Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il romanzo della bambola

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Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • paraletteratura - romanzi
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A quest'ultimo verso anche i cani, in tutto il teatro, abbaiavano; le donne piangevano; gli uomini gridavano: - Dàlli a quella sgrinfia! - Ammazzala, quella poco di buono! - Mandala al diavolo, quella birbona! Ti giuro che, delle volte, mi venivano i lucciconi anche a me. Acqua passata, dirai... Eh, lo so purtroppo: che ci si fa? Bisogna rassegnarsi a' decreti della Provvidenza. Di lì a qualche tempo il padrone fallì, e dovette vendere, è il caso di dirlo, baracca e burattini, tutti i paladini di Francia, tutte le belle donne d'Asia e d'Europa: totale, quattro lire e cinquanta centesimi: la sola corona di Carlo Magno valeva di più. Girammo ancor qualche mese per la Ciociaria, per i castelli romani: ma cosa vuoi? Il nostro padrone non c'era più a farci parlare con quella sua bella voce di basso profondo: quest'altro, il nuovo padrone, aveva una vocetta di ragno che faceva compassione. Non si poteva andare avanti, via! E una sera, per dispetto, m'hanno buttato qui, in mezzo agli stracci. Pazienza! - E fece un altro sospiro, più forte del primo. La Giulia, che da principio aveva avuto paura di trovarsi così sola con un facinoroso di quella fatta, a poco a poco, dopo averne udita la storia, cominciava a riconciliarsi con lui. Era, in fine, suo prossimo, un fantoccio come lei, e come lei aveva sofferto tanto! Ora i patimenti hanno almeno questo di buono: che ci fanno amare tutti coloro i quali sono caduti nella nostra stessa miseria. La Giulia, dunque, andava quasi dimenticando il suo proprio stato per commiserar quello del povero Orlando, e lo guardava con una gentilezza commossa, con una pietà quasi fraterna, che non si sarebbe immaginata davvero di dover mai provare per un burattino. Quand'egli tacque, e non accennò più a parlare, la bambola ebbe quasi rimorso di non avergli ancóra rivolta la parola: le pareva d'averlo ingiustamente mortificato. E, per rimediare in qualche modo alla mala fatta, gli disse con una vocina sottile, sottile, così sottile che uno di noi non avrebbe potuto udirla, vera vocina da bambola: - Io mi chiamo Giulia. Un'altra risata fu la risposta del burattino. La bambola Io guardò tristemente: perchè si faceva beffe di lei? - Giulia? - rispose Orlando - ma ti par egli un nome, cotesto? Ti chiamassi almeno Logistilla, come la sorella d'Alcina, o Marfisa, come la sorella del mio amico Ruggiero, quello che sposò la valorosa Bradamante, o Olimpia o Ginevra - ma Giulia!... Non ho mai sentito dire che un cavaliere errante avesse, in famiglia, nessuna donna che portasse un nome simile. Ma già, per fortuna, il nome non vuol dir nulla, come nè pure la nascita: l'uomo va giudicato dalle azioni. - Meno male! - pensò la Giulia, a cui quest'ultima osservazione avea ridato un po' di coraggio. - E tu che vita hai fatta? - le domandò Orlando.

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Il romanzo della bambola

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Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • Verismo
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A quest'ultimo verso anche i cani, in tutto il teatro, abbaiavano; le donne piangevano; gli uomini gridavano: - Dàlli a quella sgrinfia! - Ammazzala, quella poco di buono! - Mandala al diavolo, quella birbona! Ti giuro che, delle volte, mi venivano i lucciconi anche a me. Acqua passata, dirai... Eh, lo so purtroppo: che ci si fa? Bisogna rassegnarsi a' decreti della Provvidenza. Di lì a qualche tempo il padrone fallì, e dovette vendere, è il caso di dirlo, baracca e burattini, tutti i paladini di Francia, tutte le belle donne d'Asia e d'Europa: totale, quattro lire e cinquanta centesimi: la sola corona di Carlo Magno valeva di più. Girammo ancor qualche mese per la Ciociaria, per i castelli romani: ma cosa vuoi? Il nostro padrone non c'era più a farci parlare con quella sua bella voce di basso profondo: quest'altro, il nuovo padrone, aveva una vocetta di ragno che faceva compassione. Non si poteva andare avanti, via! E una sera, per dispetto, m'hanno buttato qui, in mezzo agli stracci. Pazienza! - E fece un altro sospiro, più forte del primo. La Giulia, che da principio aveva avuto paura di trovarsi così sola con un facinoroso di quella fatta, a poco a poco, dopo averne udita la storia, cominciava a riconciliarsi con lui. Era, in fine, suo prossimo, un fantoccio come lei, e come lei aveva sofferto tanto! Ora i patimenti hanno almeno questo di buono: che ci fanno amare tutti coloro i quali sono caduti nella nostra stessa miseria. La Giulia, dunque, andava quasi dimenticando il suo proprio stato per commiserar quello del povero Orlando, e lo guardava con una gentilezza commossa, con una pietà quasi fraterna, che non si sarebbe immaginata davvero di dover mai provare per un burattino. Quand'egli tacque, e non accennò più a parlare, la bambola ebbe quasi rimorso di non avergli ancóra rivolta la parola: le pareva d'averlo ingiustamente mortificato. E, per rimediare in qualche modo alla mala fatta, gli disse con una vocina sottile, sottile, così sottile che uno di noi non avrebbe potuto udirla, vera vocina da bambola: - Io mi chiamo Giulia. Un'altra risata fu la risposta del burattino. La bambola Io guardò tristemente: perchè si faceva beffe di lei? - Giulia? - rispose Orlando - ma ti par egli un nome, cotesto? Ti chiamassi almeno Logistilla, come la sorella d'Alcina, o Marfisa, come la sorella del mio amico Ruggiero, quello che sposò la valorosa Bradamante, o Olimpia o Ginevra - ma Giulia!... Non ho mai sentito dire che un cavaliere errante avesse, in famiglia, nessuna donna che portasse un nome simile. Ma già, per fortuna, il nome non vuol dir nulla, come nè pure la nascita: l'uomo va giudicato dalle azioni. - Meno male! - pensò la Giulia, a cui quest'ultima osservazione avea ridato un po' di coraggio. - E tu che vita hai fatta? - le domandò Orlando.

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