Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I sogni dell'anarchico

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Mioni, Ugo 1 occorrenze

lo crederanno pure un devoto e qualche beatella piangerà lagrime di commozione e loderà Dio che lui, un uomo, si trova nel tempio, ascolta la Messa e crede; prega e crede in questo secolo ventesimo, dove la fede e la preghiera sembravano diventate un privilegio delle donne, che il sesso forte abbandona loro incontrastato. Avessero saputo quelle beate ciò che egli stringeva al suo petto; che cosa sarebbe volato di lì a qualche istante nella chiesa. Sorrise con scherno. I credenti asseriscono che Gesù è Dio e Figlio da Dio, onnisciente ed onnipotente, e che diventa presente nell'Ostia. Ma se davvero è là presente, come va, che non ignori ciò che egli porta sul petto e se lo sa. perche non lo impedisce? Col far scoppiare la bomba in chiesa egli prova che Dio non esiste, oppure, se esiste, nulla sa e nulla può; neppure difendere i suoi fedeli, i suoi ministri, la sua chiesa, se stesso. Questo pensiero dura un solo istante, che poi la sua mente torna ad occuparsi dei suoi sogni. Cerca di distrarsi di nuovo. Come mai gli sono venuti quei sogni? V'è chi sostiene che il sogno è causato da qualche grande sensazione del giorno innanzi, oppure dallo stato fisico dell'individuo; ma egli non aveva mai pensato alle benemerenze della Chiesa, nelle quali non credeva, ed era da anni, che non pensava ne a Cartagine ne a Nerone o a Napoleone, a Filippo II, alla storia d'Italia, e tisicamente si sentiva così bene; digeriva bene; mangiava bene; beveva bene; non sentiva nessun malessere. Donde dunque quei sogni? Ma più, assai più dell'origine dei sogni, lo interessava il loro contenuto; cercava di smentirlo; di convincersi, che quelle erano le pazze fantasie di una mente esaltata: ma non riusciva. Non volle occuparsi più a lungo di quei sogni; ne temeva l'influenza.. Chiuse la corrente elettrica; la stanza venne inondata di luce; balzò dal letto abbenchè facesse freddo, perché non aveva la stufa ed il fuoco del caminetto, la sua specialità, era spento da ore, e si gettò nei suoi panni. Ma mentre si vestiva lo perseguitava il ricordo dei suoi sogni. Voleva smentirli. Diceva a sé stesso: Non sono veri! La Chiesa è stata sempre la maggior nemica dell'Italia ed anzi del genere umano. Ma una voce interna rispondeva: - Tu menti, sapendo di mentire. Non è vero! non è vero! Per fugare quei pensieri tuffò la testa nell'acqua diaccia della bacinella, ma neppure il freddo li cacciò. Passò all'armadio, lo aprì e guardò le quattro bombe di bronzo lucido, bei giallo come l'oro caldo. Provò da principio un immenso piacere alla vista di quei terribili gingilli. Li aveva fatti lui; erano sue fatture; opera sua; egli li aveva saldati, li aveva costruiti con tanta pazienza, li aveva ???Incidati con amore; non dovevano essere soltanto micidiali ma anche belli; li aveva riempiti colla dinamite.... Fu, per un istante, fiero di questi lavori. Ed a dire che essi contenevano la morte di decine di persone; che sarebbero stati la grande voce dell'anarchia; un monito severissimo alla Chiesa, alla borghesia, al putridume strozzinesco, i quali avviliscono l'umanità. Allungò il braccio, quasi per accarezzare quelle bombe micidiali, e specialmente una, la più elegante, a forma d'ovo, che egli aveva destinata per se stesso, che avrebbe lanciata in chiesa, avanti all'altare, per punire... Chi?.... per vendicare..Chi'? Ed i suoi sogni gli si affacciavano imperiosi e gli dicevano: - Mentitore! Inganni tè stesso sapendo di essere nell'inganno. La Chiesa non è stata mai la nemica del popolo nÚ d'Italia, ma anzi tutelò sempre i diritti del popolo ed insorse a difendere l'Italia; s'interpose tra lei ed i