Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbaiare

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Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246691
Luigi Capuana 2 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
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Cominciava dall'accarezzarli, quasi per addormentarne la naturale diffidenza; poi, con aghi, forbici, cerini, cordicelle ed altri strumenti di tortura ingegnosamente trovati, godeva farli strillare, abbaiare, miagolare, urlare, infuriare, dibattere; e mentre le povere bestie si contorcevano dal dolore e facevano accorrere con le grida la mamma, il babbo, o qualch'altro di casa, egli rideva, batteva le mani, saltava, contento della bella prodezza fatta, e non ascoltava nè ammonimenti, nè gastighi; giacchè la mamma e il babbo, indignati, spesso lo gastigavano forte, e non solamente per correggerlo, ma per evitare che un giorno o l'altro non gli accadesse qualche malanno. — E se ti mordono? Sc ti cavano gli occhi con le granfie o col becco le bestioline infuriate? Era come dire al muro. Per ciò mamma e babbo, da qualche tempo in qua, non tenevano più in casa animali di sorta, sperando che con gli anni il tristo istinto si spegnesse nel bambino, e la buona natura e la ragione prendessero il sopravvento. Oramai Ernesto non era più un bambino, e da due anni non aveva mai avuto occasione di mostrare se la sua cattiveria fosse tuttavia viva e persistente. Un giorno la sua mamma ricevette in regalo un canarino con una bella gabbia dorata su un treppiede di legno bronzato. Lo collocò nel salottino dov'ella soleva leggere, lavorare e ricevere confidenzialmente le amiche più intime ; gabbia e uccellino erano così sotto la sua sorveglianza d' ogni istante; per precauzione però l'uscio del salottino veniva anche chiuso a chiave, ogni volta che la signora andava fuori ed Ernesto doveva rimanere in casa pei còmpiti di scuola. Ernesto pareva pieno di ammirazione e di affetto verso il canarino che cantava meravigliosamente; voleva, col permesso della mamma, governarlo lui ; gli porgeva lo zucchero, l' erba, il biscottino; gli faceva moine con la mano; e la buona signora godeva osservando che l' istinto malefico si era mutato nel fanciullo in tenerezza per gli animali. Soltanto gli raccomandava : —Bada di non farlo scappare. Poco dopo, al canarino fu aggiunto un canino danese, grosso quanto un pugno; e finalmente un bel gatto d'Angora dal pelo lungo e vellutato che fece presto amicizia col canino. Ernesto pareva di essersi costituito il protettore delle tre bestiole, tante cure e tante carezze prodigava a tutti e tre; babbo e mamma ne godevano più che mai. Ma il ragazzo era cattivo e malizioso, e quel suo mutamento fina ipocrisia. Egli attendeva l'occasione apportuna per farne una delle solite; ci pensava su, ordiva piani, architettava mezzi, e attendeva zitto e sornione; ma fu pel suo male, e n'ebbe un ricordo per tutta la vita. Una volta dunque, egli venne lasciato in casa, sotto la sorveglianza della cameriera. Costei, fidandosi troppo, lo abbandonò solo in salotto. Che fece egli allora? Chiuso l'uscio del salotto col paletto interno, legò ben bene gatto e canino per la coda, e raccomandò il capo della cordicina, con cui li aveva legati, al piè del tavolino. Poi accese una candela, e preso un bastoncino di ceralacca dallo scrittoio del babbo, prima d'ogni cosa appiccicò con esso sui mattoni del pavimento il canarino pei piedini, perchè non scappasse. Figuratevi come strillasse il povero uccellino sentendo bruciarsi i piedini, e come sbattesse le ali ! A quella vista, gatto e canino non stettero più fermi; avrebbero voluto precipitarsi addosso all'uccellino, ma legati stretti per la coda, non gli si potevano accostare. Il gatto, spazientitosi il primo, cominciò a prendersela contro il canino che gli pareva lo tenesse afferrato per la coda, e lo sgraffiò, lo morse; il canino rispostò con altri morsi e sgraffi. Ernesto, munitosi d' un suo frustino, li flagellava intanto di colpi, tenendo con l'altra mano il capo della cordicella slegato dal piè del tavolino, e li trascinava presso il canarino che continuava a sbattere le ali e a strillare; non tanto accosto però da poterlo offendere, ma a bastanza perchè canino e gatto così s' irritassero di più. La cameriera, accorsa al rumore, picchiava all'uscio, atterrita, pensando alla sua responsabilità : e non riceveva neppure risposta. A un tratto, i guaiti del cane, gli strilli del canarino, i miagolii del gatto furono coperti dagli urli di Ernesto che gridava : Mamma ! Mamma ! L'uscio cedette al violento spintone d'un uomo chiamato in soccorso dalla cameriera, e a tempo da risparmiare peggiori guai al ragazzaccio insanguinato, morso e sgraffiato, e con mezzo naso già portato via dai denti del gatto. Cane, gatto e bambino erano un viluppo per terra; e senza il coraggio e la destrezza di quell'uomo, la imprudente cameriera non sarebbe riuscita a distrigarli. Ernesto è rimasto un po' deformato; quel pezzetto di naso mancante lo rende ridicolo. Quando i compagni di scuola lo canzonano: — E il naso ? e il naso? — s'arrabbia, piange, pesta i piedi, vuol picchiarli, li accusa al babbo. Ma il babbo, severo, gli risponde sempre : — È colpa tua!

