Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbaiamento

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Demetrio Pianelli

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De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Il piangere, senza lasciarsi scorgere, il mangiare poco e male fingendo d'averne abbastanza, il dormire affannoso, e quando non dormiva, quel continuo rotolare nel letto, quel sobbalzare improvviso a un improvviso abbaiamento ... Quante volte le pareva di udire la voce di Giovedí lamentarsi sulla scala! e insieme un'altra voce d'uomo che cerca la carità, che si raccomanda! Per quanto lo zio Demetrio avesse cercato di attenuare la triste impressione del fatto, velando e negando molti particolari, pure essa non aveva piú dubbio che il suo babbo si era ucciso lassú in quell'orrido solaio, tra quelle travi nere sotto il tetto, dietro quell'uscio massiccio che il vento scoteva spesso la notte, riempiendo la casa di terrore. Nel buio essa non vedeva che quell'apertura nera spalancata davanti come una tetra voragine, piena di ragnatele e di sordidezze nefande: e guai se sfinita di forze si addormentava nella lugubre immagine di quelle travi incrocicchiate! Un grido la faceva trasalire; balzava sul letto al suo stesso grido, colla fronte in sudore, col cuore in frantumi, stava a sentire, le pareva che qualcuno passeggiasse leggermente per la stanza, girando intorno al letto, rimestando nei cantucci, inquieto, bisognoso di qualche cosa, finché una voce sommessa, o, per dir meglio, un fiato d'anima errabonda le traversava il corpicciuolo, lasciandovi i brividi della morte. Se ella avesse potuto dare tutto il suo sangue per arrestare quell'anima in pena, per far tacere quella voce che, sibilando, le parlava di cose incomprensibili nel buco delle orecchie, non avrebbe esitato un minuto. Aspettava con ansietà il giorno della sua prima comunione. Forse Dio in quel dí avrebbe avuto pietà di lei, avrebbe ascoltato i suoi voti. Se fosse stata piú grande, avrebbe voluto rinunciare subito alle cose del mondo, farsi tagliare i capelli — quella bellezza di capelli —, vestirsi di nero, andare negli ospedali, nelle missioni, dovunque insomma si può fare del bene, non per sé, ma per dare un sollievo a quell'anima vagabonda, che non trovava requie. A furia di pensarci, fu essa che persuase zio Demetrio a pagare il debito verso il Martini e a rivolgersi per questo al signor Paolino delle Cascine. Col tempo avrebbe pagato col suo lavoro quel debito. E quasi subito le parve che la povera anima fosse piú sollevata. Forse ella aveva indovinato ciò che andava da lungo tempo sussurrando e se ne consolò; a poco a poco imparò ad ascoltarla e le parve di capire un'altra volta che aveva bisogno di una messa. Cosí si abituò ad averne meno paura. Un prete le aveva detto che un atto di pentimento sincero in extremis può salvare l'anima del piú feroce assassino, e che le buone opere dei vivi sono tante leve per i poveri morti. Dunque c'era speranza che l'anima del suo papà potesse salvarsi: per lui essa offriva a Dio il bene, che avrebbe potuto fare e godere quaggiú. Una domenica, coi denari prestati dal signor Paolino, si presentò insieme allo zio all'uscio del Martini, che abitava una modesta casa in via Larga. Strada facendo, mentre si attaccava al braccio dello zio, non si scompagnò mai da quello spirito che l’immaginazione eccitata e quasi ossessa trascinava con sé dappertutto, anche in mezzo alla folla e in piena luce di mezzodí. Piú d'una volta dovette fare un gran sforzo di volontà e di raziocinio per non voltarsi a guardarlo. Demetrio, tutto chiuso e conturbato ne' suoi pensieri per il difficile passo che stava per compiere, non sentí due o tre volte il braccio di Arabella guizzare sul suo e tutta la sua personcina vibrare come un filo preso dalla corrente. Quasi non vedeva due passi innanzi, come se la soggezione e la vergogna d'incontrarsi col Martini facessero una nuvola davanti agli occhi. Pensava a quel che egli avrebbe potuto dire, senza riuscir mai a mettere insieme due mezze parole in un'idea. Solamente la coscienza in fondo pareva dire brontolando: "Si fa presto ad ammazzarsi: la vergogna e la penitenza toccano a chi resta." "C'è il signor Martini?" chiese Demetrio a una vecchietta, che venne ad aprire con in braccio una bambina di pochi mesi. Erano la madre e la figliuola del disgraziato. "Che cosa desidera?" chiese la vecchina con un fare cerimonioso, invitandoli a entrare. "Avrei del denaro da consegnargli" balbettò Demetrio. "Vengano avanti. Vado ad avvertirlo." Rimasti un momento soli in anticamera, Demetrio disse ad Arabella: "Lasciami andar innanzi solo. Aspettami qui ... ." E a quell'uomo coraggioso tremavano le gambe. Quando tornò la vecchia, Arabella stese le mani alla piccina, e con quel diritto, che ogni donna ha sui deboli, la