barbari; e se l'Italia è tuttora faro di civiltà, lo si deve a lei! ? No, non è vero! ? gridò angoscioso. ? Tutto il male venne al mondo dall'altare, il maggior puntello del trono, che lo sostiene da canto suo. Tutto il male viene dalla Chiesa e perciò... Non potè continuare. Aveva fatto da ragazzo il proponimento di' non fare mai contro la luce. Non voleva respingere mai una verità riconosciuta, ne abbracciare mai un evidente errore. E nel momento stesso, nel quale la dottrina più cara;, l'assioma più gradito, la teoria più desiderata gli sarebbe apparso errore l'avrebbe tosto abbandonato, perché per lui la verità era superiore a tutto. Quando poi era andato a militare nelle file dell'anarchia, aveva detto a tutti i suoi aderenti d'i questo suo proposito; lo sapevano tutti, che egli era passato alle file anarchiche per persuasione; erano fieri di averlo compagno e lo additavano agli altri partiti, come una grande prova della bontà del loro sistema. - Se non fosse convinto, che l'anarchia è il miglior sistema e contiene la verità, non militerebbe nelle nostre file ? dicevano. Ed ora una voce lo rimproverava: ? Tu fai contro la luce. - Pah! Per un sogno! per un sogno sciocco! Chiuse l'armadio e consultò l'orologio. Le sette erano passate di poco. L'amico Narciso sarebbe venuto attorno le otto. Aveva tempo di prendere un caffè. Passò alla finestra e aprì le invetriate, per poter spalancare le persiane. Una raffica di vento freddo entrò nella stanza. Di fuori il buio era ancora perfetto; il cielo gravido di nubi; il lastrico coperto di un alto strato di neve candida, le vie deserte. Per il momento non nevicava. Chiuse rapidamente la finestra, cacciò una berretta di pelle in capo, tirò su il collare del pastrano, cacciò nelle tasche le mani inguantate, usci dal suo piccolo appartamento, scese le scale e passò sulla via. Il pensiero: tu scendi per l'ultima volta queste scale, gli sembrò cosi strano; lo fece trasalire. Pensò: Non potrei lanciare ora, la bomba e approfittare della confusione, che avverrà, per svignarmela? Era per lo meno probabile che avrebbe messo al sicuro la propria vita. Ma poi cacciò questo pensiero. Non voleva sembrare vile; non voleva che si fosse detto l'indomani: la bomba venne lanciata da uno dei nostri soliti avversari, gente vale, capace di commettere il delitto, ma incapace di sopportarne le consegunze. Giunse sulla via e attraverso. Era deserta. Chi mai esce a quell'ora il giorno di Natale? Il freddo era cane; la neve, dura. scricchiolava sotto i suoi piedi, che imprimevano in quella orme profonde. Giunse alla piccola piazza, dove c'era un caffè. Era aperto. Attraverso le lastre, appannate dall'alito di chi si trovava entro, trapelava uno scialbo bagliore. Pose la mano sul saliscendi, apri l'uscio ed entrò. Il caffè era deserto; non v'era allora anima vivente. Chi mai va alla mattina di Natale, alle sette, al caffè? A quell'ora i più dormono ancora; e chi non dorme è in chiesa oppur prende il caffè a casa sua. I pochi frequentatori assidui del caffè nelle prime ore del mattino, operai ed impiegati, non ci vanno il giorno di Natale. Nessuno lavorava in questo giorno ed essi potevano custodire perciò un po' più a lungo le piume. I camerieri sbadigliavano annoiati. Uno gli si fa incontro. ? Buon Natale Egli non risponde. Gli viene il prurito di protestare contro il saluto, contro il Natale, contro i gonzi, che ancora lo festeggiano, ma comprende, che ciò non avrebbe giovato. Ci voleva la rivoluzione ed il trionfo dell'anarchia, per cancellare ogni traccia di superstizione. Si fece portare il suo solito caffè ed i giornali. Fu di malumore al rilevare, che i giornali del mattino non erano usciti, in omaggio alla festa. ? Maledetto Natale! ? mormorò tra sé e se. Il cameriere del suo