Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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MEMORIE DEL PRESBITERIO SCENE DI PROVINCIA

679354
Praga, Emilio 1 occorrenze
  • 1881
  • F. CASANOVA. LIBRAIO - EDITORE
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Passano alcuni minuti di quiete profonda, - un cane abbaia e mugola. Due contadini si avvicinano a passo a passo. Parlano fra loro a monosillabi, sembrano commossi, spaventati. Uno dice: - Tu hai visto. L'altro risponde: - Che! E tu? - Neppure. - Che si dice? - Che l'hanno ammazzato. - Che sia morto? - Per bacco! dieci coltellate. - Tredici .... - L'hai contate? - Ohibò! - E già non lo vo' a ripetere. - Me l'ha detto lo speziale. Sono passati; vanno a precipizio giù per la scesa. Un altro passo. Questo si ferma alla nostra porta. Una voce chiede nel cortile: - C'è in casa il dottor di Zugliano? Mansueta risponde di sì. L'altro aggiunge qualcosa ed ella dà in esclamazioni. Alla sua voce accorrono il curato e il dottore: parlano tutti insieme. Scendo anch'io. Appena mi vede, Mansueta alza le braccia: - Oh che disgrazia, oh che disgrazia, il sindaco .... - Andiamo, dove l'hanno portato? domandò il signor de Emma. - Nella farmacia, risponde il montanaro. E s'avvia. Li seguo. Per istrada il buon uomo conta al dottore che Beppe, tornato improvvisamente in paese, ha appostato il sindaco che all'ora consueta si recava dallo speziale, l'ha forato da tutte le parti. Accorse alle grida lo speziale col suo garzone, lo trovarono che trascinava pei piedi il moribondo. Ci vollero tutti gli sforzi per levarglielo dalle mani. Egli era furibondo, gridava: - l'ho finito io, - e vo' buttarlo nell'acqua: non bisogna sotterrarlo in terra di cristiani, vicino alla Gina! Il dottore, a cui certo premeva assai più la salute del feritore che non la vita del ferito, s'informò di Beppe. Il montanaro rispose ch'era scomparso. Nessuno aveva tentato di trattenerlo. Tutto il paese era per lui: si sapeva bene, s'egli aveva menato era che gli avevano fatto il solletico nelle mani. Naturale! levate il sentimento ad un uomo e diventa lupo. Era giustizia greggia, ma giustizia giusta. Potei accorgermi quanto fosse odiato a Sulzena il signor Angelo: dopo il primo momento di allarmi il villaggio era tornato silenzioso. Non era indifferenza, ma noncuranza volontaria e ostile. Notai che molte finestre erano socchiuse, altre semiaperte; ma non vidi una sola porta aperta. Entrammo nella farmacia. Il ferito era disteso sopra un pagliericcio: coperto di cenci insanguinati: il capo chino sulla spalla sinistra, la bocca intrisa di bava nerastra. Il dottore De Emma s'inginocchiò e appressò l'orecchio al cuore del giacente. Batteva ancora. Le donne dello speziale immobili assistevano con glaciale curiosità alla visita, e guardavano il ferito come se fosse stato un sacco di noci. Il signor Bazzetta ritto in mezzo a un mucchio di bende, di fiale, enumerava al medico le operazioni da lui praticate, e vi aggiungeva coll'usata garrulità le sue diagnosi e le sue prognosi. Il dottore ordinò a tre omaccioni, dipendenti del De Boni, che l'avevano soccorso, di sollevarlo nel pagliericcio; e lo fece recare a casa. Ci andai anch'io. Bisognò picchiare un quarto d'ora di seguito perchè la fantesca si decidesse ad aprirci. Deposto che fu sul letto, il dottore esaminò attentamente il ferito: aveva il petto, la schiena, il collo tempestati di trafitture larghe e profonde. Viveva ancora, ma per morire in breve. Appena gli astanti intesero la gravità del suo stato, sfumarono tutti. Anche la serva, donnaccia ributtante colla quale, dicevasi, il De Boni viveva maritalmente, disperando della ulteriore liberalità del morente, fatto fagotto delle robe sue o non sue, se n'andò senza neppur