Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbaiavano

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Contessa Lara (Evelina Cattermole)

220305
Storie d'amore e di dolore 1 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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I cani abbaiavano di gioia, saltellando in torno ai padroni davanti alla porta dove avean fatto la guardia; il fuoco s'era mantenuto vivo; scintillava, anzi, più che mai nell' ampio camino che allargava il suo manto di pietra; la legna scoppiettava, susurrando una cantilena piana piana, in armonia col gorgoglìo del paiuolo. E la povera famiglia, prima d'andare a letto, mangiava le castagne bollenti, beveva qualche buon bicchiere di vino invecchiato da molti anni in cantina, facea festa in modo casalingo e patriarcale, al Salvatore del mondo. Ah, Signore, come erano mai lontani quei tempi! Cinque anni passati in vicende tanto varie, tra gente così diversa; cinque anni che, per esempio, alla Giulietta saranno volati come giorni, a lei, invece, sembravano secoli!... In tanto, era proprio sul punto di tornare un'altra volta il Natale. Là su, ne' suoi posti, l'avrebbero festeggiato secondo il solito, religiosamente, semplicemente. Ma essa, Leda, come lo avrebbe fatto? Sola? O pure in compagnia di persone indifferenti, che non soltanto ella non amava, ma a cui nè anche voleva un po' bene?... Con dolcezza insistente, la zampogna che avea cessato di sonare mentre la giovane s'abbandonava alle sue memorie e tornava addietro con esse, riprese il suo monotono ritornello; ma in lontananza, come se andasse affievolendosi, e finisse a dileguare fondendosi in nulla entro i rumori innumerevoli della città enorme. Leda corse alla finestra e la spalancò, per udire ancora quel suono fuggevole. La zampogna era ormai troppo lontana o taceva; solo un brusio di voci, un frastuono di ruote in movimento salì al salotto e parve riempirlo. Allora, ella richiuse i vetri e si asciugò gli occhi, sorridendo. Aveva un progetto. Voleva rivedere il suo villaggio, il Natale di là su, e innanzi tutto, oh! innanzi tutto, la sua vecchia mamma, dalla faccia chi sa come rugata, ma forse sempre rosea, certo sempre tanto buona! Voleva starsene a casa, magari per poche ore, per un'ora sola! Poi... sarebbe tornata... si sa. Senza perdere un minuto, premette un campanello elettrico. Comparve un servo. - Chiamatemi l'Adele! — ordinò la giovane donna. Di lì a poco si presentò la cameriera. In tanto, Leda aveva scritto su due fogli diversi una lunga lista di commissioni. - In questi luoghi andrai tu... subito - disse ella all'Adele, porgendole uno dei due fogli. Dalla modista aspetterai la consegna della roba. Queste altre facende le sbrigherà Ranieri... subito. E diede l'altra carta. - Ma così, la signora resta sola in casa? - si permise di osservare la donna. - Non importa... Ad ogni modo c'è sempre il cuoco — fu la risposta. Mentre l'Adele se ne andava, la padrona la richiamò: - Ascolta qui... Se... per caso, tornando, tu non mi trovassi, non stare in pena. Forse parto per qualche giorno... - La signora non fa il Natale a Roma? — chiese ancora la cameriera. Leda, senza badare, riprese: - Se in questo tempo venisse il signor barone, gli dirai che sto bene, ma che mi annoiavo... Gli spiegherò al mio ritorno... Hai capito? - Sissignora — mormorò l'Adele con un impercettibile sorriso. Quando Leda si fu assicurata d'esser ormai libera nell'appartamento, corse nella sua camera da letto, e aperto un baule chiuso a chiave, che figurava un cofano da corredo del quattrocento, ne tolse un involto ripostovi in fondo, che ogni tanto tirava fuori quando era triste. Da un pezzo, però, non lo aveva guardato. Erano i panni co' quali ella era venuta a Roma: poveri panni rimasti quasi nuovi, ma sgualciti per il molto tempo ch'eran rimasti piegati. L'oggetto che primo le venne in mano fu il fazzoletto a rosoni sur un fondo giallo che, da fanciulla, ella soleva portare in testa; corse allo specchio, e lì se lo annodò sui capelli; poi scoppiò in una risata. Ora che non era più