tavolo gli domandò colla confidenza che concede una lunga conoscenza: ? Ha passato bene la notte di Natale? ? Ho dormito ? fu la brusca risposta. ? Non è stato invitato a cena da nessuno; non ha atteso la mezzanotte? Egli proruppe in una breve risata di scherno. ? Sono superiore a queste scioccaggini! Per me il Natale è un giorno come tutti gli altri, e la notte di Natale ho dormito e sognato, come in tutte le altre notri ? rispose. Il cameriere sorrise. Sorrideva sempre: Osservò: ? C'è chi ci tiene moltissimo ai sogni d'ella notte di Natale. Giovanni Giunti non rispose ma si occupò del suo caffè. II cameriere comprese e si allontanò. Vuotò in fretta la tazza.Non si sentiva ad agio in quell'ambiente pubblico, allora vuoto, sotto gli occhi curiosi dei camerieri sfaccendati, i quali lo osservavano come una rara avis, una bestia strana. Non voleva pascere, colla sua persona, l'altrui curiosità. Fece un breve giro per la città silenziosa, alla luce grigia di un' alba,contrastata delle dense nubi, che velavano il cielo, e poi ritornò a casa per attendere Narciso Rossi. Erano le sette e tre quarti. Che cosa aveva da fare; come ammazzare il tempo fino alle dieci, quando sarebbe andato alla cattedrale, per gettare la bomba tra i fedeli? Girò irrequieto su e giù nella stanza da studio, tormentato dai suoi antichi sogni, il cui ricordo, strana cosa, non lo abbandonava. Apri due volte lo stipo e lo rinchiuse. La vista delle bombe non gli faceva più piacere. Una voce interna lo rimproverava: - Tu fai contro la luce. Ed egli sentiva, che la voce non aveva tutti i torti. L'anarchia? L'unica tavola di salvezza. Gettare la bomba? Era necessario - In chiesa? Voleva attendere Narciso Rossi. Il tempo passava, lentamente, molto lentamente, ma pur passava. Passano anche le ore delle maggiori angosce???, che sembrano interminabili, e quanto più interminabile sembrò uno spazio di tempo prima d'incominciarlo o mentre ci si era dentro, perché tempo di sofferenze di dolori, d'ignominia, tanto più breve esso sembra di' poi, quando è terminato, osservare alla serena luce di giorni lontani. Vennero le otto e un quarto, la mezza, i tre quarti. Incominciò a diventare impaziente. Avevano pur deciso di lanciare la bomba quella mattina I Quanto più attenete, tanto più si concretizza in lui un pensiero, e questo, sa è: Attendere. Attendiamo, che la calma ritorni nel mio spirito. Non era detto, che si dovevano lanciare le bombe proprio quella mattina. Non era neppur detto che dovevano venir lanciate. La direziono del partito, forte a parole e vile a fatti, aveva anzi deciso, che non dovevano venir lanciate, che il loro getto avrebbe danneggiato la causa piuttosto idi favorirla. Voleva dire a Narciso Rossi: - Ti tengo legato alla tua promessa, ma oggi non è ancora venuto il giorno opportuno. E' meglio attendere alquanto e fare i preparativi con maggior calma. Le lanceremo più tardi, in un giorno di maggior concorso, di gran folla, dopo di aver combinato le cose in modo da poter fuggire. L'amico avrebbe accettato con voluttà la proposta, ed intanto egli avrebbe potuto riflettere; sciogliere le potenti obiezioni, causate dai terribili sogni; cercare prove per dimostrare, che la Chiesa è il maggior nemico dell'umanità. Avrebbe continuato a vivere, per qualche giorno ancora. La vita non è spiacevole neppur per un anarchico. L'attuale società è la peggiore che immaginar si possa eppure non la si abbandona volentieri. Ma un evento venne a turbare i suoi calcoli. Erano le nove, quando bussarono. ? Chi può essere? ? esclamò. La visita gli veniva importuna. Non poteva essere Marcelle. Questi sapeva che c'era il campanello elettrico; non la domestica la quale aveva le chiavi dell'abitazione, per poter venire quando le sarebbe parso bene. Una