Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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PROFUMO

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Capuana, Luigi 2 occorrenze

Oppure rimanevano zitti, seduti accosto - egli, fumando; Eugenia, con le braccia abbando- nate sul grembo e gli occhi socchiusi -, pensando e fantasticando ognuno per proprio conto, lasciandosi invadere sempre più, ella dalla sdegnosa rassegnazione a quella vita monotona, fredda, per la quale non si sentiva nata; Patrizio da un senso di pace e di riposo, che a poco a poco gli addormentava nel cuore le diffidenze e i sospetti contro la sua cattiva sorte. Una, due volte la settimana, quell'atonia era interrotta dalle risate di Giulia. Allora, improvvisamente, per le stanze, pei corridoi, fin per l'ufficio, risuonava ed echeggiava l'allegro chiacchierio di lei, le sue risate, e le sue strampalerie di ragazza che ha sulla punta della lingua quel che le ribolle dentro, e lo getta attorno alla spensierata, per proprio gusto, senza punto badare agli altri. Venivano talvolta, assieme con lei, anche le sue sorelle; e allora conducevano via Eugenia a passeggio, alla chiesa dove si celebrava qualche festa religiosa serale, o dalla zia Vita, che parlava sempre della buon'anima di suo marito; buon'anima che gliene aveva fatto vedere di cotte e di crude, come ella diceva. E per ciò si contentava di rimaner sola e di viver sola con la serva, quantunque non fosse poi tanto vecchia e le tentazioni non le mancassero. Oh, non era nata pel mondo! Infatti voleva farsi monaca; ma suo padre, che non intendeva ragione, l'aveva costretta a maritarsi. La mamma: "Fa' la volontà di Dio, figliuola mia!". E l'aveva fatta dieci anni, in mezzo a un vero inferno. Eppure si era in- grassata! "Ora vi sembro una carrozza, donna Eugenia mia. Da ragazza, ero un fil di paglia." Eugenia si divertiva stando ad ascoltarla. Ascoltava però più volentieri le confidenze di Giulia. Nei giorni in cui ve- niva a trovarla sola e rimandava subito Pina dalla quale s'era fatta accompagnare, Giulia non la finiva più di ragionare del suo Corrado; le leggeva, una dopo l'altra, tutte le lettere di lui. "Più lunga del passio!" esclamava, cavandone una di tasca. "Già la so a memoria." Giulia le recava spesso i saluti di Ruggero, che non vedeva l'ora di ritornare. Col pretesto delle lezioni del fratello, allora ella sarebbe venuta tutti i giorni; le pareva mill'anni! E alcune settimane dopo, entrò in camera di Eugenia, sventolando il fazzoletto dall'allegrezza: "Eccolo qui! Eccolo!" Ruggero parve alquanto impacciato di quell'annunzio rumoroso. Lo svelto abito grigio da mattina gli stava benissimo. "Peccato che mio fratello non sia biondo" disse Giulia. "Sembrerebbe un inglese." "Di Marzallo" aggiunse Ruggero, ridendo. E strinse la mano che Eugenia gli stendeva. "Vestito così sbricio, pare più alto, è vero?" le susurrò Giulia in un orecchio. "Bel giovane, non c'è che dire. Son lie- ta che sia mio fratello." "Ora si tratterrà un pezzo" disse Eugenia, dopo di averlo invitato a sedere. "Fino a dicembre." "È diventato più serio in questi mesi." "Con gli anni si mette senno. È diventata, mi pare, un po' più seria anche lei." "Oh, io? ... Sempre la stessa." "Guarda! Parla quasi fosse una vecchia!" "S'invecchia in tanti modi!" rispose Eugenia. "Tu sì, cara Giulia, non invecchierai mai." "Come la zia Vita, con la sua buon'anima. Perciò ha una proposta di matrimonio al mese, beata lei! Tentazioni, co- me le chiama. Gliela danno a intendere le femminucce, per cavarle di mano qualche soldo. Parlatele di quelle tentazioni e la fate felice. Io le dico spesso: "Zia, è vero che il tale ti ha chiesta?". Non è vero niente, nomino il primo che mi capi- ta in bocca. "Ma sì, figliuola mia! Non mi vogliono lasciare in pace! Quasi non ne avessi avuto abbastanza con la buo- n'anima!" Se le dicessi: "È vero zia, che ti ha chiesto il papa?" risponderebbe egualmente: "Ma sì, figliuola mia!"