Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbaiare

Numero di risultati: 7 in 1 pagine

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Cosima

243711
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
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Finalmente si decide a riaprire la porta, e l'amico riparte: un minuto, e di dietro la muriccia bianca di neve parte un colpo di fucile: la bestia cade; nel silenzio grande si sentono i cani abbaiare e qualche finestrino si apre: la sposa ha un presentimento; aspetta che tutto sia di nuovo quieto; esce; al chiarore della neve si avanza fino alla muriccia e trova il muflone ucciso, con gli occhioni spalancati che brillano ancora di dolore. Ella lo coprí di neve, con le sue mani; poi tutta la notte pianse. Non si accennò all'avventura; e quando le nevi si sciolsero e fu ritrovato la spoglia del muflone lo si credette morto di fame e di assideramento. Non se ne parlò più; neppure col marito, quando egli fu di ritorno; ma una cosa terribile accadde. In settembre nacque alla giovane sposa un bambino: era bello, coi capelli color rame e gli occhi grandi e dolci come quelli del muflone: ma era sordomuto. La storia piacque a Cosima. Col capo appoggiato al grembo della serva, credeva di sognare: vedeva il paese di Proto, con le case coperte di assi annerite dal tempo, e i monti scintillanti di neve e di luna; ma sopra tutto le destava una impressione profonda, quasi fisica, il mistero della favola, quel silenzio finale, grave di cose davvero grandiose e terribili, il mito di una giustizia sovrannaturale, l'eterna storia dell'errore, del castigo, del dolore umano.

