Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I PESCATORI DI BALENE

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Salgari, Emilio 3 occorrenze

Agli abbaiamenti poco prima uditi, era succeduto un profondo silenzio che veniva rotto solamente dallo stormire degli alti pioppi e dei pini. Non una parola, non un passo che indicasse la presenza dei guerrieri incaricati di vegliare sull'accampamento, non quel russare che indica la vicinanza di uomini che dormono. - Hum! - esclamò. - Spira una cert'aria che non mi rassicura affatto. Strisciò verso l'apertura, alzò la tenda e guardò. Dapprima nulla vide essendo l'oscurità profonda; ma poi s'accorse che quel tratto di terreno, poco prima occupato dalle tende dei Tanana, era completamente libero. - I bricconi sono fuggiti! - esclamò. - Signor Hostrup, aprite gli occhi! - È spuntato il sole? - chiese il tenente sbadigliando. - Non ancora, ma vi dò un'altra nuova che vi sveglierà completamente. I nostri cari Tanana se ne sono fuggiti defraudandoci della nostra porzione di carne, a quanto pare, poichè non vedo vicino a me nessuna bistecca. - Dovevamo aspettarci qualche bricconata da quei messeri, mio caro fiociniere. Speriamo che tutto il male sia questo. - Forse che avete timore di qualche cosa di peggio? - Questa fuga precipitosa, le parole del capo, quell'insistenza nel chiederci se avevamo della polvere da regalare, se eravamo soli e dove avevamo lasciato la nostra slitta ... - Corpo d'una balena! - esclamò Koninson. - Sospettate forse ... - Che abbiano fatto una visita alla nostra slitta - terminò il tenente. - Se fosse vero, guai a loro! - Bah! Sarà un pò difficile il raggiungerli, tanto più che si dirigono verso est. - Verso est? Io ho udito gli abbaiamenti dei loro cani verso ovest, signor Hostrup. - Verso ovest! Sei propri sicuro? - Sicurissimo. - Allora gatta ci cova. Io temo di aver avuto da fare con uno scaltro briccone, e non sono più sorpreso se ci ha giocato questo brutto tiro. Affrettiamoci a raggiungere il fiume; ho fretta di arrivare alla slitta. - Ma vi giuro fin d'ora, signor Hostrup, che se quel birbante ci ha derubati io lo inseguirò e lo raggiungerò per quanto lontano fugga. - Se saremo capaci di raggiungerlo. I Tanana avevano dei cani attaccati alle loro slitte e chissà mai dove saranno a quest'ora. Si posero in marcia senza prendersi il disturbo di portare con loro la tenda essendo tutta bucata e si diressero verso il Porcupine. Alcuni lupi che ronzavano sotto il bosco, si provarono a seguirli gettando lugubri urla, ma un colpo di fucile, che atterrò il più feroce, li costrinse a ritornare più che in fretta sotto gli alberi. Due ore dopo i due balenieri giungevano sulla riva del fiume. Stavano per scenderla, quando Koninson incespicò in un oggetto che cadde con rumore rimbalzando e correndo sulla superficie gelata. - Bestia o cosa? - chiese egli curvandosi innanzi ed firmando precipitosamente il fucile. - Mi è sembrato un barilotto - disse il tenente. - Uhm! Brutto segno! In quell'istante sulla riva opposta si videro alcune ombre muoversi rapidamente, poi sparire sotto un gruppo di cespugli. - Chi vive? - gridò il fiociniere imbracciando il fucile. Nessuno rispose, ma poco dopo udì un acuto stridio che rapidamente si allontanava verso ovest e un po' più tardi dei lontani latrati. - Temo che siano i Tanana - disse il tenente che ascoltava attentamente. - Corriamo alla slitta, signor Hostrup - suggerì il fiociniere. - Forse arriveremo in tempo per far pagar caro il tradimento. Si slanciarono giù dalla sponda attraversarono correndo il fiume e rimontarono la riva opposta guadagnando una piccola altura da cui potevano dominare il paese circostante per un gran fratto. Alla loro destra avevano il bosco battuto il giorno innanzi; alla sinistra una pianura sull'orlo della quale scorsero una massa confusa che doveva essere la slitta. Nè da una parte nè dall'altra videro alcun uomo; però in distanza si udiva ancora l'acuto stridio che doveva essere prodotto dallo scivolio di una slitta tutta a gran galoppo. Lasciarono l'altura e si diressero verso la slitta la quale rizzava ancora il lungo albero a cui si vedeva sospesa e imbrogliata la vela. Quando furono vicini scorsero