Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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VECCHIE STORIE

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De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Non nevicava, ma tanta era stata la neve caduta sui tetti, sui campanili, sugli abbaini, che la città pareva lì per perdere il respiro. Per la lunghezza delle vie, e per le piazze profonde, le flammelle del gas, fatte rossigne, si stringevano in sè, come se temessero pure di dover morire di freddo; poche, frettolose, le persone rasente ai muri; dagli archi delle botteghe chiuse, dalle finestre delle osterie, dalle case, traspariva quella luce velata e calda, che ha dentro di sè il fumo delle pentole e la ciarla della gente allegra. Voltò per via Larga; di là pel corso, verso porta Romana, dov'era la strada per la Ghiacciata. Sperava di arrivarvi in meno d'un'ora, non in carrozza, come sei mesi fa, quando era partita, non fra due filari di pioppi verdi, ma con un santo orgoglio, che la sorreggeva, che le riempiva gli occhi di lumi: al di là dei lampioni, oltre i gabellini, oltre la cerchia delle mura, che la serravano come l'anello d'una ruvida catena, anche in mezzo alla neve, alla nebbia, ai fossati, alle pozzanghere oscure, rasente ai cimiteri, la Gina vedeva la libertà; fuggiva, come se dietro i suoi passi corressero proprio ad inseguirla, e, voltandosi, guardava con spavento la mole confusa e nebbiosa della città. Presso i bastioni si trovò quasi perduta in un campo di neve. Le guardie, in un cantuccio del dazio, stavano scaldandosi intorno a un braciere, discorrendo sottovoce con aria di malcontento: al di là, quando cioè la Gina ebbe varcate anche le case del sobborgo, si trovò nel deserto addirittura, come le venne in mente d'aver letto, all'incirca, d'Elisabetta negli Esiliati in Siberia , quando giunge alle rive del Kama. La strada correva fra due fossati: non un carro, non un lume, non l'abbajare d'un cane. Ma non per questo cessava d'andare; il negro, che sia sfuggito al flagello del piantatore, non respira con tanta voluttà l'aria delle selve, quanto una coscienza, che si snodi da un'abbiezione morale e torva, cerchi di tornare alla stima di sè stessa. La Gina camminava nella neve, scendeva nelle pozze, nel ghiaccio, nella mota, contenta di dover vincere quegli ostacoli, come se, passando attraverso quella grande tribolazione, dovesse poi uscirne purificata. Era scomparsa un giorno d'estate fra un polverìo bianco: voleva ricomparire al disotto d'un nembo di neve; così della Gina si sarebbe dimenticato quel tempo, come se fosse stato un sogno. Camminò forse un'ora, senza mai sentire il freddo che le sbatteva sul viso; per la lunga eccitazione del suo spirito, ella finiva, sto per dire, col camminare sopra i propri pensieri. Certamente non vedeva l'ombra delle piante, nè i mucchi di ghiaja che costeggiano la strada, sotto uno strato di neve; se li avesse veduti, ne avrebbe preso maggior spavento, quasi fossero tanti cataletti posti in fila. Molte sue amiche eran camminate al camposanto collo strato bianco, e dietro aveva cantato anch'essa le litanie della Madonna, intonando il Mater purissima . E cammina, e cammina. Ecco finalmente che da' casolari, che sorgevano a destra e a manca della strada, sprofondati nel più fitto della notte, vede uscire, anche qui, quella luce velata e calda, che ha dentro di sè il fumo delle pentole e la ciarla della gente allegra. Anche per questi luoghi morti e quasi disabitati era passato il santo Natale, caro ai bambini, a suon di piva, circondato il capo d'edera e di muschio. Udiva delle canzoni, ma la strada continuava sempre deserta, sempre bianca lungo i fossati in cui gorgogliava