Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbaiano

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Se non ora quando

680503
Levi, Primo 1 occorrenze

I cani dei tedeschi non abbaiano, se no che cani da guerra sarebbero? Si rivolse alle sentinelle: _ State in guardia, ma non sparate. È probabile che sia gente amica: hanno mandato avanti i cani a cercare la pista attraverso le mine. Infatti arrivarono prima i cani: erano solo due, e non cani da guerra ma modesti cani da pagliaio, eccitati e disorientati. Abbaiavano nervosamente, ora verso le baracche, ora verso gli sconosciuti che tardavano a seguirli, fieri del dovere compiuto, inquieti per le nuove presenze umane; scodinzolavano e ringhiavano alternativamente, o anche simultaneamente; balzavano avanti e indietro, danzavano sul posto con le zampe anteriori rigide, e latravano a perdifiato aspirando aria a intervalli con un rantolo convulso. Poi si videro arrivare due vacche, cacciate avanti da giovani sbrindellati: badavano che le bestie non uscissero dalle piste tracciate dai cani. Infine arrivò il grosso della banda, una trentina di uomini e donne, armati e disarmati, stanchi, laceri e baldanzosi. In mezzo a loro c' era un uomo dal naso aquilino e dal viso abbronzato: portava a tracolla un parabellum e un violino. In coda al gruppo c' era Dov. Mendel disse tra sé: "Benedetto Colui che resuscita i morti". Nacque un trambusto, tutti facevano domande e nessuno rispondeva. Prevalsero alla fine le voci di Ulybin e dell' uomo alto, che era Gedale. Che tutti facessero silenzio ed aspettassero gli ordini; Ulybin e Gedale si ritirarono nello sgabuzzino del comando. Molti degli uomini di Turov ricordavano la lite che era scoppiata fra i due all' inizio dell' inverno; che cosa sarebbe successo ora, in questo nuovo incontro? Si sarebbero riconciliati, davanti alla minaccia imminente? Avrebbero trovato un accordo? Mentre si attendeva l' esito del colloquio, i nuovi venuti chiesero di essere accolti nelle baracche ormai sgombre; alcuni sedettero a terra, altri si sdraiarono e si addormentarono subito, altri ancora chiesero tabacco, o acqua calda per lavarsi i piedi. Chiedevano con l' umiltà di chi ha bisogno, ma con la dignità di chi sa di avere diritto: non erano mendicanti né gente girovaga, erano la banda ebraica radunata da Gedale, composta dai superstiti delle comunità di Polessia, Volinia e Bielorussia; una aristocrazia miseranda, i più forti, i più astuti, i più fortunati. Ma alcuni venivano da più lontano, per strade piene di sangue; erano sfuggiti ai pogrom dei saccheggiatori lituani che uccidevano un ebreo per avere un lenzuolo, ai lanciafiamme degli Einsatzkommandos, alle fosse comuni di Kovno e di Riga. C' erano fra loro i pochi sfuggiti al massacro di Ruzany: avevano vissuto per mesi in tane scavate nel bosco, come i lupi, e come i lupi cacciavano silenziosi in branco. C' erano gli ebrei contadini di Blizna, dalle mani indurite dalla vanga e dalla scure. C' erano gli operai delle segherie e delle tessiture di Slonim, che prima ancora di incontrare la barbarie hitleriana avevano scioperato contro i padroni polacchi ed avevano conosciuto la repressione e la prigione. Ognuno di loro, uomo o donna, aveva sulle spalle una storia diversa, ma rovente e pesante come il piombo fuso; ognuno avrebbe dovuto piangere cento morti se la guerra e tre inverni terribili gliene avessero lasciato il tempo e il respiro. Erano stanchi, poveri e sporchi, ma non sconfitti; figli di mercanti, sarti, rabbini e cantori, si erano armati con le armi tolte ai tedeschi, si erano conquistato il diritto ad indossare quelle uniformi lacere