Pagina 33

Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246691
Luigi Capuana 2 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
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Cominciava dall'accarezzarli, quasi per addormentarne la naturale diffidenza; poi, con aghi, forbici, cerini, cordicelle ed altri strumenti di tortura ingegnosamente trovati, godeva farli strillare, abbaiare, miagolare, urlare, infuriare, dibattere; e mentre le povere bestie si contorcevano dal dolore e facevano accorrere con le grida la mamma, il babbo, o qualch'altro di casa, egli rideva, batteva le mani, saltava, contento della bella prodezza fatta, e non ascoltava nè ammonimenti, nè gastighi; giacchè la mamma e il babbo, indignati, spesso lo gastigavano forte, e non solamente per correggerlo, ma per evitare che un giorno o l'altro non gli accadesse qualche malanno. — E se ti mordono? Sc ti cavano gli occhi con le granfie o col becco le bestioline infuriate? Era come dire al muro. Per ciò mamma e babbo, da qualche tempo in qua, non tenevano più in casa animali di sorta, sperando che con gli anni il tristo istinto si spegnesse nel bambino, e la buona natura e la ragione prendessero il sopravvento. Oramai Ernesto non era più un bambino, e da due anni non aveva mai avuto occasione di mostrare se la sua cattiveria fosse tuttavia viva e persistente. Un giorno la sua mamma ricevette in regalo un canarino con una bella gabbia dorata su un treppiede di legno bronzato. Lo collocò nel salottino dov'ella soleva leggere, lavorare e ricevere confidenzialmente le amiche più intime ; gabbia e uccellino erano così sotto la sua sorveglianza d' ogni istante; per precauzione però l'uscio del salottino veniva anche chiuso a chiave, ogni volta che la signora andava fuori ed Ernesto doveva rimanere in casa pei còmpiti di scuola. Ernesto pareva pieno di ammirazione e di affetto verso il canarino che cantava meravigliosamente; voleva, col permesso della mamma, governarlo lui ; gli porgeva lo zucchero, l' erba, il biscottino; gli faceva moine con la mano; e la buona signora godeva osservando che l' istinto malefico si era mutato nel fanciullo in tenerezza per gli animali. Soltanto gli raccomandava : —Bada di non farlo scappare. Poco dopo, al canarino fu aggiunto un canino danese, grosso quanto un pugno; e finalmente un bel gatto d'Angora dal pelo lungo e vellutato che fece presto amicizia col canino. Ernesto pareva di essersi costituito il protettore delle tre bestiole, tante cure e tante carezze prodigava a tutti e tre; babbo e mamma ne godevano più che mai. Ma il ragazzo era cattivo e malizioso, e quel suo mutamento fina ipocrisia. Egli attendeva l'occasione apportuna per farne una delle solite; ci pensava su, ordiva piani, architettava mezzi, e attendeva zitto e sornione; ma fu pel suo male, e n'ebbe un ricordo per tutta la vita. Una volta dunque, egli venne lasciato in casa, sotto la sorveglianza della cameriera. Costei, fidandosi troppo, lo abbandonò solo in salotto. Che fece egli allora? Chiuso l'uscio del salotto col paletto interno, legò ben bene gatto e canino per la coda, e raccomandò il capo della cordicina, con cui li aveva legati, al piè del tavolino. Poi accese una candela, e preso un bastoncino di ceralacca dallo scrittoio del babbo, prima d'ogni cosa appiccicò con esso sui mattoni del pavimento il canarino pei piedini, perchè non scappasse. Figuratevi come strillasse il povero uccellino sentendo bruciarsi i piedini, e come sbattesse le ali ! A quella vista, gatto e canino non stettero più fermi; avrebbero voluto precipitarsi addosso all'uccellino, ma legati stretti per la coda, non gli si potevano accostare. Il gatto, spazientitosi il primo, cominciò a prendersela contro il canino che gli pareva lo tenesse afferrato per la coda, e lo sgraffiò, lo morse; il canino rispostò con altri