Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbaiava

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Racconti 2

662688
Capuana, Luigi 2 occorrenze
  • 1894
  • Salerno Editrice
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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- Il cane salterellava, faceva le viste di volergli mordere la mano, per carezza, ringhiando eccitato e allegro; e abbaiava, a riprese, se qualcuno gli toccava la coda, o tentava di accarezzarlo il padrone. - Che ne fai di questo cane? - gli domandò il canonico. - È di mio padre. - Me lo prendo io. - Neppure per chiasso. Gli costa mezza salma di fave. - Gliene darò una intera. - Niente, signor canonico. Gli vuol bene piú che a me che gli son figlio. - Su: venga a prendersi le fave. Va' a dirglielo -. Ma, un'ora dopo, Corda-al-piede arrivò, trafelato pel cammino fatto, strepitando: - Voglio il mio cane! - Bestia, che te ne fai? - Voglio il mio cane! - Non rispondeva altro. E siccome 'Nzulu e il massaro cercavano d'inframmettersi, cominciò a sbraitare e a dir loro delle parolacce. 'Nzulu lo tirò da parte, vicino al pollaio: - Come? Dite di no al signor canonico? Non lo sapete dunque ch'egli può giovarvi in tutte le circostanze? ... - Voglio il mio cane! - Quel giorno il canonico tornò di malumore al paese; e per una settimana discorse di quel cane con 'Nzulu e con gli altri che venivano a fargli visita, al solito, pel levriere, o pel furetto, o per qualche carica di polvere da caccia, di quella che si trovava soltanto presso di lui ed era inutile cercarla altrove ... Cottone, un altro cacciatore di mestiere, lo conosceva meglio di tutti il cane di Corda-al-piede: - Animale coi fiocchi! Cacciava da sé, e portava i conigli al padrone senza che nessuno l'avesse addestrato. Ma quello zotico non si degnava nemmeno di prestarlo -. Mezzo paese si mise in moto, per far cosa grata al signor canonico. E 'Nzulu andava e veniva, aumentando ogni volta il prezzo che quegli era pronto a pagare. Corda-al-piede piú si vedeva pregato, e piú diventava duro. Il canonico, quando gli riferivano le risposte, si mordeva le mani. Non gli era mai accaduto un caso simile; gli pareva impossibile che quel pezzo di villanzone resistesse alle offerte e alle minacce. Giacché egli, alla fine, era ricorso alle minacce per intimorirlo. Corda-al-piede rispond eva: - Nel mondo, due sono potenti: chi ha molto e chi non ha niente. Che può farmi il canonico? - Questi, tornando a dire la messa in campagna, aveva delle distrazioni. Vedeva sempre, là, in fondo al viale, presso la carciofaia, il cane di Corda-al-piede, che non c'era piú, e non s'era piú visto perché il padrone lo teneva in casa incatenato. - Né io, né lui! - decise il canonico. E trovò chi, con la scusa di dire una parolina a Corda-al-piede, andò a buttargli in casa una polpetta di stricnina pel cane. Ma un sabato sera, il canonico Salamanca, andando a Bardella per la messa della domenica, vide proprio la morte con gli occhi, come diceva 'Nzulu Strano, raccontando il fatto. Corda-al-piede, che attendeva allo svolto della strada, presso il vallone della Lamia, gli puntò il fucile in faccia, esitante: - Per la Madonna! ... Dovrei farvi fare una fiammata e andarmene in galera! - Il canonico, colto alla sprovvista, fermò la mula, pallido come un cadavere, balbettando: - Contro un sacerdote? - Ringraziate la chierica di Cristo, che non siete degno d'avere in testa! - E Corda-al-piede, abbassato il fucile, aveva tirato, per spavalderia su le macchie di rovi del ciglione, avanti che 'Nzulu spiccasse un salto per tentare di disarmarlo. Ahimè! I bei tempi delle grandi giornate di caccia erano già lontani; gli anni e, piú, la podagra, avevano ridotto il canonico a camminare come un invalido, reggendosi su la canna d'india, allorché s'avviava per andare a celebrare la messa, o a recitare l'uffizio. Le sue fermate da donna Totò, grassa e fresca a dispetto dell'età, erano diventate piú lunghe pei malanni e per l'abitudine. Il nuovo vescovo, rigido quanto il predecessore, nell'occasione della visita diocesana, fece al canonico un'altra lavata di capo. - Scandalo! Dovrò levarle la messa? - Che scandalo vuol ella che io dia, monsignore mio? - aveva risposto il canonico con voce di rimpianto. - Non vede come sono ridotto? - E il vescovo s'era stretto nelle spalle brontolando, e lo aveva lasciato in pace. Per ciò ogni mattina si vedeva il canonico Salamanca che, appoggiandosi alla canna d'India, trascinava per la salita le gambe indolenzite, fino alla porta di donna Totò. Ella lo attendeva al terrazzino, sapendo l'ora, e accorreva per