Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbai

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

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Il successo nella vita. Galateo moderno.

173212
Brelich dall'Asta, Mario 1 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Se conducete un cane, badate che non abbai contro nessuno, non annusi i passanti, non importuni nessuno. E' poco elegante andare a spasso con una muta di cani. Non chiamate rumorosamente i vostri cani, non sgridateli, non fischiate loro in tuono stridulo, evitate di frustarli per strada. Non insudiciate le strade gettando a terra carte, stracci ed avanzi; adoperate i cesti che servono appositamente a questo scopo e che si trovano ad ogni angolo. Sconvenientissimo è di buttar fuori dalla finestra qualsiasi oggetto come pure di scuoter dalla finestra gli stracci da polvere sul capo dei passanti. Per istrada non si mangia!! Nè frutta, nè dolci! E non si scambia la strada per una biblioteca pubblica! Tutto ciò che è in connessione coi bisogni del corpo e della « toilette », deve restare nascosto al pubblico. Se è indispensabile, per sputare o sternutare serviamoci del fazzoletto. Soffiarsi il naso rumorosamente, stuzzicarsi i denti, pulirsi le unghie, grattarsi, ecc. pubblicamente: è segno d'una cattiva educazione.

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Gambalesta

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Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Tirrena
  • Livorno
  • paraletteratura-ragazzi
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Il sentiero diveniva di mano in mano più ripido, quasi incassato tra due sponde, con gli olivi che si protendevano dai ciglioni, fitti; con casette basse mezze nascoste tra gli alberi, da dove partivano abbai di cani, mentre la Squadra passava; altri cani rispondevano in lontananza, attorno, paurosamente. Cuddu tornava a pensare a sua madre. A quell'ora ella dormiva. Avrebbe dormito anche lui, se fosse rimasto a casa. E sarebbe stato meglio! Gli sembrava quasi impossibile che si trovasse così lontano, con quella gente, in luoghi sconosciuti, e da dove non avrebbe saputo ritrovare la strada per tornare addietro, se avesse voluto. Ma, a poco a poco, la curiosità di vedere come facevano la guerra lo riprendeva, e insieme la paura di trovarsi in mezzo alle fucilate, di cui, più che altro, paventava il rumore. Se dovevano ammazzarsi, si sarebbero ammazzati loro, quelli della Squadra e i soldati napoletani, dei quali essi parlavano. Egli si sarebbe nascosto dietro un albero, dietro un muro, si sarebbe buttato per terra o sarebbe scappato lontano - sante gambe, aiutatemi! - Per correre ci avrebbe pensato lui! Intanto il cielo si era coperto di nuvole. S'intravedeva dietro di esse la luna che andava lesta lesta, quasi avesse paura anche lei di incappare nelle fucilate. Cuddu era impressionato della cautela con che la Squadra procedeva. Si fermavano, riprendevano a camminare, tornavano a fermarsi, origliando a ogni svoltata di sentiero. Che cosa stava per accadere? Non potevano, secondo lui, far la guerra di notte, al buio. Tutt'a a un tratto si udì un vocione: - Chi va là? - Amici! - rispose don Carlo il capitano. - Chi vive! - Viva Verdi! - Sta bene; fatevi avanti. Cuddu, a quel - chi va là -, si era aggrappato alla giacca di uno della Squadra che gli stava vicino. Il cuore gli batteva forte. E continuò a battergli forte quando si trovò tra un centinaio di persone, tutte armate - un'altra Squadra più numerosa - che festeggiavano con abbracci e strette di mano i nuovi arrivati. - E questo carusu? - domandò uno con barbone e cappellaccio a larghe tese. Sembrava il comandante. - Lo abbiamo raccolto per la strada - rispose don Carlo. - Bravo! - fece colui. - A Palermo i carusi hanno operato miracoli. Albeggiava. Cuddu, vedendosi squadrato da capo ai piedi da quell'omaccione che teneva impugnato per la canna un fucilone grosso il doppio degli altri e con bocca che si allargava slabbrando, avea avuto paura che non lo cacciassero via. Poi aveva ripreso coraggio, e, sedendosi per terra accanto al suo paesano che gli dava a portare lo schioppo, domandò: - È ora di far la guerra? E si stupì che quegli gli rispondesse con una risata. Due giorni dopo, Cuddu si era trovato, come egli diceva, a veder fare la guerra.

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Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246582
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
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La mattina, mentre egli si disponeva a mungere il latte, gli abbai del cane gliene preannunciavano l'arrivo; e tosto giungevano, ognuno munito di piatto, di cucchiaio e di una fetta di pane fresco, per mangiare la giuncata o la ricotta calda, o semplicemente una zuppa di pane e latte. Fossero rimasti tranquilli, non sarebbe stato niente. Ma volevano metter le mani dappertutto; mungere loro, e loro rimescolare il latte posto a scaldare, e loro far fuoco, e aiutare il pecoraio, cioè, e imbarazzarlo nelle delicate operazioni del frutto, come egli diceva. Il poveretto doveva avere cent'occhi, cento mani per impedire che quei benedetti figliuoli non rovesciassero la caldaia o i secchi col latte. Fin il cane di guardia si mostrava seccato del chiasso importuno, e ringhiava accoccolato davanti al pagliaio per impedire che coloro vi entrassero; pareva capisse che quei ragazzi avevano paura della bestia sciatta, pelosa e brutta che egli era. Quella volta intanto, invece d'un giorno e mezzo, i ragazzi dovevano rimanere alla fattoria l'intera settimana. C'erano non so quali vacanze, e il babbo, forse per stare più tranquillo in casa, gli aveva mandati in campagna. Indurli a tornare alla fattoria, dopo mangiata la giuncata o la ricotta o la zuppa di latte, ogni mattina era una fatica. — Vogliamo stare con voi; venire dietro le pecore! Il pecoraio, alla fine, era riuscito a persuaderli; prometteva che, al ritorno dal pascolo, avrebbe loro portato fiori di campo, o nidiate di uccelli, o bacchette lunghissime, o avrebbe raccontato una bella fiaba; così i padroncini lo lasciavano in pace. Un giorno però essi volevano aspettarlo dentro il pagliaio, per non rifare due volte la strada dalla fattoria alla mandra. — Dentro il pagliaio no ! — Perchè? — Perchè no. Li non ci può entrare nessuno. I ragazzi parvero convinti di questa perentoria ragione. Ma appena stimarono che il pecoraio doveva essere con le pecore nella vallata dello Sgombo, tornarono addietro, da sotto il carrubbo dove s'erano fermati a mezza strada, e in due salti si trovarono davanti al pagliaio. Avevano ordito una congiura. Sapevano che il pecoraio riponeva li dentro la ricotta che poi la sera egli soleva portare alla fattoria; dovevano mangiarsi quella ricotta, per farlo disperare. E la mangiarono. ***

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