a terra casse e barili, aperte le une, sfondati gli altri, e parecchi altri oggetti che facevano parte dell'equipaggiamento. - Ah, miserabili! - esclamò Koninson. - Ci hanno derubati! E pur troppo era vero. I Tanana, approfittando senza dubbio del sonno dei due balenieri, si erano recati colà ed avevano tutto saccheggiato. Viveri, accette, provvista di polvere e di palle, vesti di ricambio, tutto era stato portato via. Non restava che la sola slitta, ma fortunatamente in buono stato e ancora provveduta della sua vela che forse i Tanana non avevano toccata per mancanza di tempo. - Hanno fatto bene a fuggire così presto - disse il tenente, che perdeva un pò della sua calma abituale. - Se li avessi colti sul fatto, qualcuno l'avrebbe pagata cara, questa bricconata. Mio caro Koninson, siamo stati corbellati come due ragazzi. - Ma li ritroveremo forse un giorno, signor Hostrup - rispose il fiociniere tendendo minacciosamente il pugno verso l'ovest. - Anche noi andiamo da quella parte e chissà! ... - Buon per noi che ci hanno lasciata la vela. - Ma non ci hanno lasciato nemmeno un granello di polvere, e voi sapete che in questo dannato paese non si vive se non si adopera il fucile. Non so il perchè non si sia mai pensato ad aprire delle trattorie. - Perchè gli orsi mangerebbero la dispensa e anche i trattori, amico Koninson. Orsù, quante cariche ti rimangono? - Una sessantina e niente di più! - Io ne ho altrettanto. Bah! Con centoventi colpi di fucile possiamo andare fino sulle rive del Makenzie e anche più lontano. - Ma non abbiamo intanto un briciolo di pane da mettere sotto i denti e non vedo nessun animale intorno a noi. - Per ora stringerai la cinghia dei tuoi calzoni, poi vedremo. Aiutami a spiegare la vela e rimettiamoci in viaggio, giacchè qui più nulla abbiamo da fare. Ad oriente cominciava a biancheggiare quando si rimisero in viaggio, favoriti da un vento abbastanza forte che soffiava da sud-sud-est. La slitta, vigorosamente cacciata innanzi dalla grande vela che era così gonfia da temere che scoppiasse, si rimise a scivolare sulla pianura con un lungo stridio e con una velocità che fu stimata non inferiore ai nove nodi all'ora. Il tenente, che stava a timone, la spinse al di là del bosco lasciando alla sua destra il fiume che accennava a piegare verso sud, poi la lanciò dritta dinanzi a sè, sapendo bene che in qualunque punto avrebbe incontrato sul suo passaggio il Makenzie, il quale taglia quella desolata regione fino alle rive dell'oceano artico. Il paese era sempre piano e disabitato. Solamente a nord, alcune catene di monti, assai lontane, apparivano semi-nascoste fra un fitto nebbione e verso sud dei grandi boschi di pini e di abeti costeggianti il corso del Porcupine. Di quando in quando da quegli alberi uscivano correndo torme di lupi affamati, i quali si davano a inseguire la slitta colla speranza di raggiungerla, ma ben presto desistevano riconoscendo l'inutilità dei loro sforzi; talvolta invece delle renne dalle corna ramose apparivano fra i cespugli e, dopo aver guardato quello strano veicolo che doveva sembrare ai loro occhi un immenso uccello, fuggivano spaventate senza lasciar tempo al fiociniere di prendere il fucile. Dei Tanana nessuna traccia, quantunque i due balenieri si guardassero ben bene d'attorno e porgessero attento ascolto ai rumori del largo. A mezzogiorno, dopo aver percorso molte miglia sotto un sole che cominciava già a diventare caldo ed a sciogliere i ghiacci, Koninson additò al tenente una specie di battello sospeso ad alcuni piuoli alti un paio di metri da terra e che si trovava sull'orlo della foresta. - Cos'è quella roba là? - chiese. - Indica la presenza di qualche tribù di indiani, o la vicinanza di qualche villaggio abbandonato? - Nè l'uno, nè l'altro - rispose il tenente. - Se non m'inganno, quella è una tomba. - Che non ci potrà certamente giovare. - Anzi, troveremo qualche cosa che farà per noi. Ammaina la vela e andiamo a vedere. Il fiociniere s'affrettò ad ubbidire e la slitta, trasportata dal proprio slancio, andò a fermarsi a poca distanza da quella strana tomba. Il tenente e il fiociniere vi si diressero e la esaminarono con curiosità. Consisteva in un vero canotto indiano di corteccia