Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbaiare

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I ragazzi della via Pal

208088
Molnar, Ferencz 1 occorrenze
  • 1929
  • Edizioni Sapientia
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Poi continuò a correre e ad abbaiare furiosamente. II biondo Nemeciech lo seguì di corsa. Ettore si fermò sotto una catasta abbaiando con furore. La catasta era una di quelle sulle quali era costruita una fortezza. Sulla cima del cubo c'era un bastione di legna in pezzi e sopra un'asticciuola sventolava uno stendardino rosso e verde. II cane saltellò intorno alla fortezza e continuava ad abbaiare. — Cosa c'è? — chiese il biondino al cane, perchè bisogna sapere che il biondino era molto amico del cane nero, forse perchè, all'infuori di lui, Ettore era l'unico soldato semplice dell'esercito. Nemeciech guardò su verso la fortezza. Non vide nulla, ma sentì che qualcosa si muoveva tra il legname. Si mise allora ad arrampicarsi aiutandosi con le sporgenze delle travi. Si trovava a metà percorso quando sentì distintamente che qualcuno frugava tra la legna spaccata. Il suo cuore si mise a battere forte. Avrebbe forse voluto tornare indietro ma quando, guardando giù, vide Ettore si fece coraggio. — Nemeciech, non aver paura, disse a sè stesso. E continuò ad arrampicarsi con cautela. Ad ogni gradino prendeva coraggio e ripeteva: — Nemeciech, non aver paura! Nemeciech, non aver paura! E giunse in cima alla catasta. Lì si disse un ultimo: «Non aver paura, Nemeciech!», ma quando volle scavalcare il muro basso del bastione, la sua gamba che già si era alzata rimase sospesa per lo spavento. — Gesù! E precipitosamente si lasciò cadere lungo le sporgenze fino a terra. II suo cuore batteva a galoppo. Guardò in su, verso la fortezza: accanto alla bandiera, col piede destro posato sul bastione della fortezza, stava ritto Franco Ats, il terribile Franco Ats, il nemico di tutti loro, il capo dei ragazzi dell'Orto Botanico. II vento agitava la sua larga camicia rossa. Sorrideva beffardo. E si rivolse al ragazzino per dirgli con tranquillità: - Nemeciech, non aver paura! Ma Nemeciech aveva invece tanta paura che gia s'era messo a correre. E il cane nero gli correva dietro; e s'infilarono insieme tra cubi di legname, dirigendosi verso il campo; ma sulle ali del vento li raggiunse il grido beffardo di Franco Ats: - Nemeciech, non aver paura! Quando, dal campo, Nemeciech si volse, in cima alla fortezza non v'era più la camicia rossa di Franco Ats. Ma anche la bandiera era scomparsa dal bastione, la bandiera rosso e verde che era stata cucita dalla sorella di Ciele. Il nemico era scomparso tra le cataste di legna. Uscito forse dalla parte di via Maria, verso la segheria, o fors'anche appiattato in qualche angolo con i suoi amici, i fratelli Pastor. E all'idea che anche i Pastor potessero essere presenti, un brivido freddo percorse la schiena di Nemeciech. Egli sapeva cosa significasse incontrare i Pastor. Ma Franco Ats l'aveva visto da vicino, ora per la prima volta. S'era spaventato molto, ma a dir la verità il giovane gli piaceva. Era un bel ragazzo bruno, largo di spalle e la camicia rossa gli stava a meraviglia. C'era qualcosa di garibaldino in quella camicia rossa. I ragazzi dell'Orto Botanico indossavano tutti la camicia rossa per imitare Franco Ats. Sullo steccato del campo si bussò con quattro colpi regolari. Nemeciech trasse un sospiro di liberazione: i quattro colpi erano il segnuale convenuto dei ragazzi della via Pal. Corse alla porticina sprangata e l'aprì. Entrarono Boka, Ciele e Ghereb. Nemeciech