Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbaiasse

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

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Nuovo galateo. Tomo II

194742
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
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V. « Tra tutte le maniere onde si perviene a movere riso, piacevoli senza fine riescono, tanto il torcere contro d'altrui quel frizzo che a farci ridicoli era stato proferito, a quel modo che Catullo, interrogato da Filippo peché abbaiasse, Perché vedo il ladro, rispose; quanto dal concedere argutamente all'avversario ciò stesso con che ti morde, trarne appunto occasione di vituperarlo, siccome usò avvedutamente L. Celio, al quale essendo da taluno di bassi natali rimproverato ch'egli fosse indegno de'suoi maggiori: ripigliò, che tu se' degno de' tuoi». Luigi XV disse un giorno al conte Eric di Sparre, che fu due volte ambasciatore di Francia pel re di Svezia: Signor di Sparre, provo dispiacere vivissimo in pensando che voi non siete della mia religione; un giorno o l'altro io anderò in cielo e non vi troverò - Perdonatemi, Sire , rispose l'ambasciatore: il mio padrone m'ha ordinato di seguirvi dappertutto. In questi e simili casi il piacere risulta da doppia fonte: 1° dalla depressione d'un impertinente aggressore, o sia dalla cessazione d'un dolore; il che, quando succede rapidamente nelle cose morali, equivale a piacere; 2.° dagli improvvisi rapporti di somiglianza tra la proposta e la risposta. Il ridicolo risultante dalla scoperta improvvisa di somiglianze o contrarietà non comuni, non si può assolutamente attribuire alla malignità umana, come si dovrebbe, se in queste indagini si prendesse per guida la sola teoria d'Aristotele; il che risulterà meglio dall'analisi del seguente fatto, Un contadino, venuto a dolesi con un podestà perché gli era stato rubato il suo asino, dopo d'avere parlato della sua povertà e dell'inganno fattogli dal ladro, per fare più grave la perdita sua, disse: Messere, se voi aveste veduto il mio asino, ancor più riconoscereste quanto io ho ragion di dolermi, ché quando aveva il suo basto addosso , parea propriamente un Tullio. Il riso che ci cagiona questo discorso, non nasce dal vedere depresso Tullio a livello dell'asino, ma nel vedere che l'affezione del contadino sforzandosi d'ingrandirne l'idea, scappa fuori improvvisamente con un confronto nuovo, e si lusinga di trovare somiglianza tra l'asino e Tullio.