tolse in braccio nel suo guancialetto e andò a sedersi presso la finestra per contemplarla bene negli occhi. Essa aveva molte cose a dire a quella piccina. Appoggiò il viso al visino e nascose cosí le lagrime. Demetrio intanto era passato di là. La vecchia Martini, contenta delle carezze che la ragazza dava alla sua piccina, venne a fare delle confidenze. La sua Mimi era nata sotto cattiva stella: la mamma morí nel metterla al mondo, e ora il governo mandava via il papà lontano, fino in Sardegna. Era un trasloco senza promozione, senza miglioramento di stipendio, per colpa d'un birbone che l'aveva tradito, sotto la maschera dell'amicizia ... "Ne ha passate quel povero martire in questi quattro mesi!" continuò la vecchietta intenerendosi "ne ha patite piú che Gesú in croce. Il governo ha riconosciuto la sua buona fede, la sua innocenza, sta bene; ma ci vuole un esempio, e il meno che possono fare è di mandarlo via per qualche tempo collo stesso soldo. Ma i denari perduti ha dovuto rimetterli: e ora non può condurre una vecchia e una bambina fino in alto mare. Dovrà fare due case; lasciar me colla piccina e colla balia, e andarsene solo colle sue malinconie ... Questo si guadagna a fare il galantuomo." Mentre la buona donna sfogava il suo corruccio, contando per la centesima volta una storia che non poteva levarsi dal cuore, Arabella tuffava sempre piú il viso nel guancialetto, a cui si stringeva colle braccia come se cercasse un appoggio per non cadere. Demetrio passò in un salottino, sparso di roba in disordine, dove trovò il Martini tutto occupato a riempire delle casse. I due uomini s'incontravano per la prima volta. "Ho il piacere ... ?" mormorò il padrone di casa per avviare una presentazione. Aveva ragione la sua mamma: i colpi della vita avevano dimezzato il disgraziato. Demetrio, dopo aver fissato gli occhi in un angolo in terra, come se cercasse la parola, disse parlando al muro: "Io sono ... , io sono il fratello di Cesarino Pianelli, vengo a pagarle un debito che ... ." E per finire la frase trasse il portafogli, ne levò due biglietti da cinquecento, che collocò sopra alcuni libri della scrivania, agitando la testa sotto la violenza di piccoli scatti nervosi. Il Martini, che non si aspettava quella visita, còlto all'improvviso, assalito in mezzo alle sue dolorose preoccupazioni da una folla di piú dolorose rimembranze, non seppe sul momento che cosa dire. "La cosa ... veramente ... Io non so se devo ... " balbettò. "Non possiamo pagare il danno morale, questo no: ma se lei può perdonare a quel poveretto, anche per la pace de’ suoi figliuoli, fa un'opera di carità." Un urto di passione soffocò le sue parole, che finirono in un gesto lento e supplichevole. Il Martini chinò il capo e socchiuse gli occhi. Stese la mano e strinse fortemente quella di Demetrio, parlandogli vivacemente cogli occhi negli occhi. Sapeva che anche Cesarino aveva lasciata la famiglia in gravi imbarazzi ed esitava ad accettare; ma Demetrio lo persuase a non dir di no, non tanto per la cosa in sé, quanto per la pace dei vivi e dei morti. Poi soggiunse: "C'è qui una sua figliuola che vuol essere quasi perdonata per il riposo di una pover'anima. Se permette ... ." Andò all'uscio, fe' un segno ad Arabella, che sulle prime non ebbe la forza di muoversi. Alzò il viso inondato dal guancialetto, e, sentendosi chiamare, si alzò, consegnò la bimba alla vecchietta, che la guardava con un senso di meraviglia, e dopo tre o quattro passi involti e legati, sul punto di varcare la soglia, si sentí come presa alla vita e vivamente trasportata dalla forza invisibile che l'accompagnava. Corse, quasi volò incontro a quel signore pallido vestito di nero, gli gettò le braccia al collo con affettuoso abbandono, si attaccò a lui con tutta la forza, rovesciando indietro la testa, socchiudendo gli occhi, sospirando: "Ci perdoni ... ." La vecchierella sull'uscio crollava il capo nella sua cuffietta bianca, col guancialetto dimenticato sulle braccia. Lo zio e la nipote, senz'altre spiegazioni, uscirono da quella casa piú consolati, e strada facendo l'una si attaccava al braccio dell'altro con un senso di piú domestica intimità. Non si dissero una parola fino a casa: ma due persone non avevano mai parlato e non s'erano mai capite tanto. Prima di andare a letto, quella stessa notte, Arabella si chiuse nella sua stanza e scrisse una lunga lettera a Paolino delle Cascine, suo benefattore. Finiva col dirgli: "Non cesserò mai di pregare il buon Dio e il mio Angelo custode, perché possano essere esauditi tutti i voti del suo cuore. Ella ha fatto una grande carità a me, a’ miei fratellini, alla mia disgraziata mamma, al mio povero papà". E mentre scriveva il nome del suo povero papà, le parve di udire un fruscío nella stanza e vide la fiamma della candela piegarsi da una parte quasi mossa da un sottile alito di vento.