visitarla mattina di Natale; in quella mattina cosi brutta, così piena di vento, di neve, alle nove? Andò all'uscio e lo aperse. Gli si presentò la faccia rossa di un fattorino, dal grosso naso a peperone, che brillava di una luce rossastra, intensa, e dall'alito, che puzza va di alcool. Il fattorino aveva fatto già il sacrifizio mattutino a Dio Bacco. Tra le dita, coperte da un paio di guanti di lana, una volta grigi, ed ora coperti di sudiciume, egli teneva una lettera. ?E' tei il signor Giunti? ? domandò. ? Chi manda? - E' lei o non è lei? - insistè il fattorino? Date qui. - E' lei o non è lei? - ripetè il fattorino, il quale aveva fatto delle libazioni durante tutta la notte e non sembrava disposto,a cedere la tetterà senza aver prima risposta a quella domanda. - Sì - rispose l'anarchico, che si era accorto dello stato anormale del fattorino. - Prenda - rispose questi soddisfatto, dandogli la lettera. - Chi manda? - insistè Giunti da canto suo. Il fattorino rise. _ Un uomo in calzoni. ? rispose. ? Matta idea la Mi diede la lettera qua, sulla strada. Buona idea la mia di appostarmi il giorno di Natale. Cioè. Non mi era appostato. Ero stato a Messa Diamine. Ci vado a Natale ed a Pasqua. Non sono mica un cane io. Eppoi ero andato a bere un bicchierino. Tempo cane. signori. Loro signori non sentono l'inverno. Hanno una bella abitazione, mangiano bene, bevono meglio, sono ben vestiti. Ma verrà il giorno, sa! Non sono anarchico io! il ciel mi guardi! Ma verrà il giorno; deve venire il giorno..! ? esclamò il fattorino, «e i suoi piccoli occhi lustri, brillavano di una luce strana, tra il minaccioso e l'allegro. Egli assaporava già ora le gioie di quel dì, vicino o lontano, ma che doveva certo venire, nel quale sarebbero state livellate le condizioni sociali ed egli avrebbe potuto passarsela come i signori, liberi questi da fare i fattorini se credevano, e magari di mendicare. Giunti non dimenticò di essere anarchico. Volle fare un po' di propaganda alte sue persuasioni, e disse perciò: ? Il giorno è vicino! Stupore del vecchio. ? Lo dice anche lei? ? domandò. ?Sì. - Allora si farà tutto a parte? - Tutto sarà di tutti. - Ella, un signore, lo dice? - Ne sono convinto ed anelo, ed anelo il momento. Il fattorino rise. Il suo riso era ironico. Il popolo ha un'ironia sublime. _ Se il signore vuole può affrettare quel momento. Si decida. Io sono disposto di accertare tutto. Mettiamo in comune la sua abitazione. Sono pronto di entrare subito - disse. Una leggera nube velò il volto di Giunti. E' questa la solita obiezione che i non anarchici fanno a chi professa queste dottrine. ? Voi siete anche comunardi. Ebbene: Procedete coll'esempio. - Lo farò, quando lo faranno tutti. Per guarire la società è necessario che il capitale sparisca, che spariscano i superiori, le autorità, le leggi, e che tuffo diventi proprietà di tutti ? osservò. I] fattorino rise. - Così lo dicono furti. E mentre l'uno attende che incomincino gli altri, non si muore di fame e di freddo ? osservò. Giunti sentì nausea di quell'uomo. ? Se spendeste un po' meglio il vostro danaro; se invece di ricorrere al bicchierino ed ai liquori vi compraste pane, non avreste da lamentarvi ? disseti fattorino rise. - Non ho bisogno di lezioni - osservò. Giunti prese la lettera e diede al fattorino una lira di mancia. Questi neppure ringraziò. La lira gli sembrava troppo poca cosa per un uomo, il quale si vantava comunardo e predicava venuto il tempo della divisione, nel quale tutto doveva diventare proprietà di tutti. Giunti rientrò nella sua stanza calda, ben illuminata. ? Manda Marcelle. Cosa scrive? ? disse, osservando la soprascritta. Gli venne un sospetto. - Che sia davvero vile? - domandò a se stesso. Stracciò la busta e lesse le poche righe. _ Vile i ? esclamò. ? Davvero vile! Il biglietto, scritto colla mano tremante, diceva: ? Non posso! Tanti innocenti..? ? Tanti, tanti innocenti! - motteggiò. Innocenti? No, non erano innocenti. Erano correi; correi magari senza volerlo, senza saperlo; correi per l'istruzione sbagliata, ricevuta dai genitori, dagli avi; correi, perché non avevano saputo sollevarsi in alto, a più spirabil aere; eppoi tutta la società era folle, era fiacca; aveva bisogno di una lezione. Innocenti? Non lo erano; perché frequentavano la chiesa, i passeggi, perché facevano sfoggio del loro lusso, perché erano borghesi, perché volevano che sopravvivesse una società avariata, perché volevano conservate le disuguaglianze sociali? Ma anche se fossero stati innocenti, il mondo è fatto così. La natura non bada ne, agli innocenti ne ai rei; sacrifica quanti occorrono venir sacrificati, per il raggiungimento dei propri fini; il falcone e l'aquila fanno allo sfesso modo scempio della pacifica gallina e del superbo tacchino, il falcone divora egualmente il passero, così dannoso, e un usignolo canoro, e gli uragani schiantano l'inutile pioppo e la quercia, il melo, il pero, il susino ed altri alberi, così utili alla vita. Innocenti? La sua era opera necessaria e purificatrice; si trattava di ricostruire una società nuova sulle rovine dell'antica; e questa non volendo crollare da sé andava atterrata. Non era per colpa sua se nel suo crolloessa avrebbe schiacciato e seppellito sotto le macerie anche qualche innocente. Egli non voleva che il bene altrui; non era per colpa sua, se, per ottenere il bene, doveva schiantare coloro che vi si opponevano. Narciso Rossi si rifiutava. Vile! Vile! Già; il Natale; la pazza poesia della sacra notte. Egli l'aveva passata coi congiunti, alla luce di qualche albero, scioccamente ornato di fiori e di lumi; aveva udito il canto di inni e canzoni natalizie, e si era commosso. Vile, vile! Non pensò, che qualche minuto prima aveva deciso di non gettare la bomba; di rinunziare, per il momento, a quell'atto d'i vendetta sociale; di dire a Narciso, che avrebbe atteso tempi migliori. Non senti che rabbia e sdegno per l'antico amico ed un'avversione grande contro di lui... Che aveva da fare? Rimanere fedele alla decisione presa poc'anzi e procastinare il getto delle bombe?,, Ma che ne avrebbe detto Narciso Rossi? Lo avrebbe giudicato egualmente vile; oppure avrebbe pensato che non si poteva fare senza di lui; che egli, Narciso, era indispensabile? Avrebbe potuto rimproverargli la sua colpa? No. L'altro gli avrebbe potuto dire: Perché rimproveri a me quanto dovresti rimproverare prima a tè stesso? sei forse un bambino, che non osi agire da solo; che dipendi da me nel tuo operato? sic io sono un vile, che mi sono rifiutato di gettare la bomba, lo sei tu pure. Era proprio necessario che due scoppiassero allo stesso tempo? Non bastava una sola, la tua? Potenza dell'orgoglio umano, di un falso amor proprio, della tema di venir giudicato male! Egli mutò rapidamente pensiero. Aveva deciso di soprassedere a quel getto; di attendere un istante più opportuno. La sua prudenza gli aveva suggerito questo. Aveva preso questa decisione dopo un esame maturo e prudente, ed ora bastò quello scritto, bastò la tema di venir creduto vile, per fargli mutare pensiero. - Non avrà il gusto di rimproverarmi la sua viltà! - disse, e prese la rapida decisione di attuare il suo progetto e di diventare, quella mattina ancora, assassino e omicida. La ragione gli diceva: Attendi, attendi! Ma egli ne faceva tacere con violenza la voce., La coscienza gli diceva: Bada che fai contro la luce; ed i suoi sogni si ergevano maestosi, terribili, avanti a lui e gridavano: Tu agisci male; tu inganni la tua coscienza; la Chiesa non ha mai avversato la vera