Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbaiava

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

SCURPIDDU

662776
Capuana, Luigi 2 occorrenze

Senza dubbio Scurpiddu abbaiava meglio. - Va' a dormire e non fare il buffone! La luna sorgeva lentamente dietro il dorso scuro delle colline. - Guardate, Soldato , come è grande la luna! Vi piacerebbe un pane tondo così? - Va' a dormire! Il Soldato rientrò nella stalla, per andare a buttarsi sul pagliericcio, là in fondo. Non poteva prender sonno senza sentire il rosichìo delle mule che masticavano la biada e la paglia, e lo scalpito irrequieto di esse su l'acciottolato del pavimento. Ancora non era freddo, la porta della stalla restava aperta tutta la nottata; e Scurpiddu sentì il Soldato picchiare con la mano su la groppa di una mula per farla tirare più in là, dar la voce a un'altra, accarezzare la groppa d'una terza. Scurpiddu stette un momentino fermo; in piedi. Il cuore gli batteva forte. Era risoluto; quella notte voleva fare la scoperta a cui pensava da tanto tempo: vedere il giubbone di albagio dello zi' Girolamo, col cappuccio ritto, messo a sedere sul fondo del corbello arrovesciato, e con tra le maniche incrociate il bastone di bovaro ... Se non si scorgevano le gambe dello zi' Girolamo, voleva dire ch'egli era andato attorno con le Nonne . Ma bisognava aspettare fino alla mezzanotte. Avrebbe sentito suonare i cento tocchi dal campanile di Santa Maria in Mineo. Di notte, sembrava che l'orologio fosse dietro la collina di rimpetto. Non voleva andare a coricarsi. Se chiudeva gli occhi addio! Fino all'alba non lo avrebbero svegliato neppur le cannonate. Che fare intanto? Girò dietro il pollaio, tra i fichi d'India per affacciarsi sul burrone della Caldaietta dove cascava l'acqua del beveratoio che formava ruscello. Si distinguevano i sassi, i cespugli e le viottoline laggiù, ora che la luna piena era un po' alta. L'acqua cascava a piombo, nella conca della Caldaietta, e si riversava dall'orlo tra i massi in fondo alla vallata, luccicando qua e là come uno specchio. - Guarda! Due conigli che si rincorrono! E grossi! Scurpiddu tese le braccia, come per prendere la mira col fucile. Non li avrebbe sbagliati! Si udiva, a intervalli, un grido di uccello da uno spacco della roccia di rimpetto, grido stridulo rimbalzante, che sembrava quasi una risata. Scurpiddu cominciava ad aver paura di trovarsi là, solo solo, a quell'ora, con quel silenzio interrotto soltanto dal grido del fagiano che aveva il nido in uno spacco della roccia, e dall'abbaio che veniva in quel momento dal fondo della vallata e che somigliava poco a un abbaio di cane. Fece alcuni passi più in là, si sdraiò bocconi per evitare un capogiro, e sporse la testa nel vuoto. La valle si sprofondava scura scura sotto le rocce che scendevano quasi a perpendicolo dalla parte opposta. Tra il nero delle macchie e degli alberi, biancheggiavano qua e là massi piccoli e grossi, staccàtisi dall'alto, rotolàtisi per la china e arrestàtisi a mezza costa. Quel grido, che aveva dell'abbaio e del guaìto, riprendeva di tratto in tratto, ora qua, ora là, come se l'animale che lo emetteva errasse tra le siepi, tra le erbe alte e i sassi ... Scurpiddu aguzzava gli occhi per indovinare che mai fossero quelle due macchie bianche che si muovevano lentamente tra gli oleastri, sotto gli olmi, e già si arrampicavano per la ripida viottola, dietro le piante di nocciuoli. Pareva sfuggissero il lume della luna, si acquattassero, uscissero d'agguato, tornassero ad appostarsi ... Trasalì! Nel silenzio cominciarono a ondulare, lenti, malinconici, paurosi, i cento colpi alternati dell'orologio di Santa