Giacomo l'idealista

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De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Un grande abbaiamento di cani lo fece uscire dai suoi pensieri. Si mosse e andò a battere al portone chiuso. Al rimbombo, che rispose di dentro, si raddoppiò lo sguaiato abbaiamento, in mezzo a cui risonò la voce poco armoniosa d'una donna, che sgridava le bestie, inviandole all'inferno. Il catenaccio interno cigolò un pezzo negli anelli, si aprí uno sportello, e comparve la figura poco pulita d'una vecchia serva, che, colle maniche rimboccate fin sopra ai gomiti, dava maledizioni con un padellino a quattro o cinque botoli grassi, ringhiosi che si avanzavano. - È lei, sor Giacomo? venga avanti. - C'è il signor Ignazio? - domandò Giacomo alla donna, nella quale riconobbe una certa Serafina, che aveva servito molto tempo in palazzo. Si voleva che l'avessero mandata via per poca fedeltà. Sui passi della donna, attraversò una corte d'apparenza signorile, ma forse d'aria ancor più umida e tetra che non fosse di fuori. - Sora Norma - chiamò la serva. Una bella voce di contralto rispose con un gorgheggio: - Chi mi chiama? Ed ecco subito dopo comparire sull'uscio della sala una florida ragazza, dal portamento soldatesco, coi capelli scomposti sopra un giubboncello rosso fiammante ornato di alamari d'oro come una divisa ungherese, che si teneva in braccio una cagnolina appena nata, colla tenerezza con cui si porterebbe una bimba a battezzare. Gli occhi grandi e nericome quelli delle famose odalische ebbero un lampo di gioia. Tirandosi accosto l'uscio, senza però nascondere la bella e arruffata testa di zingara, la signorina Norma si scusò di non essere presentabile, e pregò il signor Lanzavecchia di passare nello studio di papà. Il signor Ignazio, con indosso una vestaglia da camera a fiorami rossi su fondo giallo, con un berretto da cavallerizzo in una mano, stese l'altra mano al caro visitatore, si sprofondò in cerimonie, che avevano un non so che di frettoloso e diagitato, e, chiesto perdono per il gran disordine, fece sedere Giacomo in uno stanzino pieno di vecchi mobili, di quadri, di suppellettili preziose, che gli davano l'aspetto d'una bottega di rigattiere. L'ex- impresario, magro, secco, nervoso, col viso volpino di certi uomini d'affari, si mostrò d'una cortesia infinita, profondendosi in complimenti, che il suo accento triestino rendeva ancora piú morbidi. Quando Giacomo fece l'atto di levare il portafogli di tasca, non volle assolutamente né ricevere, né vedere il denaro: - Dica alla signora contessa che non intendo far speculazioni sulla inesperienza di un giovinotto allegro. Don Giacinto ha firmato per gli altri, ed è giusto che gli usi qualche riguardo; io sono pronto a rinnovare questi piccoli effetti, che possono valere molto meno di quel che dicono. Spero invece che la signora contessa vorrà accontentare quel mio modesto desiderio che lei sa, caro signor Giacomo, e vorrà cedermi quel pezzo di campo della Colombera a cui faccio la corte da un pezzo. Questa Rivalta è un cimitero, come vede, e il mio sogno è di finire i miei giorni al sole. Lei deve assolutamente aiutarmi in questa faccenda. - Casa Magnenzio non usa a vendere e non so come potrò persuadere la contessa . - Lei può molto, ora, lo sappiamo; e sappiamo anche che può chiedere quel che vuole a quei signori. - Sono un magro mediatore - tornò a dire il buon uomo. - Lei è piú filosofo di tutti, mi lasci dire, e noi dobbiamo fare della strada insieme. Ora le presenterò mia figlia. - E, dirizzandosi coi suo passetto scivolante verso l'uscio, chiamò due o tre volte: - Norma, vieni un po' qua.