di betulla e armatura di salice, lungo circa otto piedi, solido e leggero ad un tempo. Era sospeso a circa due metri da terra con alcuni piuoli e sotto di esso la neve appariva smossa di recente e vi si vedeva un certo rigonfiamento come se nascondesse qualche cosa. - Il morto è nel canotto? - chiese Koninson. - No, giace sepolto sotto la neve. Il canotto conterrà invece le armi, le scarpe, le reti e le lenze appartenenti all'estinto. - E dei viveri? - Forse, ghiottone. Sali nel canotto e guarda dentro. Il fiociniere si alzò sui piuoli e salito nella leggera imbarcazione gettò giù due fiocine di corno di narvalo diligentemente aguzzate, un paio di scarpe assai malandate, alcune reti e una lenza di pelle di foca lunga una trentina di metri. - Non valeva la pena di venire fin qui - diss'egli di assai cattivo umore. - Ci avessero messo almeno qualche sacchetto di quell'eccellente "pemmican" che sanno fare gli indiani di questa regione! - Sanno bene che i morti non mangiano, ragazzo mio, - disse il tenente. - Ma perchè mettono sulle tombe le armi e le reti? - Perchè se ne servano nell'altra vita. - Ah! Credono che i morti risuscitino. - Tutti gli indiani ne sono convinti. Ora scendi e cerchiamo di procurarci la colazione. Tò! Ecco dei lupi che urlano nel bosco. La loro carne è pessima, ma chi non ha di meglio può accontentarsi. - Voi v'ingannate, signor Hostrup, poichè ho qualche cosa di più appetitoso da offrirvi. Guardate in alto. Il tenente alzò il capo e vide un grossissimo uccello il quale volava pesantemente come se facesse molta fatica a mantenersi in aria. Imbracciò rapidamente il fucile, mirò alcuni istanti con molta attenzione, poi premette lentamente il grilletto. Il grosso volatile colpito dall'infallibile palla del cacciatore, rotolò due volte su sè stesso mandando una nota che parve emessa da una tromba, poi piombò a terra con sordo rumore rimanendo immobile. - È un cigno - disse Koninson precipitandovisi sopra. - Trenta libbre di carne eccellente! - rispose il tenente. - Ma come mai questo uccello si trova qui? - In estate i cigni vengono a visitare questa regione. La presenza di questo uccello indica che lo sgelo dei fiumi non è molto lontano. - Brutta nuova per chi non ha che una slitta a vela. - Bah! Fra poco non avremo più bisogno di questo veicolo, poichè il Makenzie non deve essere molto lontano. Koninson si affrettò a spennare il volatile il cui peso, come aveva detto il tenente, superava le trenta libbre, poi ne mise un grosso pezzo al fuoco che in quel frattempo era stato acceso con legna morta raccolta nella vicina foresta. Calmata la fame, i due naufraghi tornarono a imbarcarsi, e la slitta, favorita ancora da un buon vento, ripartì costeggiando sempre la foresta. L'indomani, dopo una ventina di miglia, il terreno che fino allora si era mostrato molto favorevole cominciò a cambiare. La gran pianura era spesso interrotta da ondulazioni, da salite, da larghi crepacci e da ruscelletti, le cui rive assai più alte dei corsi d'acqua facevano trabalzare disordinatamente il veicolo, minacciando spesso di mandarlo in pezzi. Anche un largo fiume che il tenente suppose fosse il Peel, uno degli affluenti al Porcupine, e che sbocca a breve distanza dal Makenzie, venne ad interrompere la corsa. I due naufraghi furono costretti a calare la slitta dalla riva e attraversare il ghiaccio per poi issarla sulla sponda opposta. In quella traversata poco mancò che affondassero nel fiume poichè il ghiaccio, corroso dall'azione delle acque e dal sole, più volte crepitò e tremò sotto il peso della slitta. II 14 maggio il vento improvvisamente mancò e così pure per altri tre giorni durante i quali il sole, che rapidamente diventava caldo, sciolse gran parte dello strato di neve rendendo così la marcia della slitta assai penosa. Il 18 dovettero rinunciare a partire di giorno, quantunque il vento fosse propizio, anzi molto forte. La neve, eccessivamente rammollita, non permetteva più lo scivolamento. La gran pianura, percossa da una vera pioggia di raggi caldissimi, presentava un sublime spettacolo. Pareva che un immenso incendio la divorasse, estendosi fino agli estremi limiti dell'orizzonte. La neve, i massi di ghiaccio, gli "hummoks", si