Maria. Tin! Ton! Tin! Ton! Mezzanotte! Si rizzò in piedi, e rifece il breve tratto dietro il pollaio, tra i fichi d'India. Doveva passare davanti a la stalla delle mule, o continuare tra i fichi d'India, diritto, e spuntare su l'agghiaccio, voltando il cantone del fienile? No; qui faceva troppo rumore con le scarpe, calpestando le erbe secche e smuovendo le scheggie di roccia sparse per terra. Il cuore tornava a balzargli così rapido, che Scurpiddu dovette fermarsi. Brividi lo scotevano dalla testa ai piedi, brividi di terrore. Ma la curiosità, più forte di ogni altro sentimento, lo spingeva avanti. Trattenendo il respiro, facendo due, tre passi, e fermandosi a spiare con gli occhi spauriti e le sopracciglia increspate, Scurpiddu era arrivato vicino alla stalla quando fu arrestato dal rumore ottuso dei passi d'una bestia - giumenta o mula? - che usciva alla chetichella da la stalla. Il Soldato forse aveva legato male la cavezza all'anello di ferro della mangiatoia, e l'animale, vistosi sciolto, andava a farsi una rivoltolata fra la polvere, là davanti ... Affacciò la testa dallo spigolo della cantonata ... - Ah, mamma mia! La giumenta resisteva puntando i piedi, mentre un uomo la tirava pel capestro e un altro le dava sui fianchi con la bocca del fucile. Li riconobbe; erano gli amici ! - Madonna Santissima! ... ... Rubano la giumenta! Scurpiddu si sentì strozzare il grido in gola. - La portano via! - balbettava sottovoce. - Portano via la giumenta! ... Soldato , portano via la giumenta! E quando capì che la giumenta non poteva resistere più e che uno degli amici tentava di cavalcarla per farla camminare più spedita, si sentì sciogliere la lingua, e cominciò a strillare, nascosto dietro lo spigolo, facendosi piccino, piccino: - Soldato , la giumenta! Soldato , rubano la giumenta! Ladri! ... Ladri! Soldato ! Con la foga dello strillare aveva preso coraggio. Udiva la voce impermalita del Soldato che rispondeva dalla stalla; dall'agghiaccio lo zi' Girolamo gridava: - Ooh! Ooh! - per mostrare che era sveglio anche lui. Allora Scurpiddu si sentì diventare un altro, e corse dietro agli amici , gridando: - Lasciàtela! Lasciàtela! Soldato ! Zi' Girolamo! Si udirono, e parve venissero dalla masseria, due colpi di fucile che rimbombarono nel silenzio, poi altri due, uno appresso all'altro ... Tutta la masseria era in rumore. Chi gridava di qua, chi domandava di là: - Che è stato? ... Ladri! Ladri! Soldato ! Massaio! - E strilli di donne. Il Soldato , che era uscito dalla stalla e ancora non si raccapezzava, udì tra gli ulivi lo scalpito di un quadrupede e poi, a cavallo della giumenta, vide Scurpiddu che agitava le gambe percuotendo i fianchi coi tacchi per farla andare di galoppo. - Eccola ... Sono scappati ... Ecco la giumenta! - gridava Scurpiddu , Dalla gioia, gli brillavano gli occhi su la faccia rossa, avvampata. - E se ti ammazzavano? - esclamò il Soldato aiutandolo a scendere di cavallo. Massaio Turi accorreva, vestito a metà, con lo schioppo in pugno, seguìto dalla massaia che voleva trattenerlo: - Lasciate andare, santo cristiano! E piangeva. Facevano crocchio gli uomini sbucati dal fienile dove dormivano insieme in quel tempo di aratura; parlavano tutti a una volta. E il Soldato , che voleva raccontar lui il fatto non riusciva a farsi ascoltare. Si udiva soltanto: - Col pericolo di farsi ammazzare! Ed era l'esclamazione ammirativa con cui egli s'interrompeva o ripigliava da capo. Gli pareva impossibile che Scurpiddu , quell'animuccia del Purgatorio, avesse potuto avere tanto coraggio e tanta audacia. Scurpiddu se ne stava zitto. Temeva che gli domandassero: - E tu che facevi là fuori, a mezzanotte?