avezza a vedersi a quel modo, le sembrava. d'esser buffa. Aveva spiegata la sottana; la scosse, e se l'infilò presto; era larga e sgraziata. E indossò il corpetto; troppo corto di vita, troppo corto di maniche. Ah; c'era anche il grembiule! Quello poi era quasi intatto: rossigno e bianco, di cotonina a quadrelli. Dio, come aveva freddo! Così leggiera codesta lanetta, massime per lei abituata adesso alle pellicce! Fortuna che c'era lo scialle! E se lo avvolse al busto. Non rideva più; s'era fatto d'un pallor di cera, come sul punto di venir meno. E quando quel costume contadinesco, ormai completo, le fu addosso, ella si fermò in piedi, con le braccia penzoloni e la faccia avanti a osservarsi dinanzi allo specchio, che la rifletteva tutta; sembrava cercar di riconoscere sè stessa. A un tratto mise un grido soffocato, rauco, quasi bestiale, si coperse il viso con tutte e due le mani e scoppiò in un pianto dirotto... Nessuno la vide attraversare la casa; e, certo, chi l'avesse scorta per istrada non poteva ravvisarla. Presto, quanto le forze glielo concedevano, camminò fino alla stazione: dove per più di un'ora aspettò la partenza del treno. Come Dio volle potè finalmente entrare in un carrozzone di terza classe, tra villani, balie, soldati in congedo, ed altri ordinari compagni di via. Aveva il biglietto fino a Castelnuovo. Di lì al Borgo la portava la diligenza del procaccia; da Borgo in su avrebbe chiesto qualche calesse, o una bestia da cavalcare: un mezzo qualunque per andare a casa. Tutte quelle ore di viaggio l'avevano affranta. Era stata muta tra le vicine loquaci; seria tra le risate e i motti scurili degli uomini. Ma venne il momento di scendere, di sgranchirsi le gambe, di respirare un' aria non infetta dalle spuntature dei sigari. — Menico! — diss'ella accostandosi al procaccia del suo paese, il quale stava fermo col legno sgangherato innanzi alla porta d'uscita della piccola stazione. L'uomo, cui quella voce non giungeva nuova, guardò la femmina. - Dove andate? — le domandò. - Al Borgo, anzi, a Montaguzzo. O non mi riconoscete?... Giovannina... Il procaccia si lasciò sfuggire una bestemmia a mo' d'interiezione. Poi continuò: - Ah, perdio, perdio! Ma sapete che vi siete fatta bella? E civile, non canzono! Leda si fece di bragia in viso. - Salite — la invitò l'uomo — piglierete meno freddo. Oggi c'è un ventaccio! Fatta accomodar la ragazza accanto sè, Menico, lungo il cammino, le andava rivolgendo diverse domande: - Si sta bene, eh, a Roma? Ella fece con la testa un cenno che il bravo uomo credette affermativo. - Ah, lo credo! — riprese, convinto — e mi figuro che non siete tornata per restare a Montaguzzo. - Non, so... — rispose lei. L' uomo badava a guardarla. - Ma, proprio, a Roma vi siete fatta un'altra! Più bianca, che so? meglio di prima, insomma. Ella ebbe un leggiero sospiro, inarcò le ciglia e tacque; rispondendo poi soltanto a monosillabi a tutte le chiacchiere di costui. Scesa dalla diligenza, si mise a cercare per tutto il Borgo un veicolo qualsiasi che la portasse su dai suoi. Nulla. La vigilia del Natale ciascuno se ne stava a casa propria e non se ne volea muovere per nessuna ragione. — Prestatemi un asino, un cavallo; vado io sola — pregava la ragazza. Ma non potè ottenerlo. Chi riconduceva poi la bestia al Borgo? Allora, ella si determinò a far la strada a piedi, senz'altra compagnia che il desiderio di arrivar presto. E si mise coraggiosamente a salire verso Montaguzzo. La campagna, anche con l'andar degli anni, conserva quasi intatto quell'aspetto che le si è conosciuto da molto tempo; costì le viuzze rimangono le medesime; le stesse siepi, gli stessi pezzi di muricciuolo, i medesimi avvallamenti di terreno; di rado c'è qualche casa colonica fabbricata di fresco: una casa che nulla cambia, però, all'insieme del paesaggio. A Leda pareva d'essere scesa al Borgo, come era solita fare da fanciulla, a comprarvi qualcosa che non si trovava nel suo casolare. Lo stesso orizzonte di cime nevose, le stesse casupole, gli stessi alberi, sto per dire gli stessi sassi del cammino, le venivano