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Una gli buttava giù i soldatini schierati sul tavolino; un'altra gli faceva abbaiare il canino di cartapesta, che Lulù non voleva toccato da nessuno; un'altra gli strappava di mano il pulcinella, nascondendolo sotto l'ascella, e mostrando aperte le mani per sviare le ricerche di lui che non indovinava chi delle quattro avesse fatto il colpo ; un' altra infine gli dava dei colpetti su la testa e su le guance quand'egli era voltato di là e non poteva accorgersi a chi appartenesse la mano lestamente ritirata. Per alcuni istanti, Lulù aveva tenuto testa a tutte, difendendosi alla meglio; poi aveva ricorso dalla mamma, che si era messa a ridere e non gli aveva dato retta; allora gli era balenata un' idea, che gli parve stupenda. Zitto, zitto, era corso in camera del babbo, s'era messo in testa il berretto da viaggio, s'era buttato sul braccio il plaid, aveva preso la valigia sempre pronta per ogni occasione, ed era comparso con aria che voleva essere terribile, impacciato dal peso, strascicando più che reggendo in mano la valigia. — Me ne vado ! Non tornerò più ! Si aspettava la stessa scena dell' altra volta, quando il babbo aveva finto di partire; si aspettava che mamma e sorelle si fossero precipitate attorno a lui per trattenerlo, per pregarlo di non abbandonarle... E invece le sorelle, chi si era rimessa a leggere, chi a lavorare di ricamo, chi stava a guardarlo indifferente, e la mamma sorrideva, quasi lui non dicesse davvero, o non le importasse niente che egli andasse via. Rimase un po' sconcertato; ma riprese animo e ripetè il terribile : — Me ne vado ! Non tornerò più! Nessuno si mosse. Pure egli fece tre o quattro passi; e siccome plaid e valigia lo impacciavano, chiamò : — Beppe ! Beppe ! Il servitore accorse. Ed egli, imperturbato, ordinò : — Portami giù la valigia; parto ! Il servitore, a un cenno impercettibile della signora, finse di ubbidirlo. Sul pianerottolo Lulù si voltò addietro. Gli pareva impossibile che nessuno lo seguisse per pregarlo di restare; e scese le scale, voltandosi quasi a ogni passo, meravigliato, stupito che lo lasciassero andar via. Gli era parso anzi che gli ridessero dietro. — La carrozza è pronta ? — domandò al servitore. — No, signorino. — Allora... partirò un'altra volta. E rientrò, con aspetto annuvolato e le mani dietro la schiena. Alla risata che lo accolse, Lulù si fermò: — Quando sarò grande, quando il babbo sarò io, — minacciò levando la mano, — vi farò vedere se me n'andrò davvero! E buttò sdegnosamente il berretto per terra.

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