O abbaiava come un cagnolo, o nitriva come un cavallo, o tubava come un piccione, o chiocciava come una gallina che fa l'uovo, e scappava per eseguire l'ordine ricevuto. Certe sere, nel frantoio, mentre gli uomini si preparavano per la cena, egli andava a nascondersi in un serbatoio di ulive, e si metteva a miagolare. Da prima tutti credevano che miagolasse proprio un gatto; ma poi guardavano attorno, e non scorgendo il ragazzo, esclamavano. - È Scurpiddu ! E il Soldato andava a snidarlo, a furia di scapaccioni, per chiasso. Altre volte si udivano fuori gli abbai di due-tre cani. Qualcuno degli uomini si affacciava dal portone per vedere chi arrivava a quell'ora, e non vedendo cani e nessuno, richiudeva il portone ridendo: - È quel boia di Scurpiddu ! E Scurpiddu compariva poco dopo, lieto della burla fatta. Un giorno, tornando a casa coi tacchini, aveva portato sotto un braccio tre lunghi steli di cipolle fioriti. - Che ne vuoi fare? - gli aveva domandato la massaia. - Niente. Mi servono. E quella sera, mentre gli uomini mangiavano la minestra, egli era sgusciato fuori zitto zitto. Si udiva un muggito lungo, lamentoso, dalla parte dell'agghiaccio dei buoi. - Che sarà? - esclamò il massaio. - Va vedere. Il Soldato uscì fuori, s'inoltrò sulla strada che menava all'agghiaccio, e da lontano chiamò: - Zi' Girolamo! - Ohi! - quegli rispose. - Che vuol dire questo muggito? - Che ne so io? Viene di costì. Infatti il muggito lungo, lamentoso, partiva dai fichi d'India dietro il frantoio, dal lato opposto dell'agghiaccio. Il Soldato si accostò con cautela ai fichi d'India, e al lume di luna scorse Scurpiddu che soffiava dentro uno stelo di cipolla come in una tromba e ne traeva quel suono che imitava così bene il muggito d'un bove, da ingannare. - Ah, sei tu! E se Scurpiddu non scappava, avrebbe ricevuto quattro bei scappellotti. Il Soldato tornò maravigliato, alla masseria: - È quel discolo di Scurpiddu ! La cosa parve così strana, che il massaio volle vedergliela ripetere là, davanti a tutti. E accadde che lo zi' Girolamo, intricato anche lui, si mosse dal suo corbello e cominciò a chiamare: - Ohi! Ohi! Che è stato? Il Soldato , riconosciuta la voce, si affacciò su la soglia e gli gridò: - Venite! C'è un bove smarrito. E lo zi' Girolamo era tornato indietro scornato, minacciando Scurpiddu con la mano, dopo che si accorse della burla. Le sere di pioggia, nel novembre, attorno al fuoco acceso per asciugarsi i vestiti, gli uomini lo invitavano: - Scurpiddu , fa' la rissa del cane col gatto. Non se lo faceva dire due volte. E non imitava soltanto i ringhi, gli abbai, i miagolamenti e gli sbuffi dei due animali, ma le loro mosse, e così abilmente che pareva di vederli. - Bravo, Scurpiddu ! E battevano le mani. - Soltanto la lettura stenti ad apprendere! - gli rimproverava il Soldato . Infatti faceva fatica, quantunque ci mettesse molta buona volontà. Ma forse la colpa era un po' del maestro che non ne sapeva molto neppur lui, e non era destro nell'insegnare quel pochino che sapeva. E poi Scurpiddu , era ragazzo, si distraeva facilmente. Quando aveva sillabato un quarto d'ora da solo, cominciava a sbadigliare. Certe sillabe non c'era verso gli entrassero nel cervello, o vi entravano a rovescio. E più egli stava attento, per non sbagliare quando arrivava a quel punto, e peggio sbagliava. Nella masseria c'era il Soldato che gli gridava subito: - Bestia! Ma lassù, su la collina dell'Arcura o sotto gli ulivi del Piano del Galluzzo, egli rimaneva sempre incerto se avesse sbagliato o no; chiudeva subito il sillabario, e si metteva a sonare con lo zùfolo la ninna-nanna del Natale, dolce e malinconica melodia. E durava a suonare per ore ed ore, interrompendosi soltanto per dar la voce a qualche tacchino che si allontanava troppo dagli altri. - Dove vai, Notaraccio ! E con una sassata lo faceva tornare addietro. - Sciò, Fra Giuseppe ! Sciò! E brandendo la canna, lo rincorreva. Aveva trovato altri nomi per le sue bestiole: Massaio, Soldato, zi' Girolamo, za' Tegonia, Don Pietro, Correntina, Scanza-fatica . A un tacchino giovane avea appiccato fin il proprio nomignolo di Scurpiddu , ed era il tacchino che gli dava più da fare, sempre avanti a tutti, sempre sbandato e sempre