morsi e sgraffi. Ernesto, munitosi d' un suo frustino, li flagellava intanto di colpi, tenendo con l'altra mano il capo della cordicella slegato dal piè del tavolino, e li trascinava presso il canarino che continuava a sbattere le ali e a strillare; non tanto accosto però da poterlo offendere, ma a bastanza perchè canino e gatto così s' irritassero di più. La cameriera, accorsa al rumore, picchiava all'uscio, atterrita, pensando alla sua responsabilità : e non riceveva neppure risposta. A un tratto, i guaiti del cane, gli strilli del canarino, i miagolii del gatto furono coperti dagli urli di Ernesto che gridava : Mamma ! Mamma ! L'uscio cedette al violento spintone d'un uomo chiamato in soccorso dalla cameriera, e a tempo da risparmiare peggiori guai al ragazzaccio insanguinato, morso e sgraffiato, e con mezzo naso già portato via dai denti del gatto. Cane, gatto e bambino erano un viluppo per terra; e senza il coraggio e la destrezza di quell'uomo, la imprudente cameriera non sarebbe riuscita a distrigarli. Ernesto è rimasto un po' deformato; quel pezzetto di naso mancante lo rende ridicolo. Quando i compagni di scuola lo canzonano: — E il naso ? e il naso? — s'arrabbia, piange, pesta i piedi, vuol picchiarli, li accusa al babbo. Ma il babbo, severo, gli risponde sempre : — È colpa tua!

Pagina 126

Una gli buttava giù i soldatini schierati sul tavolino; un'altra gli faceva abbaiare il canino di cartapesta, che Lulù non voleva toccato da nessuno; un'altra gli strappava di mano il pulcinella, nascondendolo sotto l'ascella, e mostrando aperte le mani per sviare le ricerche di lui che non indovinava chi delle quattro avesse fatto il colpo ; un' altra infine gli dava dei colpetti su la testa e su le guance quand'egli era voltato di là e non poteva accorgersi a chi appartenesse la mano lestamente ritirata. Per alcuni istanti, Lulù aveva tenuto testa a tutte, difendendosi alla meglio; poi aveva ricorso dalla mamma, che si era messa a ridere e non gli aveva dato retta; allora gli era balenata un' idea, che gli parve stupenda. Zitto, zitto, era corso in camera del babbo, s'era messo in testa il berretto da viaggio, s'era buttato sul braccio il plaid, aveva preso la valigia sempre pronta per ogni occasione, ed era comparso con aria che voleva essere terribile, impacciato dal peso, strascicando più che reggendo in mano la valigia. — Me ne vado ! Non tornerò più ! Si aspettava la stessa scena dell' altra volta, quando il babbo aveva finto di partire; si aspettava che mamma e sorelle si fossero precipitate attorno a lui per trattenerlo, per pregarlo di non abbandonarle... E invece le sorelle, chi si era rimessa a leggere, chi a lavorare di ricamo, chi stava a guardarlo indifferente, e la mamma sorrideva, quasi lui non dicesse davvero, o non le importasse niente che egli andasse via. Rimase un po' sconcertato; ma riprese animo e ripetè il terribile : — Me ne vado ! Non tornerò più! Nessuno si mosse. Pure egli fece tre o quattro passi; e siccome plaid e valigia lo impacciavano, chiamò : — Beppe ! Beppe ! Il servitore accorse. Ed egli, imperturbato, ordinò : — Portami giù la valigia; parto ! Il servitore, a un cenno impercettibile della signora, finse di ubbidirlo. Sul pianerottolo Lulù si voltò addietro. Gli pareva impossibile che nessuno lo seguisse per pregarlo di restare; e scese le scale, voltandosi quasi a ogni passo, meravigliato, stupito che lo lasciassero andar via. Gli era parso anzi che gli ridessero dietro. — La carrozza è pronta ? — domandò al servitore. — No, signorino. — Allora... partirò un'altra volta. E rientrò, con aspetto annuvolato e le mani dietro la schiena. Alla risata che lo accolse, Lulù si fermò: — Quando sarò grande, quando il babbo sarò io, — minacciò levando la mano, — vi farò vedere se me n'andrò davvero! E buttò sdegnosamente il berretto per terra.