." "Come la imita bene nella voce, nei gesti! Par di sentire proprio lei" disse Eugenia. "Ora ci vedremo spesso" riprese Ruggero. "Verrò ad annoiare l'Agente per le matematiche." "L'hanno bocciato! ... Papà è su le furie, quantunque lo prevedesse." "Una volta poi finirò d'essere studente!" sospirò Ruggero. "E allora prenderai moglie. Dovresti trovarne una come questa qui!" "Matta!" fece Eugenia, battendole un colpetto su la mano, Il cavaliere venne in persona per presentare il discepolo al professore. "Se non è professore, meriterebbe di esserlo" egli rispose alla cortese protesta di Patrizio. "Sia severo. Costui ha la testa dura. Non vuol capire che le matematiche quadrano la mente e servono a tante cose, anche per gli avvocati, se do- vrà essere avvocato. Diciamo piuttosto che è la poca o punta voglia di studiare. Dal liceo si torna in paese, non si apre più libro, e si dimentica il po' che si è appreso. Costui è abituato a far così. Se n'avvedrà poi, quando non potrà più ri- mediarci; glielo dica lei, che ha più autorità di me. Ai miei tempi, non c'erano tante scuole, e si studiava alla meglio. Oggi le scuole ci sono; manca la volontà. E poi se la prendono coi professori! Se lo tenga qui, gli faccia anche copiare carte dell'Agenzia, se le fa comodo; purché stia occupato e non vada uccellando qua e là coi cattivi compagni." "Non è più ragazzo" disse Patrizio "e non ha bisogno di prediche." Ruggero, a capo chino, girava il cappello tra le dita. "Di prediche ne ha fin troppe!" rispose il cavaliere, stirandosi le fedine. "Ma fa il sordo; e il peggio sordo è chi non vuol sentire. Passo a salutare la sua signora. Sta bene? Me ne rallegro. Nervi, dice il dottor Mola. Proprio odor di zaga- ra? Sembra una favola. Guarda un po' a che siamo soggetti! Povera signora! Basta. Quando possiamo contarle le disgra- zie sono niente. Le mie figliuole vanno matte della sua signora. Giulia poi! A me fa gran piacere ch'ella pratichi una persona così buona. Così questo signorino si specchiasse nel signor Agente! Lei è ammirevole; lavoro e studio, studio e lavoro. Il mondo non esiste per lei. Lo invidio. Non ha rompicapi, non si fa bile, come me, che certe volte temo di scop- piare! Non si scomodi; so la strada. Ha fatto bene a mutare stanze. Queste dovevano produrre gran tristezza alla sua si- gnora. Certi ricordi, benché cari, è meglio tenerli un po' lontani. Tanto, che cosa si fa? Quel che è avvenuto, è avvenuto. Lei non può consolarsi, lo so. Tutte le sere al camposanto! È un conforto anche questo. Pietà filiale commoventissima!" In piedi e già mezzo congedato, il cavaliere continuò per un altro buon quarto d'ora, tornando a parlare delle lezioni. "Ora costui è nelle sue mani!" conchiuse all'ultimo. "Son venuto a consegnarglielo." E quella sera, andando al camposanto, Patrizio rifletteva con senso d'amarezza quanto fosse mutata ogni cosa d'at- torno a lui dopo la morte della sua mamma. Oh, la dolce solitudine d'una volta! Oh, l'intimo silenzio di quelle stanze nei primi mesi della loro vita a Marzallo! Eugenia, allegra e piena di salute. Egli, felice di vederla a quel modo, di sentirla parlare e cantarellare, venendogli con- tinuamente dinanzi con mille affettuosi pretesti. Di là, nella sua camera, su la poltrona, la mamma, che era pur sempre mamma con tutta la sua gelosia, con tutti i suoi rancori. Conforto, alito tiepido che gli scaldava il cuore! Ora, egli non si raccapezzava più! Giulia, le di lei sorelle, Ruggero invadevano il suo posto, disturbavano la sua soli- tudine, si frapponevano tra Eugenia e lui, rovesciavano da cima a fondo l'ordine e la tranquillità della sua vita. Eugenia andava già spesso fuori di casa, quasi cercasse ogni occasione per starsene lontana da lui. E lui, lui stesso, che cosa fa- ceva per tenersela legata, per non lasciarsela sfuggire? Era divenuto indifferente? O credeva che quella malinconica freddezza, da cui si sentiva lentamente circondare, fosse pace desiderabile e buona? Non si raccapezzava. Anche il ricordo della sua povera mamma gli si rattiepidiva in fondo al cuore! L'abitudine, il tempo che andava tra- scorrendo avevano già alquanto spuntato l'acutezza del suo dolore. E dapprima gli era parso che aumentasse, che cre- scesse, ogni giorno, da dover diventare infinito! Ah, Signore, che tristezza! Si