moriva dalla voglia di raccontar loro la tremenda notizia, ma non dimenticò di essere un soldato semplice e di fare il suo dovere verso i tenenti e i capitani. S'irrigidì sull'attenti e salutò militarmente. — Salve! — dissero i nuovi venuti. — Che c'è di nuovo? Nemeciech sospirò affannosamente ed avrebbe voluto raccontar tutto d'un fiato. — Terribile! — disse. — Cosa? — Orrendo! — Parla! — Non vorrete credermi! — Che cos'è accaduto? — C'è stato qui Franco Ats! Ora toccò agli altri d'essere ansiosi e atterriti. — Non è vero! — esclamò Ghereb. Nemeciech pose la mano sul petto e disse: — Vero quant'è vero Iddio! — Non giurare! — intimò Boka, e, per dare maggiore efficacia alle sue parole: — Attenti!!! — ordinò. Nemeciech battè i tacchi uno contro l'altro. — Racconta minutamente quello che hai veduto! — Stavo passeggiando tra le viuzze quando il cane si mise ad abbaiare. Lo seguo. E nella cittadella centrale sento dei rumori. Mi arrampico e in cima v'era Franco Ats in camicia rossa. — In cima? Sulla cittadella? — In cima, sì! — disse il biondino e stava di nuovo per giurare. Aveva già la mano sul petto, ma la ritrasse davanti allo sguardo severo di Boka. Aggiunse: — Ha anche portato via la bandiera! Ciele sussulto: — La bandiera? — Sì. Corsero tutti verso il luogo della sciagura. Nemeciech modestamente veniva ultimo, in parte perchè era soldato semplice, in parte perchè non era ben sicuro che in qualche angolo non fosse nascosto Franco Ats. Si fermarono davanti alla fortezza: nemmeno l'asta c'era più. Tutti erano molto agitati: il solo Boka conservava il suo sangue freddo. — Dì a tua sorella — ordinò rivolto a Ciele — che per domani prepari un'altra bandiera. — Sta bene; — rispose Ciele — ma non ha più stoffa verde. Rossa ne ha ancora, ma verde è finita. Boka rispose imperturbabile: — Stoffa bianca, ne ha? — Ne ha. — Faccia allora una bandiera rossa e bianca. D'ora in poi i nostri colori saranno rosso e bianco. Si rassegnarono a questa modifica. Ghereb chiamò Nemeciech: — Fante! — Presente! — Per domani siano corretti i nostri statuti. I nostri colori non sono più rosso e verde, ma sono bianco e rosso. — Sta bene, signor tenente! E Ghereb accordò benignamente al biondino irrigidito: — Ri..poso!!! — E il biondino allora riposò. I ragazzi s'arrampicarono sulla fortezza e constatarono che l'asta della bandiera era stata spaccata da Franco Ats: non rimaneva più che il pezzettino che l'inchiodava. Dal campo giunsero richiami: — Ahò, oò! Ahò, oò! Questa era la parola d'ordine: anche gli altri erano dunque arrivati e stavano cercando di loro. Da molte parti s'intese il richiamo: — Ahò, oò! Ahò, oò! Ciele fece un cenno a Nemeciech: — Fante! — Presente! — Rispondete agli altri! — Sì, signor tenente! E facendosi portavoce con le mani davanti alla bocca per ingrossare la sua vocina di bimbo, gridò: — Ahò, oò! Dopo di che scesero strisciando e s'avviarono verso lo spiazzo. Nel mezzo del prato c'erano gli altri aggruppati: Cionacos, Vais, Colnai ed alcuni altri. Quando s'accorsero di Boka tutti si misero sull'attenti perchè Boka era il capitano. — Salute a tutti — disse Boka. Colnai si fece avanti. — Porto a conoscenza del signor capitano — disse — che quando siamo entrati, la porticina non era chiusa. Secondo il regolamento la porticina deve essere sprangata dall'interno. Boka si volse severo verso il suo seguito. E tutti gli occhi fissarono Nemeciech. E Nemeciech aveva già la mano ancora sul petto e voleva proprio giurare che non era stato lui a lasciarla aperta, quando il capitano domandò: — Chi è entrato per ultimo? Si fece un gran silenzio. Nessuno era