fondevano a vista d'occhio e fitte masse di vapori ondeggiavano in tutti i versi, sbattute dagli impetuosi soffi del vento meridionale. Di quando in quando, però, fasci di luce scaturivano da quelle masse, e così abbaglianti che gli occhi dei due balenieri non ci potevano resistere. Le acque pullulavano dappertutto correndo in tutte le direzioni, radunandosi nelle bassure, formando torrentelli e stagni, e producendo un ronzio che, di mano in mano che il sole si alzava sempre più splendido e sempre più caldo, diventava più forte. - Corpo di una balenottera! - esclamò Koninson che si era affrettato a tirarsi i capelli sugli occhi per non rimanere cieco. - Si direbbe che oggi messer Febo si è avvicinato alla terra di qualche milione di miriametri. - Se non ci affrettiamo, la nostra vela ci sarà affatto inutile. Fra un paio di giorni la pianura rimarrà scoperta - disse il tenente. - E quando partiremo? - Stasera farà ancora un pò di freddo e tutta quest'acqua e questa neve geleranno. Il tenente non si era ingannato. Verso le 11 di sera, quantunque il sole fosse ancora sull'orizzonte, la temperatura precipitò quasi improvvisamente di parecchi gradi, fino a toccare i tre sotto lo zero e la vasta pianura gelò. I balenieri spiegarono la vela e ripartirono con una velocità notevolissima, essendosi il vento mantenuto assai forte. Alle tre del mattino avevano già percorso trenta e più miglia, ora scendendo ed ora salendo. Ad un tratto l'orecchio di Koninson fu ferito da uno strano muggito che veniva da est. - Abbiamo qualche branco d'alci dinanzi a noi? - chiese egli prendendo il fucile. - Lo spero - rispose il tenente, prendendo la sua arma. Di mano in mano che la slitta procedeva il muggito cresceva sempre, ma sulla pianura non si vedeva alcun essere vivente, per quanto i balenieri aprissero gli occhi. Koninson, che cominciava a diventare inquieto, s'alzò in piedi e si issò sull'albero. Un grido gli sfuggì tosto: - Lasciate la scotta. Abbiamo un fiume dinanzi! - È il Makenzie! - esclamò il tenente. In un baleno, lasciò andare la fune, ma ormai era troppo tardi per arrestare la slitta che divorava la via con una celerità di quindici nodi all'ora. In men che lo si dica, giunse al fiume che correva incassato fra due alte muraglie, barellò un istante nel vuoto, poi precipitò giù inabissandosi nei gorghi del Makenzie.

Il capo li condusse nell'accampamento dove vennero circondati da una trentina di eschimesi fra uomini e donne accorsi da tutte le parti ai furiosi abbaiamenti dei cani. Il tenente e il fiociniere notarono che fra i curiosi si trovavano anche alcuni individui che per la loro statura più elevata, per le loro vesti e per i loro lineamenti parevano appartenere ad un'altra razza. Non vi fecero però molto caso e seguirono il capo il quale, dopo averli fatti passare attraverso un vero labirinto di bastoni sostenenti gran numero di pezzi di carne messi a seccare, li condusse in una piccola tenda dove, in mezzo a mucchi di pelli, marcivano, fra odori pestilenziali, ma che sembravano invece apprezzati dagli eschimesi che si cibano volentieri di carni corrotte, salmoni, lucci, trote, gadus, coreganus ed altri pesci del Makenzie. Benchè non si trovassero troppo bene fra quei miasmi, si accomodarono su una gran pelle d'orso distesa per terra e fecero come meglio poterono onore al cavallo marino conservato in olio di balena e ad una grossa trota, un pò troppo passata, offerta loro dal capo. Per tema di fare un affronto all'eschimese, furono anche costretti a sorbire una certa quantità di olio di morsa che fu loro gentilmente offerto, con quante smorfie ognuno lo può immaginare. Terminato quel diabolico pasto, sontuoso per un eschimese gran bevitore d'olio e mangiatore di carne cruda, corrotta o malamente affumicata sulla fiamma di una lampada, ma quanto mai disgustoso per un europeo, il capo intavolò una conversazione narrando che da soli pochi giorni aveva lasciato il forte Speranza, dove aveva fatto moltissimi scambi di pelli contro tabacco, conterie, armi, ecc., e che ora stava per raggiungere le sponde dell'oceano a cacciarvi la balena. - Dista molto il forte? - chiese il tenente, quando il capo ebbe finito. - Tre giorni di marcia e niente di