volgergli uno sguardo. Rimanemmo noi due col signor Bazzetta che, pratico della casa, aiutò il dottore a trovare le cose necessarie alla medicazione. Finito ch'egli ebbe ci sedemmo a quel desolato capezzale. Lo spettacolo di quella triste esistenza, che si spegneva in così profondo abbandono, in così cupa solitudine di affetti, era cosa da stringere il cuore. E nella lugubre solennità di quel momento mi ripugnava la calma del dottore: non potevo levarmi dalla testa, che, unico al mondo, egli avesse dei torti verso quello sciagurato. Il farmacista non poteva rimaner silenzioso un pezzo: la sua cinica loquacità era ributtante. Egli discorreva delle cose più indifferenti, narrava storielle come fossimo a veglia dinanzi a un tavolo d'osteria: - e, se volgeva la sua attenzione al moribondo, era per biasimarne la condotta, il carattere e sopratutto la caparbietà nel non dar ascolto ai suoi vantati consigli. La sua voce ineguale, garrula era accompagnata dal rantolo cupo del morente e dal lontano rambazzo dello Strona. M'ero messo accanto alla finestra e guardavo giù nella valle, contemplavo la sublime, schiacciante indifferenza della natura. Il sentiero che avevo percorso poche ore prima allacciava il monte dirimpetto come una cintura biancastra. Mi vennero a mente le strane immagini che avevano preconizzato alla mia fantasia il dramma terribile alla cui catastrofe in quel punto assistevo. L'agonia del signor De Boni fu più lunga e più travagliosa di quel che il dottore avesse previsto. La vitalità tenace di quella tempra eccezionale tentò un ultimo sforzo disperato. Verso la mezzanotte si dichiarò la riazione con una febbre violenta. Il respiro si fe' più forte e più frequente; un tremito convulso squassò le membra del moribondo. Poco dopo cominciò il delirio. La ferita del collo e la tumidezza da essa prodotta rendeva quasi inintelligibile quel ch'egli diceva. Erano, per quel che ho potuto comprendere, bestemmie, imprecazioni, a cui si mescolava di frequente il nome spregiativo di «chierica». Senza dubbio voleva designare il curato. L'infelice minacciava il suo avversario come se possedesse ancora tutte le forze della sua salute e della sua influenza. La crisi durò tutta la notte. In quel mezzo capitò don Luigi. Per lui le persecuzioni sofferte non erano un motivo sufficiente per credersi dispensato dal prestare i suoi caritatevoli uffici verso un suo parrocchiano. Il sant'uomo entrò nella camera senz'ombra di ostentazione, dimessamente, col contegno di chi compie un doloroso dovere. Il dottore non gli permise di accostarsi al letto. Senza dar retta alle obbiezioni insipide dello speziale che annusava con ingorda ansietà lo spettacolo di uno scandalo, gli fe' capire che la sua visita non era opportuna. Il sindaco continuava nei suoi farnetici. Don Luigi potè intendere alcune delle sue parole: una crucciosa, una sincera afflizione si dipinse sul suo volto. S'arrese alle rimostranze del dottore ed uscì piangendo. Furono queste le sole lagrime che vidi intorno a quel letto. Venne in vece sua don Sebastiano. Amministrò all'inferno l'estrema unzione, brontolando frettoloso fra i denti le preghiere rituali. Poi spogliò il rocchetto, la stola e chiese al dottore se sarebbe stato possibile il confessare il moribondo. Il signor De Emma disse che non poteva dir nulla con certezza: se voleva aspettare, verso l'alba, la febbre sarebbe scemata oppure .... A questa reticenza il prete soggiunse duramente: - Va bene. E sedette. Era un'indifferenza di più. Tutto ciò era brutto, mi irritava. Uscii. Cominciava il crepuscolo, l'ora preferita dell'angelo della morte. Rompevano il silenzio dei belati che sembravano lamenti. Gli alberi si agitavano alla brezza mattinale come rabbrividissero e gocciolavano lagrime di