Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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ALLA CONQUISTA DI UN IMPERO

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Salgari, Emilio 1 occorrenze

. - Salirono una seconda gradinata raggiungendo l'ultimo piano e trovato un abbaino, passarono sul tetto che era quasi piatto, non avendo che due leggere inclinazioni. - Non mi aspettavo tanta fortuna, - mormorò Sandokan. - Andiamo a vedere quella via e quella pagoda. - Mentre s'avanzavano carponi, dinanzi al palazzo echeggiavano clamori assordanti. Gli assedianti dovevano essere cresciuti di numero a giudicarlo dal fracasso che facevano. Il fuoco però non era ancora cominciato né da una parte né dall'altra. Bindar non aveva forse giudicato prudente cominciare pel primo le ostilità, per non irritare maggiormente gli avversari. Sandokan ed i suoi due compagni in pochi momenti attraversarono il tetto, raggiungendo il margine opposto. Una via larga, nove o dieci metri, separava il palazzo da una vecchia pagoda di modeste proporzioni, la quale era sormontata da una specie di terrazzo, irto di antenne di ferro che sorreggevano dei piccoli elefanti dorati che funzionavano forse da mostraventi. - È alta quanto questa casa, - disse Sandokan. - Che cosa vuoi tentare? - chiese Tremal-Naik. - Di passare su quel terrazzo, - rispose la Tigre della Malesia. Il bengalese lo guardò con spavento. - Chi potrà saltare attraverso questa via? - Tutti. - Ma come? - Tu sai ancora adoperare il laccio? Un vecchio thug non dimentica facilmente il suo mestiere. - Non ti capisco. - Non si tratta che di gettare una buona corda al di sopra d'una di quelle antenne e di formare poi un ponte volante con un paio di gomene. - Ah! Padrone, lascia fare a me allora, - disse Kammamuri. - Sono stato un anno prigioniero dei thugs di Rajmangal e ho appreso a servirmi del laccio a meraviglia. Non sarà che un semplice giuoco. - E poi dove scapperemo noi? - chiese Tremal-Naik. - Vi sono delle case dietro la pagoda che attraverseremo facilmente, passando sui tetti. In qualche luogo scenderemo. - E non ci daranno la caccia? - Io eleverò fra noi e gli assedianti una tale barriera da togliere loro ogni idea d'inseguirci. - Tu sei un uomo meraviglioso, Sandokan. - Non sono stato forse un pirata? - rispose la Tigre della Malesia. - Nella mia lunga carriera ne ho provate delle avventure e ne ho ... - Una scarica di carabine gli tagliò la frase. I malesi ed i servi del palazzo avevano aperto il fuoco, per impedire agli assedianti di abbattere la porta e d'invadere le stanze del pianterreno. - Se la resistenza dura dieci minuti noi siamo salvi, - disse Sandokan. Si volse udendo delle tegole a muoversi, Surama s'avanzava con precauzione andando carponi sul tetto, accompagnata da due servi e da un malese, che portavano corde di seta, strappate probabilmente dai tendaggi, e grosse corde di canape tolte dalle varanghe. - Chi è che ha aperto il fuoco? - chiese Sandokan aiutando la brava ragazza ad alzarsi. - I tuoi uomini. - Vi sono dei seikki fra gli assalitori? - Una dozzina e avevano subito attaccata la porta. - Kammamuri scegliti la corda e bada che sia solida perché tu dovrai passare su quella. - Lascia fare a me, padrone; - rispose il maharatto. Si gettò sulle funi che erano state deposte dinanzi a lui e prese un cordone di seta, lungo una quindicina di metri e grosso come un dito, osservandolo attentamente in tutta la sua lunghezza. - Ecco quello che fa per me, - disse poi. - Può sorreggere anche due uomini. - Fece rapidamente un nodo scorsoio, si spinse verso il margine del tetto, lo fece volteggiare tre o quattro volte intorno alla propria testa come fanno i gauchos della pampa argentina e lo lanciò. La corda ben aperta alla sua estremità, in causa di quel rapido movimento rotatorio, cadde su una delle aste di ferro e vi scivolò dentro. - Ecco fatto, - disse Kammamuri volgendosi verso Sandokan. - Tenete forte il cordone. - Guarda prima se vi è gente nella via. - Non mi pare, padrone. D'altronde l'oscurità è fitta e