un'acqua cieca piena di misteri. Finchè le parve di ravvisare, allo svolto di una gran siepe secca, il luogo, dove sei mesi fa era salita per la prima volta in carrozza, a guisa di certe povere ragazze delle favole, amate da principi. Quindi ravvisò anche il campanile aguzzo colla crocetta in cima, e fu per cadere come morta; ma la tenne ritta il pensiero che il più difficile era fatto e che, se Dio le avesse dato di poter rientrare nella sua casa, non solo ella avrebbe saputo trangugiare tutti i bocconi amari, ma si sarebbe chiamata felice di ottenere una scodella per carità e di far la serva alla sua matrigna. Giunta all'orlo della siepe di sambuco, che cingeva il giardino della Ghiacciata, guardò attraverso e vide che le finestre della vasta cucina brillavano; sotto stava il Toppa, attaccato all'organetto, e suonava una bella mazurca; la sua faccia giallognola e cretina sorrideva, mentre di dentro andavano e venivano delle ombre sulla cadenza della musica. La matrigna aveva invitato quel giorno Anselmo il mugnaio con suo figlio Gerola, un buon cristiano, zotico come un tronco, ma danaroso: da un pezzo la donna vi aveva messo gli occhi sopra per darlo, se si poteva, alla sua Carolina, che un migliore non ne avrebbe potuto trovare in questo mondo. Era stata contenta in cuor suo che la Gina, sdrucciolando come aveva fatto, avesse sbarazzata la casa da una terribile rivale. La Gina si accostò all'uscio; non piangeva, anzi, se si deve dirlo, si sentiva un coraggio e un'energia, di cui ella stessa si meravigliava. Il suo babbo era sempre il suo babbo e una donna, messa alle strette, non ha mai il cuore di respingere un'altra donna - pensava - quando implora compassione per amor di Dio. Picchiò una volta e non fu udita. Aspettò che il Toppa finisse di strimpellare e tornò a picchiare più forte. Questa volta qualcuno intese; la chiave scricchiolò e il volto della matrigna apparve nella fessura dell'uscio. - Chi è a quest'ora? - Sono io, la Gina. Il Toppa tornò a suonare, e il baccano, che sorse di dentro, impedì che altri potesse udire questo discorso. - Sei tu, sgualdrinella? va via, non ti conosciamo. - Per amor di Dio.... - Sei venuta in carrozza? - Per carità, almeno per questa notte.... - Questa notte meno che un'altra. - E dove andare a quest'ora? - Va dalla tua mamma. E chiuse l'uscio con furore, e girò due volte la chiave: parve a un tratto che di dentro si raddoppiasse la festa: la Carolina ballava con Gerola, e l'ostessa menava a tondo Anselmo il mugnaio, che non poteva reggersi sulle gambe. Il babbo dormiva nell'angolo nero del camino. La Gina non si accorse che intanto ripigliava a nevicare; non si accorse nemmeno che l'acqua entrava nelle sue scarpe; nè che le vesti strisciavano per terra. Non si sgomentò. - Andrò dalla mia mamma, - disse sottovoce, con un senso amoroso, la povera Gina. Conosceva bene la strada, perchè tutti gli anni soleva la mattina di Natale portarle un mazzo di fiori secchi, o un nastro ricamato. Quest'anno l'ora era un po' tarda, ma la sua mamma l'avrebbe ricevuta. Attraversò le vie deserte del paese: conobbe la strada del camposanto; spinse il cancello, che cedette. - Essa m'ha aperto, - mormorò la Gina. Traversò il piccolo campo, finchè vide una croce di legno, mezz'arrovesciata nella neve; ne sbarazzò le braccia, e cadde giù, esclamando con uno schianto: - M'han detto di venire da te, mamma. E piangendo cercò di chiederle perdono; si attaccò al legno con una stretta affettuosa di chi sente un cuore vicino, che risponde al suo. Poi chiuse gli occhi, per dormire accanto. La neve cadde alta tre spanne quella notte e tutti dicevano che avrebbe fatto bene alla campagna.

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