Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbaia

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Il codice della cortesia italiana

184140
Giuseppe Bortone 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
  • UNICT
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Ma allora - si potrebbe osservare - non si deve parlare che della pioggia o del bel tempo, del circo equestre, d'un cane che abbaia di notte, della prossima cometa... Non ho detto questo: ho soltanto raccomandato d'esser sobri, sensati, cauti. - « cauti » sopra tutto!- nel parlare; evitando sia il cicaleccio, sia il mutismo sistematico, giacché anche questo si presterebbe a non lusinghiere interpretazioni; potendo, per esempio, esser creduto un segno d'imbecillità, o di protesta, e, nel miglior dei casi, di noia. Se è un'arte quella del conversare, è un'arte altresí quella dell'ascoltare! Io oserei affermare che saper apprezzare la virtú del silenzio significa avviarsi verso la perfezione. I Greci fecero una divinità del Silenzio; e le donne son troppo intuitive per non comprendere il valore di questa virtú, per non capire quanto ciò che non si dice abbia piú profondità, piú risonanza di quel che non esprimano le parole con i loro contorni limitati e precisi. Quale che sia il nostro sentimento, il silenzio è un gran mezzo di espressione: in ogni caso, è meglio tacere che parlare, come si suol dire, a vanvera. Saper restare muti è anche una delle piú sicure e piú belle prove d'intelligenza. Ma « sapere »; ossia servirsi del silenzio come di una dote superiore: la dote di chi ha ben compreso quanto di vero e quanto di falso, secondo le circostanze, ci sia nei famosi proverbi: Chi tace acconsente - Il silenzio è d'oro. - Un bel tacer non fu mai scritto. - Ex abundantia cordis os loquitur. Purtroppo, se questa virtú fosse apprezzata al suo giusto valore, la maggior parte delle nostre donne - e perché non degli uomini? - se ne starebbero permanentemente in casa, o permanentemente sole! La suddetta raccomandazione fa evitare parecchie altre gravi sconvenienze: 1) Di parlar troppo di sé o delle proprie cose. Vi sono alcuni i quali, nei loro discorsi, fanno affiorare mille volte il pronome di prima persona, e quasi calcandovi su la voce, come se averse la i maiuscola. Ignorano costoro che non c'è di peggio, per riuscire antipatici e insopportabili, che parlar troppo di sé; e che, viceversa, se si vuol riuscire amabili e simpatici, bisogna far di tutto per interessarsi agli altri. Si badi che non dico « fingere », ma « far di tutto » per interessarsi. Parimenti, il nostro prossimo, anche il meno geloso ed invidioso, non sopporta volentieri l'esposizione dei nostri pingui mezzi finanziari, delle cose preziose possedute o or ora acquistate e, in genere, di tutte le nostre « fortune »; tanto piú che, purtroppo, sono ben pochi quelli che potrebbero fare altrettanto. E anche meno è disposto a tollerare l'esposizione delle nostre sventure; essa diffonde nell'aria un senso di tristezza che, per carità e per solidarietà umana, oltre che per dovere, bisogna risparmiare agli altri. Non è certo di buon gusto, e né pur generoso, portarsi dietro, ovunque si vada, il fardello delle proprie disgrazie, preoccupazioni, miserie. È un po' difficile trovare qualcuno che non abbia ansie per la salute, o imbarazzi economici, o altre piccole e grandi pene e miserie personali o di famiglia. Intanto, starebbero freschi i nostri simili se, oltre che per le proprie, dovessero rammaricarsi anche per quelle degli amici e dei conoscenti : allora sí che il mondo sarebbe veramente una valle di lagrime, e dalla vita esulerebbe ogni sorriso! Le prèfiche, dunque, della vita se ne stieno in casa a brontolare, a meditare e piangere sul male dell'esistenza; ad invecchiare e a morire prima del tempo: e vengano a contatto con le altre creature umane soltanto quelle che, con la luce dello sguardo, con la parola calda, col sorriso cordiale, sanno diffondere intorno a loro la fede nella vita, la gioia dell'esistenza. Quindi, parlare per destare invidia, no; meno che mai per suscitare compassione. Le persone che piú volentieri si avvicinano, e con le quali si sta volentieri, sono appunto quelle che non fanno pesare la loro superiorità - in qualsiasi campo e quelle che non tormentano con la enumerazione interminabile di sciagure. Si tenga presente che, a queste ultime, l'esperienza dei secoli attribui il nefasto privilegio di « portar male » e affibbiò l'appellativo di iettatori. 