entrato per ultimo. E allora il viso di Nemeciech si rasserenò. Una voce disse: — Per ultimo è entrato il signor capitano. — Io? — chiese Boka. — Signorsì! Boka riflettè un poco. — Hai ragione — disse serio — Ho dimenticato di chiudere la porticina. Signor tenente, scrivete il mio nome sul libro delle punizioni! Si era volto a Ghereb e Ghereb tolse di tasca un taccuino nero sul quale scrisse: «Giovanni Boka» e per sapere di cosa si trattava aggiunse: «porticina». Questo piacque ai ragazzi. Boka era un giovane giusto. Questa autocondanna era un esempio di virilità quale non si trova nemmeno nella lezione di latino, benchè la lezione di latino sia sempre piena di caratteri romani. Ma Boka era anche un uomo e neanche Boka era esente dalle debolezze umane. Aveva fatto segnare il suo nome, è vero, ma poi s'era rivolto a Colnai che aveva denunziato la porticina aperta e disse: — E tu non ciarlare troppo! Signor tenente, iscrivete Colnai sul libro delle punizioni per essere stato delatore! Il signor tenente tornò a cavar di tasca il terribile taccuino e scrisse il nome di Colnai. Nemeciech che era in fondo balò in segreto di gioia per non essere questa volta iscritto sul libro delle punizioni, perchè bisogna sapere che in quel libro non c'era altro nome che quello di Nemeciech. Tutti sempre e per qualunque motivo iscrivevano il suo nome. E il tribunale militare che teneva udienza ogni sabato condannava sempre lui. Non poteva essere che così, essendo egli l'unico soldato semplice dell'esercito. A questo punto s'iniziò la grande discussione. In pochi minuti tutti furono al corrente della grande novità, che Franco Ats, capitano delle camicie rosse, aveva avuto l'audacia di spingersi fin nel cuore del campo nemico, di arrampicarsi sulla cittadella centrale e di portar via la bandiera. L'indignazione era generale. Tutti stavano intorno a Nemeciech che ripeteva sempre nuovi particolari. — E ti ha detto qualche cosa? — Certamente! — affermò Nemeciech. — Che cosa? — Mi ha gridato... — Che cosa? — Mi ha gridato: «Non hai paura, Ne- meciech?» E qui il biondino inghiottì saliva, perchè sentiva che non era precisamente la verità. Anzi era proprio il contrario della verità. Sarebbe stato come se egli si fosse dimostrato molto coraggioso tanto che Franco Ats, meravigliato, gli avrebbe domandato: «Come mai non hai paura, Nemeciech»? — E tu non avevi paura? — Io no! Mi sono fermato ai piedi della fortezza; e lui si lasciò cadere dall'altro lato e sparì. Se la svignò. Ghereb l'interruppe gridando: — Questo non è vero! Franco Ats non se la svigna davanti a nessuno, mai! Boka fissò Ghereb: — Ma guarda come lo difendi! — Ho parlato — disse con maggior pacatezza Ghereb — ho parlato perchè non mi sembra verosimile che Franco Ats si sia spaventato di Nemeciech. A queste parole risero tutti perchè in verità non era verosimile. Nemeciech rimaneva sconcertato in mezzo al gruppo e scrollava le spalle. Allora Boka prese il comando delle operazioni: — Ragazzi, qui bisogna fare qualche cosa. Era, stato fissato che oggi avrernmo eletto un presidente. Eleggiamo il presidente e che sia un presidente con pieni poteri: bisognerà seguire ciecamente i suoi ordini. Può darsi che dall'incidente di oggi scoppi una guerra ed allora occorre qualcuno che prepari le cose come in una vera guerra. Soldato, fatevi avanti! Attenti!!! Preparate tanti pezzettini di carta quanti siamo noi; ciascuno scriverà sul pezzettino che gli sarà dato il nome di colui ch'egli desidera sia presidente. Le schede verranno buttate in un berretto e chi avrà riportato maggior numero di voti sarà il presidente! — Evviva! — gridarono