libertà, non è nemica d'Italia. Il suo falso amor proprio fece tacere anche questa voce. Non gli riuscì di riduria al silenzio; pure la soffocò dicendo a se stesso: Non essere vile! Prese posto al tavolo e scrisse a Narciso Rossi. Gli scrisse parole molto amare, di grande rimprovero per la sua viltà senza nome. Vile, che non sai mantenere una promessa Vile, che non sai sacrificarti per un ideale! Vile, che paventi le conseguenze di un'azione, che riconosci doverosa e giusta! Vile, vile! Ora e sempre vile! Sii maledetto, da chi va a morire per il suo ideale; va a morire solo, perche ti rifiuti; va a morire colla certezza, che il suo sacrifizio non porterà lo isperato frutto, perche tu gli neghi la tua cooperazione! Vile! Disonore del partito; sii maledetto! Chiuse la lettera in una busta, vergò la soprascritta e l'abbandonò sul tavolo. Dopo la sua morte l'avrebbero trovata e pubblicata. Ne era lieto. Avrebbe procurato così a Narciso Rossi la maggior onta. I veri anarchici avrebbero disprezzato il traditore, e gli altri, i partiti dell'ordine, i borghesi, avrebbero lodato il giovane onesto, che s'i era rifiutato di commettere un delitto di lanciare una bomba, di macchiarsi di tanta colpa; e le lodi, l'approvazione delle autorità e dei circoli borghesi, gli avrebbero recato un'onta ancora maggiore del biasimo dei suoi antichi consenzienti. Narciso Rossi era spacciato. Non gli rimaneva che il suicidio. Sogghignò a questo pensiero. Consultò l'orologio. Erano le nove e mezzo. Doveva spicciarsi se voleva arrivare nella cattedrale a tempo. Aprì l'armadio, levò la bomba sua, l'accarezzò, la baciò e la celò sul petto, sopra il cuore. Indossò il mantello di uscita, tirò alto il collare, cacciò la beretta fin sugli occhi e uscì di stanza. Chiuse l'uscio della propria abitazione. L'abbandonava per sempre. Chi ci sarebbe andato ad abitare? Che se ne curava? Di chi sarebbero stati i suoi mobili? Che gl'importava? Aveva lasciato erede universale Gianni Carpi, il solo onesto fra gli anarchici; il solo veramente povero ed audace tra di loro, coll'incarico di usare dell'anse ereditario soltanto per scopi.di partito, per diffondere l'anarchia. Gianni Carpi avrebbe fatto un buon uso di quel danaro e del ricavato dei mobili; non avrebbe tenuto nulla per se. Egli non dubitava della di lui onestà... Giunse sulla via. Nevicava di nuovo, ed il vento impetuoso gli sbatteva la neve sul volto accecandolo quasi. Doveva procedere con grande cautela iper non scivolare. Una caduta sarebbe stata disastrosissima; avrebbe causato Lo scoppio della bomba, ed era questo che egli voleva impedire. Sacrificare la vota, sì, ma con costrutto. Abbenchè il tempo fosse brutto c'era della gente sulla via. Vide delle faccio allegre. La grande festa del Natale aveva riempito gli animi di letizia. Gente andava a fare certi piccoli acquisti nelle pasticcerie, i soli ambienti aperti nella sacra giornata; andavano a fare delle visite, andavano in chiesa.. Quei volti allegri gli davano sui nervi. Sentiva di odiare gli uomini; provava una grande nausea. Eterni malcontenti, protestavano continuamente contro la Chiesa, contro l'autorità, contro ogni sorta di tirannide; e bastava che la Chiesa, ricordando antiche favole, offrisse loro un giorno un po' diverso dagli altri, per far loro dimenticare il passato e renderli scioccamente, stupidamente felici. Valeva la pena sacrificarsi per simile gente: valeva la pena morire per loro? Portò la mano al petto, alla bomba. Che avrebbe giovato il suo getto? Avrebbe esso scosso le coscienze e destato le masse; quello sarebbe stato il primo segno di una grande rivoluzione sociale, oppure?... Già; il suo eroico attentato sarebbe passato forse inosservato. Le masse non erano ancora mature. Doveva attendere? Oh, se non fosse