più! - rispose l'eschimese. - Basta seguire questo bosco che si stende lungo le rive del Makenzie per non smarrire la via. - Ci sono altre tribù che si dirigono al forte? - Sì, una che è venuta dalle lontane regioni dell'ovest, come voi e che si è accampata nel bosco. - Appartiene alla vostra razza? - No. - È molto numerosa? - Lo è diventata in questi giorni. Conta almeno quattrocento uomini. - Il suo nome? - Il suo nome è ... Tò, ecco alcuni dei suoi uomini, senza dubbio qui giunti per vedere gli uomini bianchi e che ... Non aveva ancora finito che il fiociniere, alzatesi di colpo, si precipitava fuori urtando furiosamente contro un grosso attruppamento di persone radunatesi dinanzi alla tenda. Il suo robusto pugno piombò con secco rumore su di un uomo il quale stramazzò a terra mandando un urlo di dolore. Gli eschimesi si divisero precipitosamente, lasciando alle prese i due avversari che lottavano con pari accanimento. Il tenente, che non sapeva ancora di che si trattasse, accorse in aiuto di Koninson, il quale ad ogni pugno che lasciava cadere gridava: - Questo per la polvere! Questo per le palle! E questo per la carne che ci hai rubato! Solo allora si accorse che l'avversario era un indiano, anzi il capo Tanana che li aveva indegnamente traditi e derubati sulle rive del Porcupine. Stava per piombare anche lui sul traditore, quando questi sgusciando con una agilità sorprendente fra le mani del fiociniere, riuscì a rimettersi in piedi. - Ti ucciderò! - gridò minaccioso. Poi fuggì a rompicollo verso la foresta dove si trovava il suo accampamento. Il tenente, che aveva perduta la sua flemma abituale, stava già per armare il fucile e inviargli una palla nel dorso, ma il capo eschimese gli abbassò l'arma dicendogli: - Sii prudente! Essi sono molti e molto vendicativi. - Ma quell'uomo ci ha derubati, dopo aver chiesto il nostro aiuto per rifornirsi di viveri - disse il tenente. - Meriterebbe la morte, ma tu qui sei straniero e non hai che un compagno, mentre i Tanana sono numerosi. Vieni nella mia tenda e cercheremo di accomodare ogni cosa. - È troppo tardi! - disse il fiociniere. - Si tratta ora di far parlare i fucili. E non s'ingannava. Dalla foresta uscivano allora due o trecento guerrieri, mandando grida assordanti. I più erano armati di fiocine e di coltelli, ma taluni portavano dei fucili, assai vecchi, ma non del tutto in cattivo stato. - Che uragano sta per scoppiare? - si chiese Koninson che si preparava però a vendere cara la vita. - Non so come la finirà, se quei pagani si gettano tutti uniti contro di noi. - Fuggite! - disse l'eschimese che aggrottava la fronte e che era diventato pensieroso. - I Tanana sono valorosi e non si arresteranno dinanzi ai vostri fucili. - Ma dove fuggire? - chiese il tenente. - I nostri canotti sono lontani e saremo raggiunti prima di trovarli. - Dietro la mia tenda ho una slitta tirata da una muta di robusti cani. Montatela e fuggite verso il forte. - Ma si vendicheranno contro di te, mio buon eschimese. - I Tanana non ardiranno alzare le mani contro di me - rispose con fierezza l'eschimese. - Questa è la terra degli Eschimantik (mangiatori di pesce crudo), come loro ci chiamano, e sanno che una offesa fatta alla mia tribù la pagherebbero cara, poichè i miei compatrioti non la lascerebbero impunita. Presto fuggite, o sarà troppo tardi. Il tenente si levò l'orologio e lo diede al bravo eschimese dicendogli: - Conservalo in memoria della tua buona azione. Ed ora alziamo i tacchi. Si slanciò dietro la tenda seguito da Koninson, ma si arrestò subito mandando una sonora imprecazione. Sette od otto Tanana, che si erano avvicinati tenendosi nascosti dietro le tende degli eschimesi, sbarravano la via. Alla loro testa, armato d'un vecchio fucile, si trovava il capo, il cui naso schiacciato dal potente pugno del fiociniere, mandava ancora sangue. - Ah, brigante! - gridò il tenente. - Non si passa di qui - disse il capo con tono minaccioso. - E cosa pretenderesti tu? - Che tu mi consegni il tuo compagno perchè io vendichi l'affronto fattomi. - Bene, prendi questo, giacchè lo vuoi. Il tenente puntò rapidamente il fucile e fece fuoco. Il Tanana, colpito alla fronte, stramazzò al suolo fulminato, mentre i suoi guerrieri