli attendeva ansiosamente alla porta del teatro la regina della festa, la divina Tersicore, e, staccàti dal cocchio i vili quadrupedi, si sobbarcavano essi, animali bipedi e ragionevoli, all' ambíto ufficio di trascinarla a casa! Ma non sempre le faccende camminavano così lisce. I giudizii non erano sempre tutti concordi, specialmente se le Tersicori in questo basso Olimpo terrestre erano due. Allora sorgevano dispute calorose, polemiche sui giornali, come succede nelle quistioni politiche; e in teatro era una gara continua tra i due diversi partiti, una gara di battimani, di grida, di urli, di chiamate al proscenio, di piogge di fiori, di corone, di ritratti, di poesie... Che bei tempi! Voglio io dirvi con ciò che il teatro s'abbia a tenere vile? Sarebbe un assurdo enorme. Io volli solo premunirvi contro biasimevoli e ridicoli eccessi. La musica, la drammatica, la coreografia appartengono al novero delle arti belle e devono colle altre camminare nella via del progresso; hanno quindi bisogno della cooperazione del pubblico. Il teatro può essere insieme e gradito passatempo e scuola di pensieri, di affetti, di principii; esso è nobile campo di un ramo così importante della letteratura poetica, la commedia e la tragedia, le quali non raggiungono interamente il loro scopo senza efficacia della rappresentazione. Nella musica l'Italia è maestra delle altre nazioni; le corre dunque il debito di conservare questo vanto. E chi non vede come anche la danza, la mimica, colla varietà e la correttezza plastica delle pose, delle movenze, del gesto, possano venire fruttuosamente in aiuto della statuaria e della pittura?

Pagina 127

Cerca

Modifica ricerca