2) Di spettegolare. Le signore specialmente se ne guardino: esse lo fanno spesso e piuttosto volentieri. Tante hanno questo non simpatico difetto; le quali, poi, ignorano che, fra loro medesime, si qualificano per « lingue d'inferno ». Dell'uomo pettegolo è meglio non parlare: lo si è definito, quando si è detto che egli ha rinunziato agli attributi piú nobili e piú fieri del suo sesso: la serietà, la dignità, la virilità. Giacché il pettegolezzo riveste non di rado i caratteri della maldicenza e, talora, della vera e propria calunnia. Si guarisce di questa peste imponendo a se stessi un costante contegno grave e rispettoso nei riguardi degli altri; evitando di « raccogliere le voci che corrono... »; di trasmettere, con piú o meno velata compiacenza, e con maggiore o minore arricchimento di frange, le voci raccolte; di parlare degli altri - specie, ripeto, se assenti - a base di « ma... », di « se... » e di punti sospensivi, pieni di significati misteriosi. La pietà di alcune lingue è peggiore della peggiore maldicenza! In alcuni Paesi d'Europa è stata bandita, contro il pettegolezzo, una vera e propria crociata, con comitati, assemblee, giuramento nelle scuole, circolari. In una di queste, era detto: « Non, si può avere un'idea delle grandi ripercussioni che la nostra iniziativa ha avuto in tutto il Paese. Le migliaia di lettere di plauso e di richiesta di moduli per l'adesione, pervenuteci in questi giorni, stanno a indicare che il pettegolezzo è diventato un vero flagello nazionale. Ed eccellente è stata trovata l'idea di estendere alla scuola la nostra campagna, e spiegare alle nuove generazioni quante tragedie potranno essere evitate se si riuscirà a estirpare la mala pianta! ». Si continuava invocando l'adesione e l'appoggio della stampa; ma, forse, i giornalisti si saranno rifiutati di prestar anche il giuramento... 3) Di far dello spirito non a proposito o di non buona lega. Son convintissimo che uno dei grandi benefizi - e dei meno dispendiosi - che si possano fare al nostro prossimo è quello di strappargli un sorriso o, addirittura, una bella risata: a condizione, beninteso, che quest'ultima non sia sguaiata; cioè, o troppo rumorosa o accompagnata da sussulti del corpo o da dimenamenti sulla sedia. Si dice che il sorriso aggiunge un filo alla trama della vita, e che il riso fa buon sangue: io non concepisco che una umanità sorridente. Ma quanto ci vuole per farla sorridere! Si capisce che qui si parla non del volgare cachinno, ma del sorriso e del riso sano e cordiale, suscitato non da lazzi piú o meno scurrili, né da buffonate e da istrionerie, ma da signorile umorismo. Quanto è difficile questo! Mentre, poi, è facile cadere nel ridicolo; e - si tenga bene in mente! - nulla, nella vita, si deve maggiormente temere del ridicolo. 4) Di fare dei discorsi arrischiati, di usare parole a doppio senso, di strizzare l'occhio... Cose sconvenientissime sempre e dovunque, anche mentre si trinca in una bettola; e da evitarsi in modo assoluto nelle riunioni di gente a modo, specialmente poi in presenza di signore o di ministri del culto. Se qualche imprudente - o maleducato - si arrischiasse a farne, cercare di cambiar discorso; in nessun caso, compiacersene, dimostrando col silenzio e con un atteggiamento anche piú serio del solito la propria riprovazione. 5) Di parlar «troppo» di cose tecniche. Queste non possono interessare tutti i presenti; per lo meno, non possono interessarli a lungo. Né è, certo, segno di generosa comprensione l'insistere presso un tecnico perché si indugi a parlare della sua scienza o industria: comincerebbe con l'essere lusingato; finirebbe col seccarsi. Chi lo crederebbe? ci sono alcuni i quali, prima di recarsi a una riunione, si leggono qualche voce dell'Enciclopedia, e poi girano e rigirano il discorso fino a che non hanno squadernato loro rara - recentissima - dottrina... 6) Di fare il « bene informato». Altra categoria, antipaticissima, questa dei « bene informati ». Gente, per lo piú, che passa da un ritrovo all'altro per raccogliere notizie, modificarle a gusto proprio e rimetterle in circolazione come se circostanze eccezionali le avessero portate a sua conoscenza; o che si vuol dar delle arie, facendo supporre vaste ed alte conoscenze. Malcelata millanteria, stupidità e, nella piú benevola delle ipotesi, mancanza di serietà e di prudenza.

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