aiutarlo con una mano a montare i pochi scalini, levargli il mantello e prendere il nicchio per riporli sul letto, e porgergli la pipa già preparata sul tavolino con accanto la scatola di latta dei fiammiferi di legno. Pareva che, senza quella pipata preventiva, il canonico non potesse né dir messa, né cantare al coro; pareva che, senza lo stimolo di quella tazza di buon caffè e il conforto dei crostini, non avesse potuto piú avere la forza di arrivare a casa. In verità, le sue visite erano oramai la cosa piú innocente di questo mondo. Il canonico si divertiva coi merli e con le gazze che donna Totò ammaestrava per proprio svago e chiamava figliuoli. A uno dei merli, al piú vecchio, ella aveva messo nome Canonico. Non cantava piú; stava appollaiato tristamente sulla stecca della gabbia, quasi seccato di vivere, e si cibava soltanto di zuppa di biscottini, di quelli che il canonico amava intingere nel caffè. Egli lo guardava, mandando fuori grandi boccate di fumo, quasi fosse stato il suo ritratto. - Invalido anche lui, quel povero Canonico, dentro la gabbia! - E gli fischiava, quasi dovessero intendersela bene fra loro, uno piú invalido dell'altro. Canonico rizzava la testa spiumata, scoteva le ali e la coda, mandava fuori un flebile chioccolio, e rimaneva lí, appollaiato su la stecca, immobile, aspettando di morire. Le due gazze intanto accorrevano a beccare familiarmente la punta delle scarpe del canonico, che si compiaceva d'incitarle. Vivaci, striminzite per le ali tagliate assai corte e il codione senza penne, esse gli s'arrampicavano su per le gambe, sporcandogli la zimarra, impertinenti, crocidanti, ciangottando parole con la lingua mozzata a posta per addestrarle a parlare. - Figlio! Figlio! - suggeriva donna Totò, contenta e superba delle sue bestioline. - Chi è? Chi è? - E le gazze ripetevano, roche e stridule: - Figlio! Figlio! Chi è? - Il canonico, continuando a fumare, diceva alla signora: - Prendetemi la cassettina -. Si occupava, là e a casa, fabbricando chioccolii per la caccia delle quaglie; e in quella cassetta, come nell'altra che aveva a casa, stavano riposti pelli di capretto conce, cannellini di stinchi di tacchino, minuzzoli di candele di cera fattisi dare dai sagrestani, matasse di refe grosso, forbici, aghi, un ditale e il legnetto intagliato a vite, con cui dare le pieghe a mantice ai sacchettini dei chioccoli. Ritagliava la pelle sul modello di cartone e ne cuciva gli orli combaciati attentamente; poi, foggiata con le dita una pallottolina di cera, la cacciava in fondo al sacchetto allestito; serviva per dare appoggio al chioccolo sul polpastrello del pollice, quando dovevano suonarlo. Indi, infilatovi il legnetto, avvolgeva la pelle con uno spago tra i pani della vite, perché prendesse le pieghe e servisse da mantice. E che ammattimento quei cannellini di osso, forati in mezzo, da adattare alla bocca del sacchet to con un tappo di cera, pel suono! E quei peduncoli di spago da appiccare in calce al chioccolo, per poterlo tener fermo! ... Lavoro di pazienza, insomma, che svagava molto il canonico. Gli rammentava i bei giorni d'estate tra i seminati della Piana, ai tempi ch'egli e 'Nzulu davano la caccia alle quaglie con reti e fucile! Quacquarà! Quacquarà! E le quaglie accorrevano al richiamo, incappando fra le vaste reti stese sui seminati che si piegavano, cascando fulminate da colpi infallibili: Tum! Tum! Gli pareva di sentirseli ancora dentro gli orecchi. Tum! Tum! Da donna Totò egli lavorava tranquillamente. A casa, sua sorella donna Agnese, a vedergli sciupare quelle buone pelli di capretto che costavano tanti quattrini, brontolava da mattina a sera: - Che ne fate dei chioccoli, ora che non potete piú andare a caccia? Pazzo, pazzo da legare! -E, se lo trovava a frugare pei cassettoni in cerca d'un mozzicone di candela, o d'una matassa di refe, lo sgridava peggio di un bambino: - Non sconvolgete ogni cosa! Non vi bastano ancora cento e piú chioccoli? - Egli stava zitto, e intascava i mozziconi di candele, se ne trovava. Quando non ne trovava, ricorreva fin alle candele benedette della Candelora, che donna Agnese teneva appese al capezzale e dovevano servire in punto di morte. - Scomunicato! E siete sacerdote! Anche le candele benedette! - Donna Agnese non se ne dava pace. Per questo, a ogni accesso di podagra che inchiodava il canonico su la poltrona, e lo faceva trambasciare, non lo compativa, indispettita: - È castigo di Dio! Dovreste intenderlo -. Faceva meraviglia come egli non perdesse la pazienza. - A che siamo co' chioccoli? - gli domandava 'Nzulu, che ora veniva piú di rado. - Quattrocento! - Dovreste darmene un paio; è la stagione delle quaglie. - Serviranno per me, quando sarò morto. - Come mai, signor canonico? - Gli ho destinati ai ragazzi poveri, per testamento; dovranno accompagnare la mia bara, suonandomi dietro: Quacquarà! Quacquarà! - E rideva. Con tal pretesto, non regalava un chioccolo neppure a 'Nzulu Strano. - Non vi si riconosce piú, signor canonico! - Non si riconosceva egli stesso, su quella poltrona maledetta, dove non trovava requie da un mese, né giorno né notte. 