Pagina 147

La sorte

248138
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1887
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
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Quando rifacevo la camera, lo sentivo abbaiare come un cane.... e sputava sangue... - Il pretore!.. il pretore!.. - A un tratto le guardie si schierarono da una parte e dall'altra, padre Miniscalco si tirò indietro sull'uscio della sua camera; l'ispettore si cavò il cappello, indietreggiando. - Signor pretore, le bacio le mani! Il pretore guardò il cadavere, impassibilmente, scialbo nel viso dalle guancie un po' infossate, dalle occhiaie profonde. Intanto che l'ispettore lo andava informando della faccenda, egli si cavava i guanti di lana, si soffregava le mani gonfie pei geloni, girava intorno uno sguardo distratto. - Questa qui è la dichiarazione... queste sono lettere e carte... - Mi lasci vedere. Intanto gli faccia frugare addosso. Sedette dinanzi al tavolo, lentamente, come all'ufficio, e cominciò a esaminare una dopo l'altra le carte. Nella camera non si sarebbe sentito volare una mosca. Sotto l'albergo, malgrado il tempo sempre più buio, la folla ingrossava e ne saliva un mormorio come di acque scorrenti. - Ecco quello che si è trovato. Il pretore prese ad esaminare quel ritratto, formato promenade, su cui il sangue aveva tirato come un velo rossastro. L'ispettore, colla mazzettina a spall'arme, il cappello un po' rovesciato indietro, si avanzò anch'egli a vedere. - Ma questa è Teresella Scardaniglio, nelle Campane di Corneville! E mostrava la figura di contadina, con la veste corta che lasciava vedere le gambe fino al ginocchio, le braccia nude e le prime curve del seno. - Quella che piglia sempre posto a destra, in capofila? - chiese il Pinelli. - Sicuro, Teresella! - Dove avete trovato questo ritratto? - domandò il pretore. - Fra il gilè e la camicia - rispose la guardia - Si sentiva una cosa dura. - Nient'altro? - Nossignore. Ora il cadavere restava con le braccia in croce, la testa rimossa dalla prima posizione e un po' inchinata verso la spalla sinistra, l'abito aperto mostrante la camicia insanguinata. - Delegato - chiamò il pretore - venga qui, cominciamo due parole di verbale. Avete pensato pel trasporto? - È disposta ogni cosa. L'ispettore, senza far rumore, uscì sul corridoio e chiese a don Ciccio, fermo lì in mezzo: - A che numero sta la Scardaniglio? - Numero 5, al piano di sotto. - Da questa parte? - Eccellenza sì. L'ispettore scese e andò a picchiare discretamente all'uscio. - Avanti, chi è? Teresella stava vicino alla finestra, con una forbicina in mano, ritagliandosi le unghie, mentre guardava la folla. La faccia bianca di cipria pareva una maschera sul fazzoletto di seta rossa che le avvolgeva il capo. - Neh, cavaliere, che è stato? - chiese colla sua voce rauca, accorrendo. L'ispettore la guardò un momento; poi, rifacendo anch'egli quel verso: - È stato che uno s'è acciso per causa tua! - Voi che dite, Giesù! Voi scherzate.... - Non mi credi? Gli abbiamo trovato il tuo ritratto sul cuore. - Il mio ritratto? ... Guarda, guarda com'è serio!.. E gli dette uno spintone. - Ferma con le mani. Parlo sul serio, il tuo ritratto, nelle Campane, e c'è anche una copia del libretto, col tuo nome scritto sopra. - Voi davvero?.. Giesù, Giesù!.. E com'è stato?.. - Si è scannato, con un rasoio. - È morto? - chiese con grandi occhi spalancati. L'ispettore trinciò una piccola croce, col dito. - Il ritratto glie lo avevi dato tu? - Io? Siete pazzo! Chi lo conosceva!. - Allora, come? - Io che so! L'avrà comprato dal fotografo. - E.... non l'hai mai visto? - Dalli! V'ho detto che non lo conosco - Un giovanotto, coi baffetti castagni... occhi neri... alto... - Aspetta, aspetta... Con la lente?.. Mo' ricordo; qualche volta l'incontravo, dopo la recita, abbasso al portone. - E... non t'ha avvicinato mai? - Quante volte v'ho da dì... - L'incontrasti anche iersera? - Mi pare... - Poi aggiunse, curiosamente: - Chi ve l'ha detto?... L' ispettore la guardò, ammiccando: - Con chi eri? Teresella gli dette un altro spintone. - Ih com'è curioso!... S'intese una carrozza arrestarsi sotto l'Albergo; l'ispettore andò a guardare dalla finestra. - Lasciami andar via; portano la cassa. - Giesù, Giesù! Poi, mentre quegli stava per uscire sul corridoio, Teresella gli corse dietro. - Cavaliè... sentite... avessi mai da passà qualche seccatura?... L'ispettore le accarezzò il mento, paternamente. - Non aver paura. E salì nella stanza del morto. Dietro, il becchino portava la cassa: tre tavole inchiodate e una mobile. - Pretore, ci siamo? - Avanti. - Picciotti, a noi. Preso dalle spalle e dai piedi, il cadavere fu deposto nella cassa. L'abito aperto faceva ingombro; lo affagottarono alla meglio. Il tempo diventava sempre più scuro; alla luce triste, giallastra, filtrante tra i nuvoloni color creta, la faccia del morto pareva di cera. A un tratto s'intese, fuori il corridoio, un confuso rimescolio, voci sorde, indistinte; poi dei passi affrettati che si avvicinavano, striIli di bambino e un gridar rauco: - Assassino!... lasciatemi, sangue di Dio!... Assassino, assassino!... - Saverio!... per carità, Saverio!... Il padrone, terribile nella faccia accesa, gli occhi iniettati di sangue, i capelli rossicci sconvolti, si precipitò nella camera, come una furia. - Assassino!... dov'è l'assassino?... - E corse addosso alla cassa. Le guardie furono a tempo ad afferrarlo. Contorcendosi, tentando di svincolarsi, con la bava alla bocca, egli gridava parole mozze. - Il cuore debbo mangiargli... a cotesto infame!.. Mi ha rovinato!.. I'Albergo è rovinato!... - E nella rabbia dell'impotenza, gonfiò le gote e lanciò uno sputo che andò a stamparsi sulla fronte del morto. - Carogna, tieni! L'ispettore, facendo fischiare più forte l'aria fra i denti, gli si fece incontro, gli posò una mano sulla spalla, e disse, guardandolo fermo: - Principale, che facciamo? Restarono un momento così, gli occhi negli occhi. Il pretore guardava, impassibile, stropicciandosi le dita. Poi il padrone, fremente, con le labbra strette e le mascelle contratte, si lasciò portar via, barcollando. - Su, facciamo presto. Il becchino s'inginocchiò, inchiodò la cassa, leggermente; le guardie la presero da capo e piedi e gliela misero sulle spalle. Pel corridoio angusto, giù per la scaletta dalla volta bassa, il carico andava sbattendo di qua e di là. - Adagio!... attento alla porta!... più basso! - avvertivano don Ciccio e donna Vincenza. Sul marciapiede, la folla indietreggiò. La guardia aperse lo sportello del carrozzone, e come la cassa vi sdrucciolò, lo richiuse, sbattendolo. - Al deposito - disse al becchino, consegnandogli l'ufficio del pretore. Come il carrozzone fu partito, donna Vincenza, nel risalire, vide qualcosa di bianco per terra. - La lettera del passeggiere! - «Municipio di Messina» - lesse il pretore, interrompendo la redazione del verbale - «Oggetto: concorso fra gl'insegnanti elementari. Le si partecipa, in risposta alla sua del 20 corrente mese che, ai termini dell'avviso 8 ottobre, quando la patente di grado superiore è conseguita prima del 1878, occorre espressamente, per essere ammessi al concorso, il certificato speciale di abilitazione allo insegnamento della ginnastica. Tale essendo il suo caso, la commissione non può passare all'esame dei titoli già presentati se la Signoria Vostra non le farà pervenire il certificato di cui sopra.» FINE.