fermò alla porta del camposanto, quasi volesse raccogliersi tutto nel solo pensiero della sua povera mamma prima di entrare, e si affacciò al parapetto murato su l'orlo della rupe. L'abisso si sprofondava nella gola tortuosa che si perde- va più in là, nella vasta pianura. Laggiù, laggiù, lungo il torrente, una fila di carri montava per la salita; contadini a piedi e a cavallo sbucavano dalle viottole nascoste tra gli alberi, brulicavano a frotte nere per lo stradale grigio, simili a mo- struose formiche. Le taccole, appollaiate nelle fenditure della rupe, gracchiavano, quasi borbottassero da un nido all'al- tro. Solo un falchetto in ritardo ora si librava su le ali tremolanti, ora si lanciava come freccia per l'aria imbrunita, e squittiva acutamente, forse impaurito di quella forma nera, rizzatasi all'improvviso dietro il parapetto in cima alla rupe. In fondo, lontano, montagne di nuvole cineree salivano minacciose dal mare, spinte su dal libeccio che aveva comincia- to a soffiare. Patrizio guardava giù, attorno, lontano, abbandonandosi a quella specie di momentaneo oblio da lui ricer- cato, lasciandosi penetrare tutto dalla solenne malinconia delle cose al cader della sera, che su quella cima di rupe, con la campagna che si scuriva là sotto, e fuggiva fino al mare, digradante di forma e di colore, riusciva più solenne. Si scosse, e tirò il cordone della campana che pendeva fuori della porta del camposanto. "Ah, voscenza!" disse il custode, salutandolo. "Credevo che questa sera non venisse." E Patrizio ebbe una stretta al cuore, quasi il rimprovero gli arrivasse dalla tomba della sua povera mamma.

Ruggero non sapeva precisamente nemmeno lui che cosa volesse e sperasse da quella passione a cui si era abbando- nato dapprima come a uno svago di vacanze e che era diventata a poco a poco molto seria. La tormentosa ansietà che gli faceva girare il capo, spingendolo ad almanaccare cento cose una più assurda dell'altra, lo paralizzava poi nel punto più propizio a lanciare una parola o fare un gesto, un passo decisivo. L'attitudine di Eugenia lo metteva in imbarazzo. Era gradito? Era sgradito? Non lo sapeva con certezza. A volte gli pareva di sì, a volte no. E ogni mattina, avviandosi verso il convento per la lezione di matematiche, prendeva una riso- luzione, tracciava un disegno, scegliendo il luogo, l'ora: preparando con l'immaginazione tutta la scena, quasi i fatti do- vessero accadere proprio come li disponeva lui, o nella selva, o su la terrazza, o in camera di Eugenia, mentre Giulia era distratta o lontana e occupata a stuzzicare l'Agente che fumava digerendo la colazione. Ma se una coincidenza fortuita faceva che le circostanze corrispondessero in gran parte col piano immaginato, e ch'egli ed Eugenia si trovassero quasi soli in fondo a un viale o in un angolo della terrazza, e il ragionamento filasse così bene che sarebbe bastato cogliere al balzo un motto, un atto di lei, per dire alfine quella parola, quella frase preparate con grande studio, rimuginate tanto, e che già gli ribollivano dentro e pareva dovessero sfuggirgli di bocca anche all'insaputa, l'animo gli mancava. Prendeva il largo, faceva dei giri, lasciava scapparsi di mano l'occasione; o rimaneva muto, come adombrato, incapace di saltare l'o- stacolo. E tornava a giurare a se stesso che un'altra volta sarebbe stato meno timido e meno sciocco; sì, meno sciocco. Non parlava, e pretendeva d'esser capito! Santa però lo aveva capito subito, vedendolo assiduo al balcone; e le lunghe occhiate erano state sufficienti per ottenere un buon esito. Un giorno, all'improvviso, ella s'era ritirata dalla finestra, sor- ridendo; e poco dopo era tornata ad affacciarsi per dirgli sottovoce: "Lasciatemi stare: che cosa volete?". "Voglio il vo- stro cuore, comare Santa!" Ah! Con quella non aveva esitato, non aveva avuto timore di niente. Ma era paragone da far- si? E gliel'aveva immolata, povera Santa! E non s'era più fatto vedere al balcone, dalla mattina alla sera, senza una ra- gione! E il giorno che le aveva sentito cantare: "Chiantai un ciuri la misi d'abrili ... Chistu è l'amuri ca un putia finiri ... Facitivi