Pagina 159

In Toscana e in Sicilia

246023
Giselda Fojanesi Rapisardi 1 occorrenze
  • 1914
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
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Le due ragazze, trepidanti, si diressero colà sempre accompagnate dal cane che accarezzavano per timore che, vedendo un uomo abbaiasse, benché Dando del Bizza fosse conosciuto venendo spesso a opera nel podere, al tempo dei lavori grossi della campagna. Infatti tutto andò bene quella sera e molte altre dopo, giacchè i due innamorati, preso coraggio, ripeterono spesso le loro scappate con poco gusto della povera Betta, la quale ne soffriva molto e per più ragioni: anzi tutto per la gran paura d'essere scoperti, poi per lo struggimento strano, vago, indefinibile che quei colloqui ai quali assisteva silenziosa col cuore sempre in sussulto, le davano e, finalmente, per la perdita del sonno a cui era costretta. Se, durante il giorno la Gigia si buttava giù e faceva un sonnellino, nessuno le diceva nulla, ma guai se lo avesse fatto lei! Le sarebbero piovuti addosso improperi, rinfaccioni e magari degli schiaffi o qualche pedata. Quindi, nei giorni che succedevano a tali ritrovi era una lotta continua, accanita contro il sonno opprimente, invincibile onde a momenti era assalita, che le dava cascaggini paurose, dalle quali si scuoteva con dolori e giramenti di testa atroci. La Gigia, ormai fatta audace, le diceva di non muoversi, di non accompagnarla, ma all'ultimo momento, non aveva coraggio d'avventurarsi sola, e la stessa Betta preferiva d'esser là anche lei a invigilare, anzichè rimanere a letto, sapendo la sorella esposta al pericolo: tanto e tanto non avrebbe potuto chiudere occhio lo stesso. E quante volte poi, nei dormiveglia delle notti agitate o in quelli brevi dei caldi pomeriggi, la povera creatura, a cui nessuno aveva mai fatto una carezza, rivedeva i due giovani che, con le mani intrecciate e le teste vicine vicine, parlavano sommessamente d'amore; risentiva il suono di qualche parola tenera, di una dolce promessa..... di un bacio, che le faceva riprovare gl'improvvisi fremiti, e i subitanei abbarbagliamenti provati, quando era là poco discosta da loro, a vegliare perchè non fossero scoperti. Andarono avanti così alcuni mesi: la Betta deperiva a vista d'occhio, senza che se ne accorgessero o che ci abbadassero: chi si occupava di vedere se mangiava o no? Anzi, se mangiava poco, o nulla affatto, era un tanto di risparmiato, come diceva la Nunzia; ad ogni modo, non sarebbe morta; aveva la pelle dura, e se non voleva la minestra di fagioli, era segno che aveva già mangiato fuori, che aveva fatto qualche scorpacciata di frutta; per questo aveva quel viso verde..... La povera creatura intanto era ridotta in uno stato da far pietà; si trascinava a fatica, e si sentiva morire ogni volta che la Gigia, la quale nel suo egoismo non si avvedeva di nulla, le faceva segno che stesse pronta per la notte. Le sere erano allungate, e ne dovevano passare delle ore, da quando annottava, prima che potessero scendere sull'aia! Un giorno, in sul tramonto, alla fine di settembre, il tempo si fece minaccioso, dei grossi nuvoloni plumbei ingombravano qua e là il cielo; l'aria era afosa, opprimente; mancava proprio il respiro; si capiva dall'addensarsi sempre più delle nuvole, sparse e dal caldo soffocante, che doveva essere imminente lo scoppio d'un temporale. Pure, la Gigia aveva fissato con Dando per quella sera: era già un po' di tempo che non si vedevano, avevano tante cose da dirsi.... e alle paure della Betta per il tempo minaccioso, la Gigia rispondeva con arroganza, che se ne stesse pure a letto, che non aveva bisogno di lei; tanto, era la guardia del sepolcro, fatta e impastata di sonno, dormigliona come una marmotta. E la disgraziata creatura, più spaventata da queste parole che dalla minaccia del temporale, e dall'idea di perdere delle ore di sonno, tutta umile e sommessa si raccomandò alla sorellastra affinchè la lasciasse andare ad accompagnarla; I'assicurava che sarebbe stata attenta, che non avrebbe dormito... Anche quella sera la guardia al fieno toccava a Nanni, il fratello maggiore. Quando uscì fuori col fucile ad armacollo, lo sentirono esclamare: - Che buio pesto! par d'entrare in un forno. E allorchè, dopo un pezzo, uscirono le due ragazze, spessi baleni interrompevano le tenebre paurose di quella cupa serata, e un brontolio lontano lontano accennava che le scariche elettriche erano incominciate. Dando del Bizza si trovava al suo posto, dietro i pagliai: le tenebre erano così fitte che non ci si vedeva da qui a lì; la Betta si appoggiò, in piedi, per stare più sveglia, a uno dei pagliai da cui era stato tagliato via del fieno, formandovi un incavo come una nicchia. La Gigia le si avvicinò e le disse: - Non aver paura, mi trattengo poco; sta' in ascolto se senti muovere, mi raccomando. Principiava a levarsi il vento; il balenìo si faceva sempre più spesso, e il rombo lontano si avvicinava insensibilmente, ma i due innamorati, stretti l'uno all'altro, non se ne davano pensiero, anzi si divertivano e ridevano ad ogni bagliore che li illuminava, e la Gigia si faceva presto presto il segno della croce. La Betta, spossata e vinta dal languore che quell'aria soffocante metteva in dosso, scivolò pian piano a sedere e con le spalle e la testa appoggiate allo svano del pagliaio si addormentò profondamente. I due giovani pure s'erano riparati alla