nessuno ci vedrà. - Sandokan e Tremal-Naik si gettarono sulle tegole afferrando strettamente il cordone, subito imitati dai due servi e dal malese. - Coraggio amico, - disse il pirata. - Ne ho da vendere, - rispose il maharatto sorridendo. - E poi non soffro le vertigini. - Si appese al cordone, incrociandovi sopra, per maggior precauzione, le gambe e s'avanzò audacemente al di sopra della via, senza nemmeno pensare che poteva da un istante all'altro cadere da un'altezza di diciotto o venti metri e sfracellarsi sul lastricato. Sandokan e Tremal-Naik seguivano con viva emozione e non senza rabbrividire quella traversata, dal cui buon esito dipendeva la salvezza di tutti. Vi fu un momento terribile, quando il coraggioso maharatto giunse a metà della distanza che divideva il palazzo dalla pagoda. Il cordone quantunque tirato a tutta forza dai cinque uomini, aveva descritto un arco accentuatissimo, crepitando sinistramente sotto il peso non indifferente di Kammamuri. - Fermati un istante! - gridò precipitosamente Sandokan. Il maharatto che doveva pure aver udito quel crepitìo che poteva annunciare una imminente rottura, ubbidì subito. Fortunatamente la corda non aveva ceduto, né aveva dato alcun altro suono. A quanto pareva, i fili di seta si erano solamente allungati senza spezzarsi. - Vuoi provare? - chiese finalmente Sandokan. - Aspettavo il tuo ordine, - rispose Kammamuri con voce perfettamente calma. - Va', amico, - disse Tremal-Naik. Il maharatto riprese la sua marcia aerea, procedendo però con precauzione e giunse ben presto sul terrazzo della pagoda, mandando un gran sospiro di soddisfazione. - Le funi, padrone! - gridò subito. Sandokan aveva già scelto le più grosse e le più solide. Le annodò facilmente. Le due funi, annodate l'una sopra l'altra, all'altezza d'un metro e mezzo e assicurate a due aste di ferro, potevano permettere il passaggio senza correre troppi pericoli. - Tremal-Naik, - disse Sandokan; - occupati di far passare le persone. Surama hai paura? - No, signore. - Passa per la prima. - E tu? - chiese Tremal-Naik. - Vado a coprire la ritirata e preparare la barriera che impedirà agli assedianti di darci la caccia. - Riattraversò il tetto e ridiscese negli appartamenti. La battaglia fra gli indù, i malesi ed i servi del palazzo infuriava, facendo accorrere da tutte le vicine vie nuovi combattenti. I malesi nascosti dietro i parapetti delle varanghe che avevano coperti con materassi, cuscini e pagliericci, sparavano furiosamente facendo indietreggiare, ad ogni scarica, gli assalitori e mandandone molti a terra morti o feriti. La folla però, che era pure armata di ottime carabine e di pistole, rispondeva non meno vigorosamente e anche dalle case fronteggianti il palazzo di Surama si sparava contro la varanga, mettendo in serio pericolo i difensori. Sandokan si era precipitato fra i suoi uomini, gridando: - Riparate subito sul tetto! Fra pochi minuti il palazzo sarà in fiamme! Prima le donne ed i servi, ultimi voi per coprire la ritirata. - Ciò detto strappò una torcia che illuminava la varanga e diede fuoco alle stuoie di coccottiero, quindi si slanciò attraverso le splendide stanze che formavano l'appartamento riservato di Surama, incendiando i cortinaggi di seta delle finestre, le coperte dei letti, i tappeti, i leggeri mobili laccati. - Ci diano la caccia ora, - disse quando vide le fiamme avvampare e le stanze riempirsi di fumo. - Cinquantamila rupie non valgono un dito di Surama. - Ritornò sulla varanga inseguito dalle colonne di fumo per accertarsi che non vi era più nessuno. Indiani e malesi, dopo d'aver fatta un'ultima scarica, erano precipitosamente fuggiti; e le stuoie, le colonne di legno e persino il pavimento, avvampavano con rapidità prodigiosa lanciando intorno bagliori sinistri. - Questo palazzo brucerà come un pezzo d'esca, - mormorò Sandokan. - È tempo di metterci in salvo. - Raggiunse l'abbaino e balzò sul tetto. La ritirata era cominciata in buon ordine; uomini e donne attraversavano rapidamente il ponte volante reggendosi sulle due funi, mentre