fuggivano disordinatamente gettando urla di rabbia e di vendetta. - Presto, Koninson, salviamoci! - disse il tenente. - Andiamo, signore, e filiamo dritti al forte. La slitta era pronta. Dodici robusti cani, somiglianti ai lupi, dalle gambe nervose, erano attaccati due a due, pronti a partire al primo segnale. I due naufraghi balzarono nel veicolo e si slanciarono attraverso la pianura trascinati in una rapidissima corsa. Dalla parte dell'accampamento scoppiarono alcune fucilate, le cui palle attraversarono gli strati d'aria sibilando; poi si videro i Tanana dirigersi correndo verso il bosco mandando clamori assordanti. - Tò! Fuggono forse? - chiese Koninson al tenente che animava i cani colla voce e colla correggia. - Ne dubito, fiociniere. - Che ci diano la caccia? - Lo temo, ma i nostri cani corrono come il vento e abbiamo già un notevole vantaggio. - Terranno duro questi corridori? - Per parecchie ore e senza rallentare. Basta che la neve non ceda sotto il peso della slitta. - Vedo che la pianura è tutta bianca. Ma oh! La matassa s'imbroglia! - Che cosa vedi? - Delle slitte che escono dal bosco. - Sono i Tanana che ci danno la caccia. Quante sono? - Ne ho contate sette e, se non corrono più di noi, certo non rimangono indietro. II tenente volse un rapido sguardo verso il bosco e vide infatti sette slitte correre con fantastica rapidità sulla nevosa pianura, trascinate da lunghe file di cani. Quattordici uomini le montavano e i più erano armati di fucili. - Diamine! Sono proprio decisi a vendicare il loro capo, - disse. - Bah! Avranno pane per i loro denti, se riescono a raggiungerci. Tu sorveglia i loro movimenti, mentre io cerco di far correre i nostri cani. - E gli eschimesi? Mi spiacerebbe che quei buoni diavoli la pagassero per noi. - Il capo mi sembrò quieto; è segno che non avrà nulla da temere. S'avvicinano? - Vorrei ingannarmi, signor Hostrup, ma mi pare che guadagnino su di noi. - Avanti, miei piccini! - gridò il tenente, sferzando i piccoli trottatori. - Se vi comportate bene, avrete doppia razione di carne stasera. - Non ne abbiamo un pezzettino grande come un soldo. - Ne troveremo al forte. Se continuiamo a correre così, vi giungeremo in poche ore. Guadagnano i Tanana? - Sì, signor Hostrup. Non sono che a un chilometro da noi. - Quante cariche ci restano? - Una cinquantina. - Ci bastano per abbatterli tutti quattordici! - disse il tenente con voce tranquilla. - Avanti, miei piccini, lesto il passo e tu, bianco, fatti più sotto. Là, così va bene. Un colpo di fucile echeggiò al largo, ma la palla non giunse fino ai fuggiaschi. - Troppo lontano, mio caro! - disse Koninson ridendo. - Quando sarete a tiro lo darò io il segnale e vi garantisco, brutti pagani, che lo assaggierete, il mio piombo. Altri due colpi di fucile rimbombarono, ma non con miglior effetto. I Tanana compresero che non era ancor giunto il momento di far parlare la polvere e raddoppiarono le grida e le scudisciate per far correre di più i loro cani, i quali parevano più robusti e più veloci di quelli regalati dall'eschimese. Ben presto non furono che a seicento metri di distanza. Koninson, che non li perdeva di vista un sol momento, stava per puntare il fucile quando vide le sette slitte fare un rapido voltafaccia e fuggire precipitosamente verso l'accampamento, di cui si scorgevano appena appena le tende. - Tò! - esclamò il fiociniere al colmo della sorpresa. - Battono in ritirata! - Come? I Tanana fuggono? - Sì signor Hostrup. Che abbiano avuto paura dei nostri fucili? - Io non lo credo. - E allora? Che siamo vicini al forte? - Dinanzi a noi non vedo che un bosco e anche molto lontano. - Che ci minacci qualche pericolo? - Lo temo, Koninson, anzi ne sono certo. - E da che io arguite? - I nostri cani da qualche minuto corrono più rapidi e mi sembrano inquieti. Infatti il tenente non si ingannava. Le povere bestie non parevano più tranquille e divoravano la via con crescente rapidità, senz'essere eccitate. Avevano cessato i loro allegri abbaiamenti, il loro pelo era diventato irto e volgevano frequentemente la testa verso i padroni, come se invocassero la loro protezione. - Hum! - mormorò Koninson. - C'è qualche cosa di grave in aria. - O meglio in terra. Guarda