la cruci, ca passau!" era diventato rosso dalla vergogna in camera sua. C'era corso poco non aves- se rotto la promessa fatta prima a Eugenia e poi all'Agente. E che cosa ne aveva ottenuto? Almanaccava altri piani, disponeva altre scene. Ora, finita la lezione, scendeva nella selva e infilava i viali sotto le finestre di lei, sperando di trovarla affacciata, come l'altra volta. Avevano discorso un bel quarto d'ora, in uno di quei giorni che Giulia non veniva con lui; e gli era parso un gran che, quantunque avessero ragionato di cose affatto indiffe- renti. Quel parlarsi così, lei dalla finestra, lui di laggiù, quasi ci fosse stato un impedimento a farlo da vicino, gli aveva da- ta la strana illusione d'un furtivo colloquio di amore; e per ciò ricercava l'occasione di rinnovarlo. Il caso ordinariamente lo aiutava. A quell'ora, da quel giorno in poi, egli l'aveva trovata spesso alla finestra, o l'aveva veduta affacciarsi appena giunto, quasi ella stesse in ascolto per sentire il rumore dei passi di lui pel viale. Però quella volta la sorte gli era stata avversa. Passeggiava da un pezzo su e giù, e i vetri delle finestre di Eugenia rimanevano ancora chiusi. Si era fermato a discorrere col Padreterno, che potava la siepe nana di bosso; e alzava la voce per farsi sentire: "Si lavora, eh? Sagrestano, giardiniere, ciabattino! ..." "Un po' di tutto, per la pagnotta, signorino mio." Ruggero guardò in alto. Neppure un'ombra dietro i vetri! E alzò più forte la voce: "Ve n'andate?" "Ho finito. Vado a spazzare la sagrestia." Ruggero riprese a passeggiare lungo il viale, con gli occhi alla finestra, impaziente. Se Eugenia si fosse affacciata, no, egli non avrebbe saputo dirle nulla, come tant'altre volte! Infine, che cosa voleva dirle? Che mai pretendeva? Niente, niente! Voleva dirle soltanto: "Perché così rigida con me?". Null'altro. Sì, e poi? Come si era messo in testa che poteva essere corrisposto? ... Perché no? Perché no? Ah! Gli sarebbe parso di toccare il cielo col dito. Arrivato in fondo al viale, presso il muro di cinta, s'era messo a cogliere cime di spigo, e le stropicciava tra le mani, aspirandone l'odore, assorto, quando udì il rumore d'un'imposta che veniva aperta. Ma non si voltò subito, per dominarsi. Il cuore gli balzava. Poi salutò Eugenia da lontano, cavandosi il cappello. "Rubo poche cime di spighe" disse. "Hanno un odore troppo acuto" ella rispose. "Ne vuole qualcuna?" Stendeva la mano in atto di porgergliele. "Se riesce a darmela da costì ..." "È facile; guardi." E corse sotto la finestra. "Che cosa fa?" "Mi arrampico a questo mandorlo." "No; può cascare!" "Ho studiato ginnastica." "No!" ella insisteva, vedendolo salire lestamente di ramo in ramo. "Allunghi il braccio." Era già all'altezza della finestra e si spenzolava dal ramo, che s'incurvava pel peso e pareva dovesse spezzarsi. "Oh, Madonna! Dia qua, e scenda subito." Eugenia sporse fuori il braccio, ed egli le afferrò la mano, quasi lo facesse per caso, ritenendola un momento. "Come trema!" "Ho paura per lei." "Si sta così comodi quassù! Possiamo conversare." "Che stravaganza! Scenda, scenda, o mi ritiro." Egli invece si sedeva sul ramo, ridendo: "Si sta così comodi! È un nuovo modo di far visita alle signore" continuava. "Si rischia qualche cosa; le signore do- vranno esser grate ... E lei, all'opposto, minaccia di ritirarsi!" Ma non avrebbe voluto dirle soltanto questo. E si passava la lingua sulle labbra, quasi a provarsi di scioglierla, lieto di veder Eugenia impaurita pel temuto pericolo. "Il ramo cede. Se mi scavezzassi il collo! ..." E per chiasso lo scosse facendolo piegare. "Cattivo!" ella esclamò. E si ritrasse dalla finestra. Però guardava dall'interno, allungando il collo, pregando: "Scenda! Scenda!". E allorché capì che non avrebbe facilmente ubbidito, tornò ad affacciarsi, severa: "Possono vederlo. Che direbbero? Non sta bene. Lo faccia per me!" "Per lei ho fatto ben altro, e non se n'è neppure accorta!" brontolò. Gli pareva d'aver detto anche troppo, e attese un istante la risposta, prima di accingersi a discendere. La risposta non venne. Solamente ella lo seguiva con gli occhi