Giovanni Bellini, in un dipinto ben preciso, la Pala di Pesaro (fig. 5), eseguito tra il 1471 e il 1474, improvvisamente abbandona le sue origini di acribia disegnativa così profondamente legate a Mantegna, cambia completamente le carte in tavola, e inventa la pittura tonale. Infatti, è sufficiente osservare lo squarcio di entroterra veneto (fig. 6), i castelli che si stagliano contro il cielo classico, assoluto, composto, eppure splendente di luce e bellissimo, per comprendere che è avvenuto l’incrocio fra la grande tradizione del Nord Europa e la tradizione della pittura italiana. Per inciso, vuole la cronaca dei tempi che Antonello da Messina, che lavora in questi anni vicino a Giovanni Bellini, abbia importato dal Nord Europa la tecnica della pittura a olio, fornendo così al veneziano lo strumento risolutivo per far scintillare i colori come non poteva fare la pittura a tempera.
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Si può addirittura parlare, come ha fatto Sarat Maharaj, di «etica della differenza», ovvero di un confronto continuo con l’altro che abbandona ogni senso di superiorità colonialista.
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In un rapporto d’amore fondato sulla libera scelta, in un tempo in cui il matrimonio non è più un contratto inscindibile ma una scelta reversibile, due persone si sorreggono a vicenda e sono vitali l'una per l’altra; ma se uno dei due perde il controllo o abbandona il gioco, il legame può rivelarsi mortale.
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