laggiù, guarda! Koninson guardò nella direzione indicata e vide una linea oscura estendersi dinanzi ad un bosco e poi slanciarsi attraverso la pianura con fantastica rapidità. Quantunque dotato di una buona dose di coraggio, impallidì. - I lupi! - esclamò. - Che giungono a centinaia - aggiunse il tenente. - Ecco perchè i Tanana sono fuggiti. Sfuggire al palo di tortura degli Indiani per cadere sotto i denti dei lupi, mi sembra che sia un pò dura. Vi confesso, signor Hostrup, che comincio ad aver paura. - Calma e sangue freddo, fiociniere. Se possiamo giungere a quel bosco che chiude l'orizzonte, siamo salvi. - Contate di trovare colà dei difensori? - No, ma troveremo degli alberi sui quali potremo trovare un comodo rifugio. Prepara le armi e lascia a me la cura di guidare i cani. I lupi arrivavano di gran corsa mandando delle urla brevi, come strozzate e mostrando le loro potenti mascelle armate di acuti e bianchissimi denti. Erano almeno duecento e parevano molto affamati e perciò decisi a tutto. Giunti presso la slitta, che continuava a filare colla velocità di una freccia, formarono un ampio semicerchio. Non assalivano ancora, forse tenuti in rispetto dalla presenza dei due uomini, ma le loro urla parevano volessero dire: Vi mangeremo! Vi mangeremo! - Devo aprire il fuoco? - chiese Koninson con un leggero tremito. - No, finchè si accontentano di seguirci - rispose il tenente che era tutto intento a far correre i cani, nella cui rapidità stava la salvezza di tutti. - Aspetta che ci assalgano. Per un paio di miglia i lupi, quantunque la fame attanagliasse il loro stomaco, continuarono a seguire e a fiancheggiare la slitta, ma poi il loro semicerchio si restrinse e uno di loro, più ardito o più affamato degli altri, si precipitò addosso ai cani che si gettarono violentemente da una parte. Pronto come il lampo Koninson fece fuoco e l'aggressore cadde stecchito nella neve. Alcuni carnivori, spaventati dalla detonazione, si sbandarono, ma gli altri raggiunsero la slitta. Pochi minuti dopo un altro lupo tentò l'assalto, ma ebbe egual sorte del primo. La slitta si trovava allora a due soli chilometri dal bosco e filava con una velocità vertiginosa. Tre o quattro altri l'assalirono per di dietro tentando di balzarvi dentro. - Aiuto, signor Hostrup! - gridò Koninson. - Io non basto più. Il tenente abbandonò la correggia affidandosi all'istinto dei cani e afferrò il fucile. Era tempo, poichè i feroci carnivori avanzavano sempre più, pronti ad un assalto generale. Due detonazioni rimbombarono, poi altre due, poi due altre ancora abbattendo altrettanti lupi. I due balenieri continuarono così, mentre i cani li trascinavano verso il bosco. I lupi, che ormai avevano assaggiato il sangue, non retrocedevano più. Urlando furiosamente assalivano la slitta per di dietro e ai lati tentando di strangolare i cani e di saltare alla gola degli nomini i quali si difendevano disperatamente. Ad un tratto Koninson gettò un grido di disperazione. - Non ho più polvere! - Maledizione! - urlò il tenente. - E questo è il mio ultimo colpo! I lupi, come se avessero compreso che la vittoria era ormai sicura, si precipitarono confusamente all'assalto della slitta, circondandola da ogni parte. I cani sparvero sotto il numero degli assalitori e dopo breve lotta furono fatti a brani, ma i due balenieri non erano ancora vinti. Ritti sul sedile, si difendevano con sovrumana energia respingendo l'orda incalzante coi calci dei fucili, spaccando teste, fracassando dorsi, scavezzando gambe, schiacciando musi. Ma quella lotta di due contro centocinquanta e più non poteva durare a lungo. Già il fiociniere e il tenente si sentivano impotenti di più oltre resistere, già le loro forze venivano meno, i più feroci balzavano contro le loro gambe, quando una scarica violenta rintronò sotto il bosco che era lontano soli trecento passi. Quindici o venti uomini, apparsi improvvisamente, balzarono in mezzo all'orda urlante disperdendola a colpi di scure e di fucile e accolsero nelle loro braccia i due balenieri, così miracolosamente salvati. - Signore, - disse un di loro volgendosi verso il tenente che non si reggeva più - non abbiate più timore: siete fra i cacciatori del forte Speranza.