mentre si lasciava calare tra un ramo e l'altro, e, vìstolo saltare a terra, respirò: "Grazie! Non lo faccia più!" "Che cosa dovrò fare dunque?" "Niente" ella rispose. Perché rimaneva alla finestra? Quella breve altezza le pareva un abisso e le dava le vertigini. Si sentiva attirata lag- giù, attirata da quegli sguardi, da quel sorriso pieno di sconforto, da quel silenzio, che pure significava tanto, più di qua- lunque parola; attirata da quella giovinezza fiorente, da quell'aria balda della persona solidamente impostata su le gambe svelte, da quel piede piccolo e ben calzato, che batteva il suolo con moto irrequieto intanto che gli sguardi continuavano a provocarla. Oh, ma sarebbe stato per poco! Altri due giorni ancora, e la Madonna l'avrebbe liberata e salvata! Altri due giorni ancora, e si sarebbe buttata ai piedi di Patrizio per chiedergli perdono, per confessargli tutto, per avvertirlo del pericolo corso e premunirlo per l'avvenire! La bella Madre Santissima doveva aprire la mente anche a lui, doveva toccargli il cuore, farvi scaturire una fontana d'affetto in cui avrebbero tuffate le labbra tutti e due, insaziatamente. Se non faceva questo miracolo lei, Madre di ogni grazia, chi avrebbe potuto farlo? Gli occhi le si riempirono di lagrime la mattina del venerdì, quando le campane suonate a festa dal Padreterno e gli spari dei mortaretti la svegliarono di soprassalto, interrompendole un sogno penoso. Le si accapponava la pelle anche sveglia, quasi ella fosse sfuggita davvero alle minacce di morte di quell'orrida figuraccia che l'aveva inseguita pei corri- doi del convento, per la terrazza, per la selva, incalzandola fin sul ciglio della rupe, da cui si sarebbe slanciata pazza di terrore, se le campane non l'avessero destata. Era molle di sudore freddo, e si sentiva stringere la gola. "Che hai?" le domandò Patrizio. "Sognavo una brutta scena." "Sei ghiaccia! Senti? Il Padreterno si sfoga." Ella chiuse gli occhi, rovesciando supina la testa sul guanciale. Come era dolce quell'allegro suono di campane lan- ciate a distesa mentre la minore squillava con colpi argentini, acutissimi, irrequieti. Pareva che le suonassero proprio sul capo e la sollecitassero a levarsi. Ma ella rimaneva inerte, col cuore ansante, come sconvolto da un addio angoscioso, quasi Ruggero fosse là, così accosto da sentirne il respiro sulla faccia; ed esitasse, timido e rispettoso, nel punto di un bacio supremo, intanto ch'ella non avrebbe esitato più a concedergli le sue labbra ... per la prima e l'ultima volta ... avanti che la Madonna avesse compiuto il miracolo! Rimaneva inerte prostrata da languore delizioso, tutta vi- brante alle ondulazioni del bronzo delle campane che continuavano a suonare a festa: con dentro la gola un singulto sa- litole dal profondo del petto e che non poteva sprigionarsi; singulto che le metteva spavento, perché le pareva dovesse, insieme, sprigionarsele dalla bocca un nome, quel nome che le avrebbe vuotato il cuore e l'avrebbe lasciata libera e pa- drona di se medesima! "No! No!" ella balbettava ansante, spalancando gli occhi al sentirsi inattesamente baciare. "Oh Dio! ... Sei tu? ... Sei tu!" "T'eri riaddormentata?" domandò Patrizio. "Sognavi di nuovo?" "Sì! Sognavo un mostro che m'inseguiva ... mi inseguiva." "Ah!" E credette di sorprendere negli sguardi di lui un lampo di diffidenza, un'ombra di sospetto. Per ciò lo guardava fisso, alla prima luce del giorno, mentre egli, aperti gli scuri e finito di vestirsi, si passava le mani sul viso ancora intorpidito dal sonno, ritto nel mezzo della camera, coi capelli e la barba in disordine, come incerto di quel che doveva fare. Eugenia si levò a sedere sul letto. Le campane davano gli ultimi squilli, quasi stanche della gioia di aver sonato così a lungo dopo il silenzio di parec- chi anni! Soltanto la minore continuava i rintocchi argentini, più forti, più precipitosi; poi, tutt'a un tratto, tacque essa pure. "È una bella giornata?" domandò Eugenia. "Bellissima." "È di buon augurio." "Perché?" "Non canzonarmi, se te lo dico." E soggiunse esitante: "Pel triduo".

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