Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il Marchese di Roccaverdina

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Capuana, Luigi 1 occorrenze

I quattro canini, saltati tutt'insieme giù dai seggioloni, e stiratisi e sbadigliato, circondavano il marchese, mostrando di riconoscerlo col dimenare festosamente le code e saltellargli attorno e abbaiare. La baronessa li guardava sorridendo dalla commozione. «Non fai loro neppure una carezza!», esclamò. Gli passava davvero ben altro per la testa in quel momento che accarezzare quelle decrepite bestie mezze spelate e con gli occhi pieni di cispa! La zia baronessa aveva ragione. Perché egli non voleva? Perché si ostinava a vivere solo? E rientrando in casa, gli parve di rientrare in una spelonca. Mamma Grazia, che non aveva ancora acceso i lumi, venne ad aprirgli portando con una mano la sporca lumiera di terracotta stagnata, col lucignolo a olio, che essa adoprava in cucina. Dalla zia baronessa tutto era un gran vecchiume; ma vi si scorgeva la sorveglianza d'una intelligente e pulita padrona. Qua si sentiva il tanfo della trascuratezza, del disordine e dell'abbandono. Dal giorno che quella - non la nominava più neppure col pensiero - era andata via, egli non aveva più badato a niente, lasciando che mamma Grazia facesse quel po' che poteva, non osando di rimbrottarla, di sgridarla, per via dell'età e del rispetto che le portava come nutrice e come vecchia persona di casa. Altra donna di servizio non voleva, anche per non fare dispiacere alla povera vecchia; servitori non gli piaceva di averne attorno, perché li stimava indiscreti e ciarlieri. Era vita questa? La solitudine ora gliene faceva sentire tutto il fastidio e la nausea. Vita bestiale! Egli, marchese di Roccaverdina, godeva forse delle ricchezze ereditate? I suoi massai, i suoi fittaiuoli godevano meglio di lui. Da più di dieci anni si era ridotto un selvaggio, schivando il commercio delle persone, arrozzendosi, chiuso in quella spelonca d'onde usciva soltanto per fare quattro passi su la spianata del Castello, o per vivere in campagna, tra contadini che lo temevano e non gli volevano bene perché li trattava peggio di schiavi, senza trovar mai una buona parola per essi. Ah, la zia baronessa aveva ragione! Perché non voleva? Le altre volte la zia gli aveva parlato su le generali. Ora aveva precisato, pur non nominando colei che era stata la segreta aspirazione dei suoi sedici anni, quando timido ed esitante si era contentato di manifestare il sentimento che gli tremava in fondo al cuore soltanto con gli sguardi o con fanciullesche intimità di scherzi e di atti forse meno espressivi degli scherzi; quando gli era bastato di scorgere o d'indovinare, dal pudibondo contegno, che ella si era accorta e che acconsentiva con maggiore serietà di propositi, non mai smentita dopo. Ed egli l'aveva dimenticata! Ed egli l'aveva offesa anteponendole quella donna poi divenuta sua tortura e suo castigo. Perché ora non voleva? Non lo sapeva neppur lui! Era seduto a tavola. Mamma Grazia, portato il vassoio dell'insalata, vedendo che il marchese mangiava con aria cupa, evitando di guardarla e di rivolgerle la parola, si era fermata a osservarlo, incrociando le mani sotto il grembiale di traliccio. Due grigi cernecchi dei pochi capelli mal pettinati le si sparpagliavano su la fronte piena di grinze, cascandole sugli occhi, da uno dei quali, con gli orli delle palpebre rossi, non ci vedeva per un disgraziato accidente di molti anni addietro, quando, divezzato il marchese, era rimasta come serva dai Roccaverdina. «A che pensi, figlio mio?», ella disse teneramente. E all'inattesa domanda il marchese faceva una rapida mossa di tutti i muscoli della faccia, quasi volesse, con essa, trafugare nel più oscuro posto del cervello i pensieri che lo tormentavano e nasconderli anche a se stesso. Ella, che aveva notato, altre due o tre volte, una mossa simile e in identiche circostanze, ne fu addolorata. «A me puoi dirlo», soggiunse accostandosi alla tavola. «Sono la tua mamma Grazia!» «Non trovo certe antiche scritture; pensavo appunto dove cercarle», rispose il marchese. «Giù, nel mezzanino ce n'è una catasta.» «Dici bene.» «Ce n'è tante altre anche in un baule. Io so qual è la chiave.» «Me la darai domani.» «Farò prendere aria a quelle stanze. Saranno piene di topi. Non vi è entrato nessuno da anni.» «Sì, mamma Grazia.» Non convinta della risposta, dopo alcuni momenti di silenzio, ella riprendeva: «Che ti cuoce, figlio mio? Dimmelo. Pregherò il Signore e la Vergine Santissima del Rosario. Ho fatto dire una messa alle anime sante del Purgatorio perché ti diano la pace dell'animo ... Senti: se è per quella ... richiamala pure ... Le farò da serva, come prima!». Il marchese alzò la testa e le spalancò gli occhi in viso, impaurito dalla chiaroveggente penetrazione di quella rozza e semplice creatura. «Oh, mamma Grazia! ... È venuta qui? Che ti ha detto? Non voglio più vederla, non m'importa più niente di essa! ... Ti ha forse suggerito di dirmi così?» «No, figlio mio! ... Non irritarti; ho parlato da vecchia stolida!» Si era irritato, invece, per la vergogna di sentirsi quasi alla mercé degli altri. Non sapeva, non poteva più dissimulare dunque? Allo sgomento che gli intorbidava lo sguardo, mamma Grazia, intimidita, replicò: «Non irritarti! Ho parlato da vecchia stolida!». E andò via strascicando le ciabatte.

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