tutti ad una voce e Cionacos emise un fischio di allegria, un fischio che pareva quello di una locomotiva. Dai vari taccuini furono strappate delle pagine e Vais mise a disposizione la sua matita; ma poi nacque una discussione per sapere quale berretto avrebbe avuto l'onore di servire da urna. Colnai e Barabas che trovavano sempre di che litigare stavano già in procinto di prendersi a pugni. Colnai sosteneva che il berretto di Barabas non poteva servire perchè troppo unto. D'altra parte Chende affermava che il berretto di Colnai era ancora più unto. Vollero far subito la prova del grado di untume: con un temperino si misero a grattare la striscia di pelle nell'interno del berretto, ma arrivarono in ritardo. Ciele aveva già offerto alla comunità il suo elegante berrettino nero, ed in materia di berretti, inutile discutere, nessuno poteva superare Ciele. Ma Nemeciech, con grande sorpresa di tutti, invece di distribuire i foglietti, approfittò dell'attenzione che per un istante s'era rivolta a lui, e stringendo i foglietti nella manina sporca, si fece avanti. Dritto sull'attenti, coi tacchi accostati, disse con voce tremante: — Perdoni, signor capitano! Veramente non è giusto che io sia il solo soldato semplice... Da quando s'è fondata la società tutti sono divenuti ufficiali e io soltanto sono rimasto senza grado e tutti mi comandano e io devo fare tutto e io... Qui il biondino si commosse molto e sul suo visino sottile colarono grosse lagrime. Con una piccola smorfia di disgusto Ciele osservò: — Bisogna esciuderlo! Piange! Una voce dal fondo esclamò: — Singhiozza! Tutti si misero a ridere. E questo esasperò definitivamente Nemeciech. II cuore del poverino era troppo addolorato e le lagrime ora si misero a scorrere liberamente. Singhiozzava e in mezzo al suo gran pianto diceva: — Anche nel... libro delle punizioni... anche lì non ci sono scritto che io... Sempre iI mio nome... Io sono... il cane... Boka disse calmo: — Se non smetti subito di strillare sarai espulso. Noi non possiamo giocare con i mocciosi... La parola «moccioso» fece il suo effetto. Nemeciech, il povero piccolo Nemeciech si spaventò molto e pian piano smise di piangere. II capitano gli mise la mano sulla spalla: — Se vi comportate bene e vi distinguete, nel maggio potrete diventare anche voi ufficiale. Per ora rimarrete soldato semplice. Tutti approvarono, perchè se anche Nemeciech fosse divenuto ufficiale, allora tutt'il giuoco avrebbe perduto di sapore. Non ci sarebbe stato più nessuno a cui comandare. La voce acuta di Ghereb intimò: Fante, temperate questa matita! Gli venue consegnata la matita di Veis che, nella tasca, per la vicinanza delle biglie aveva rotta la punta. Il soldato semplice prese in consegna la matita, rimanendo sull'attenti; poi con gli occhi ancora lagrimosi, col viso umido, obbediente, incominciò a temperare ansando un poco, come si fa dopo un gran pianto, e tutto il suo dolore, tutta la sua amarezza si concentravano nel temperare la matita Faber numero 2. — E'... temperata, signor tenente! La restituì e trasse un profondo sospiro. E con questa sospiro rinunciò per il momento alla promozione. I foglietti furono distribuiti. Ognuno si ritirò in disparte, perchè l'affare era di somma importanza. Poi il soldato semplice raccolse i foglietti che mise tutti nel berretto di Ciele. Ma quando il berretto di Ciele fu portato in giro per la raccolta delle schede, Barabas diede un colpo di gomito a Colnai mormorando: — E' unto anche quello! Colnai guardò nel berretto; e tutt'e due sentirono che non avevano più da vergognarsi. Se anche il berretta di