meglio dietro un altro pagliaio e continuavano il loro sommesso chiacchierìo, senza accorgersi che il vento aumentava e che già incominciavano a cadere grossi goccioloni. Si scossero soltanto e pensarono a separarsi, quando sentirono il rombo del tuono sempre più forte e vicino. Finchè, a uno scoppio terribile, la Gigia, presa dallo spavento, in quell'improvviso imperversare, in mezzo al sinistro lume dei lampi che l'accecava, all'acqua che veniva giù a dirotto, al vento che faceva piegare, scuotere, scricchiolare le piante, si mise la gonnella in capo e scappò via a gambe, chiamando sottovoce la Betta, e non sentendosi rispondere, disse fra sè: - Quella paurosa, a quest'ora è già in casa, ficcata sotto le lenzuola - e non pensò che a mettersi al sicuro. Appena varcato l'uscio aperto sul palchetto, in cima alla scala, un altro scoppio più terribile ancora che fece tremare la casa tutta, le mozzò il fiato e le fece piegare le ginocchia.... Non aveva più la forza di muoversi. Riprese coraggio accorgendosi che il babbo e la mamma si levavano e Nanni saliva la scala, gridando: - È cascato proprio qui, sul pagliaio grosso, l'ho veduto: che Dio ce la mandi buona! La Nunzia si raccomandava forte a Santa Barbara benedetta; Cesare entrò in cucina con la lanterna accesa, per vedere quel che era accaduto; la Gigia intanto, aveva avuto il tempo di rimettersi, e in quella confusione si credette che lei pure si fosse levata per il temporale. Ma, ad un tratto, un gran bagliore illuminò l'aia e si riflettè in tutta la stanza; si avvicinarono alla finestra: il pagliaio su cui era caduto il fulmine, bruciava come un immenso falò.... Le donne continuavano a invocare Santa Barbara benedetta.... e a farsi il segno della croce ad ogni nuovo lampo. I due uomini guardavano l'incendio atterriti, frementi nella impotenza d'impedire il grave disastro.... Il vento, trasportando le fiamme, metteva in pericolo gli altri pagliai vicini; per fortuna questo si calmò a poco a poco, mentre l'acqua, che continuava a venir giù a catinelle, impedì che il fuoco si propagasse, e continuasse l'opera distruggitrice. I piccini non si erano svegliati, ma la Gigia si guardava intorno meravigliata di non veder la Betta; andò al lettuccio di lei e non ve la trovò... guardò di qua di là, in tutti gli angoli: non v'era! E si sentì gelare il sangue nelle vene, quando intese dire alla mamma: - Ma quella stracconaccia della Betta dov'è? se ne sta nascosta sotto le coperte, eh? già, per lei, potrebbe cascar la casa, che non si scrollerebbe.... E il babbo soggiungere: - No, nel su' letto la 'un v'è. - La si sarà cacciata ín qualche cantuccio dalla paura - continuò la Nunzia - ohè, vien fòra, se no, vengo io a pigliarti per un'orecchia, veh! Ma la Betta non compariva. La Gigia, ansiosa, si domandava: - Dove sarà rimasta, Dio mio? Si misero allora a cercarla per tutta la casa, inutilmente. Cesare pareva impensierito e guardava per tutto, serio serio, senza aprir bocca; la Nunzia invece scuoteva il capo e si affannava a ripetere: - I' l'ho sempre detto io che l'è una testa matta... - e vedendo il marito dirigersi verso l'uscio, gli gridò: - Ma in dove volete andare con questo tempo da lupi? 'Un c'è pericolo, la 'un si perde, no: roba che mangia ritorna sempre a casa. - L'uomo fece una spallata senza neppur voltarsi e uscì fuori seguito da Nanni. Anche la pioggia andava ormai alleggerendo, e già si scorgeva qualche lembo di cielo sereno, scintillante di stelle. I due uomini scesero sull'aia con la lanterna. Il padre ogni tanto si fermava chiamando forte: - Bettaaa... - senza che nessuna voce gli rispondesse, solo il cane si fece loro incontro uggiolando, poi si mise a correre, tornò indietro, guardò i due uomini e riprese la corsa; questi istintivamente lo seguirono e furono condotti là ov'era abbruciato il pagliaio di cui non rimaneva che un mucchio di cenere scuriccia e un forte puzzo di zolfo. La bestia uggiolò píù lamentosamente ancora, con la testa levata in aria, mentre con le zampe cercava di scavare in mezzo alla cenere, quantunque si scottasse. Fu abbassata la lanterna, la quale illuminò qualcosa di spaventoso, d'orribile a vedersi: un povero corpo stecchito, tutto nero, carbonizzato, irriconoscibile... I due uomini bensì lo riconobbero subito, e si guardarono in faccia, pallidi, esterrefatti... gli occhi del padre, larghi, dilatati, si empirono di lagrime: erano le prime che si versavano per quella povera creatura, morta come era vissuta, immolata all'egoismo e alla crudeltà degli altri. Cesare depose la lanterna, si chinò, prese i miseri avanzi mutilati della figlia sulle braccia, e si diresse verso casa, seguito da Nanni e dal cane. Salirono silenziosi le scale: la Nunzia, sentendoli tornare, si avvicinò all'uscio gridando: - L'avete trovata? dove s'era nascosta la sguaiata? - Ma indietreggiò terrorizzata, scorgendo il lugubre peso che il marito portava e che aveva veduto sinistramente illuminato dalla lucernetta posta sulla tavola di cucina. L'uomo, sempre muto, terreo, depose sulla stessa tavola il cadavere sformato, Io coprì col proprio cappotto e finalmente, voltandosi alla moglie le disse quasi sotto voce e con profonda amarezza: - Sarete contenta, ora! La Gigia intanto era caduta in ginocchio nascondendosi il viso con le mani e fra i singhiozzi disperati, andava ripetendo: - Per colpa mia, per colpa mia, per me... povera Betta!

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