e senza gradi, ed avevano assaporato più volte il cibo aspro dell' uccidere. I russi di Turov li guardavano inquieti, come avviene davanti all' inatteso. Non riconoscevano in quei visi smunti ma determinati il zid della loro tradizione, lo straniero in casa, che parla russo per abbindolarti ma pensa nella sua lingua strana, che non conosce Cristo e segue invece i suoi precetti incomprensibili e ridicoli, forte solo della sua furberia, ricco ed imbelle. Il mondo si era capovolto: questi ebrei erano alleati ed armati, come gli inglesi, come gli americani, e come tre anni prima era stato alleato anche Hitler. Le idee che ti insegnano sono semplici e il mondo è complicato. Alleati, dunque: compagni d' armi. Avrebbero dovuto accettarli, stringergli le mani, bere vodka con loro. Qualcuno tentava un sorriso impacciato, un timido approccio con le donne scarmigliate, infagottate nei panni militari fuori misura, dai visi grigi di fatica e di polvere. Sradicare un pregiudizio è doloroso come estrarre un nervo. Il muro dell' incomprensione ha due facce, come tutti i muri, e dall' incomprensione nascono l' imbarazzo, il disagio e l' ostilità; ma gli ebrei di Gedale non si sentivano, in quel momento, né imbarazzati né ostili. Erano allegri, invece: nell' avventura ogni giorno diversa della Partisanka, nella steppa gelata, nella neve e nel fango avevano trovato una libertà nuova, sconosciuta ai loro padri e ai loro nonni, un contatto con uomini amici e nemici, con la natura e con l' azione, che li ubriacava come il vino di Purim, quando è usanza abbandonare la sobrietà consueta e bere fino a non saper più distinguere la benedizione dalla maledizione. Erano allegri e feroci, come animali a cui si schiude la gabbia, come schiavi insorti a vendetta. E l' avevano gustata, la vendetta, pur pagandola cara: a diverse riprese, in sabotaggi, attentati e scontri di retrovia; ma anche di recente, pochi giorni prima e non lontano. Era stata la loro grande ora. Avevano attaccato, da soli, la guarnigione di Ljuban, ottanta chilometri a nord, dove stavano confluendo truppe tedesche ed ucraine destinate al rastrellamento; nel villaggio era anche un piccolo ghetto di artigiani. I tedeschi erano stati cacciati da Ljuban: non erano di ferro, erano mortali, quando si vedevano sopraffatti scappavano in disordine, anche davanti agli ebrei. Alcuni di loro avevano abbandonato le armi e si erano gettati nel fiume ingrossato dal disgelo, era stata una visione che rallegrava, una immagine da portarsi nella tomba: gli ebrei la raccontavano ai russi con facce allucinate. Sì, gli uomini biondi e verdi della Wehrmacht erano fuggiti davanti a loro, entravano nell' acqua e cercavano di arrampicarsi sulle lastre di ghiaccio trascinate dalla corrente, e loro avevano sparato ancora, e avevano visto i corpi dei tedeschi affondare o navigare verso la foce sui loro catafalchi di ghiaccio. Il trionfo era durato poco, si capisce: i trionfi durano sempre poco, e, come sta scritto, la gioia dell' ebreo finisce nello spavento. Loro si erano ritirati nel bosco portandosi dietro quelli fra gli ebrei del ghetto di Ljuban che sembravano in grado di combattere, ma i tedeschi erano tornati e avevano ucciso tutti quelli che nel ghetto erano rimasti. La loro guerra era così, una guerra in cui non ci si volta a guardare indietro e non si fanno i conti, una guerra di mille tedeschi contro un ebreo e di mille morti ebrei contro un morto tedesco. Erano allegri perché erano senza domani e non si curavano del domani, e perché avevano visto i superuomini sguazzare nell' acqua gelata come le rane: un regalo che nessuno gli avrebbe più tolto. Portavano