Le grida e gli abbaiamenti si avvicinavano rapidamente e ben presto attraverso gli alberi si videro correre parecchi cacciatori preceduti da grossi cani, poco dissimili per altezza e per forme dai lupi. - Dove sono queste alci? - chiese Hostrup al capo. - Dinanzi a noi - rispose il Tanana. - Sono molti i cacciatori? - Una quarantina sparsi sulla nostra destra e sulla nostra sinistra. Camminarono per altri venti minuti sempre più inoltrandosi nella foresta e sempre preceduti dai cacciatori che continuavano a mandare urla selvagge, poi il Tanana si arrestò. Dinanzi a loro, a tre o quattrocento metri, stavano riunite venti o venticinque alci, superbi animali, grandi quanto un cavallo giovane, colle teste adorne di corna robustissime. Correvano or qua or là in preda ad un vivo spavento, cercando di fuggire fra gli spazi lasciati dai cacciatori, ma senza arrischiarsi, poichè subito ritornavano galoppando disordinatamente II tenente e il fiociniere puntarono le armi mirando ognuno un'alce, ma il Tanana con un gesto li trattenne. - Siamo a buon tiro - disse Hostrup. - Non è ancor giunto il momento - rispose il capo. - Aspetta che entrino nel recinto e poi farai fuoco a volontà. - In quale recinto? - Guarda laggiù. Il tenente guardò nella direzione indicata e non senza sorpresa vide, attraverso gli alberi, un grandioso recinto fabbricato con rami assicurati ai tronchi mediante strisce di pelle, il quale si restringeva a mò di collo di bottiglia. - È così che noi cacciamo - disse il Tanana. - Le alci hanno paura ad entrare, ma noi le costringeremo. - E non spezzeranno il recinto? - È semplice, ma molto solido. Attenzione e guardatevi dalle corna, poichè talvolta le alci, rese furiose, si gettano sui cacciatori a testa bassa. I suoi uomini si erano a poco a poco riuniti formando un semicerchio assai vasto il quale si univa colle due estremità del recinto. Ad un cenno del capo impugnarono le fiocine e si spinsero coraggiosamente innanzi raddoppiando le grida e aizzando i cani. Le alci si misero a caracollare confusamente mostrando delle intenzioni tutt'altro che pacifiche, ma quando si videro assalite dai cani e minacciate assai da vicino dai cacciatori, non esitarono più a fuggire e non trovando dinanzi che l'apertura del recinto vi si spinsero dentro. II capo, i due naufraghi e tutti gli altri le seguirono e si appostarono dietro a certi mucchi di neve muniti di una feritoia, che erano stati precedentemente costruiti. - Fuoco a volontà! - comandò il capo. Tosto da ogni parte partirono detonazioni ed alcuni alci, colpite mortalmente, caddero dibattendosi disperatamente. Le altre fecero di gran galoppo il giro del recinto cercando una uscita che ormai non esisteva più, essendo stata subito chiusa quella che poc'anzi c'era, poi si scagliarono contro i rami d'albero tentando di spezzarli a colpi di corna, ma invano poichè, come aveva detto il capo, erano solidissimi e ben legati. Vista l'inutilità dei loro sforzi, si rivolsero contro i cacciatori, ma una nuova scarica, che ne gettò a terra altre quattro o cinque, le costrinse a riprendere la fuga. Riunitesi in fondo al recinto, le povere bestie parvero consigliarsi, poi ritornarono verso i cacciatori a testa bassa mostrando minacciosamente le loro robuste corna. Alcune colpite dalle palle caddero, ma le altre passarono come un uragano fra cumulo e cumulo, si gettarono furiosamente contro il recinto che in quel luogo presentava una solidità molto dubbia, ne rovesciarono un tratto e fuggirono nel bosco allontanandosi verso est con tale rapidità, da par perdere ogni speranza di raggiungerle. Il tenente e il fiociniere fecero atto di inseguirle, ma il capo Tanana li arrestò. - È inutile - disse. - Abbiamo carne quanta ci basta per vivere un bel pezzo. Ed infatti aveva ragione. Nove alci giacevano a terra immobili e due altre si dibattevano negli ultimi aneliti. Mentre alcuni cacciatori uscivano traendosi dietro i cani per condurre colà le slitte, gli altri s'affrettarono a finire le ferite; poi, dato mano ai coltelli, si misero a scuoiare e a tagliare con tanta abilità e prestezza che due ore dopo la non facile operazione era finita. Al tramonto, quell'ammasso di carne ancor palpitante veniva caricato sulle slitte e portato all'accampamento dove erano stati accesi dei grandi fuochi. Il capo offrì ai due marinai una lauta ed abbondante cena, poi li ricondusse nella loro tenda che in quel frattempo era stata completamente vuotata. - Quando parti? - gli chiese il tenente, prima di coricarsi. - Domani all'alba - rispose il Tanana con un sottile sorriso. - Dormi in pace sotto la buona guardia dei miei guerrieri e all'alba riceverai i miei saluti e una provvista di carne da bastarti per un mese. - A domani, adunque! - risposero i due naufraghi. E si sdraiarono con accanto le armi.

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