Ciele era unto, allora voleva dire veramente che il mondo era sottosopra. Raccolti i foglietti, Boka cominciò lo spoglio e passava le schede lette a Ghereb che gli stava vicino. Lesse: Giovanni Boka, Giovanni Boka, Giovanni Boka. Poi una volta lesse: Desiderio Ghereb. I ragazzi si scambiarono un'occhiata: sapevano che questa era la scheda di Boka il quale aveva votato per Ghereb per cortesia. Seguivano altri Giovanni Boka, poi da capo un Desiderio Ghereb, ed infine un ultimo Desiderio Ghereb. In totale Boka aveva ottenuto undici voti e Ghereb tre. Ghereb sorrise sconcertato; gli accadeva per la prima volta di esser posto apertamente di fronte a Boka. E i tre voti gli facevano piacere. A Boka invece due di quei tre voti contrari gli facevano dispiacere e riflettè per un attimo chi potessero mai essere i due che non lo volevano presidente, ma poi disse: — Dunque voi: mi avete eletto a vostro presidente. Grida di evviva e nuovo fischio di Cionacos. Gli occhi di Nemeciech erano ancora umidi ma anch'egli gridava «evviva» con entusiasmo perchè voleva un gran bene a Boka. Il presidente accennò a voler parlare. Si fece silenzio. — Amici, — disse — vi ringrazio. Cominciamo subito a lavorare. Credo che tutti siamo d'accordo nel ritenere che le camicie rosse vogliono usurparci il campo e le cataste di legna. E' di ieri la prepotenza dei Pastor che si presero le biglie dei ragazzi. E' di oggi l'intrusione di Franco Ats che portò via la nostra bandiera. Prima o poi le camicie rosse saranno qui per cacciarci. Ma noi difenderemo questa terra. Cionacos l'interruppe urlando: — Evviva il nostro campo! Si guardarono attorno; fissarono lo spiazzo libero e le cataste di legna illuminate dal dolce sole di un pomeriggio di primavera. Si vedeva nel loro sguardo l'amore che portavano alla loro terra e come avrebbero lottato, se fosse stato necessario, per essa. Era una specie di amor di patria. Gridavano: «Evviva il campo» come avrebbero gridato: «Evviva la patria!» E i loro occhi brillavano e il cuore di tutti traboccava di entusiasmo! Boka continuò: — Prima che essi vengano qui, andremo noi da loro, all'Orto Botanico! In un altro momento un progetto così audace avrebbe sconcertato i ragazzi. Ma in quell'ora di entusiasmo, tutti esclamarono ad una voce: — Ci andremo! E poiché tutti gridavano: «Ci andremo!», anche Nemeciech gridò: «Ci andremo!». In ogni modo egli sarebbe venuto per ultimo portando i cappotti dei signori ufficiali. In mezzo alle voci dei ragazzi c'era una voce rauca e profonda, che anch'essa aveva gridato: «Ci andremo!» Si volsero tutti. Era lo slovacco. Era lì, con la pipa tra i denti, e rideva. Ettore gli era vicino. I ragazzi risero. Lo slovacco anche: gettò il suo cappello per aria ed urlò: — Andiamo! Con questo le faccende ufficiali erano terminate. Si passava al gioco quotidiano: il tennis. Uno disse con dignità: — Fante, andate nel magazzeno e portateci le palle e le racchette . E Nemeciech corse al magazzino. Il magazzino era sotto una catasta di legname. Scivolò sotto e ricomparve con le palle e le racchette. Accanto alla catasta c'era lo slovacco ed accanto allo slovacco Chende e Colnai. 4 Chende aveva in mano il cappello dello slovacco: Colnai vi fece la prova dell'untume. Il cappello dello slovacco era senza dubbio il più unto di tutti. Boka si accostò a Ghereb: — Hai avuto tre voti anche tu! — gli disse. — Sì — rispose fiero Ghereb e lo fissò orgogliosamente negli occhi.

I miei amici di Villa Castelli

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Ciarlantini, Franco 1 occorrenze
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