Pagina 248

Pane nero

249030
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1882
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
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Poi le pecore si arrestavano immobili, strette fra di loro, col muso a terra, e il cane finiva d' abbaiare in un uggiolato lungo e lamentevole, seduto sulla coda. In quella passò una civetta, e si mise a stridere sul casolare. - Lontano sia! - mormorò Carmenio facendosi la croce - che son figlio di Maria! A star solo nel casolare colla mamma la quale non parlava più, gli veniva voglia di piangere. - Mamma, che volete? Mamma, avete freddo? - Ella non rispondeva, colla faccia scura. Accese il fuoco, fra i, due sassi del focolare, e si mise a vedere come ardevano le frasche, che facevano una fiammata, e poi soffiavano come se ci dicessero su delle parole. Quando erano nelle mandre di Resecone, quello di Francofonte, a veglia, aveva narrato certe storie di streghe che montano a cavallo delle scope, e fanno degli scongiuri sulla fiamma del focolare. Carmenio si rammentava tuttora la gente della fattoria, raccolta ad ascoltare con tanto d' occhi, dinanzi al lumicino appeso al pilastro del gran palmento buio, che a nessuno gli bastava l'animo di andarsene a dormire nel suo cantuccio, quella sera. Giusto ci aveva l' abitino della Madonna sotto la camicia, e la fettuccia di santa Agrippina legata al polso, che s' era fatta nera dal tempo. Nella stessa tasca ci aveva il suo zufolo di canna, che gli rammentava le sere d' estate - juh! juh! - quando si lasciano entrare le pecore nelle stoppie gialle come l' oro, dappertutto, e i grilli scoppiettano nell'ora di mezzogiorno, e le lodole calano trillando a rannicchiarsi dietro le zolle col tramonto, e si sveglia l' odore della nepitella e del ramerino. - Juh! juh! Bambino Gesù! - A Natale, quando era rimasto al paese, suonavano così per la novena, davanti all' altarino illuminato e colle frasche d' arancio, e in ogni casa, davanti all' uscio, i ragazzi giocavano alla fossetta, col bel sole di dicembre sulla schiena. Poi erano andati alla messa di mezzanotte, in folla coi vicini, urtandosi e ridendo per le strade buie. Ah! perchè adesso ci aveva quella spina in cuore? e la mamma che non voleva rispondergli? Ancora per mezzanotte ci voleva un gran pezzo. Fra i sassi delle pareti senza intonaco pareva che ci fossero tanti occhi ad ogni buco, che guardavano dentro, nel focolare, gelati e neri. Sul suo stramazzo, in un angolo, era buttato un giubbone, lungo disteso, che pareva le maniche si gonfiassero; e il diavolo del San Michele Arcangelo, nella immagine appiccicata a capo del lettuccio, digrignava i denti bianchi, colle mani nei capelli, fra i zig-zag rossi dell' inferno. - Se sapevo! - pensava Carmenio - era meglio dire a curatolo Decu di non lasciarmi solo. Di fuori, nelle tenebre, di tanto in tanto si udivano i campanacci delle pecore che trasalivano. Dallo spiraglio si vedeva il quadro dell' uscio nero come la bocca di un forno, null' altro. E la costa dirimpetto, e la valle profonda, e la pianura della Lamia, tutto si sprofondava in quel nero senza fine, che pareva si vedesse soltanto il rumore del torrente, laggiù, a montare verso il casolare, gonfio e minaccioso. Se sapeva, anche questa! prima che annottasse correva al paese a chiamare il fratello; e certo a quell'ora sarebbe qui con lui, ed anche Lucia e la cognata. Allora la mamma cominciò a parlare, ma non si capiva quello che dicesse, e brancolava pel letto colle mani scarne. - Mamma! mamma! cosa volete? - domandava Carmenio - ditelo a me che son qui per questo, Ma la mamma non rispondeva. Dimenava il capo anzi, come volesse dir no! no! non voleva. Il ragazzo le mise la candela sotto il naso e scoppiò a piangere dalla paura. - O mamma! mamma mia! - piagnucolava Carmenio - O che sono solo e non posso darvi aiuto! Aprì l'uscio per chiamare quelli della mandra dei fichidindia. Ma nessuno l'udiva. Dappertutto era un chiarore denso; sulla costa, nel vallone, laggiù al piano, come un silenzio fatto di bambagia. Ad un tratto arrivò soffocato il suono di una campana che veniva da lontano, 'nton! 'nton! 'nton! e pareva quagliasse nella neve. - Oh, Madonna santissima! - singhiozzava Carmenio - Che sarà mai quella campana? O della mandra dei fichidindia, aiuto! O santi cristiani, aiuto! Aiuto, santi cristiani! - si mise a gridare. Infine lassù, in cima al monte dei fichidindia, si udì una voce lontana, come la campana di Francofonte. - Ooooh... cos'èeee? cos' èeee?... - Aiuto, santi cristiani! aiuto, qui da curatolo Decuuu!... - Ooooh...rincorrile le pecoreee!... rincorrileeee!... - No! no! non son le pecore.... non sono!