- E poi gridò verso la cucina: - Porta il caffè, Serafina. - E poiché Norma si faceva alquanto aspettare, egli tornò a sedersi davanti al giovine, pose confidenzialmente le mani ossute e lunghe sui ginocchi di lui, e, dopo aver battuto tre o quattro colpetti confidenziali, passò la mano sul filo di due baffetti sottili, tinti e tirati aguzzi come punteruoli: - Che piacere che provo, caro professore, di stringere con lei un po' d'amicizia. Io non sono né un letterato, né un protettore di letterati, ma so giudicare gli uomini e li peso per il loro valore. Lei è un uomo, che andrà molto avanti, e per la strada maestra. Noi poveri affaristi, che siamo costretti a rimestare negli stracci, non sempre le mani vanno dove si vorrebbe. La scienza invece è una cosa astratta e pulita; non solo, ma la scienza oggi è la sola e genuina aristocrazia possibile di fronte a questi contini e marchesini, che non valgono piú della porcellana rotta. Il mondo, oggi, è di chi pensa e di chi lavora. Vieni, Norma - disse, alzandosi di nuovo, andando incontro alla figlia, che entrava col vassoio del caffè. - Conosci il professor Lanzavecchia? è un filosofo, che è stato anche garibaldino. La penna e la spada, ecco uno stemma che mi piace. Giacomo si alzò, s'inchinò alla signorina, che nel frattempo aveva dato un colpo di pettine alla chioma selvaggia, e accettò il caffè, ch'essa gli versò lentamente da un cuccumino tignoso, stando in piedi come un gendarme davanti a lui, carezzandolo cogli occhi neri e morbidi come il velluto, fino al punto di costringere il bravo giovinotto ad abbassare i suoi sul piattello. - Questo è il mio gioiello, dirò anch'io come la madre dei Gracchi - esclamò l'orgoglioso padre, stringendo con affettuosa dimestichezza nelle dita la gota rubiconda della ragazza - e, siccome non ho che lei al mondo, posso dire che questaè la mia vita. Essa è nata in America da madre spagnuola. Non è forse un bel pezzo d'andalusa? Avrebbe voluto studiare il canto anche lei come sua madre, che è morta, poverina, di febbre gialla: ma io, che conosco il mestieraccio, glielo proibisco. Quando si hanno duecentomila lire di dote, si può fare qualche cosa di meglio che non andare a scopare i palcoscenici colle gonnelle. - Sposerò un principe russo - uscí a dire la bella creatura con tono lieto e scioccherello. - Che principe d'Egitto! sposerai l'uomo che ti piacerà, e mi darai dei nipotini, ai quali voglio lasciare qualche cosa, perché tuo padre non ha ancora eseguiti tutti i pezzi del suo programma. Si parlò di molte altre cose alla ventura, fin che Giacomo, sentendosi avviluppato in quell'aria come da invisibili ragnatele, con un atto d'energia, che sapeva trovare nei momenti decisivi, alzandosi repentinamente, tagliò corto col dire: - Bisogna che io veda subito il ragioniere Riboni e lo mandi qui a definire la faccenda di queste cambiali. La signora contessa desidera che il conte non ne sappia nulla . - So rispettare tutte le delicatezze - disse il padrone di casa con un fare umile umile. - Io spero che il signor Giacomo vorrà favorirmi qualche altra volta. Abbiamo di là una piccola raccolta di monete antiche, che forse potranno interessarla. Norma sa distinguere benissimo un Nerone da un Diocleziano. Sento dire che anche il conte Magnenzio è un mezzo antiquario. Lo incoraggi, e me lo conduca qualche volta. Troverà prezzi, dirò cosí, di fallimento. Norma, accompagna il signor professore . E dopo avere stretta la mano di Giacomo nelle sue di scheletro vivente, s'inchinò per l'ultima volta, chiuse l'uscio, lasciando che la ragazza accompagnasse il giovane a vedere la raccolta delle medaglie antiche. Ma Giacomo, che possedeva la sua psicologia e sapeva servirsene, mostrò di avere una grande premura, promise che sarebbe tornato con piú comodo e, rinnovati i suoi rispetti alla signorina, si avviò verso il portone seguito dai botoli, che mostrarono colle loro giravolte e con certi mugolii di tenerezza di saper anch'essi apprezzare la filosofia. Quando Giacomo fu di fuori, corse a un tratto per la bella strada al sole, colla contentezza del topolino che fugge da una trappola troppo grande per il suo piccolo corpo. Che il signor Ignazio volesse bene a sua figlia e lavorasse per accrescerle la dote, che Norma, la figlia della spagnuola, avesse due magnifici occhi e un fare procace di baiadera, eran cose naturali, che stavan bene al loro posto; il punto difficile cominciava nel voler trovare quel tal uomo rispettabile, che servisse di errata corrige alle cattive speculazioni del suocero e che, insieme a una bella ragazza spettinata, si rassegnasse a sposare una ricchezza racimolata nei due emisferi a furia di baratti e di usura. Sollevando lo sguardo alla finestra della sua Celestina, l'ultima sopra le serre, che splendeva nella luce del sole, gli parve di guardare in un angolo del paradiso.

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