anche altre notizie più utili. Il rastrellamento era già cominciato, e loro erano stati sloggiati dal loro campo, che del resto era un povero campo di tane, provvisorio, non certo paragonabile a quello di Turov. Ma non era vero che fosse un grande rastrellamento: non c' erano né carri né artiglieria pesante, e un prigioniero tedesco che loro avevano interrogato aveva confermato che il punto più debole dell' accerchiamento doveva proprio essere dove pensava Ulybin: a sud-ovest, lungo la Stviga. Dov stava bene, non zoppicava quasi più, ma era più curvo di prima. I suoi capelli, di nuovo accuratamente pettinati, erano più radi e più bianchi. Sissl gli chiese se voleva mangiare qualcosa, e lui rispose ridendo: _ A un malato si domanda, a un sano si dà, _ ma aveva più fretta di raccontare che di mangiare. Intorno a lui si era formato un cerchio di ascoltatori, ebrei e russi: non erano molti quelli che dalla Grande Terra tornavano in territorio partigiano. _ Quanto tempo è che parlano, quei due? Un' ora? È buon segno: più parlano e più vanno d' accordo; e vuole anche dire che i tedeschi sono ancora lontani, o che hanno cambiato strada. Ma sicuro, che mi hanno curato: che cosa avevate pensato? All' ospedale di Kiev. Non aveva più il tetto, o anzi non l' aveva ancora, perché lo stanno ricostruendo, e sapete chi? I prigionieri tedeschi, quelli che si sono arresi a Stalingrado. _ Non c' era il tetto, non c' era da mangiare e non c' era l' anestesia, ma c' erano le dottoresse, e mi hanno operato subito: mi hanno tolto qualcosa dal ginocchio, un osso, e me lo hanno anche fatto vedere. Nelle cantine, mi hanno operato, alla luce dell' acetilene, e poi mi hanno messo in corsia, una corsia sterminata, più di cento lettini per parte, con dentro vivi, moribondi e morti. Non è bello stare in ospedale, ma proprio in quella corsia è arrivata la mia fortuna: se c' è la fortuna, anche un bue partorisce. È venuta una visita, uno importante, del Politburò, un ucraino: piccolo, grasso, calvo, con l' aria del contadino e il petto coperto di medaglie. In mezzo a quella confusione di portantini che andavano e venivano, si è fermato proprio davanti a me. Mi ha chiesto chi ero, da dove venivo e dove ero stato ferito; aveva dietro quelli della radio, e ha improvvisato un discorso dove diceva che tutti quanti, russi e georgiani e jakuti ed ebrei, siamo figli della gran madre Russia, e che tutte le questioni devono finire .... Si udì la voce di Piotr: _ Se quello era un ucraino, ed era un pezzo grosso, gli potevi dire che incominciasse a fare pulizia a casa sua! Sono gentaglia, gli ucraini: quando sono venuti i tedeschi, gli hanno aperto le porte e gli hanno offerto il pane e il sale. I loro banderisti sono peggio dei tedeschi _. Altre voci fecero tacere Piotr ed esortarono Dov a continuare. _ ... e mi ha chiesto, una volta che io fossi guarito, dove volevo essere mandato. Io gli ho risposto che la mia casa è troppo lontana, che avevo amici partigiani, e che avrei voluto ritrovarli. Bene, appena mi hanno dichiarato guarito lui si è dato da fare. Forse voleva dare un esempio, ha ripescato Gedale e la sua banda e mi ha fatto paracadutare vicino al suo campo, insieme a una cassa con dentro quattro parabellum come suo regalo personale. Scendere col paracadute fa abbastanza paura, ma sono finito nel fango e non mi sono fatto niente. Dov avrebbe avuto ancora una quantità di cose da raccontare su quanto aveva visto e udito durante la sua convalescenza nella Grande Terra, ma si aprì la porta del comando, ne uscirono Gedale ed Ulybin, e tutti tacquero.

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