Pagina 91

Dramm intimi

250029
Giovanni Verga 2 occorrenze
  • 1884
  • Casa Editrice A. Sommaruga e C.
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
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Un cane s'era messo ad abbaiare in lontananza. E ai tre amici pareva di sognare quando si udì il fischio del tramvai, che andavano a raggiungere mezz'ora prima, tomo se fosse passato un secolo. Il Pigna disse che bisognava scavare una buca profonda, per nascondere quel ch'era accaduto, e costrinsero Ambrogio per forza a strascinare la morta nel prato, com'erano stati tutti e tre a fare il marrone. Quel cadavere pareva di piombo. Poi nella fossa non c'entrava. Carlino gli recise il capo, col coltelluccio che per caso aveva il Pigna. Poi quand'ebbero calcata la terra pigiandola coi piedi, si sentirono più tranquilli e si avviarono per la stradicciuola. Ambrogio sospettoso teneva d'occhio il Pigna che aveva il coltello in tasca. Morivano dalla sete, ma fecero un lungo giro per evitare un'osteria di campagna che spuntava nell'alba; un gallo che cantava nella mattinata fresca li fece trasalire. Andavano guardinghi e senza dire una parola, ma non volevano lasciarsi, quasi fossero legati insieme. I carabinieri li arrestarono alla spicciolata dopo alcuni giorni; Ambrogio in una casa di mal affare, dove stava da mattina a sera; Carlo vicino a Bergamo, che gli avevano messo gli occhi addosso al vagabondare che faceva, e il Pigna alla fabbrica, là in mezzo al via vai dei lavoranti e al brontolare della macchina; ma al vedere i carabinieri si fece pallido e gli s'imbrogliò subito la lingua. Alle Assise, nel gabbione, volevano mangiarsi con gli occhi l'un l'altro, chè si davano del Giuda. Ma quando ripensavano poi al cellulare com'era stato il guaio, gli pareva d'impazzire, una cosa dopo l'altra, e come si può arrivare ad. avere il sangue nelle mani cominciando dallo scherzare.

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