'Nzulu gli recava le notizie di donna Totò. Il vecchio merlo Canonico, morto di sfinimento; una delle gazze, la migliore, annegata in un catino d'acqua; donna Totò poverina, n'avea pianto quasi come per una figliuola! E non si sentiva bene neppur lei. Voleva il dottore ... Da lí a qualche giorno, le cattive notizie incalzarono: donna Totò stava male assai. Il canonico dondolava la testa: - Ah, se accade una disgrazia, 'Nzulu! ... - Dove sarebbe andato per la sua fumatina prima della messa? E, dopo, pel caffè coi crostini e i biscotti? Una mattina che si sentí in gambe, cominciò lentamente a vestirsi. 'Nzulu allora, atteggiando a compunzione il viso allampanato e giallastro, credette opportuno dirgli: - Restate in casa, signor canonico ... Fate la volontà di Dio! ... Siamo tutti destinati a morire! Due lagrime rigarono la faccia smunta del canonico; pure volle finire di vestirsi, e scese le scale reggendosi al braccio di 'Nzulu. - Almeno celebrerò la santa messa in suffragio dell'anima sua! - Presero però un'altra strada, per non passare davanti quella porta dove donna Totò gli veniva incontro per aiutarlo a salire i quattro scalini. In sagrestia, rivolti gli occhi al gran crocifisso di carta pesta che sormontava gli scaffali: - Signor Iddio! - esclamò lamentosamente il canonico: - O che non vi bastava Maria Maddalena in paradiso? - E lasciò infilarsi il camice dal sagrestano. Roma, settembre 1891@. 1891.

tra le erbe dei prati attorno e che un cane abbaiava, a intervalli, lontano. Ricordo che, a giorno alto, tornai a Firenze e che dovetti mettermi a letto con la febbre ... Volli leggere i giornali ... E vidi con stupore che nessuno di essi parlava dell'assassinio della bella signora russa in via Enrico Poggi. Tre giorni dopo, non interamente guarito, mi levai da letto, e mi feci condurre colà da un fiacchere, senza dare indicazione precisa ... La via era silenziosa, come al solito; tutti i portoncini chiusi; tutte le persiane delle finestre o chiuse o socchiuse ... Ne ssun indizio che in quella via, in quella nota casa fosse avvenuta qualche cosa di straordinario. Sapevo che gli assassini sentono una irresistibile attrazione verso i luoghi dov'essi hanno commesso un delitto, e pensavo: "È vero! È vero!" giacché un vivo impulso mi dominava, un'imperativo suggerimento mi diceva: "Scendi dal legno! ... Domanda a qualcuno ... Saprai!" E il terrore che mi invadeva non era quello di ottenere la certezza del mio delitto, ma l'opposto. Suonai replicatamente al portoncino. Nessuno venne ad aprirmi. Una donna che usciva dalla casa accanto si fermò a guardarmi esitante, poi mi disse: "Sa? Non c'è nessuno". "Abitava qui ... una signora ... " "È partita, da un pezzo. L'appartamento è sfitto". "Da un pezzo?" domandai stupito. "Eh! Da tre settimane, almeno". Mi sentii dare un tuffo al sangue ... E da quell'istante ho questo cerchio, qui, attorno alla fronte, e questi chiodi confitti nelle tempie ... Com'era possibile! Non l'avevo uccisa giorni addietro? Partita da tre settimane! ... O dunque? In che modo io sono vissuto questi ultimi due mesi? In che modo tutto quel che vi ho narrato si è andato formando nella mia mente con la suprema evidenza della realtà? Io la ho vista ... le ho parlato, ho udito la sua voce. È certo che ella abitava colà, in quel villino di via Enrico Poggi. È certo che io sono stato piú volte in quel salottino azzurro ... Visitai la casa, col pretesto di prenderla in a ffitto ... Non c'erano piú i mobili, niente; le nude pareti ... E c'era tuttavia il suo profumo, il profumo acutissimo di quelle sue sigarette ... Se non fossi stato colà altre volte, avrei potuto riconoscerlo? Il guasto è qui, nel mio cervello ... Dottore, liberatemi da questo cerchio alla fronte! ... Strappatemi questi chiodi dalle tempie! ... Non voglio impazzire! ... È orribile! ... Se non è morta, se ha potuto sopravvivere al colpo dello spillone conficcatole nel seno ... è lei, la maga, che continua a tormentarmi! ... Non crollate la testa ... È lei! ... Che male le ho fatto? L'amavo! ... Oh! Immensamente! ...

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