innanzi agli occhi. Ogni poco si fermava per guardare: là era Casalfranco, là Roccapicco, là Torrarsa; e si fermò tante volte, che fece notte. Quando si vide intorno il buio, cominciò a correre; tale quale nella sua infanzia, quando avea fatto tardi e temeva d' essere sgridata dal babbo. A momenti le mancava il fiato: le gambe non la reggevano più: un sudore freddo le inumidiva le tempie, ghiacciato vieppiù dalla tramontana. Quando aperse il vecchio cancello di legno, tutto tarlato e vacillante sui cardini, che metteva nella viottola, in linea retta, a pochi passi della sua casa, la ragazza era sfinita di forze. Un cane, fiutando qualche estraneo, le si precipitò incontro, abbaiando a squarciagola. Ella non poteva vederlo. — Fido! Fido! cominciò a chiamare con accento amico. Non era Fido; ma un compagno di lui, che appena ebbe riconosciuta l'antica padrona, mutò tono e prese a fare un baccano infernale per manifestare la sua contentezza. Venne gente su l'uscio. - Chi è? — chiesero diverse voci esili e robuste in coro. - Sono io! — rispose la nuova arrivata. - Chi? Ma la madre che non l'aspettava, la madre che non ci vedeva, le corse addosso e se la prese tra le braccia, stringendola quanto quelle povere braccia vecchie potevano stringere. - Tu, Nina mia, tu? — badava a ripeterle. Leda le aveva chinato il viso su la spalla, e non le diceva nulla: piangeva. Fu una sera felice. Sotto la cappa ospitale del camino di antica pietra, dove eran volate via insieme alle faville tante belle favole, la famiglia si raccolse anco una volta in giro, aspettando che sonasse la campana della chiesa. Le zampogne faceano echeggiare le loro note ingenue, le loro cantilene selvatiche in lontananza, come prima, come sempre; e nel paiuolo bollivan le castagne. Soltanto, invece delle novelle di fate, Leda udì dal suo fratello maggiore il racconto della vita dei soldati d'Africa: vita penosa ed eroica; poi dalla Giulietta l'idillio di un suo amore virginale per un garzone di fattoria al quale ella era fidanzata. Così si fece l'ora di recarsi alla messa; e come prima, come sempre, uscirono tutti in processione; il padre, innanzi agli altri, ormai lento nel camminare, con la lanterna in mano. L'aria era fredda; ma sul terreno, sonoro perchè ghiacciato, dove battevano le grosse scarpe ferrate, non si vedeva traccia di neve; qua e là, anzi, restavan su' rami de' frutti Contessa Lara 24 e degli arbuscelli parecchie foglie ancor verdi o appena ingiallite: la stagione era stata mite. Come al solito, Leda aveva accosto la sua sorellina, non più attaccata alla sottana, ma al braccio; la madre, più curva, seguitava a pregare ad alta voce Gesù Bambino; gli uomini parlavano famigliarmente. Quando la famiglia si fu aggruppata in chiesa, Leda s'inginocchiò presso un confessionale, nell'ombra, vergognosa di farsi fissare in viso dagli estranei curiosi di rivederla; e lì, mezzo seduta per terra, mezzo in ginocchio, stette per quanto durarono le tre messe di rito. A momenti pregava; la più parte del tempo fantasticò. E le parve così naturale di trovarsi lì tra i suoi, nella chiesetta del suo villaggio nativo appollaiato su' monti, mentre alla voce del parroco si univano le note dell'organo che ripeteva la vecchia aria di teatro, chi sa come giunta là su, e le note delle zampogne festive, selvatiche, insistenti; le parve così benefico quel tepore, accresciuto sul proprio corpo dalla lana del suo umile scialletto, di popolana; così sereno il sorriso che le volgeva ogni poco sua madre, ch'ella si domandò con pietosa incredulità se era lei, lei veramente, la quale per anni e anni avea vissuto lontano da quel centro di purità e di pace, tra gente ignota, senza affetto, senza fede, senza stima. Era stato un sogno brutto e cattivo?... Forse. Ah, Vergine Santa, Gesù Bambino, misericordia!.. Quando tornarono giù, verso casa, la Giulietta, tutta serrata al suo braccio, le domandò piano: - Di', rimarrai sempre con noi? La sorella maggiore chinò la testa, e rispose più piano ancora: - Credo di sì. FINE.

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