rugiada. Un gallo cantava colla sicumera crudele di un diacono che intona le esequie. Baccio suonava l'angelus, e insieme l'agonia del sindaco. Poi la scena mutava rapidamente: al funereo barlume sottentrava l'incarnato dell'aurora, il paesaggio usciva dal grigio lenzuolo, salendo a poco a poco la gamma dei suoi colori: il giorno usciva dai limbi misteriosi dell'alba. Io aspiravo con voluttà l'aria vivace; assaporavo con delizioso egoismo le pulsazioni possenti della vita. Un rumore misurato di passi mi riscosse dalla estatica contemplazione. Sbucavano di dietro il muro della chiesa quattro carabinieri condotti da un brigadiere, un'atletica figura di savoiardo. Un montanaro di Sulzena li accompagnava. Il signor Bazzetta aveva colta con premura l'occasione di esercitare le sue funzioni di assessore. Egli aveva mandato avviso alla stazione di Mirasco. I cinque soldati sostarono un minuto sulla piazzetta. Poi il brigadiere mi si accostò e mi chiese se sapevo notizie del feritore. Risposi in buona fede che credevo avesse lasciato il paese. - È probabile, soggiunse, però bisogna compiere le formalità. E volto alla guida che l'aveva accompagnato: - Alla casa di Giuseppe Rivella, andiamo. Mi salutò e s'avviò coi suoi uomini. Tenni loro dietro. Eravamo tutti convinti che la ricerca intrapresa dal brigadiere fosse una pura formalità. Tuttavia egli per quella puntualità allobroga che nelle faccende quotidiane rado fallisce, essendo il mondo routinier più di quanto lo si creda, dispose le cose come se avesse a far una cosa seria; e seria era perchè doverosa. Per ordine suo, due uscirono dalla strada e vennero ad appostarsi dalla parte degli orti. Egli cogli altri due si avanzò per la strada del villaggio e si presentò alla porta della casa. Era socchiusa. Il brigadiere lasciò ancora uno di guardia alla soglia e vi entrò. Io osservavo dalla strada questa manovra e s'era fatto un crocchio di gente intorno a me; tutti erano del mio avviso. Chissà dove poteva essere a quell'ora il povero Beppe! Ma era appena entrato il brigadiere, che intendemmo il comando ed un alterco. Accorremmo. Beppe era in casa! Ritto in capo alla scala, coll'aria sconvolta, l'occhio smarrito e minaccioso, spianava una carabina di custode in faccia agli agenti della forza publica gridando: - Indietro, indietro. Il brigadiere s'era fermato al primo gradino e, senza punto sgomentarsi, coll'aria di chi ha da far con un ragazzo, dicevo risoluto: - Giovinetto, giudizio! Abbassate quell'arma e venite con noi. - Vengo, ma ad un patto. - Ma che patto! - Vo' sapere se colui è morto e vo' vedere il cadavere. - Andiamo, andiamo, sclamò seccato il brigadiere e si moveva. Poteva nascere disgrazia. Mi lanciai e lo trattenni. - Lasciate ch'io gli parli, dissi. E fattomi innanzi: - Beppe, volete darmi retta a me? Mi ravvisò, e togliendosi con moto istintivo la berretta: - Sì, signor pittore. - Ebbene, obbedite al brigadiere, sarà pel vostro meglio, - e la giustizia terrà conto dei vostri dolori. - Signor pittore, ditemi che il sindaco è morto ed io vengo dove vogliono. Ci teneva alla sua vendetta. - Il sindaco non è morto ma non tarderà ad esserlo - Sicuro? - Come son sicuro che stassera tramonterà il sole. Il suo volto balenò di una gioia selvaggia. Il brigadiere, che in questo momento era salito, lo disarmò e lo consegnò a' suoi uomini, che gli misero le manette. Egli li lasciò fare; pareva istupidito. Prima che lo menassero io gli presi una delle sue mani legate e gliela strinsi senza ripugnanza per l'atto di cui s'era macchiata. - Coraggio, gli dissi, i vostri amici si ricorderanno di voi. Egli mi fe' un sorriso ebete e chinò il capo. Lo trassero alla casa comunale, dove fu per il momento rinchiuso.

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