in rissa con gli altri. Da principio, quando alla masseria ignoravano quel battesimo, sentendolo esclamare: - Scurpiddu infamaccio! - non capivano perchè si sgridasse da sè. - L'hai con te stesso, Scurpiddu ? - gli domandava il Soldato . Si distraeva pure con fare la guerra, come egli diceva, ai tacchini. Il prepotente era Scurpiddu che l'aveva con Notaio e Soldato , chi sa perchè. Stirava le ali fino a terra, apriva a ventaglio la coda e pettoruto, col bernoccolo e i bargiglioni gonfi, rossi e violacei, si scagliava addosso all'avversario. Allora Scurpiddu li incitava con la voce e coi gesti, li aizzava, gridando: - Guerra! Guerra! Spesso erano quattro a una volta che entravano in lizza. Scurpiddu faceva far largo agli altri e batteva le mani, saltava di qua e di là: - Guerra! Guerra! E pareva che i combattenti lo capissero. Si accanivano, inferocivano. Notaio afferrava col becco il bernoccolo di Scurpiddu e glielo tirava, glielo tirava, quasi volesse strapparglielo. Scurpiddu tramortiva un po', ma riprendeva subito la lotta; e quando aveva afferrato il bernoccolo di Notaio non voleva rilasciarlo più, fino a che l'avversario non si dava per vinto. Mommo interveniva; picchiava con la canna addosso ai combattenti, dava pugni e calci per dividerli, se no si ammazzavano; e poi si metteva a suonare una marcia strana, inventata da lui, e che, secondo la sua intenzione, celebrava la vittoria. - Peccato, - egli pensava, - che lassù non ci era nessuno a godere quello spettacolo! C'erano soltanto le tàccole che passavano a stormi, gracchiando, e i falchetti che squittivano, librandosi su le ali prima di piombare come un sasso su qualche animaletto, scoperto dall'alto tra l'erba. La vallata sembrava presa da torpore sotto la vampa del sole. Si udiva, lontano, il campanaccio dei buoi dello zi' Girolamo, ma non si vedeva anima viva per le colline attorno. Laggiù laggiù, un branco di capre si arrampicava tra le rocce, brucando. E Scurpiddu tornava a cavar fuori dalla tasca il sillabario e ricominciava a compitare. Spesso si fermava, meravigliato che quei segni potessero parlare. Come facevano per dire: Pa-ne, Pon-te, Can-na? Eppure dicevano così! Ora ci prendeva gusto a quella specie di giuoco, svoltava pagina, si arrestava davanti alle difficoltà, si ingegnava di vincerle, e guardava all'ultimo le pagine con righe tutte unite che gli parevano un imbroglio inestricabile e che il Soldato però leggeva facilmente. Un giorno o l'altro le avrebbe lette anche lui. E tentava. E se riusciva a compitar bene qualche parola, la segnava per domandare poi al Soldato : - È vero che qui dice così? - Bravo, Scurpiddu ! Ora che il massaio gli aveva regalato una tàccola piccina, appena coperta di piume, Scurpiddu aveva un altro motivo di distrazione. La portava con sè nella sacca a tracolla e la imbeccava e l'addestrava a venirgli dietro come un cagnolino. - Paola ! Paola ! E la tàccola gli salterellava appresso, gracchiando. La metteva sul dorso di Notaio o di Don Pietro ed essi dovevano portarla attorno mentre pascolavano. Paola spesso saltava giù, annoiata di star ferma. Ma egli la prendeva per le ali e la rimetteva al posto. - Qui devi stare in carrozza. La tàccola aveva finito con avvezzarsi, e stava, signora in carrozza, passando da un tacchino all'altro, ora che aveva messo le ali. Scurpiddu l'addestrava anche a volargli addosso ad ogni richiamo. Paola faceva due o tre giri in alto e poi andava a posarglisi su la spalla o sul braccio. Scurpiddu l'accarezzava, le lisciava le penne lucide e nere, le dava a imbeccare un grillo, un baco, e tornava alla masseria con Paola appollaiata su la testa, sonando allegramente con lo zùfolo la ninna-nanna di Natale, interrompendosi per chiamare: - Paola ! Paola ! - lieto che Paola gli rispondesse con un gracchio quasi per dirgli: Sono qui. - E sùbito gli tirava col becco i capelli che gli scappavano fuori del berretto su la fronte. La sera, egli la metteva a dormire in un paniere appeso al muro del suo bugigattolo; le avea formato con un po' di fieno una specie di nido. E mentre egli si ficcava sotto la coperta di lana, le diceva: - Paola , buona notte! Paola rispondeva con un roco chioccolio e s'addormentava.

Cerca

Modifica ricerca