i malesi, curvi sui margini del tetto, consumavano le loro ultime munizioni e scagliavano nella via, sulle teste degli assedianti, ammassi di tegole. Sul terrazzo della pagoda le persone si accumulavano, prendendo subito la via dei tetti, sotto la guida di Tremal-Naik, di Kammamuri e di Bindar. Quando Sandokan vide finalmente il ponte volante libero, vi fece passare i malesi, poi troncò con un colpo di coltello le due funi che erano state legate attorno al comignolo d'un camino, onde gli assedianti, nel caso che la casa non bruciasse interamente, non potessero accorgersi da qual parte gli assediati fossero fuggiti. - Ora un esercizio da buon marinaio, - mormorò Sandokan. Prima di eseguirlo lanciò intorno un rapido sguardo. Dagli abbaini uscivano nuvoli di fumo e getti di scintille e nella sottostante via si udivano i clamori feroci della folla. - Entrate e dateci la caccia, - mormorò il pirata con un sorriso ironico. Afferrò una delle due funi, si spinse fino sull'orlo del tetto e senz'altro si slanciò andando a battere i piedi contro il cornicione della pagoda che sorreggeva il terrazzo. Nessun altro uomo, che non avesse posseduta l'agilità e la forza straordinaria di Sandokan, avrebbe potuto tentare una simile volata senza fracassarsi per lo meno le gambe. Il pirata però che doveva possedere una muscolatura d'acciaio, non provò che un po' di stordimento, prodotto dal violentissimo contraccolpo. Stette un momento fermo per rimettersi un po', quindi cominciò a issarsi a forza di pugno finché raggiunse il terrazzo. Sui tetti delle vicine case i servi e le donne fuggivano rapidamente, fiancheggiati dai malesi. Surama camminava alla testa, sorretta da Tremal-Naik e da Kammamuri. Sandokan, pur camminando con una certa precauzione, in pochi istanti li raggiunse. - Finalmente! - esclamò il bengalese, - cominciava a diventare inquieto non vedendoti comparire. - Io ho l'abitudine di giungere sempre, - rispose la Tigre della Malesia. - Ed il mio palazzo? - chiese Surama. - Brucia allegramente. - È un patrimonio che se ne va in fumo. - E che la Tigre della Malesia pagherà - rispose Sandokan alzando le spalle. - Ci inseguono? - chiese Tremal-Naik. - Attraverso le fiamme? Si provino a mettere i loro piedi entro quella fornace. Io già non ti seguirei di certo. - Ma dove finiremo noi? - Aspetta che troviamo una via che c'impedisca di andare più innanzi, amico Tremal-Naik. Ho già fatto il mio piano. - E quando la Tigre della Malesia ne ha uno nel cervello, si può essere certi che riuscirà pienamente, - aggiunse Kammamuri. - Può darsi, - rispose Sandokan. - Non fate troppo rumore e non guastate troppe tegole. In questo momento non potrei risarcire i danneggiati. - La ritirata si affrettava sempre in buon ordine, passando da un terrazzo all'altro. Gli uomini aiutavano sempre le donne a scavalcare i parapetti, che talvolta erano così alti da costringere i malesi a formare delle piramidi umane, per meglio favorire le scalate. Verso il palazzo si udivano sempre urla e spari e si scorgevano le prime lingue di fuoco sfuggire attraverso gli abbaini. Nelle case di fronte e di dietro, di quando in quando, partivano delle grida altissime: - Al fuoco! Al fuoco! - I fuggiaschi che temevano di essere sorpresi, si affrettavano. Se le fiamme s'alzavano, qualcuno poteva scorgerli e dare l'allarme, e questo, Sandokan assolutamente non lo desiderava. - Presto! presto! - diceva. Ad un tratto gli uomini che si trovavano all'avanguardia, si ripiegarono verso il terrazzo che avevano appena allora superato. - Che cosa c'è? - chiese Sandokan. - Non si può più andare innanzi, - disse Bindar che guidava quel drappello. - Abbiamo una via dinanzi e tanto larga che non la potremo sorpassare. - Vedi nessun abbaino? - Ce ne sono due sotto il terrazzo. - Di che cosa ti lagni dunque amico, quando abbiamo delle scale per scendere nella via? Fa' sfondare quegli abbaini e andiamo a fare una visita agli abitanti di questa casa. Sarà troppo mattutina, ma la colpa non è nostra. -

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