stata quella infame lettera di Narciso Rossi. Ma ora non poteva assolutamente desistere. Nessuno doveva neppur lontanamente sospettare che egli fosse vile. Giunse alla cattedrale. Le campane suonavano allegramente. Il Vescovo faceva il suo ingresso nella chiesa illuminata a festa e piena, zeppa di una folla festante. Il vescovo! Uno degli oppressori delle masse.Quanto l'odiava! Non lo aveva veduto ancora mai; ora lo vedeva per la prima volta: un povero vecchio, dal volto di asceta, con un sorriso buono, paterno, sulle labbra, che procedeva ricurvo, schiacciato da! peso degli anni e dalle cure, dalle brighe, dalle fatiche del suo ministero; un vecchio buono, tanto diverso dall'immagine che egli si era formata di lui. Si cacciò tra la folla. L'organo cominciò a suonare e la Messa ebbe principio. Vide i volti atteggiati a grande letizia. Comprese che quella giornata rappresentava per l'umanità un grande punto di riposo: era quello un giorno, nel quale il povero dimenticava per un istante le proprie miserie; l'operaio riposava dal lavoro snervante; il ricco scendeva al povero e ne comprendeva, per un istante, le miserie; un giorno di pace, di letizia per tutti. Doveva egli turbare la serenità di quel giorno? Doveva portare la desolazione, la morte, in quel luogo di pace? Oh, i suoi sogni! La Chiesa ha fatto sempre quanto stava nelle sue forze per il bene dell'umanità. Non era lei responsabile dei danni che le classi povere ed umili risentivano, ne dell'abuso di libertà nelle classi dirigenti, o dello squilibrio sociale. Certo. La religione aveva fatto il suo tempo. Ma perche non lasciarla morire in pace; perche voler punire nella Chiesa gli altrui delitti? Cercò di allontanare il ricordo dei suoi sogni. La Chiesa è stata sempre il puntello dei troni; essa ha benedetto la guerra e sanzionato ogni sorta di ingiustizie sociali. Eppoi non poteva tollerare la faccia di vile. La Messa ha incominciato. Il venerando veglio è salito all'altare e lo avvolge in profumi che escono dal ricolmo incensiere. Chi ha da colpire? Dove ha da lanciare la bomba? Nel presbitero? Ha da colpire il vescovo, i canonici, oppure la ha da lanciare in mezzo alla folla che ora? Il vescovo è ritornato al suo trono. Gloria in excelsis Deo! ià! Dio! Dio! Non si pensa che al nume trascendentale e crudele, che risiede in ciclo e non si cura ne si è mai curato dei propri figli, chiede da loro gloria e non da loro in cambio nulla. Il coro canta giulivo: Gloria, gloria in excelsis Deo ono voci di fanciulli che scendono dall'alto della cantoria nella chiesa, accompagnate dal suono grave dell'organo e da alcuni violini, sapientemente toccati. Le voci erano così dolci, così soavi, così carezzevoli. Sembrava udire il canto degli angeli nella notte di Natale. Fuori imperversa la bufera; il vento scuote le gigantesche invetriate multicolori, attraverso le quali giunge scarsa la luce scialba di quella mattina, nel suo cuore imperversavano pure le bufere, ed intanto i fanciulli cantavano il loro Gloria in excelsis Deo! ubentra un coro di uomini forte, solenne. Et in terra pax.... gli ride ironicamente. Pace! Quale menzogna! Dal giorno della nascita del bambino ebreo ad oggi si ripere la bugiarda promessa. In terra pax! Ma quando mai venne pace alla terra? Il coro continua: Hominibus bonae voluntatìs. ueste parole sono una rivelazione. Pace agli uomini di buon volere! Ed il mondo non vuole la pace! A chi si deve ascrivere la mancanza di pace? Non ode altro. Non è per la colpa della Chiesa e del Nume, se pu re esso esiste, che la pace non regna sul mondo, ma, per la mala volontà degli uomini. Gli angeli annunziarono la pace. Non.crede che furono gli angeli, ma l'annunzio fu dato. Si promise la pace ma si chiese in cambio buon volere Qual meraviglia, se gli uomini non avendo offerto la loro buona volontà non.abbiano avuto la sospirata pace? La pace? Poteva egli portare al mondo la vera pace, fondata su di una forte, ben sentita e ben radicata anarchia, se gli uomini non erano di buon volere? A che cosa avrebbe giovato il gettito della bomba se gli uomini, ed i più bisognosi, i più reietti in modo speciale, facevano brutto viso all'anarchia e si rifiutavano di occuparsi della loro misera sorte e di cercare i remedi opportuni al loro male ed a quello della società? Doveva gettare la bomba? Non in chiesa. Dunque sulla via; in qualche ritrovo di ricchi, di gaudenti, al caffè, in teatro? Con qual profitto? Urgeva qualche cosa di ben più importante. Bisognava organizzare le file anarchiche e fare la propaganda al vangelo dell' anarchia. Un libro anarchico, diffuso in migliaia di esemplari, avrebbe giovato assai di più di cento bombe. Non doveva dunque lanciarla? Narciso Rossi che cosa avrebbe detto? Lo avrebbe schernito, avrebbe raccontato a tutti la sua viltà, perche egli, l'idealista, si era rifiutato di aiutarlo, per disciplina di partito, per sfare agli ordini dei superiori, mentre l'altro, il ribelle, l'audace, non aveva trovato il coraggio necessario. Da vero bambino aveva bisogno di un compagno, e da solo non sapeva, non poteva fare nulla... Senti uno sdegno infinito contro Narciso Rossi e la brama di punirlo. Voleva affrontarlo, giungere a lui, costringerlo ad uscire in sua compagnia, menarlo in qualche ritrovo e allora lanciare la bomba, per compromettere lui pure, per unirlo alle altre vittime e per fargli subire la morte del traditore. Non ne poteva più in chiesa. Si fece largo tra la folla, giunse all'uscio e passò sulla via. Il vento soffiava più forte che mai; la neve scendeva fitta; i passanti procedevano frettolosi; nessuno si curava dell'uomo, che portava sul petto la morte. Un grido, un urlo. Una fanciulla è scivolata; fa degli sforzi immensi per tenersi in piedi ed urla dalla paura, dallo spavento di dover stramazzare al suolo, a rischio di rompersi le gambe e le braccia. Egli le è vicino; ad un passo di distanza. Corre da' lei per aiutarla. Essa getta disperata le braccia al suo collo, per sostenersi a lui: una fanciulla modesta, poveramente vestita. Dal collo le pende una medaglina della Madonna. Povera fanciulla; la sua esile persona cozza, col suo maschio petto sul quale riposa la bomba. Un rombo terribile, spaventoso, e sul suolo candido di neve giacciono due cadaveri insanguinati, sfracellati, orrendamente mutilati, sui quali scende fitta, fitta la neve, coprendo tutti e due, l'assassino e l'assassinata, di un candido mantello. Candido per l'umile vergine, che era stata quella mattina alla Comunione ed ora si recava con un incarico della madre inferma dalla zia. Candido anche per lui, l'assassino, che era colpevole al cospetto degli uomini. Lo era anche al cospetto di Dio? La grazia aveva picchiato al suo cuore più volte, e specialmente quella notte nel sonno; ed egli le aveva fatto il sordo. Ma quante volte disprezziamo la grazia, perché non la conosciamo, perché ci hanno insegnato a non farne conto, perché ci hanno educato male? Quante volte tutta la colpa non l'abbiamo noi, ma essa è di coloro che ci hanno educato, dell'ambiente, di quel libro, che fu galeotto come chi lo scrisse? Dio solo conosce tutto: l'ambiente nel quale ci troviamo e le cause del nostro traviamento. Non dobbiamo perciò disperare della salvezza spirituale di nessuno e pregare per tutti. Perché, se è grande la giustizia di Dio, ben maggiore ne è la misericordia. Quando noi abbiamo da agire riflettiamo alla sua giustizia; quando abbiamo da giudicare pensiamo agli abissi della sua misericordia infinita.

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